N° 39
(PARTE SECONDA)
1.
Sembra
una normalissima giornata di festa come tutte le altre in un pacifico villaggio
nella regione che gli abitanti dello Stato di New York chiamano Upstate: i
bambini giocano nei parchi sotto l’occhio vigile delle madri o delle baby
sitter, la gente passeggia lungo la main street guardando i pochi negozi e
qualcuno pensa al prossimo viaggio che farà a New York od in altro posto dove
ci sia un centro commerciale degno di questo nome. Una normalissima giornata…
fino all’arrivo della nebbia rossastra.
All’inizio
sembra solo questo: una nebbia impalpabile dallo strano colore, poi la gente
comincia a cadere. Dapprima una alla volta, poi a decine, centinaia. Alla fine
nelle strade e dentro le case
uomini, donne, bambini ed animali sono morti. Nessun abitante del villaggio è
stato risparmiato… e non è la sola cosa inquietante.
Potresti definirlo uno scenario
irreale, se in realtà non l’avessi già visto altre volte, sia dal vivo che in
qualche reportage: l’intera zona posta sotto quarantena, uomini e donne
rivestiti da pesanti tute protettive anticontagio, i cadaveri nei sacchi oppure
allineati in un angolo. Quello che è diverso è che non è la scena di un
disastro naturale o di un comune, se mai può essere usato questo termine in
casi simili, attacco terroristico. Per essere un disastro, lo è, ma non è per
niente naturale. Di certo è un atto terroristico, ma non è affatto comune o la
zona non sarebbe piena di agenti S.H.I.E.LD. e tu non saresti stato chiamato
qui urgentemente qui.
Tu sei Capitan America, incarnazione
dei valori del sogno americano. Non sei l’originale, colui che ha creato la
leggenda, ma cerchi di portarla avanti meglio che puoi, anche se in certi
momenti non è facile, per esempio adesso, mentre i tuoi occhi si posano sui
corpi di una donna e di un bambino, le cui teste sono state orribilmente
deformate per assomigliare alla maschera del Teschio Rosso, colore compreso,
esattamente come tutti gli altri abitanti del luogo. Cerchi di resistere ad
impellenti conati di vomito, sa non sei tanto sicuro di poterci riuscire a
lungo.
Una mano si posa sulla tua spalla e
ti volti per vedere il volto di Nick Fury… o meglio quel che puoi vederne
attraverso il casco protettivo che indossa.
Fury si toglie il casco dicendo:
-Hanno confermato
che l’aria è pulita e non corriamo rischi. Meno male: non ne potevo più di
questi affari.- e comincia a sfilarsi la tuta protettiva rimanendo nella
classica uniforme S.H.I.E.L.D.
Tu lo imiti senza indugio, dopotutto
la pensi esattamente come lui ed a dirla tutta vorresti essere altrove.
-Perché? – chiedi
–Perché il Teschio ha fatto questo?-
-Perché è un pazzoide nazista paranoico?- replica Fury –Dovrebbe essere
una risposta sufficiente.-
-Per qualcun altro, forse…- ribatti -… ma non per il Teschio Rosso. Lui
non fa mai le cose a caso: c’è sempre un piano ben preciso, dietro. Io
personalmente l’ho affrontato direttamente solo una volta ed un paio di altre
ho combattuto contro gente mandata da lui, come Crossbones o Machinesmith, ma
ho studiato il suo modus operandi. Non si fa scrupoli ad uccidere e nemmeno a
commettere stragi, ma dal suo punto di vista c’è sempre un motivo. Mi chiedo
quale stavolta.-
-Forse vuole solo dirci: sono tornato e stavolta ho un’arma ancora più
terribile in mano e nessuno scrupolo ad usarla. Ha scelto proprio un bel
momento per farlo. Non avevo bisogno di un’altra crisi causata da un pazzo
megalomane, non quando ci sono già in giro i nanokillers del Mandarino[1] ed
Ultron con in mano l’Inferno 42 e parte dei piani della bomba al Betatrone.[2]
Almeno per una volta mi piacerebbe che le crisi globali arrivassero una alla
volta, ma immagino che sia solo un pio desiderio visto come sta andando questo
pazzo mondo.-
-Non so cos’hanno in mente gli altri…- dici -… ma sono abbastanza
sicuro che il Teschio Rosso ha in mente qualcosa di diverso dal puro e semplice
sterminio di massa. Quello che cerca di solito è il potere.-
-Già, la classica conquista del mondo dei bei vecchi tempi.- commenta
Nick -Magari il suo prossimo passo sarà contattare i governi mondiali per un
ricatto globale.-
-Si, sarebbe da lui.- convieni –Dopotutto non sarebbe la prima volta.
Anche se…-
Lasci in sospeso la
frase e dai un’ultima occhiata a ciò che ti circonda e scuoti la testa. Il
Teschio Rosso ha lanciato la sua sfida e tu la raccoglierai, in fondo non hai
assolutamente scelta e lui lo sa bene quanto te.
Lo immagini nel suo
rifugio segreto, dovunque sia, ridere soddisfatto e per un attimo ti senti come
se quei suoi occhi privi di umanità fossero puntati su di te. Istintivamente ti
volti, ma ovviamente non c’è nessuno. Ciò nonostante, non puoi fare a meno di
sentire comunque scorrere un brivido lungo la tua schiena.
Gli occhi del Teschio
Rosso sono davvero puntati su Capitan America. Grazie ad un complicato gioco di
satelliti, infatti, il diabolico supercriminale sta osservando la scena su un
monitor. Le sue labbra si stirano in sogghigno inquietante. Quando Fury ed il
giovane Capitan America capiranno cos’ha davvero in mente sarà troppo tardi per
loro e per quell’assurdo concetto di libertà che affermano di difendere.
2.
Con un agile salto
lasci il miniveicolo dello S.H.I.E.L.D. ed atterri sul tetto di palazzo in arenaria di Brooklyn. Entri dalla
finestra nel tuo appartamento ed in pochi minuti hai indossato i tuoi abiti
“civili” ed assunto la tua vera identità, quella di Jeff Mace, reporter del
settimanale “Now”. Un relativamente breve viaggio ti porta al palazzo del Daily
Bugle nel centro di Manhattan. Quando entri in Redazione, ti accorgi che
qualcuno ha appeso vicino all’entrata la prima pagina dell’edizione di un paio
di giorni fa.
“Sconfitti
i Signori del Male. L’Uomo Ragno sfugge alla cattura.”
Editoriale di J. Jonah Jameson a pag. 2.
Automaticamente ti viene
da sorridere: J. Jonah Jameson non cambia mai, è una delle poche certezze di
questo mondo ed in fondo non ti dispiace. La redazione è frenetica come sempre.
È passato un solo giorno dall’assalto dei Fenris[3] e
sembra un giorno come gli altri. Saluti i tuoi colleghi e noti l’assenza di Joy
Mercado, sicuramente a caccia di qualche succulento articolo. Ti avrebbe fatto
piacere vederla, anche se continua a non aver ben chiara la natura della vostra
relazione… se ne avete davvero una.
Ti siedi davanti al tuo
computer e ti metti a scrivere. Quando hai finito di stendere un articolo
preliminare sui fatti di cui sei stato testimone e che sarà perfetto per
l’edizione della prossima settimana, ti rilassi. Magari Robertson potrebbe
pubblicarlo nella prossima edizione del Daily Bugle, lasciando a Now un
ulteriore approfondimento. Non ti dispiacerebbe.
Improvvisamente ti
rendi conto che
-Finalmente torni ad un’ora decente.- lo apostrofa la sua vicina Anna
Kapplebaum –Avevo paura che ti fossi scordato che stasera siete tutti a cena da
me.-
Le rivolgi un caldo
sorriso: quella vecchia signora ti ricorda un po’ tua nonna e le sei
sinceramente affezionato, ormai.
-Non mancherei per nulla al mondo Mrs. Kapplebaum.- rispondi –Mi dia
solo il tempo di darmi una rinfrescata.-
-Ma certo. Ti aspetto fra mezz’ora… e ricordati che mi chiamo Anna,
quante volte devo dirtelo?-
-Certo, Mrs… Anna. Ci vediamo dopo.-
Entri nel tuo
appartamento e mentre la tua mano si allunga verso l’interruttore della luce,
senti il freddo acciaio di una lama alle tue spalle pungerti il collo, mentre
una voce di donna ti dice:
-Lascia stare la luce e chiudi la porta.-
Da qualche parte nel
Medio Oriente, una terra tormentata dal terrorismo e dalla guerra, la giovane
donna in costume nota col nome di American Dream salta da un tetto all’altro
dei bassi edifici di una base militare americana verso il luogo in cui da poco
sono avvenute delle esplosioni. Nella Sezione della D.I.A.[4] per
cui la supereroina lavora segretamente nella sua identità segreta di Maggiore
Elizabeth Mary Mace dei Marines, sospettano che questi attentati siano opera di
superumani e probabilmente quello è il motivo per cui hanno mandato lei. Il che
rafforza il suo sospetto che il suo superiore diretto, il Colonnello Michael
Rossi, sappia o sospetti chi è lei veramente.
Quando American Dream
arriva sul luogo, non c’è rimasto molto da vedere, a parte un cratere dove una
volta doveva esserci un hangar. Qualunque cosa abbia causato l’esplosione è
ormai scomparso e lei farà meglio a sparire prima che qualcuno la noti e
cominci a chiedersi cosa ci faccia qui una supereroina americana proprio lo
stesso giorno dell’arrivo di un’ufficiale donna del J.A.G. chiamata ad indagare
sugli attentati.
Riluttante American
Dream torna indietro, ignara che qualcuno ha già notato la sua presenza.
-La attacchiamo ora?- chiede una voce maschile –Posso spezzarla
in due con un solo colpo.-
-No, aspettiamo.- replica un altro –Voglio
saperne di più su di lei, prima.-
Jeffrey William Mace
II, meglio noto ai suoi amici semplicemente come Will, ex diplomatico di
carriera, insegnante a Harvard, figlio e padre di supereroi, è ostaggio di un
uomo che si fa chiamare Michael Walter Rogers, fino a poco fa apparentemente
prigioniero della Volta. In pochi attimi quest’uomo ha steso due Guardiani in
armatura e lo ha spinto verso il tetto.
-Non ce la farai a fuggire.- lo apostrofa Will –Ormai sapranno che sei
uscito dalla Sala Interrogatori e ti riprenderanno.-
L’uomo
dall’inquietante somiglianza con Steve Rogers, l’originale Capitan America, con
cui sostiene di essere imparentato, sorride malignamente.
-Fossi in te.- replica –Non ci scommetterei la mia vita. Ora muoviti.-
Raggiungono il tetto
senza incontrare ostacoli ed è lì che, sopra le loro teste, appare un veicolo
simile ad un hovercraft.
Cosa sta succedendo?
Si chiede Will. Come ha fatto Rogers a sconfiggere i Guardiani ed a superare le
difese della Volta? Perché nessuno è ancora intervenuto a fermarlo? Chi c’è su
quell’hovercraft? Nessuna delle risposte gli piacerà, ne è certo.
3.
Ti volta lentamente e mentre
chiudi la porta senza fare rumore, i tuoi occhi blu elettrico si fissano sulla
donna che ti punta contro una spada sottile, una donna la cui voce hai
riconosciuto e che indossa un costume familiare: quello di Citizen V.
-Puoi abbassare, quell’arma, Dallas, sai che non sono tuo nemico.- le
dici, cercando di sembrare più calmo di quanto in realtà tu sia.
Citizen V abbassa la
spada che tiene nella mano destra e con la sinistra si abbassa il cappuccio,
rivelando la folta chioma rossa e gli occhi verdi di Dallas Riordan.
-Scusa per l’entrata melodrammatica, ma questi per me sono tempi
disperati.- spiega con voce stanca.-
-E comunque non si rinuncia mai ad un’entrata in scena melodrammatica.
È una specie di accessorio del costume.- ribatti tu sorridendo.
-Una battuta di spirito? Io non sono brava in questo.-
-Neanche io, dopotutto. Cosa ci fai qui? L’ultima volta che ti ho visto
eri decisa a chiarire il tuo nome e dimostrare la tua innocenza dall’accusa di
essere l’Incappucciata.-
-Un ruolo in cui mi aveva incastrato la vera Incappucciata, ovvero la
moglie di Zemo. Finché non riuscirò a dimostrarlo, Dallas Riordan sarà sempre
una fuggitiva, costretta a nascondersi dietro la maschera ed il ruolo di
Citizen V, ultima erede di una stirpe di eroi.-
-Un concetto che capisco benissimo.- commenti -Ascolta, Dallas, quando
ti ho rivelato la mia vera identità ti ho anche detto che se mai avessi avuto
bisogno di aiuto dovevi solo chiederlo…-
-Dovevo solo fischiare, ricordo la tua battuta. Beh, ho bisogno del tuo
aiuto… ne ho bisogno per qualcosa che ti piacerà: smantellare l’organizzazione
del Barone Zemo.-
-Zemo è morto,[5] non
l’hai sentito?-
-Non ci credi davvero nemmeno tu. In ogni caso la sua organizzazione è
ben viva e la mia nemica giurata, Heike Zemo,
-Ti aiuterei volentieri, ma… beh, al diavolo, dovrò pur far qualcosa in
attesa che il Teschio Rosso si decida a colpire ancora o lo S.H.I.E.L.D. ne
trovi finalmente le tracce.-
-Ti ringrazio io…-
Dallas vacilla per un
attimo e tu sei rapido ad afferrarla per le braccia, sostenendola.
-Da quanto tempo non dormi?- le chiedi.
-Io… ho troppo da fare per…-
-Basta così. Ho un’idea. Fammi solo vedere se… Ah... perfetto!-
Un jet privato con il
logo di una famosa multinazionale sulle fiancate vola sull’oceano. A bordo un
uomo seduto su una comoda poltrona osserva il panorama, immerso in pensieri che
non possiamo ancora conoscere. Non dimostra più di 50 anni i capelli e la corta
barba sono neri, anche se spruzzati di grigio, specie sulle tempie, indossa un
elegante completo gessato scuro di fattura italiana, camicia bianca, cravatta
scura e scarpe italiane di marca, pure scure, tutto rigorosamente su misura. Il
suo nome è Aleksandr Vassilievitch Lukin, ex generale del K.G.B. ed attualmente
il potente Chief Executive Officer della Kronas Corporation, uno degli ultimi
oligarchi russi degni di questo nome. Negli ultimi tempi la sua agenda ha
compreso non solo gli affari legittimi ed alcuni molto meno che legittimi, ma
anche qualcosa di più, qualcosa che molti giudicherebbero un azzardo oltre ogni
limite. Ne è ben consapevole, ma l’azzardo per uno come lui è qualcosa che dà
sapore alla vita, che la rende degna di essere vissuta e se i suoi progetti
ambiziosi dovessero riuscire…
-Non sognare ad occhi aperti, Alek.- lo rimprovera il suo assistente
personale –Potresti avere un brusco risveglio, lo sai.-
Lukin si concede un
sorriso.
-Sempre a farmi da coscienza, eh, Leon? Ti preoccupi troppo.-
-O troppo poco. Sei ancora in tempo a fermare tutto, se vuoi.-
Il volto di Lukin si
fa cupo.
-No, ormai mi sono spinto troppo oltre. È troppo tardi, ormai, per
tornare indietro.-
La voce del pilota li
avverte che sono arrivati a destinazione. E subito cominciano le manovre
d’atterraggio. Lukin apre la sua valigetta ventiquattrore, contempla cosa c’è
all’interno e le sue labbra formano un amaro sorriso.
Sam Wilson ha poco da
sorridere… o così pensa. La vita di un legislatore dello Stato di New York è
decisamente più complicata di quella di un supereroe… almeno i criminali ti
assalgono con armi molto meno subdole e lui si trova decisamente molto più a
suo agio ad affrontare i Signori del Male che un esercito di lobbysti. A questo
sta pensando Sam, quando il suo treno raggiunge finalmente
4.
Quando Anna Kapplebaum apre la porta del suo appartamento, è un po’
sorpresa di vedere che Jeff Mace ha portato qualcuno con se.
-Spero che non le dispiaccia… ehm… Anna… ma è arrivata improvvisamente
mia cugina e…-
-Non dire altro, ragazzo, c’è posto anche per lei a tavola.-
-Veramente… non vorrei disturbare.- comincia la ragazza.
-Sciocchezze! Le amiche e le parenti di Jeff sono sempre le benvenute.
Intanto ti presento la nostra altra vicina: Bernadette Rosenthal, noi la
chiamiamo Bernie. È un avvocato.-
La ragazza dai capelli
rossi raccolti a coda di cavallo esita un attimo, mentre stringe la mano alla
ragazza alta dai capelli neri e sente il suo sguardo addosso, mentre si siedono
a tavola.
-Non ho capito il tuo nome.- le chiede Bernie.
-Mairi… Mairi O’Rourke. È…-
-… irlandese, lo so. Vieni direttamente dall’Irlanda? Il tuo accento è
un po’ strano.-
-Ho… ho viaggiato molto negli ultimi tempi.
-Immagino. Scusa se ti guardo così, ma… ho come l’impressione di averti
già vista da qualche altra parte, anche se non riesco a mettere a fuoco.-
La ragazza si stringe
nelle spalle con l’aria un po’ timida ed imbarazzata.
-Io non credo.- risponde –Non vengo a New York da parecchi anni.-
-Eppure…-
-Bernie Rosenthal, vergognati!- interviene Anna –Tormentare questa
povera ragazza come fosse uno dei tuoi testimoni. Non sei in una di quelle
orribili aule di tribunale adesso. Su pensate a mangiare piuttosto. Voglio
vedervi ripulire il piatto.-
La ragazza che si fa
chiamare Mairi O’Rourke non si fa ripetere l’invito due volte e per la fine
della serata ha già spazzolato il piatto due volte.
-Adoro le ragazze d’appetito.- commenta, soddisfatta, Anna –Le ragazze
moderne pensano troppo alla linea e mangiano come uccellini… quando mangiano.-
“Mairi O’Rourke” le
sorride, poi si alza da tavola.
-Non vorrete già andar via?- chiede Anna.
-Purtroppo si.- risponde Jeff –Mi aspetta una giornata impegnativa
domani e dopo aver accompagnato mia… ehm… cugina al suo albergo credo proprio
che andrò a riposare.-
-Sei proprio un ragazzo d’altri tempi, Jeff.- commenta Bernie –Sei
sicuro di essere vero?-
Jeff le risponde con
un sorriso e dopo i saluti di rito lui e la sua accompagnatrice escono seguiti
dallo sguardo curioso di Bernie Rosenthal, almeno finché Anna Kapplebaum chiude
la porta.
Quando siete arrivati
nel tuo appartamento e la porta si è chiusa di nuovo alle vostre spalle Dallas
Riordan scioglie i suoi capelli solleva la schiena ed abbandona il ruolo di
Mairi O’Rourke.
-Uff… credevo che quella Rosenthal mi avrebbe smascherato.- commenta
–Ho paura che presto o tardi si ricorderà di me come una ex assistente del
Sindaco ed una criminale ricercata.-
-Se anche fosse…- replichi -… non sarà mai sicura di averti davvero
riconosciuto e presto non avrà più importanza, no?-
-Forse.- Dallas sorride –Grazie di tutto, Jeff, sei un vero amico.-
Tu arrossisci
visibilmente e lei scoppia a ridere.
-Scusa.- dice portandosi la mano alla bocca.
Tu scuoti la testa
-Non importa, davvero. Ci sono abituato.-
-Sei un bravo ragazzo, Jeff… e dovresti tenerti alla larga dalle
cattive ragazze come me.-
-Impossibile, è nella mia natura. E poi… chi dice che sei una cattiva
ragazza?-
-Io. Ed a proposito di ragazze buone o cattive che siano, che ci
facevano degli abiti femminili nel tuo appartamento di giovane scapolo?-
-Mia sorella mi ha chiesto di tenerglieli da parte se capitasse in
città ed avesse necessità di un cambio d’abito d’emergenza.-
-Anche lei è una supereroina? Forse quell’American Dream di cui ho
sentito parlare?-
Tu non rispondi e lei
trova il tuo silenzio eloquente.
-Ti dispiace voltarti, adesso?- ti chiede. –Devo rimettermi il
costume.-
Tu ti volti
diligentemente e cerchi di non pensare alla ragazza che si sta spogliando alle
tue spalle. È troppo vecchia per te, dopotutto, ti dici, ma anche Joy Mercado
lo è e questo non vi ha impedito di...
-Sono pronta.-
Ti volti. Mentre lei
si rivestiva tu ti eri tolto i tuoi abiti civili per rimanere col costume di
Capitan America. Ora t’infili la maschera e dici:
-Andiamo.-
Le lasci il passo ed
uno di seguito all’altra saltate fuori dalla finestra.
Bernie Rosenthal è
appena uscita ed Anna Kapplebaum si appresta a fare pulizia nel suo
appartamento. È sempre contenta di avere ospiti. La sua è stata una vita
solitaria da tanti, troppi anni ormai.
Improvvisamente sente
un brivido lungo la schiena. Non ha bisogno di voltarsi per capire di non
essere sola. Se è un rapinatore, pensa, troverà ben poco qui ed alla mia età
sono un magro boccone per uno stupratore.
Infine si volta e
spalanca occhi e bocca per l’improvviso terrore che la prende.
-Si ricorda di me, Frau Kapplebaum?- le chiede una voce fredda come il ghiaccio, una voce che
la riporta indietro di 64 anni, a quando era una bambina sola e spaventata in
un campo di sterminio in Germania, unica sopravvissuta di tutta la sua famiglia
a quello che sarebbe divenuto famoso come Shoah, l’olocausto del popolo ebraico
per mano dei nazisti. Si: si ricorda di lui, del suo sorriso malvagio, dei suoi
occhi senz’anima e del suo volto rosso come il sangue delle sue vittime e così
terribilmente simile ad un teschio. Lo stesso ghigno di allora e gli stessi
occhi freddi, specchio di un male cosmico. Anna vorrebbe gridare, ma non ci
riesce e semplicemente cade a terra priva di sensi o peggio.
5.
Sharon Carter sta imparando
a fare la madre per una figlia che solo ora sta cominciando davvero a
conoscere. La piccola Shannon è vispa ed intelligente per la sua età e
guardandola Sharon non può non provare una fitta al cuore. È incredibile come
cambiano in fretta le cose. Per anni Sharon ha tenuto segreta l’esistenza di
sua figlia a chiunque, perfino alla sua famiglia. Si è comportata come se la
bambina non esistesse nemmeno e poi… è bastato l’incidente in cui la bimba ha
rischiato di morire per costringere Sharon ad uscire dall’apatia e dalla
freddezza in cui era caduta dopo l’incontro con dei presunti demoni tempo
prima, un incontro che aveva spezzato le sue certezze ed il suo spirito… almeno
finché non si era ritrovata in piedi, accanto ad un letto d’ospedale a guardare
quel corpicino immobile, con i tubicini che le uscivano dalle braccia e dal
naso, lottare per la sua stessa vita. In quel momento Sharon Carter non era
davvero rinata, piuttosto aveva ritrovato la vera se stessa.
Ora Shannon era
completamente guarita, una guarigione quasi miracolosa a detta di alcuni
medici. Sharon sorride al pensiero perché sa a cosa è dovuto l’apparente
miracolo: in fondo la piccola Shannon ha preso molto da suo padre… se almeno
lui fosse qui per vederla adesso… ma anche i Carter sono gente dura, dopotutto.
Sharon è cresciuta ascoltando i racconti delle imprese di alcuni membri della
sua famiglia. I Carter hanno sempre avuto un certo istinto per cercare guai…o
per attirarli. Le basta pensare a solo alle avventure di Peggy… Peggy… era da tanto che non pensava a lei.
Dovrebbe chiamarla, dirle che va tutto bene adesso.
Il maggiordomo le ha
dato un numero di un posto in cui si è ritirata. La chiamerà adesso.
-Si, buonasera… sto cercando Miss Peggy Carter… si sono una sua
parente. Cosa? Che vuol dire che è scomparsa? E cosa aspettavate ad
avvertirci?-
Mentre riappende il
telefono Sharon sa che c’è qualcosa che non va. Il suo istinto di spia le dice
che qualunque cosa sia successa a Peggy deve riguardare i suoi legami con
Capitan America e quello che è successo nell’Upstate New York per colpa del
Teschio Rosso. Corre ad abbracciare Shannon. Nessuno farà del male a sua figlia
se lei potrà impedirlo.
Il piccolo
velivolo con ai comandi Citizen V sorvola lo Stato di New York, invisibile ad
ogni rilevamento. Alle spalle della Supereroina tu sembri decisamente
perplesso.
-Spero davvero che tu sappia dove stai andando.- le chiedi
-Non essere scettico, Cap.- ti rimbecca lei –Io e
-Davvero non riesco a capire perché hai chiesto il mio aiuto… non hai i
tuoi compagni del Commando V ad aiutarti? Tutti rigorosamente discendenti di avventurieri
degli Anni 40… come noi del resto.-
-Ognuno di loro sta esplorando uno dei tanti possibili rifugi di Zemo:
in Amazzonia, in Germania e qui negli Stati Uniti. Stiamo eliminando i
possibili obiettivi. Qui, nello Stato di New York ce n’è uno in particolare.-
-Aspetta, so dove stai andando:
-A meno che non confidasse proprio in questo. Comunque ormai siamo
arrivati; ecco la villa del Teschio Rosso.-
E guardando la sinistra
abitazione tu non puoi fare a meno di provare una brutta sensazione. Non sei un
uomo superstizioso, eppure quel luogo ti mette inquietudine, è come una gotica
casa di fantasmi, come quelle dei fumetti che leggevi da bambino e per quanto
non lo ammetteresti mai, mentre spingi il cancello vorresti tanto essere
altrove.
Nick Fury raramente ha
l’occasione di dormire nel suo appartamento di New York, ma stavolta, di
ritorno dalla scena dell’ultimo crimine del Teschio Rosso, ha sentito il
bisogno di tornare a casa e farsi una bella doccia. Sarebbe stato bello poter
chiamare qualche amica come la Contessa[6], ma
aveva già un appuntamento, probabilmente con quel giornalista con cui si vede
ultimamente. Peccato. Non gli è restato che rilassarsi spaparanzato in poltrona
con una bottiglia di Bourbon, guardando un bel film. Non quella robaccia
moderna, però: ma una chicca dei bei vecchi tempi, con gente come John Wayne,
James Stewart o Errol Flynn.
Al mattino Nick si
sveglia, come al solito, di buon ora. Dopo un rapido ed essenziale passaggio al
bagno, con qualche minuto di troppo passato davanti allo specchio a guardare
una faccia troppo giovane per la sua vera età e chiedendosi per l’ennesima
volta se sia valsa davvero la pena fare certe rinunce, come ad una famiglia, ad
esempio, Nick si concede una robusta colazione ed esce sul terrazzo. L’aria di
New York sarà anche inquinata, ma questa è pur sempre la città dove è nato e
lui la ama come… aspetta! Cos’è quello? No, non può essere!
All’asta di bandiera
proprio sopra la sua testa è appeso un corpo, che oscilla al vento mattutino,
quello di una donna anziana che indossa una specie di uniforme a righe, una che
nick ha già visto in passato, il suo collo ha una posizione innaturale, i suoi
capelli sono stati rasati. Nick pensa di averla riconosciuta, anche se in vita
sua deve averla vista non più di un paio di volte e non sembra più la dolce e
gentile signora di cui parlava Steve Rogers.
Dalle labbra dello
stagionato ed apparentemente cinico capo della più grande agenzia spionistica
del mondo fuoriesce, suo malgrado, un grido di rabbia e di dolore.
Il Teschio Rosso ha
lasciato un altro, macabro, messaggio.
6.
Sarah Wilson Casper comincia a rimettere a posto tutti i fogli sparsi
sulla scrivania, mentre suo fratello Sam sta salutando l’ultimo visitatore
della giornata, per poi rivolgersi a lei:
-Per fortuna anche per stasera è finita.-
-Sei molto popolare tra la tua gente.- commenta Sarah –Non sei uno dei
soliti politici tutto sorrisi e vuote promesse. Sei uno di loro e ti impegni
seriamente. Questo lo sanno bene ormai.-
-E con questo che vuoi dire?- le chiede Sam –Che potrei puntare più in
alto? A Washington?-
-E che ci sarebbe di male? Certo, ormai hai perso l’opportunità di
diventare il primo Presidente afroamericano, ma ciò non vuol dire che tu non
possa ancora volare alto… anche senza le
ali di Falcon.-
-Certe volte non so se scherzi o sei seria, cara sorella maggiore.-
-Ha importanza? Non c’è niente di male nell’ambizione se la si usa
anche per far del bene alla gente.-
-Mai pensato di farti ordinare sacerdote? Saresti perfetta sul pulpito…
proprio come nostro padre.-
-Quando ero una ragazzina, era impensabile che le donne potessero
essere sacerdoti… ed ora è troppo tardi: sono una madre di famiglia.-
Sam sorride divertito.
In fondo, Sarah gli ha davvero fatto da madre per un po’, quando erano piccoli
e adesso può andare fiera del suo vero figlio, Jody e del suo attuale ruolo di
assistente sociale qui a Harlem.
Sam Wilson accantona
il pensiero ed apre un armadio svelando un pannello segreto in cui è riposto il
costume di Falcon.
-Beh… penso che andrò a fare un giro di pattuglia per il quartiere
prima di cena.- dice - Volare è molto rilassante.-
-Si… per chi ha le ali.- replica Sarah –Piuttosto, perché non inviti a
cena quella dottoressa Temple? Mi pare che stiate abbastanza bene insieme.-
-Ah, ora ti riconosco! Vuoi trovarmi una compagna? Credi che non saprei
trovarla da solo?-
-Insomma… con quella Leyla Taylor non è che tu sia stato tanto
fortunato.-
-Ci risiamo. So che Leyla non ti piaceva per tante ragioni, ma è storia
vecchia ormai… comunque chissà che non chiami Claire Temple più tardi,
contenta?-
Falcon non aspetta
nemmeno la risposta di Sarah e si tuffa da una finestra. Le ali disegnate da
Pantera Nera e realizzate dai suoi ingegneri si spiegano e lo sostengono in un
volo elegante, mentre la sagoma maestosa di un falco appare al suo fianco ed
insieme si stagliano contro la luce del tramonto.
Molte miglia più ad
est, in una base militare americana in Medio Oriente, l’agile e flessuosa
figura di American Dream si muove tra le ombre.
Non è solo la
curiosità professionale per quelli che appaiono essere attentati commessi da
superumani a muoverla stanotte, ma anche la vaga sensazione che qualcosa stia
per accadere. Il suo istinto non sbaglia: qualcosa sta effettivamente per
accadere… a lei.
La prima cosa che
succede è il sollevarsi di un vento improvviso, che la sbatte contro la parete
di un hangar. L’impatto non è granché, ma… il suo costume presenta dei piccoli
tagli in più punti, tagli profondi, visto che da essi esce del sangue.
-Ma cosa…?- esclama sorpresa.
-Sei pronta ad incontrare il tuo Dio,
donna?-
Davanti a lei è
apparso una specie di gigante che veste un abito tradizionale arabo di colore
nero-bluastro, il suo volto è una specie di buco nero in cui brillano due occhi
rossi apparentemente privi di pupille. Impugna una grossa spada che sta per
abbattersi su di lei. Rapidamente Liz Mace attiva un pulsante sul suo guanto
destro e subito una replica dello scudo di Capitan America si materializza,
parando il colpo altrimenti mortale.
-Un campo di forza? Ingegnoso… ma si
rivelerà del tutto inutile contro il potere della Lama Nera di Bagdad.-
Forse, pensa tra se
American Dream, ammesso che io me ne resti ferma a far da bersaglio al prossimo
colpo. Salta
lontano, mentre la spada si abbatte contro la parete dell’hangar, riducendola
letteralmente in frantumi.
Se avessi subito io
quel colpo, pensa Liz, di me non sarebbero rimasti pezzi abbastanza grandi da
poter essere identificati. Ma chi è questo tizio? Come ha fatto ad apparire dal
nulla e cosa mi ha ferito?
-Meno domande, donna. Combatti per la
tua vita piuttosto.-
-Mi… mi hai letto nella mente?-
-Prima di essere un fantasma, ero un
potente stregone. Non leggo i tuoi pensieri, ma percepisco i tuoi dubbi… le tue
paure.-
-Vediamo se riesci a percepire questo.-
American Dream sferra
un potente calcio al suo avversario... attraversandolo. Contemporaneamente una
sensazione di freddo le attraversa la gamba paralizzandola.
Quell’essere… ha detto
di essere un fantasma? E se è così, come può riuscire a combatterlo?
Improvvisamente, ecco
arrivare un forte vento e dal vento si materializza una figura, quella di un
uomo snello dai lunghi capelli chiari, vestito di una tuta arancione ed il cui
volto è interamente coperto da una maschera cremisi.
-Vuoi che la uccida io, Black Razeer?- chiede con una voce che mette i brividi.
-No!- risponde perentorio l’altro –Lasciala stare, Aminedi, ho un’idea
migliore per disporre di lei.-
Elizabeth Mary Mace,
alias American Dream, sente un brivido correrle lungo la schiena a quelle
parole.
La chiamano Isola del
Teschio, anche se non è una vera isola, non una naturale perlomeno. La migliore
tecnologia che le menti naziste sono state in grado di concepire ha realizzato
una schermatura totale da qualunque sistema di rilevamento terrestre e non. Qui
il Teschio Rosso concepisce i suoi folli piani e qui impartisce gli ordini che
li mettono in atto.
Ha appena terminato i
suoi allenamenti quotidiani, che riceve alcuni dei suoi più fidati (sempre che
lui sia in grado di fidarsi di qualcuno, s’intende) collaboratori: Crossbones,
il Dottor Faustus, l’androide Machinesmith ed Arnim Zola, il cui intelletto è
ospitato da un costrutto biosintetico di sua creazione.
-Per carità, Teschio… avresti potuto farti almeno una doccia prima di
riceverci.- dice Faustus, storcendo la bocca.
-Ti disturba forse il sudore di un vero maschio di razza ariana,
Dottore?- replica il Teschio, sogghignando e calcando con sarcasmo sul termine:
“Dottore”. –In effetti, si vede che l’esercizio fisico non è il tuo forte.-
-La mia arma non è il corpo, ma la mente.- replica lo psichiatra
criminale.
-Il che non ti ha impedito di fallire con il Capitan America degli Anni
’50[7] e con
il Maggiore Vittoria.- ribatte il Teschio –Normalmente non tollero i
fallimenti. Se i tuoi talenti non mi fossero comunque utili, ti avrei già fatto
giustiziare.-
-Se lo desideri, capo…- interviene Crossbones -… posso ancora eliminare
questo ciccione in meno di due secondi.-
Il Teschio sorride
divertito.
-No… dicevo sul serio prima: i particolari talenti di Faustus mi sono
ancora utili.-
-In ogni caso…- interviene Faustus –Ricorderai che ti avevo avvertito
sui rischi di tentare il lavaggio del cervello su soggetti dalla forte fibra
morale… il che mi ricorda…-
-Non adesso. Ora vorrei avere aggiornamenti da Zola: la tua versione
potenziata del mio gas del Teschio ha funzionato alla perfezione. Ci sono
voluti solo pochi minuti per uccidere ogni essere vivente di una piccola città
americana. Un modo rapido ed efficiente per eliminare gli avversari. Se
avessimo avuto a disposizione un’arma come questa durante
Il Dottor Faustus non
può non reprimere a fatica un moto di disgusto. Perfino lui è impressionato
dalla noncuranza con cui il Teschio Rosso parla di genocidio Una tale mancanza
dei normali sentimenti umani lo renderebbe un soggetto di studio molto
interessante, se volesse sottoporsi ad analisi, cosa alquanto improbabile a dir
poco. Faustus non è un fanatico nazista. A parte il Teschio e forse Arnim Zola,
nessuno dei presenti lo è. Lui lavora per il Teschio per mero opportunismo, ad
esempio. Crossbones è un sociopatico con tendenze sadiche e Machinesmith… è
decisamente difficile da classificare. Potrebbe manipolarli tutti però… tutti
tranne il Teschio.
-Non so se avremmo potuto fermare l’avanzata alleata anche se avessimo
avuto a disposizione tonnellate del gas…- sta dicendo Zola … l’avremmo di certo
rallentata.-
-Si giusto… talvolta mi perdo in sogni ad occhi aperti. Meglio tornare
alla realtà e pensare al nostro prossimo bersaglio… Crossbones… hai provveduto
alla vecchia signora?-
-Credo che il pacco sia appena arrivato a destinazione, capo.- replica
Crossbones.
-Molto bene. Sharon Carter avrà una sgradita sorpresa tra poco.-
-Potrei occuparmi anche di lei molto facilmente.-
-NO! Voglio chi i miei nemici soffrano, non che muoiano tanto
facilmente. Un giorno strisceranno ai miei piedi e mi supplicheranno di
ucciderli ed allora… forse sarò tanto misericordioso da accontentarli… o forse
no.-
Pazzo, ma al tempo
stesso lucido e pericoloso. Una combinazione letale, pensa Faustus,
estremamente letale.
7.
Entrate nella casa,
che ha tutta l’aria di essere abbandonata ed a quanto ne sai lo è sin da quando
Magneto vi imprigionò il Teschio Rosso in un bunker sotterraneo, dove in seguito
fu soccorso dai suoi alleati. Tu non c’eri a quel tempo, ma c’era Steve Rogers,
il primo e forse l’unico Capitan America, di cui tu sei solo un rimpiazzo.
Percorri un salone impolverato. Nel silenzio risuona solo il rumore dei tuoi
passi e di quelli di Citizen V, poi, improvvisamente, le luci si accendono ed
il pavimento si apre sotto di voi.
Mentre cadete, ti dai
mentalmente dello stupido. Il vero Cap sarebbe caduto in un trucco così
evidente?-
Grazie alla tua
agilità ed allenamento cadi in piedi e ti precipiti verso Citizen V, che si sta
faticosamente rialzando.
-Sei ferita?- le chiedi porgendole una mano a cui lei si aggrappa
rimettendosi in piedi.
-Solo nel mio orgoglio.-
<<Ma che bel quadretto.>> commenta una voce da un
microfono.
Entrambi alzate gli
occhi verso un monitor su una parete, un monitor su cui compare il volto velato
della Baronessa Zemo.
<<Mi dispiace non poter restare a farvi gli onori di casa come
dovrebbe fare un ospite educato.>> dice
Da dei bocchettoni
alle pareti comincia ad uscire dell’acqua che minaccia di riempire la stanza.
<<Credo che vi restino a malapena cinque minuti. Chissà… magari
ce la potreste fare. In fondo mi dispiace che la nostra faida termini così,
Citizen V, ma tutte le cose belle debbono finire, prima o poi.>>
-Maledetta strega.- esclama Citizen V, rivolta ad un monitor ormai
spento.
L’acqua vi arriva
ormai alla vita e siete intrappolati in un sotterraneo dalle pareti in cemento,
una qualche lega metallica rinforzata e chissà cos’altro. Non vuoi fare il
pessimista, ma pare proprio che non abbiate speranze stavolta e questo è un
modo davvero stupido di morire.
Non rimpiangi di aver
seguito Citizen V, ma avresti voluto almeno poter mettere le mani sul Teschio
Rosso e farlo finalmente pagare per i suoi crimini. Pare proprio che dovrà
pensarci qualcun altro.
Sharon Carter rientra
a casa da una breve passeggiata in città ed è sorpresa di trovare la porta
della villa socchiusa. Il suo primo pensiero è per sua figlia. Rapidamente
afferra Shannon e la porta verso il vicino capanno degli attrezzi. Spalanca la
porta e guarda dentro: vuoto. Va verso una parete e sposta un pannello
nascosto. Rivelando una serie di armi. Afferra una pistola e richiude il
pannello, poi si rivolge a Shannon:
-Ora la mamma ha da fare. Tu resta qui e non aprire a nessuno finché
non torno.-
-Va bene mamma.-
Rapidamente Sharon
esce dal capanno e corre verso la villa. Spinge il battente della porta. Nessun
rumore e nessun attacco. Si muove circospetta come l’agente superbamente
addestrata che è. La prima cosa che nota
è il maggiordomo, Smithers, a terra. Si china ad esaminarlo: è svenuto, ma
vivo, grazie a Dio. Cosa sta succedendo qui?
La porta del soggiorno
è socchiusa. Sharon la raggiunge, la spinge e fa un passo avanti nel locale.
Nel momento stesso in cui il suo piede tocca la prima mattonella oltre la
soglia, ecco partire una musica. Sharon la riconosce immediatamente:
La musica viene da una
poltrona e c’è chiaramente seduto qualcuno.
-In piedi!- intima Sharon, ma nessuno si muove o, comunque, risponde.
-In piedi!- intima ancora Sharon e di nuovo nessuna risposta, solo la
musica.
Sharon raggiunge la
poltrona e si rivolge all’occupante ancora immobile.
-Adesso tu…-
Non riesce a dire
altro. Quando vede chi è seduta sulla poltrona le parole le muoiono in gola.
Vorrebbe gridare, ma la sua bocca si muove senza emettere alcun suono.
A guardarla con occhi
spenti, vestita con una vecchia tuta verde un po’ lisa, coi capelli argentei
che le ricadono scomposti sul volto, sta Margaret “Peggy” Carter e Sharon non
ha bisogno di toccarla per sapere che è morta. Quasi non capisce che sta
piangendo finché non sente il sapore amaro delle sue lacrime. La musica cessa
di colpo.
Dalla sua posizione su una specie di soppalco
l’uomo guarda l’eterogeneo gruppo davanti a lui. Tra di loro spiccano:
un’avvenente donna dai capelli rossi e lo sguardo malizioso, un uomo elegante
dai capelli grigi, che porta con noncuranza un cappotto appoggiato alle spalle
e tiene in mano un cappello, una specie di gigante dall’aspetto non molto
umano, un uomo dai folti baffi in costume cosacco, un uomo massiccio dai lunghi
capelli e baffi con in mano un pesante martello da maniscalco, un uomo quasi
scheletrico dalla pelle bianchissima, una benda sull’occhio sinistro ed una
falce nella mano destra, un uomo dall’aspetto sgraziato con indosso un’uniforme
dell’esercito sovietico ed un mantello di pelliccia ed una donna dai capelli
neri che indossa la vecchia uniforme del K.G.B.
-Sapete perché siamo qui, compagni.- dice l’uomo, mentre i suoi stivali
battono impazienti su un pavimento metallico –Credono di averci sconfitto, ma
non sanno che s’ingannano. Nella stessa patria dei lavoratori hanno dimenticato
gli ideali che ci guidano, ma noi no, non l’abbiamo fatto. Noi continuiamo la
giusta battaglia e dimostreremo a tutti che
Un boato
d’approvazione si leva dal gruppetto sottostante e l’uomo vestito di una tuta
verde si avvolge nel suo mantello color cremisi, su cui spicca il simbolo della
Falce e Martello, e sorride soddisfatto sotto la cupa maschera del Teschio
Rosso.
FINE SECONDA PARTE
NOTE DELL’AUTORE
Davvero
pochissime note stavolta:
1) Su Citizen V dovreste saperne ormai abbastanza, così come la sua faida
con Heike Zemo. Altre notizie nel prossimo episodio.
2) Anche di Black Razeer e Aminadi avremo modo di parlare più diffusamente
nel prossimo episodio. Nel frattempo, mi limito a ricordarvi che Black Razeer è
stato creato da Bill Manto & Mike Mignola su Alpha Flight Vol 1° #31
(Capitan America & I Vendicatori, Star, #39).
3) Qualcuno di voi si starà chiedendo cosa significa la scena finale col
Teschio Rosso e qualcun altro avrà già capito la risposta. Nel frattempo, chi
riuscite a riconoscere tra coloro che stanno ascoltando il suo discorso? Un
aiutino: ai loro tempi erano tutti agenti sovietici.
4) A livello di continuity questa storia si svolge poco dopo gli eventi di
Vendicatori #76.
Nel prossimo
episodio: l’intera famiglia Mace, o quasi, è finita in guai molto seri, Joy
Mercado va a caccia di guai, qualcuno dà la caccia a Falcon. In più: i sinistri
piani del Teschio Rosso e… i sinistri piani del Teschio Rosso. -_^
Carlo
[1] Vedi i recenti episodi di Iron Man
[2] Come mostrato nei recenti episodi dei Vendicatori.
[3] Nell’ultimo episodio.
[4] Defense Intelligence Agency.
[5] Nel cataclismatico finale di Vendicatori #76… o almeno così sembra. -_^
[6] Valentina Allegra De
[7] In U.S.Agent MIT #4