by MarvelIT staff[1]
#1 – La distinta
concorrenza
New York City
Il sole è
tramontato sulla città che non dorme mai, ormai illuminata da una splendida
mezza luna.
Devil non può
vederla, perché sotto la sua maschera si cela il cieco Matt Murdock. La sua è
un oscurità perenne che però non gli impedisce di pattugliare le strade in
cerca di crimini da sventare, e anche questa sera, come tante altre prima, la
città gli offre l'occasione che cerca: i suoi super-sensi infatti captano
l’urlo di una donna che grida terrorizzata.
Il cosiddetto
“uomo senza paura” si precipita nel vicolo da cui proviene l’urlo, dove un uomo
sta cercando di strapparle di mano la borsetta.
Devil scende a
terra con un’acrobazia e si prepara a lanciare il proprio bastone contro il
criminale, ma non ne ha il tempo: qualcosa sfreccia a poca distanza dalla sua
testa e colpisce in fronte il rapinatore, mettendolo al tappeto in un attimo.
“Ma cosa...?”
pensa Devil, avvertendo tramite il senso radar che qualcuno dietro di lui. Per
un attimo crede che non sia qualcosa di umano, ma poi dal suono capisce che si
tratta di un uomo che indossa un mantello.
Il suo primo
istinto è estrarre il proprio bastone, ma aver estratto un’arma sembra non
piacere molto all’uomo misterioso: un istante dopo, qualcosa viene scagliato
verso l’eroe cieco.
Devil blocca
l’oggetto con il suo bastone, ma solo per un soffio.
“Un lancio
perfetto quasi quanto quelli di Bullseye” nota “ed altrettanto letale, se
avesse mirato ad una parte vitale.”
Il suo avversario
deve aver previsto la sua mossa, perché lo ha già raggiunto per cercare di
colpirlo con un pugno. L’unico motivo per cui il colpo non va a segno è che,
all’improvviso, l’uomo con il mantello svanisce completamente.
Nemmeno il senso
radar avverte più niente. Nessun battito, nessun odore... niente, come se non
fosse mai stato lì.
La donna ha già
recuperato la propria borsetta per scappare via; il suo aggressore è a terra,
privo di sensi. Nessun testimone di quanto è accaduto.
“Un tempo avrei
pensato che mi avesse scambiato per un criminale... credevo che ormai a New
York tutti gli eroi si conoscessero”, riflette.
Tutto ciò che
resta a Devil è l’oggetto incastonato nel suo bastone. Lo estrae e fa scorrere
le sue dita ipersensibili su di esso.
È uno shuriken dal
design molto particolare.
Uno shuriken a
forma di pipistrello.
In un altro
quartiere di New York
Il palazzo è noto
ai più per essere la sede degli uffici della Roxxon Energy Inc.
Sorge in una delle
zone più esclusive della città, un gigante di acciaio e cemento che punta verso
il cielo. Eppure tra il 23esimo e il 25esimo piano, pare di essere nel pieno
della foresta amazzonica.
Piante con rami e
radici enormi che fuoriescono dalle pareti a finestra.
Giunto sul posto a
bordo del suo esclusivo elicottero, Moon Knight non riesce a credere ai suoi
occhi.
“Mai visto nulla
del genere...” pensa, mentre si lancia verso quella misteriosa boscaglia,
planando con il suo mantello.
Si addentra
camminando in equilibrio su un grosso tronco che sporge in diagonale.
Quello che era un
esempio di capolavoro di architettura e ingegneria è divorato da una
vegetazione impazzita che pare volersi riprendere i propri spazi.
Moon Knight avanza
usando le sue mezzelune taglienti per farsi largo tra le liane, come farebbe
addentrandosi in una giungla.
<Cosa può aver
scatenato una cosa del genere?> si chiede, quando finalmente giunge davanti
a quella che aveva tutta l'aria di avere le risposte che cerca: una bella donna
dai capelli rossi, coperta solo da un curioso body verde composto da foglie.
La sua carnagione
è bizzarra, pallida con dei riflessi verdognoli.
<Qualcosa mi
dice che è stata lei ...> dice a se stesso, sarcastico.
La donna parla ai
suoi prigionieri, alcuni uomini immobilizzati da piante rampicanti.
<Inquinamento.
Disboscamenti. Coltivazioni intensive. State distruggendo madre terra
esclusivamente per arricchirvi, per la vostra ambizioni di denaro e potere.
Tutto questo da oggi terminerà!> esclama con sicurezza.
<Non so chi tu
sia, ma è meglio che la smetta e che ti consegni. Non ho intenzioni di farti
del male, ma...> Moon Knight non finisce il pensiero che, come cani
idrofobi, due piante carnivore gli si lanciano contro.
Afferra il suo
nunchaku da sotto il mantello e colpisce con forza e precisione, riuscendo ad
abbatterle, poi si lancia verso la donna, ma prima che riesca ad avvicinarsi a
lei, una radice gli afferra le caviglie, facendolo cadere.
Mentre cerca di
liberarsi da quella stretta, dei rovi scendono dal soffitto e come tentacoli lo
afferrano per le braccia, immobilizzandolo.
<Incredibile...
assomigli così tanto a lui.> afferma la donna, avvicinandosi a lui <Solo,
la scelta del bianco proprio non la capisco...>
Le piante
impediscono a Moon Knight di difendersi.
La donna
attraverso delle spore emana dei ferormoni che la rendono irresistibile.
Moon Knight a poco
a poco perde lucidità, che viene offuscata dal desiderio.
Lei gli si
avvicina, gli tira indietro il cappuccio e solleva la maschera fino a
scoprirgli la bocca.
<Mi vuoi?>
chiede.
<Sì...>
risponde lui, in preda all'estasi.
Le labbra
invitanti di lei si avvicinano alle sue quando, improvvisamente, scompare.
Sparisce nel
nulla, come se non fosse mai esistita.
La presa delle
piante s'allenta, con uno sforzo Moon Knight riesce a liberarsi.
Lentamente
riprende il controllo di sé stesso. La sua mente ora è lucida, ma non riesce a
comprendere quanto è appena avvenuto.
<Chi era? Da
dove veniva? Ma soprattutto... cosa diavolo le è successo?>
Ma le piante non
hanno risposte.
Seattle.
Secondo le sue
fonti, in questo magazzino si traffica droga. È risalito fino a qui da New
York, lasciandosi dietro una scia di sangue.
Perché lui è Frank
Castle, il Punitore, e nessuno gli sfugge.
Questa sera era
pronto a fare una carneficina come al suo solito, ma scopre con disappunto che
qualcuno lo ha anticipato. Tutti i narcotrafficanti sono stesi a terra, inermi,
privi di sensi.
“Sirene. Devo
allontanarmi. Non sembrerebbe, ma questi bastardi sono le persone più fortunate
della Terra. Stanno evitando quello che avevo in serbo per loro.” pensa.
Ma prima di
lasciare quel luogo, analizza attentamente la scena.
Le pistole e gli
uzi per terra hanno le canne otturate da delle frecce.
Delle frecce
verdi.
Anche i criminali
sono stati inchiodati alle pareti da frecce che hanno trafitto con accurata
precisione i loro abiti.
<Conosco solo
un uomo capace di tanto, ma opera a Coney Island. Inoltre, il suo colore è il
viola... per quale motivo cambiare?>
Dall’altra parte
del mondo
Wolverine ordina
la quarta birra consecutiva, questa vola una Hatachino Nest Dai Dai, una bionda
non impegnativa ma gustosa, che manda giù in un paio di sorsi assaporando il
gusto di arancia che emerge tra le note di agrumi ben bilanciate, lasciandogli
in bocca un persistente retrogusto di caramello e timo.
Poi richiama
l'attenzione del cameriere alzando il moncherino, riflesso condizionato di una
mano destra che gli è stata sorprendentemente tranciata via poco tempo fa[2]
e che fatica a ricordare di non avere più attaccata al polso.
Ha intenzione di
tracannare una quinta birra e magari una sesta per forzare il suo metabolismo
mutante che filtra l'alcol rendendo un'impresa sentirsi un po' allegro bevendo.
Gli piace passare qualche serata in questo bar di Kabukicho, il popolare
quartiere dei divertimenti notturni di Tokyo, ricco di pub fumosi, risto-bar e
di piccoli club aperti fino a tardi, prevalentemente a luci rosse e, si
sussurra, gestiti in gran parte dalla Yakuza. Qui trova un gran numero di birre
nazionali e non e il barman è uno che sa di cosa parla quando gli consiglia di
assaggiare pregiati sake e ottimi shochu e non fa troppe domande.
Sta pensando a cosa prendere quando i suoi sensi lo immobilizzano. Una scarica
di adrenalina gli scuote i nervi come un fulmine rischiara la notte più buia:
una minaccia è entrata dalla porta e ora si sta sedendo al banco a pochi metri
dal suo tavolino.
L'uomo non sembra
averlo notato, ma l'istinto del predatore che è in Wolverine non gli fa
dubitare minimamente che percepisca la stessa cosa nei suoi confronti. Due lupi
nello stesso territorio, non appartenenti allo stesso branco si riconoscono a
vicenda ed entrano in competizione.
Apparentemente
calmo e allo stesso tempo vigile e in allerta per prevedere e reagire ad ogni
possibile azione ostile, Logan osserva l'uomo, è alto, ben piazzato nei suoi
vestiti casual stirati alla perfezione, dalla mascella tipicamente
nordamericana coperta di barba e baffi bianchi ordinatamente corti e ben curati,
così come i capelli brizzolati. Ha una benda nera sull'occhio destro. Il suo
aspetto e modo di fare sono quelli di un militare o qualcuno con addestramento
militare, ne è certo. Come è sicuro che porti con sé delle armi ben nascoste
alla vista, ma non ai suoi sensi iperacuti: l'inconfondibile odore di olio,
solventi e nessuna traccia di residui di carbonio gli rivelano la presenza di
un'arma accuratamente pulita per essere al massimo dell'efficienza, tenuta in
qualche fondina di vera pelle. La sua nazionalità viene confermata dall'accento
quando chiede in giapponese del whisky al barman.
<Prende
un'altra birra, Logan-san?>
Valutato dal suo
istinto così innocuo da ignorarlo completamento, è il cameriere arrivato al suo
tavolino a distrarre l'attenzione di Wolverine dall'americano.
<Dammi quello
che prende lui.> gli risponde.
Il ragazzo
annuisce e sparisce dal suo radar. Logan rivolge lo sguardo al tizio e ora vede
che lo sta fissando... Sorgono da una consapevolezza preverbale, ricordi di
addestramenti militari, di atrocità della guerra e di cambiamenti, esperimenti,
torture, dolore...
Senza dire una
parola, l'uomo alza il proprio bicchierino di whisky, mima un brindisi e lo
beve tutto d'un fiato e da quel momento non incrocia più lo sguardo del mutante.
Si alza, lentamente gli passa accanto e si reca alla toilette. La tensione
nell'aria tra di loro è palpabile e sa di metallo sporco di sangue. Wolverine
non lo perde mai di vista.
Gli prude il dorso
delle mani, come se gli artigli volessero uscire fuori, anche quelli della mano
che non ha più. Aspetta un secondo e quando percepisce non esserci nessun altro
in bagno, è pronto alla lotta. Entra nella stanza e... non c'è più. Né lo vede
né avverte la sua presenza. I sensi glielo confermano e l’animale che è in lui
si placa, sollevato.
Quanto all'uomo
misterioso, è sparito, così com'era apparso.
Il mattino
seguente, in un appartamento di Harlem
Axel Asher si
sveglia a mezzogiorno con il peggior mal di testa che si ricordi.
Gli ci vuole un
po’ per ricordarsi in quale appartamento si sia svegliato: da quando la sua
ragazza lo ha lasciato, non è più così facile ricordarsi in quale realtà si
trovi.
Scende dal letto,
cercando di non inciampare sull’ultima edizione del Daily Planet; dover
schivare le bottiglie di birra e le scatole di pizza vuote rende la cosa una
vera impresa.
Il suo cellulare
Lexcorp è completamente scarico; evidentemente cercare di caricarlo tramite
l’adattatore del suo vecchio Starkphone è stata una pessima idea.
Sul comodino sono
ammassate diverse foto di Axel assieme ad una ragazza, una diversa per ogni
foto: con Ming al Museo di Flash, con Ayanna a Wakanda, con Lucy a
Metropolis... oltre ad una vera e propria collezione di sfratti, da Los Angeles
a Star City per passare da Hell’s Kitchen a Gateway City.
Il prezzo da
pagare per la sua doppia vita... Axel non può permettersi di restare in un
posto troppo a lungo, non senza causare catastrofi. Una situazione tutt’altro
che ideale sia per la sua vita sentimentale che per quella lavorativa.
Solo in mezzo a
questa confusione riesce finalmente a recuperare il telecomando.
La prima cosa che
appare in televisione è un servizio di Trish Tilby in diretta, che commenta uno
scontro di fronte al Daily Bugle, dove l’Uomo Ragno sta affrontando un
orripilante mostro viola.
<Qualcosa non
quadra.> commenta Axel, cambiando canale: questa volta si imbatte in un
servizio su Iron Man che combatte un cyborg con una brillante pietra verde nel
petto.
<Cosa ci fanno
qui il Parassita e Metallo? Non sono rimasto in questa realtà abbastanza a
lungo da causare un altro crossover.> dice a se stesso.
Il suo corpo emana
una fortissima luce, cambiando i suoi vestiti in un costume rosso e blu.
<Questo sembra
un lavoro per Access.> aggiunge, preparandosi a teletrasportarsi sul luogo ed
aiutare gli eroi a rimandare i criminali nel loro universo. Ma non succede
nulla.
Tenta di spostarsi
nell’altra realtà: per un istante gli sembra che stia funzionando, ma prima che
possa esserne completamente certo avverte la sensazione di essere stato rispedito
al punto di partenza. O quasi: si ritrova in mezzo alla strada, dove un
tassista non perde un secondo prima di suonare insistentemente il clacson.
<Perfetto>
commenta Access, non perdendo tempo a salire sul taxi. Il tassista lo guarda
con perplessità, ma un cliente è pur sempre un cliente.
<Hai finito i
soldi per il teletrasporto, immagino? Dove andiamo?>
<Siamo a New
York, giusto? Ambasciata di Themyscira.>
<Ambasciata di
che!?>
<Non ha
funzionato, devo essere ancora dall’altra parte. Conosce qualcuno che può
portarmi in un altro universo?>
<Ce li hai i
soldi, in quel costume?> chiede il tassista. Access sospira e recupera un
biglietto da venti dollari, e soltanto allora il tassista mette l’auto in moto.
<Okay. Andiamo
al Four Freedoms Plaza allora.>
Xavier Institute, Salem Center, Contea di Westchester,
Stato di New York.
È un giorno
abbastanza normale in questa scuola del tutto speciale. Approfittando della
temperatura mite, gli studenti finite le lezioni sono sciamati nell’ampio parco
e si comportano come normali ragazzi della loro età. Anche se normali forse è
un termine esagerato per ragazzi e ragazze che sono anche mutanti ciascuno con
un proprio potere.
Parte degli
insegnamenti impartiti da questo peculiare istituto scolastico sono volti ad
insegnare loro come gestire quei poteri in maniera responsabile così da evitare
che il resto del mondo lo odi e li tema.
Alcuni dei membri
del corpo insegnante fanno parte di un gruppo di supereroi, la cosiddetta
Squadra Oro degli X-Men ed in questo momento i suoi membri sono impegnati in
una sessione di allenamenti nella loro Stanza del Pericolo sotto la ferrea
supervisione del loro leader Scott Summers meglio noto come Ciclope.
Al suo fianco,
eccezionalmente ed unica in abiti borghesi, la sua ex moglie Jean Grey,
Direttrice Esecutiva della Fondazione Xavier che finanzia l’Istituto. Anche se
sono rimasti in buoni rapporti dopo il divorzio, un po’ di tensione aleggia
comunque nell’aria
Improvvisamente la
routine dell’allenamento viene interrotta da qualcosa di inaspettato… il che, a
ben pensarci, è tutt’altro che insolito per gli X-Men..
Un uomo in costume
appare improvvisamente nella stanza.
<Dove sono?>
esclama <Chi siete voi e perché mi avete portato qui?>
<Calma
amico.> interviene Henry McCoy, alias la Bestia <Noi non abbiamo fatto
niente e siamo sorpresi quanto te.>
<Mentite!
Volete rubarmi il mio potere ma non ce la farete!>
Improvvisamente
gli X-Men più vicini si trovano respinti indietro da una forza irresistibile ma
non del tutto sconosciuta e schiacciati contro le pareti.
Tempesta si sente
impotente. Potrebbe provare a fare qualcosa ma in un ambiente così ristretto
teme di danneggiare anche i suoi compagni.
Ciclope riesce
comunque ad aprire il suo visore e spara i suoi raggi otici contro il nuovo
venuto ma questi alza una mano ed i raggi si infrangono contro una barriera
invisibile.
<So riconoscere
un campo di forza magnetico quando mi imbatto in uno > commenta la Bestia
<Il nostro isterico visitatore controlla il magnetismo a quanto pare.>
<Non ditemi che
Magneto ha un altro figlio o un fratello, per carità!> esclama Rogue.
Se fosse ancora al
massimo del suo potere Jean potrebbe liberarsi facilmente ma adesso è impotente
quasi quanto gli altri. Una cosa può ancora farla, però ed è sondare
telepaticamente il suo avversario.
Quello che trova è
un insieme di pensieri non sempre coerenti tra loro. L’uomo è un
supercriminale, questo era già ovvio. Sonda i suoi ricordi e lo vede affrontare
uomini e donne in costume che le sono sconosciuti ma in qualche modo oscuro
anche familiari. Prova a sondare ancora più in profondità e trova qualcosa di
profondamente diverso.
Non ha il tempo di
rifletterci sopra perché l’intruso grida e lei si ritrova respinta dalla sua
mente.
La reazione
dell’intruso ha spezzato la sua concentrazione e gli X-Men si ritrovano liberi.
<Ora faremo i
conti, Magneto di seconda categoria.> proclama Banshee. Mentre lui ed i suoi
compagni circondano l’intruso
<Non so chi sia
questo Magneto e non m’importa!> ribatte l’intruso <Io sono il Dottor
Polaris e…>
Qualunque cosa
volesse dire o fare, non ha il tempo di farlo perché semplicemente scompare
liberando gli X-Men dalla loro scomoda posizione.
<Chi diavolo
era quel tipo?> chiede Banshee.
<Vorrei tanto
poter rispondere alla tua domanda, mio buon amico irlandese ma temo di non
avere una risposta stavolta.> replica la Bestia.
<È un’anima
tormentata.> interviene Jean <Un tempo era uno scienziato che voleva il
bene dell’umanità ma quando ha acquisito i suoi poteri è emersa una seconda
personalità crudele malvagia.>
<Lo hai appreso
sondandolo telepaticamente?> le chiede Ciclope.
<Ovviamente,
Scott e posso anche dirti che non appartiene al nostro mondo e che né la sua
intrusione né la sua scomparsa sono state volontarie.>
<Mi chiedo
allora chi o cosa le abbia causate.> commenta Scott <Forse c’è qualcuno
che trama qualcosa contro di noi.>
<Tanto per
cambiare.> interviene Kitty Pryde <Non credete che dovremmo informare
Lorna[3]
che uno sconosciuto si è appropriato del suo nome in codice?>
<Temo che
questo sia il minore dei problemi.> commenta Henry McCoy <Ho la brutta
sensazione che siamo solo all’inizio di qualcosa di molto serio.>
<Ho avvertito
telepaticamente Warren[4]
così che anche la Squadra Blu a New York sia preparata in caso succeda qualcosa
del genere anche a loro.> dice Jean.
<Io manderò un
avviso ai Vendicatori.> replica Ciclope <Temo che sia l’unica cosa che
possiamo fare per adesso.>
<A parte
aspettare.> aggiunge Tempesta.
Daily Bugle.
<Quindi
mi stai dicendo che non ho avuto solo io tante segnalazioni?> domanda
preoccupato Peter Parker al capannello di colleghi che si è riunito per caso in
un angolo della redazione del tabloid più controverso della Grande Mela.
<Purtroppo
no, ci sono tanti avvistamenti di metaumani sconosciuti, con una frequenza
insolita persino per gli Stati Uniti e per New York.> gli conferma Ben
Urich, veterano della cronaca di supereroi e supercriminali.
<JJJ
è su tutte le furie, la prossima edizione rischia di essere monotematica e la
cosa lo indispone non poco…> prevede Betty Brant, non a vuoto.
<Un
altro?!!?> si sente sbraitare dall'ufficio di Jameson, pur a porte chiuse.
<Ecco.>
<Oh! A proposito di diavoli e corna che spuntano...> interviene Kat Farrell,
finora distratta dal suo Starkphone <C'è un altro pazzoide non identificato
che sta mettendo a ferro e a fuoco un parco!>
La giornalista mostra ai colleghi una storia di Instagram in cui si vede solo
in lontananza un puntino viola, in uno scenario di devastazione commentato
dalle urla dell'utente che ha ripreso la scena. È taggata anche la location:
Forest Park.
<È
dietro casa mia!> si rende conto Peter <Posso prendere io questa storia,
Kat?>
<Non
mi hai mai chiesto favori finora, Parker: il primo giro è offerto dalla
casa.>
<Grazie,
ti devo almeno un caffé. Corro!>
Forest Park
In
questo parco tra Forest Hills e Kew Gardens, Peter Parker porta spesso sua
figlia May per farla scorrazzare o ammorbarla con le sue conoscenze di
tassonomia della fauna e della flora locale.
L'idea che un pazzo stia seminando il panico lì, alla presenza dialtri bambini,
lo manda in bestia e non gli importa se i colleghi del Bugle avranno sospetti
per la presenza del suo alter ego; non sarà certo la prima volta che si ritrova
in una simile coincidenza.
In
qualche modo è evidente il passaggio di qualcosa di metaumano ed è facile
seguirne le tracce: c'è una scia di morte vera e propria, un tracciato di erba
e alberi essiccati, scoiattoli e altri animali di
piccola taglia privi di vita. E poi basta andare in direzione contraria al
flusso di gente che scappa via terrorizzata.
<Ecco
perché scappano... con quel brutto colorito che ti ritrovi!> inizia a
sdrammatizzare tra sé e sé l’Arrampicamuri quando entra nel suo campo visivo
quello che all'apparenza sembra un mostro calvo dalla pelle viola. Ha persino
il dubbio se sia alieno o terrestre.
Poco
importa perché punta a coglierlo di sorpresa, alle spalle, e metterlo knock-out
con un gancio mirato.
Quando
il suo pugno destro sta per affondare sulla sua nuca, il Senso di Ragno scatta
impazzito egli fa lanciare una ragnatela alle spalle del nemico per frenare
l'impatto.
<Woh,
qualcosa mi dice che non devo toccarti...>
<La
vostra energia... ha un retrogusto nuovo e piacevole. La tua, poi... ha un
odore irresistibile.> dice il suo avversario partendo all'attacco.
<Ok,
ho fatto due più due, ti nutri di energia vitale. Non mi è nuovo il...
pattern.>
Spiacevoli
ricordi vissuti sulla propria pelle riaffiorano, mentre l'arrampicamuri non può
fare altro che stare sulla difensiva, balzando qua e là per evitare che il
nemico si avvicini. Non è una ritirata casuale, perché sta facendo in modo di
attirarlo lontano dagli ultimi civili presenti, nel mentre il suo cervello macina
una controffensiva.
Dall'accento
del suo inglese, pare un terrestre autoctono.
O
è un mutante o è un mutato, e questo istiga il suo spirito da crocerossina.
<Conosco
molti scienziati di fama mondiale, possiamo cercare un cura o
un'alternativa!>
<Non
ho niente da cui voglio essere curato!>
<Magari
qualcosa per quel bel caratterino che ti ritrovi?> risponde l’Uomo Ragno,
come sempre usando l’umorismo come arma. Ma la tattica non sembra funzionare: a
giudicare dallo sguardo e dalla voce dell’aggressore gli è chiaro che è rimasto
ben poco di umano in quella creatura, se mai ce ne è stato.
L'occhio
dell'arrampicamuri cade su un tronco rinsecchito. Lo riconosce anche in quello
stato, dalla sua posizione.
<Tu...tu
sei un criminale! Quella quercia aveva più di un secolo!>
<Era
un po' stantia, in effetti.>
<Ok,
ora basta! Forza, quercia, servi la tua vendetta!>
Capito
di non poter toccare l'avversario, l'Uomo Ragno sventra dal suolo i resti
dell'albero secolare e li usa come un bastone per travolgere l’essere che nel
suo universo nativo è noto come Parassita. È sufficiente per stordirlo.
"Vediamo
se il suo potere ha effetti sulla mia ragnatela... è sintetica ma è basata su
molecole organiche..."
Gli
scarica addosso un'intera cartuccia di fluido.
La
scommessa è vinta: quando l'avversario tenta di divincolarsi dalla coltre di
tela che lo incolla al terreno, si ritrova invischiato e impotente.
<Maledetto!>
<E ora chiamiamo i Fantastici---cosa?!>
Peter
vede la ragnatela afflosciarsi su se stessa. Non c’è più niente al di sotto di
essa.
<È
fuggito?!>
Il
senso del pericolo non scatta, può avvicinarsi e tastare il lembo di terra. Non
è stata smossa in alcun modo. Il Parassita si è semplicemente smaterializzato.
Nei
cieli sopra Los Angeles.
Iron
Man sfreccia a tutta velocità verso il suo luogo di lavoro: la divisione della
Stark-Fujikawa nota informalmente come Stark West.
Improvvisamente
la sua attenzione è attratta da un trambusto in una strada sottostante: un
robot o un cyborg sta seminando il panico.
Sarà
un cliché un po’ stantio, pensa l’uomo nell’armatura, ma questo sembra proprio
un lavoro per Iron Man.
A
tutta velocità si precipita in basso e rilascia una scarica di repulsori verso
il cyborg che sta per colpire una coppia chiaramente pietrificata dalla paura.
Il
Cyborg fa una rovinosa caduta all’indietro ma già comincia a rialzarsi mentre
Iron Man atterra davanti a lui,
<<Da dove spunti,
amico?>> gli
chiede <<Non dirmi che sei
anche tu uno di quei pazzoidi del Grande Gioco.>> [5]
<Non
so di che parli, non so chi sei e nemmeno mi importa> fu la brusca risposta.
Un
attimo dopo il cyborg si mosse con velocità insospettabile ed afferrò Iron Man
alla gola.
<La
sola cosa che mi interessa è andarmene da qui.> affermò.
Iron
Man attiva il suo uniraggio pettorale. Il colpo spezza la presa del suo
avversario mentre entrambi sono sbalzati in direzioni opposte.
Ancora
una volta il cyborg si rialza apparentemente senza danni.
<Sorpreso?
Ci vuole altro per abbattermi. Io sono Metallo, l’uomo dal cuore di Kryptonite
ed ho sconfitto persino Superman.>
<<Superman?
Ma che…?>>
Prima
che il perplesso Iron Man possa dire o fare altro, dal petto del cyborg esce un
raggio verde che lo colpisce in pieno proiettandolo contro la parete di un
vicino edificio facendogliela sfondare.
Mentre
piomba all’interno sente il suo avversario dire:
<Il
tuo giochetto lo so fare anch’io e adesso…>
Silenzio
improvviso seguito da esclamazioni di sorpresa. Iron Man emerge dallo squarcio
nella parete e non vide più il tizio che aveva detto di chiamarsi Metallo.
<<Dove
diavolo è finito?>>
esclama.
<Il
tipo metallico verde?> interviene uno dei presenti < È semplicemente
sparito di colpo.>
E
senza praticamente lasciare tracce energetiche che i sistemi della sua armatura
potessero rilevare è costretto ad ammettere Iron Man.
Port Authority, New York
Steve Rogers
osserva ancora una volta l’edificio davanti a lui. Apparentemente è solo un
magazzino come tanti nella zona portuale della città, ma lui sa fin troppo bene
che le cose non sempre sono quelle che sembrano. Il magazzino in questione
appartiene ad una società che appartiene ad un’altra che a sua volta appartiene
ad un’altra ancora e così via fino a rendere praticamente impossibile capire
chi siano i veri proprietari. Tutto questo, però, importa poco a Steve al
momento, la sola cosa importante, dalle informazioni che ha ricevuto era lì che
avrebbe trovato rifugio Brock Jones alias Crossbones dopo la sua spettacolare
evasione dal Carcere di supermassima sicurezza di Florence ADX in Colorado
contemporanea a quella altrettanto spettacolare di Gail Runciter e Bravo dalle apparentemente
altrettanto sicura prigione dello S.H.I.E.L.D..[6]
due eventi decisamente collegati.
Se Steve avrà
fortuna, anche Gail sarà lì e magari anche l’uomo che ha orchestrato
l’evasione: la sua metà oscura Mike Rogers. Sarebbe l’occasione per chiudere
certi conti. Scaccia quel pensiero e parla nel suo microfono:
<Siete in
posizione?>
<<Bersaglio inquadrato.>> risponde il
Soldato d’Inverno <<Secondo il
rilevatore termico all’interno ci sono sei persone. Ma è impossibile dire se
tra loro ci sono anche i tre che stiamo cercando.>>
<Questo lo
scopriremo presto.> replica Steve.
Aziona un congegno
del suo costume che disabilita tutte le telecamere di sorveglianza della zona.
Ha forse non più di due minuti prima che qualcuno si insospettisca e decida di
andare a dare un’occhiata. Basteranno. Corre veloce verso il portone del
magazzino e vi applica un altro congegno che ne sblocca la serratura, il resto
la fece un calcio ben piazzato.
Steve si tuffa
all’interno rotolando di lato per evitare eventuali proiettili.
Quasi nello stesso
momento due finestre si infrangono e nel magazzino piombano anche Jack Flag e
Yelena Belova, la Vedova Nera ufficiale dei servizi segreti russi.
Steve alza gli
occhi e vede non troppo distante Richard Danforth, ossia Bravo, che gli punta
contro la sua antiquata ma sicuramente ancora efficientissima Webley.
Non fa in tempo a
sparare, però, perché improvvisamente proprio nel bel mezzo della stanza appaiono
una dozzina di uomini armati ed una giovane donna.
Alleati dei
fuggiaschi? Steve lo esclude quasi immediatamente: sembrano sorpresi di
trovarsi lì quanto gli altri lo sono di vederli.
Quando si
accorgono che ci sono degli uomini armati, alcuni dei nuovi arrivati si gettano
su di loro gridando qualcosa in una lingua incomprensibile.
<Fermi!>
grida la donna, ma non viene ascoltata.
In breve scoppia
un furioso scontro in cui i misteriosi nuovi venuti non fanno distinzione tra
gli alleati di Steve ed i loro avversari.
Sono in gamba,
Steve non aveva difficoltà ad ammetterlo. Il loro stile è un misto di varie
arti marziali orientali e unite a tecniche moderne. Stanno falciando gli
avversari uno dopo l’altro e solo i membri della sua squadra stanno resistendo
con successo.
Donna Maria
Puentes, arrivata dall’entrata sul retro, evita di misura un fendente vibratole
con un kriss malese e sferra al suo avversario una ginocchiata all’inguine,
mossa forse non molto sportiva ma indubbiamente efficace.
Yelena Belova ne
stende altri due coil suo Morso di Vedova. Jack Flag ne sta tenendo impegnati
un paio. La sola che non sembra avere un atteggiamento aggressivo è la donna
che si è limitata semplicemente a difendersi con successo da attacchi altrui.
Steve si sbarazza
di un paio di avversari poi le balza agilmente davanti.
<Dobbiamo
parlare.> le dice mostrando le mani in gesto distensivo.
<Indubbiamente.>
replica lei con tranquillità. <Mi chiamo Talia. Non ho intenzioni
ostili.>
<E allora ferma
i tuoi uomini.>
<Non sono i
miei uomini, obbediscono a mio padre e forse lui approverebbe questo insensato
massacro.>
<Se è così, tuo
padre è un pazzo.>
<Lo dice anche
l’uomo che amo e che è anche il più grande avversario di mio padre. Tu me lo
ricordi in parte.>
<Lo prenderò
come un complimento. Ora dimmi perché siete venuti qui?>
<Non lo so.
Improvvisamente ci siamo trovati qui, non so perché.>
La sua sorpresa è
genuina, ne sa quanto lui su quello che stava accadendo. Steve vorrebbe farle
altre domande ma all’improvviso la ragazza scompare e con lei anche i suoi
uomini, quasi fossero stati dei fantasmi.
Steve usa uno
scanner inventato da Amadeus Cho, ma non rileva energie anomale che facciano
pensare ad una qualche forma di teletrasporto. Anzi non rileva nulla. Proprio
come se gli intrusi non fossero nemmeno mai stati lì. Fantasmi appunto… oppure…
<Chi erano quei
tizi, Steve? Da dove sono spuntati?> gli chiede Donna Maria.
<Non ne sono
sicuro anche se ho qualche sospetto.> risponde lui.
<Intanto la
confusione causata da quei tizi ha permesso alle nostre prede di
eclissarsi.> commenta Yelena <Dovremo ricominciare la caccia daccapo.>
<Li ritroveremo
prima o poi.> replica Steve.
In quel momento
tutti sentono attraverso le loro communicard la voce di Amadeus Cho. Il giovane
genio coreano sembrava davvero preoccupato.
<<Stanno succedendo un bel po’ di cose davvero
molto strane.>>
Ascoltando i
resoconti di Amadeus Steve non nasconde la sua preoccupazione. Tutta quella
serie di incidenti rafforzano i suoi sospetti.
Se quella Talia veniva davvero da una specie di mondo parallelo e non
era stata la sola, allora presto lui e gli altri avrebbero dovuto affrontare
qualcosa di molto più serio della caccia a degli evasi per quanto pericolosi
fossero.
Londra,
Inghilterra.
Puzza
d’umani, ancor sulla fredda Terra
capir
dovrei, perché nell’infernal guerra,
trovarmi,
devo, in questa Britannia aliena.
Se
il fato ostil, oppure un nemico mi mena.
Eppur
non giunto fui, che con gran lena,
mentre
la mia rabbia, per tanto feral destino,
urlavo
alla luna, assiem a scorno e gran pena
che
porto in cor e al mondo, chiamatemi bambino,
un
bruto, orribil alto e biondo, volando mi colpì
scagliandomi
contro un muro. Puzzava di Merlino.
Non
del mio, però, l’odore di ogni dì
era
lo stesso, eppur diverso. Di fiamme il fiato
gli
feci assaggiare, ma dei suoi peccati non urlò, vagì.
Il
pugno lo colpì seppur innocente, irato
ero
abbastanza da non trattenermi. Son, in fondo,
demone,
infido, rimatore, terribile e irato.
Ma
piccola vittoria fu, che in men d’un tondo
d’orologio
una creatura angelica, bionda gigantessa
in
principio, umana ma non fino in fondo,
creatura
magica, né fata, né troll, né demonessa
né
angelo, né altro nel mio mondo, attenti,
mentre
a ogni colpo più simil a me, ma più spessa
di
materia terrena, diventava, di pugni potenti
e veloci mi colpiva. Mentre cercavo di concentrare
il
potere per una scarica, il destino frustrò i miei intenti
poiché svanii da quel mondo e la storia son qui a raccontare
Sala del Trono di
Atlantide
Namor contempla il
trono che un tempo era suo ed ora appartiene a sua cugina Namora.
Essere il sovrano
di Atlantide è un privilegio, un destino e una conquista. Governare un regno
più vasto di qualsiasi nazione della Terra è anche un compito arduo che fa
dormire poco, ma per chi come lui ha un temperamento fumantino quei rari
momenti in cui avere una pausa e riposarsi non appaiono come un’oasi nel
deserto, bensì come momenti di noia insopportabile.
All’improvviso il
fato pare venirgli incontro stimolando i suoi sensi.
Come uno squalo
che sente l’odore del sangue o le cariche elettrostatiche di un corpo in
movimento in lontananza, Namor percepisce qualcosa di diverso. Intuisce un
cambiamento nelle acque intorno a lui, anche se apparentemente non sembra
cambiato nulla.
Si precipita verso
la fonte di questo segnale bioelettrico fuori delle guglie di Atlantide. Più si
avvicina all’origine e più questo è forte. Giunge in un luogo familiare, ma
tutti i suoi sensi gli dicono che l’acqua in cui nuota è come se non fosse
l’acqua che conosce.
Poi, nota un
suono, come un lamento e tra il fondale sconnesso vede giacere una donna dai
folti capelli colore del corallo che fluttuano delicati, una tiara d’oro che
risalta il viso pallido e bellissimo, così come il suo corpo, asciutto e
sinuoso, avvolto in una tuta marina verde smeraldo al pari dei suoi occhi che
sta aprendo lentamente, come se facesse una grande fatica, quasi volesse
richiamare la sua attenzione, perché è troppo doloroso parlare.
Namor si accorge
che la donna ha una profonda ferita alla coscia e con tutta l’onorevole
gentilezza che la sua nobiltà d’animo può dare ad una donzelle in pericolo, le
si avvicina preoccupato per soccorrerla.
Rapito dalla
grazia dei suoi lineamenti anche in un momento di dolorosa vulnerabilità, Namor
è sicuro che sia atlantidea e aristocratica, senza spiegarsi come sia
possibile.
In quell’istante
la ragazza sbarra gli occhi comunicandogli tutto il suo orrore per il pericolo
che incombe su di loro. Allertato, Namor ha il tempo di percepire una figura
che dall’oscurità degli abissi si scaglia su di lui e lo travolge.
I suoi riflessi
gli permettono di bloccare le fauci di un essere marino umanoide a pochi
centimetri dalla sua gola. L’essere gli ricorda una creatura degli abissi,[7]
ma il suo campo bioelettrico è simile a quello della ragazza: sono abitanti
degli stessi mari, appartenenti ad un altro mondo, ora lo comprende.
Passano pochi
secondi di stallo e altri mostri simili al primo arrivano dal buio delle
profondità dell’oceano e lo attaccano simultaneamente.
Namor è il signore
dei sette mari, ma forse neanche lui può resistere all’aggressione di alcune
decine di quegli esseri che lo graffiano e lo azzannano selvaggiamente. Solo
grazie alla sua forza sovrumana e alla sua furia senza limiti non soccombe
subito.
Le creature
sorprese dalla sua resistenza allentano l’aggressione per osservare meglio
quell’uomo che non sembra avere paura di loro e il cui sangue sta colorando di
rosso le acque scure insieme a quello di molti della loro specie che sono
caduti sotto i suoi colpi mortali.
Namor coglie
l’attimo per prendere fiato; sente la stanchezza, l’eccitazione della lotta e
la fierezza di difendere con tutto se stesso quella donna che non conosce ma di
cui si è innamorato a prima vista.
<Imperius
Rex!> Urla contro quei mostri, sfogando tutto il suo coraggio.
Le creature
sibilando gli si lanciano addosso per sferrare l’ultimo attacco e lui non
indietreggia, impavido balza loro incontro.
Ma non avviene
nessun impatto. La potente spinta dei suoi muscoli lo fa finire diversi metri
dal punto della lotta. Sorpreso, Namor si volta indietro.
Non c’è più nessuno.
Né i mostri né la donna. Il suo corpo martoriato guarirà.
Con rammarico, non
pensa potrà accadere lo stesso al suo cuore spezzato.
Lykopolis, Egitto
In greco, Città
dei Lupi.
Mai definizione
avrebbe potuto rendere più onore al primo ed unico insediamento metropolitano
la cui popolazione è quasi interamente costituita di licantropi – di fatto,
l’intera popolazione mondiale, fatte salve poche eccezioni. Quanto manca per
raggiungere un vero “interamente” è costituito dai teriomorfi che hanno deciso
di lasciare Wundagore…e dagli “ospiti”: gli umani, i profughi che avevano
implorato rifugio nel loro esodo da guerre e miseria. Di spazio ce n’è
abbastanza anche per loro, grazie a quelle stesse tecnologie che hanno
trasformato parte del Sahara in una valle viva e rigogliosa.
Tecnologie
sviluppate dalla mente di uno dei primi Wundagoriani. Ironicamente, una
creatura che per anni si era votata allo sterminio del genere umano ed alla
tecnologia della distruzione.
Una creatura che
aveva fatto breccia nel cuore di chi era stato creato per distruggerlo. L’alpha
del Power Pack, il Wundagoriano noto
come “Sir Wulf!”
Un po’ la invidia,
mentre la guarda correre verso di lui quasi sbracciandosi, un’anima ancora
innocente nonostante sia stata fatta Dea dal terribile Fenris in persona. Una ragazza con tante responsabilità verso la
sua gente, ma che ancora non è consumata dal proprio ruolo. Sir Wulf spera che
ciò non le succederà mai.
Le sorride,
un’espressione rara a vedersi. “Ashti. Come posso aiutarti?”
La teenager gli si
affianca mentre camminano per il viale. La città ancora sembra semideserta, non
c’era certo folla intorno a loro…ma Lykopolis è stata concepita per le future
generazioni, non per essere riempita subito. Ashti ridacchia.
“Non ho bisogno di
aiuto, Gurê Noble. Volevo solo stare con te. Continui a fare il lupo
solitario?”
Sir Wulf fa
spallucce, continuando a muoversi con la sua marziale rigidità.
“Non sono un
solitario, ma a volte preferisco rimanere solo coi miei pensieri. Ma non vuol
dire che—” E lì si ammutolisce. Immobile.
<Gurê
Noble..?> Ashti gli scuote il braccio, ma il lupo non si muove. Lei segue il
suo sguardo, ma non vede altro che il grande spazio aperto della piazza.
Il ringhio di lui
la coglie di sorpresa! Un verso terribile, e lei quasi fa un salto indietro.
Lui non se ne
accorge. Non si accorge di nulla fuorché di quello che vede. Una parte di lui
sa che è una proiezione mentale, percepisce fin troppo bene l’intrusione.
Un intrusione che
gli mostra un’altra città. Architetture sofisticate, razionalizzazione avanzata
degli spazi…e una vasta popolazione di gorilla. Come Lykopolis è la città dei
lupi, questa è...
<Ti piace
quello che vedi, cane?>
La voce, nella sua
mente! Ma non era tanto l’insulto, ad averlo fatto ringhiare, ma chi lo aveva
pronunciato: un gorilla più grande degli altri, dal manto nero-carbone –e
tutto, dalla sua voce alla sua postura, grida ‘nemico’!
La spada esce
fluidamente dalla fodera, postura di combattimento. <Lascia stare, scimmia:
la mia mente è inattaccabile. Identificati.>
<Vedo che in
questo siamo alla pari, cane. Quindi puoi chiamarmi Grodd. Gorilla Grodd. E
questa che vedi è Gorilla City, il mio dominio. E presto anche la tua città
sarà mia: ho giusto bisogno di qualche cucciolo da guardia mentre sistemo i
miei affari…> conclude con un ghigno divertito.
Sir Wulf lancia un
ruggito quasi leonino. <MAI!> e già scatta in avanti per fare scempio di
questo avversario che osa invadere la sua patria…
<NO!> la
voce di Ashti e la sua salda presa, una presa sul polso che solo una divinità
poteva esercitare in quel momento prevengono il disastro, e soprattutto lo
scuotono da quella condizione. Sir Wulf scuote la testa, cercando di schiarirsi
le idee.
Non c’è nessuna
Gorilla City. Nessun Gorilla Grodd. Anche gli odori sono scomparsi.
Ma non era stata
un’allucinazione. Bisogna allertare la popolazione, ora!
Four Freedoms
Plaza, New York
La città ha la
fama di non lasciarsi mai prendere di sorpresa da nulla, ma quando una stella
marina così gigantesca da oscurare il Sole fa la sua comparsa persino i
newyorkesi vanno nel panico.
Con il traffico
bloccato, Access lancia una manciata di banconote e di spiccioli al tassista:
il palazzo dei Fantastici Quattro è a meno di un isolato di distanza, e l’eroe
si mette a correre tra le macchine per poterlo raggiungere.
“Se c’è qualcuno
che può avere un’idea di cosa sta succedendo è Reed Richards” pensa.
Lui di certo non
ha alcun indizio: di solito questo genere di crisi avviene quando non si sposta
abbastanza frequentemente da una realtà all’altra, ma ormai sono passati anni
dall’ultima volta in cui ha provocato un crossover.
Forse è stata la
necessità di dover tornare sempre a New York, dato che in questa realtà sembra
che tutte le crisi partano sempre dalla stessa città? O forse nell’altra realtà
c’è stata di nuovo una completa ristrutturazione della linea temporale?
È successo almeno tre volte da quando è diventato Access, senza mai causare
nulla di simile.
Quando finalmente
raggiunge il palazzo, l’edificio non è più sovrastato da un’enorme 4 ma da una
ben più vistosa L.
<Cosa
diavolo... mi sono spostato di nuovo?> si chiede Access, prima di essere
colpito alla base del collo da una donna in occhiali da sole vestita da chauffeur
con minigonna vertiginosa.
<Qui Mercy.
Dite al signor Luthor che ho catturato il bersaglio.>
Paludi della Florida. Notte
La transizione è indolore, l’arrivo no. Il "verde" è tutto sbagliato. Non era così sbagliato neppure quando è dovuto fuggire via dalla Terra.
In un primo tempo il dolore è insopportabile, poi passa all’improvviso.
Il "verde" è sempre il "verde" e lui è il "verde".
Non ha tempo per riflettere più di tanto, dal folto della foresta esce un colosso di terra e piante, vagamente antropomorfo che lo fissa con grandi occhi rossi e acquosi. Vuoti.
*Sono io, potremmo esser nati la stessa notte.* Pensa, ma non ha il suo stesso rapporto col verde, non c’è una mente in quel corpo, non una mente come noi la concepiamo, perlomeno. Eppure sente la connessione con energie ben più essenziali, come quella che lo ha portato in questo luogo straniero.
<Puoi riportarmi indietro?> La sua voce sorprende anche se stesso. C’è una nota di urgenza e di paura che non sentiva da tempo. L’altro non dà segno di averla sentita.
Ma non fa in tempo a ripetere la domanda perché improvvisamente tutti i suoni della palude svaniscono, ognuno dei milioni di animali che cantavano, ruggivano e qualunque altro rumore animale vi viene in mente, ammutolisce e un istante dopo, con un potente boato, appare una sorta di tunnel luminoso da cui comincia a sciamare un piccolo gruppo di grandi e tozzi soldati in divisa verde brillante e oro.
Sciamano volando, con piccoli zaini dorati, con piccoli spoiler che simulano delle ali.
*Parademoni. Cosa fanno qui?*
Ma gli intrusi sono chiaramente ancora più confusi di lui.
Ma sono parademoni. Hanno solo due istinti, sono stati torturati e piegati a questo scopo.
Reagiscono ad entrambi ed attaccano tutto ciò che vedono.
Attaccano due mucchi di fango e muschio vagamente antropomorfi.
I loro colpi bruciano parti enormi dei corpi che ricrescono con velocità raddoppiata.
Una ferocia disperata eppure inarrestabile. La morte, per loro, sarebbe un sollievo.
Volano attorno alle due creature e sparano. Volano attorno alle due creature e le colpiscono con mazze e pugni.
Due soli istinti. La rabbia domina i parademoni, ma essa è solo il più debole dei due.
La loro rabbia è generata dalla paura.
E chi ha paura brucia, al tocco dell’Uomo Cosa.
Due cadono in fiamme e muoiono fra atroci dolori.
La cosa delle palude osserva questa scena e reagisce in fretta. Per quanto possa essere pietoso, un’invasione di parademoni è pericolosa e va arrestata quanto prima.
È pietoso ma già una volta ha già sterminato un’intera città di vampiri.
Allunga la sua presa sul verde alla sostanza del suo doppio e lo fa esplodere in ogni direzione, colpendo tutti i parademoni.
Tutti avvampano al suo tocco.
Quando l’Uomo Cosa si riforma, dalla sostanza della palude, appena pochi istanti dopo, nulla e nessuno è più attorno a lui.
Nessuno, come se
mai fosse stato li.
New York
“Buongiorno,
New York! Sono
le 06 precise e vi parla il vostro fedele ed immortale DJ Lunatik! Il cielo oggi si prevede sereno, temperature in lieve
rialzo ma non certo al livello-Inferno! Nessun avvistamento di supereroi,
tranne che per l’Uomo-Ragno in direzione Central Park. Se siete fortunati, gli
strappate un selfie o una bella inquadratura di quelle chiappette favolose!”
(risate registrate)
“Secondo le mie fonti imprescindibili, nessun
supercriminale si è ancora dato da fare: mi dispiace, cari avvoltoi delle
assicurazioni, ma per oggi sembra che non farete salire i premi. La Grande
Mela, lo sappiamo tutti, è un posto eccitante dal sorriso smagliante! Chi ha
bisogno del resto del noiosissimo mondo, eh? Perciò non perdiamo tempo dietro
alle notizie di regime ed occupiamoci di voi,
amatissimi ascoltatori! Chiamate l’1-888-CALL-ME, che voglio sentirvi tosti e
pronti a battervi con il mondo! Ahh, ed ecco la nostra prima voce, la nostra
mascotte addirittura! (squillo di trombe) Buongiorno, Sig.ra Cavendish, a che
dobbiamo l’onore?”
La mano si stringe convulsamente intorno al
bicchiere di carta, sparpagliandone sul banco e fuori dal banco il contenuto,
come fosse esplosa una granata al cappuccino.
“Maestro!” il ragazzo seduto accanto
ad un uomo di mezza età in preda a quello che sembra un attacco epilettico si
precipita a soccorrerlo sotto gli sguardi incuriositi di qualche avventore e
decisamente allarmati dei due giovani addetti al banco.
<Ehi, avrà mica quella schifezza cinese?>
chiede uno di loro, pensando più al proprio posto di lavoro che alla salute del
cliente.
<N…nessuna malattia…> riesce a dire
l’uomo a denti stretti. Avverte gli effetti della Remedii Infusionem portati dal tocco del suo allievo ed amico, che
sta pronunciando le parole della magia così piano da non farsi udire.
<Sto…meglio…> ed è così. Buona vecchia
panacea.
<Ah non stento a crederlo, ma adesso
andatevi a cercare una stanza> sbotta uno degli avventori, maleducatamente
equivocando il quadro che offre un ragazzone di trent’anni con le braccia
intorno alle spalle dell’azzimato signore coi baffetti con cui era entrato poco
fa.
L’uomo prende dei tovaglioli e si asciuga le
mani che non sembrano essere minimamente state scottate dal caffè bollente
appena ordinato.
<Credo che sia il miglior suggerimento che
poteva darmi, signore. Buona giornata a lei, se ne sorgeranno ancora.> Si
tocca la punta del cappello e va alla porta insieme al suo accompagnatore.
<Maestro, perché non usa la magia per
portarci al Sancta Sanctorum?>
<Perché potremmo non arrivare a casa, mio caro Rintrah.
Ho avvertito in un attimo multiple sovrapposizioni
planari, di breve durata, ma spontanee ed improvvise…e peggio ancora, senza
una magia a guidarle. Temo di sapere cosa, o meglio chi ne sia la causa, ma non è solo quello il problema.> Gli
occhi di Stephen Strange sono
luminosi di arcane energie, mentre osserva il cielo con espressione grave.
<Ti basta usare una semplice magia di
scrutamento, osserva.>
Anche gli occhi del giovane si accendono…e
gli si spalanca la bocca. Certo, come il suo maestro, l’alieno Rintrah ne ha
visti e combattuti di orrori oltre il velo di questo mondo…ma l’immensa
mostruosità dalla nuda pelle fiammeggiante, dotata di un imponente palco di
corna ramificate e quattro occhi maligni, non è ancora parte del suo catalogo
di esperienze…finora.
<Un potere così oscuro e grande, così
grande…> Strange rabbrividisce, mentre la cosa all’improvviso sembra
accorgersi dei suoi osservatori, voltando la testa verso di loro, quegli occhi
infuocati che ora sembrano esprimere curiosità…prima
di svanire come era apparsa. <Amico mio, non so se questo evento stia
coinvolgendo gli altri metaumani, o chi altro, ma ora più che mai dobbiamo
prepararci. Dobbiamo capirne di più, subito, e soprattutto cercare alleati. Se
quell’essere varcasse la soglia tra i mondi, ci schiaccerebbe come insetti.>
Lexcorp Tower,
Metropolis
Access si risveglia
all’interno di uno strano macchinario, rinchiuso all’interno di una bolla
protettiva e con le braccia bloccate da manette così grosse da coprire l’intero
avambraccio.
Il suo primo
istinto è cercare di teleportarsi all’esterno, ma la cosa si dimostra
controproducente: le manette rilasciano una scarica elettrica estremamente
dolorosa.
<Lex. Si è
svegliato.> avverte Mercy, l’unica persona presente a non indossare un
camice da laboratorio.
Anche l’uomo calvo
si toglie il camice bianco, rivelando al di sotto un impeccabile completo nero;
sul petto porta una spilla che rappresenta la bandiera americana.
<Lex
Luthor.> lo riconosce Access, che in tutta risposta riceve un’altra dolorosa
scarica.
<“Signor
Presidente” per lei, mister Asher, se questo è il suo vero nome. Ho chiesto
all’FBI di indagare sul suo conto, ed ho trovato qualcosa di molto
interessante: lei non esiste. E a giudicare da quell’odioso costume, immagino
che preferisca essere chiamato in un altro modo?>
<Sono Access. E
tu non sei il mio presidente, Luthor... non provengo dalla tua realtà.>
<Considerando
le tue energie vibrazionali, non provieni da nessuna realtà: ho già studiato
viaggiatori da altre dimensioni, e tu sei un caso unico. Una sorta di portale
multidimensionale vivente, suppongo? Davvero interessante.>
<Che cosa vuoi
da me, Luthor? Non provare a farmi credere che è solo curiosità
scientifica!>
<Più che altro
un’opportunità politica. Il Ventiduesimo Emendamento mi impedisce di candidarmi
ad un terzo mandato alla presidenza degli Stati Uniti, e la Justice League ha
sventato il mio piano di controllare mentalmente il Congresso per annullarlo.
Ho iniziato a cercare una realtà parallela dove potessi ricandidarmi... ma le
mie macchine sono entrate in risonanza con energie non meglio identificate. Le tue
energie, Access.>
<Luthor, non
puoi fare una cosa del genere. Non hai idea del disastro che potresti scatenare
se il mio potere andasse fuori controllo! Cose e persone hanno già iniziato a
spostarsi a caso da una realtà all’altra, e se questo continuasse...>
<Potrebbero non
tornare mai più, vero? C’è qualcosa di molto diverso nella realtà a cui puoi
accedere, rispetto a tutte le altre realtà parallele che conosco... la barriera
che le separa è infinitamente più resistente.>
<Esatto! Per
chiunque altro è un viaggio di sola andata!>
<Ma davvero. Un
viaggio da cui nemmeno Superman potrebbe tornare, suppongo?> chiede Lex
Luthor, attivando la macchina. Access urla di dolore, mentre le energie che si
nascono tra i suoi atomi vengono completamente stravolte.
<Suona
interessante.> commenta Luthor con un mezzo sorriso, ignorando le urla di
Access.
Doomstadt,
Latveria
Quando la macchina
si spegne, Access si sforza il più possibile a restare cosciente: è prigioniero
di un’altra macchina, incredibilmente simile a quella di Luthor, ma invece dei
Servizi Segreti a tenerlo sotto controllo c’è un piccolo esercito di robot.
<Lord
Destino. Il soggetto è cosciente.> dice uno di loro.
<Lasciateci
soli.> ordina un uomo in armatura, la cui maschera di ferro è nascosta
dall’ombra di un cappuccio verde.
<Il Dottor
Destino? Sono tornato nell’altra realtà?> si domanda Access, il cui corpo
sta ancora brillando di energia.
<Benvenuto a
Latveria, Access. Ti assicuro che sarai trattato con tutti gli onori.> lo
rassicura il tiranno in armatura, prima di tirare una leva sul pannello di
controllo: l’energia viene strappata dal corpo di Access ed assorbito dalla
macchina, di nuovo causandogli atroci dolori.
<Cercherò di
lasciarti in vita abbastanza a lungo perché tu possa essere proclamato eroe
nazionale per aver fornito a Destino l’opportunità di liberarsi per sempre dei
Fantastici Quattro e reclamare il posto che gli spetta come sovrano assoluto
del pianeta.>
<Non puoi...
farlo...> replica Access a denti stretti, agonizzante.
<Al contrario.
Chi altri, se non Destino, avrebbe potuto rilevare la fonte di energia che
causava interferenze alle sue sonde inter-dimensionali? Chi altri, se non
Destino, sarebbe stato in grado di individuare l’esatta frequenza vibrazionale
necessaria per infrangere la più solida barriera tra universi che si sia mai
vista? Chi se non...>
<Mi dispiace
interrompere, ma stai rovinando il mio esperimento.> interviene una
voce.
<CHI OSA
interrompere il Dottor Destino!?>
Un ologramma
appare in fronte alla macchina che intrappola Access, ancora in agonia.
<Lex Luthor
osa. Con chi ho il piacere di parlare?>
<Victor Von
Doom, Sovrano di Latveria. Stai generando un’interferenza secondaria per generare
una proiezione visiva? Un trucco semplice ma efficace; non molti sarebbero
capaci di farlo.>
<Anche
destabilizzare la ridondanza interfasica per teletrasportare Access nella tua
realtà è stata una buona idea. Non mi capita spesso di avere a che fare con un
altro uomo di stato che si intende di scienza.>
<La tua
tecnologia deve essere quasi all’altezza di quella di Destino se hai potuto
attingere al potere di Access. Hai il rispetto di Destino, Luthor, una
mercanzia assai rara in qualsiasi universo; ti concedo l’onore di spegnere le
tue macchine senza pagare con la morte l’offesa di aver cercato di rubare a
Destino ciò che gli spetta di diritto: il potere assoluto.>
<Neanche per
sogno. Con tutto ciò che potrei fare con il potere di Access, non lo lascerò ad
una brutta copia di Acciaio che non indossa nemmeno un mantello del colore
giusto.>
<Pomposo
insolente!> protesta Destino, aumentando al massimo la potenza della sua
macchina.
Nell’altro
universo, Luthor fa esattamente la stessa cosa.
<Fermatevi! Non
sapete quello che state facendo!> grida Access, che ora si sente lacerato
tra le due realtà: il suo corpo sembra spostarsi migliaia di volte al secondo
tra un universo e l’altro.
<Le vostre
realtà sono troppo diverse tra loro! Se le mettete troppo in collegamento...>
cerca di spiegare loro Access, senza poter terminare la frase per colpa
dell’esplosione.
Quanto il denso
fumo nero si è diradato, Lex Luthor si avvicina ai resti della bolla
trasparente che imprigionava Access, ora in frantumi. Dell’eroe non c’è più
traccia, ma Luthor si china per recuperare tra i rottami una piccola scatola
metallica che brilla di energia.
<Tutto a posto,
Lex?> chiede Mercy Graves, la sua fidata assistente, avvicinandosi con
cautela.
<Quell’idiota
in costume mi è costato due miliardi di dollari di danni in apparecchiature
insostituibili, ma ne è valsa la pena. Ho raccolto abbastanza energia
inter-dimensionale da poter esiliare ogni cosiddetto super-eroe in una realtà
da cui non potrà far ritorno!>
<Vuoi
dire...> interviene una voce distorta elettronicamente: una mano metallica
afferra Mercy per la gola e la solleva da terra, quando una figura
incappucciata emerge dal fumo dell’esplosione.
<...abbiamo
raccolto.> conclude Destino.
Nell’altra mano
tiene una sfera che brilla con la stessa energia della scatola di Lex.
<Il Dottor
Destino, presumo.>
<Luthor.
Abbiamo molto di cui discutere.> risponde l’uomo in armatura, lasciando
cadere a terra una Mercy Graves ormai priva di sensi, per poi tendere la mano
al Presidente degli Stati Uniti.
<Sarà un
piacere fare affari con lei.> risponde Lex Luthor, stringendo la mano al
Dottor Destino.
Sul lato oscuro
della Luna
La quasi totalità
della popolazione terrestre non lo sa, ma in questo momento c’è qualcuno che
osserva il loro mondo. Per la verità lo sta osservando da molto prima che i
primi batteri si evolvessero su questo pianeta, ma in questo momento li osserva
con particolare attenzione
Uatu l’Osservatore
sta maneggiando alcuni complessi macchinari, incomprensibili anche a molte
civiltà interstellari, che stanno mostrando una tutto ciò che sta avvenendo sul
pianeta.
<Devo vederlo
con i miei occhi> commenta Uatu l’Osservatore.
Cammina dritto
verso la parete, passandoci attraverso come se nulla fosse, e mettendo piede
sulla superficie lunare. Quando alza lo sguardo, di fronte a lui ora ci sono
due Terre che occupano lo stesso spazio.
<Affascinante.
Non ho mai assistito ad un fenomeno simile.>
<Io sì.>
È estremamente
difficile, se non impossibile, sorprendere un Osservatore. Eppure Uatu non si è
accorto dell’uomo che ora si trova di fianco a lui fino a quando non ha
parlato.
Ad una più attenta
analisi, gli è chiaro che è molto più di un uomo. L’essere seduto su una sedia
fluttuante la cui tecnologia rivaleggia con quella di Uatu è più simile a un
dio, anche se potrebbe essere persino qualcosa di più.
<Ho già
osservato molte realtà parallele, ma c’è qualcosa di assai diverso
dall’universo da cui provieni. Dici che un fenomeno simile è già accaduto in
passato?>
<Molte volte.
Infinite, per essere precisi, su infinite terre e con infinite varianti. Ma c’è
sempre un fattore inevitabile.> risponde Metron dei Nuovi Dei.
<I mondi
muoiono.> comprende immediatamente l’Osservatore.
<I mondi
muoiono.> gli fa eco il dio.
New York City
Access non ha la
minima idea di dove si trovi, ma di una cosa è sicuro: sta morendo.
Può sentire i suoi
atomi che si ribellano contro quello che gli è stato fatto, e l’esplosione non
lo ha lasciato per nulla illeso: ha diverse parti di metallo e vetro conficcate
in corpo.
Considerando che
non è circondato da robot o dai Servizi Segreti è certo di non essere più
prigioniero né di Destino né di Luthor, ma questo è quanto.
Si trascina con
fatica verso il primo telefono pubblico che vede, pregando di non aver dato al
tassista tutti gli spiccioli che aveva, componendo uno dei numeri che ha
memorizzato: il numero di emergenza dei Vendicatori.
<Tutte le
linee sono momentaneamente occupate. Vi preghiamo di rimanere in attesa,
grazie.> risponde una voce pre-registrata.
<Vi prego... è
importante... devo parlare con un eroe...> dice Access, sul punto di perdere
i sensi.
<Tutte le
linee sono momentaneamente occupate. Vi preghiamo di rimanere in attesa,
grazie.>
<Sono l’unica
persona... che può salvare... due universi...>
<Ma
davvero?> chiede qualcuno dietro di lui, attirando la sua attenzione
picchiettando la sua spalla con un dito.
Access si volta,
trovandosi di fronte un uomo dalla faccia bianca come la morte e con un ampio,
innaturale e sadico sorriso.
<Allora sarebbe
davvero divertente se ti succedesse qualcosa!> dice il clown, premendo il
fiore finto che porta all’occhiello. Access prova ad allontanarsi dalla piccola
nuvola di gas rilasciata, ma è troppo tardi. L’eroe scoppia a ridere.
Il suo volto si
contorce in un doloroso ghigno, il suo volto diventa sempre più pallido, e
continua a ridere in modo incontrollato fino a quando non esala l’ultimo
respiro.
<Visto? Te
l’avevo detto che sarebbe stato divertente! Divertente da morire!
HAHAHAH!!!> scoppia a ridere il Joker.
CONTINUA
Note
Nel Dicembre del
2000, Marvel IT debutta con Vendicatori,
Difensori, Fantastici Quattro, X-Men e Worldwatch. Per celebrare i 20 anni di
storie era inevitabile cercare di organizzare un crossover. Ma di quale tipo?
Dopo 20 anni non è stato facile trovare qualcosa all'altezza dell'occasione. La
soluzione? Un crossover con i personaggi della DC Comics!
Per la prima
volta, infatti, i personaggi di MarvelIT (inclusi rappresentanti delle
primissime testate) incontrano gli eroi della Distinta Concorrenza.
Dato che la DC Comics
ha un sistema di continuity a dir poco diverso da quello Marvel, tra infiniti
reboot e revisioni, quella che appare tra queste pagine non è una
"versione definitiva", ma più che altro una versione di
rappresentanza della DC Comics: così come Marvel IT si distacca dalla
continuity USA nel 2000, così abbiamo considerato di trattare una DC Comics che
abbia ricevuto un trattamento equivalente.
[1] In ordine di scena: Fabio Furlanetto, Igor Della Libera , Carmelo Mobilia, Mr.T, Carlo Monni, Mickey, rossointoccabile, Valerio Pastore
[2] Su Wolverine Marvel #12
[3] Lorna Dane, ovvero Polaris, membro dei Vendicatori
[4] Warren Worthington, Alias Arcangelo.
[5] Vedi Iron Man Marvel IT #100 e successivi.
[6]Come narrato su Vendicatori Segreti MIT #51
[7] Vedi la miniserie MIT di Namor.