Località sconosciuta. Così, tanto per tenervi sulle spine
*Sptu!* “Allora, vi sembra che stia scherzando? Ho la faccia di uno che scherza?!” Il tono era grave, furioso…ma era difficile capire che faccia avesse la persona che aveva parlato, essendo coperta da una maschera integrale rossa con gli occhi chiusi in due cerchi neri. “Rispondi, cane non vaccinato!”
“…Ha davvero sputato nella maschera?” chiese con voce schifata una donna in un costume nero corazzato.
“Non dargli retta,” disse l’uomo vestito nella stessa uniforme. Niente aperture visibili per gli occhi, o la bocca, o le orecchie. Le loro stesse voci erano alterate elettronicamente. Parlavano un inglese fluente, privo di accenti o cadenze, troppo perfetto per essere la loro madrelingua. “Deadpool è famoso per le sue chiacchiere inutili.”
L’uomo stava in piedi accanto al prigioniero saldamente legato ad una sedia di acciaio inchiodata al pavimento. Stringeva in mano un coltello K-Bar, la lama letteralmente grondante sangue. “Sapevamo che aveva un fattore di guarigione senza pari, ma non lo credevo immune al dolore.”
Il costume di Deadpool era ridotto ad un quadro astratto, tra tutti i tagli che gli avevano inferto, e le macchie di sangue colate attraverso tali tagli. L’aria nella stanza puzzava di un aroma ferroso.
Deadpool socchiuse gli occhi al suo tormentatore. “Ficcamelo!”
I suoi carcerieri non dissero niente, ma si capiva che la tentazione era forte.
Deadpool sorrise. “No, dico sul serio! Ficcamelo! Sono seduto qui da un’ora e mi è venuto un pruritino che potete capire quanto sia imbarazzante! Andiamo, parliamo di diritti umani elementari!”
La donna scosse la testa. “Se non riesci a farlo parlare entro cinque minuti, ficcagli una granata in bocca.” E riprese a controllare la cintura a sacchetti. “Ma perché devi usare dei bottoni così duri da aprire, capitalista del *%$£!?!” E riuscì ad aprire un altro sacchetto. Ne mancavano abbastanza da fare giorno.
Deadpool perse di nuovo l’aria scherzosa. “Che cosa ti avevo detto, Karen, eh?? Quella cintura è firmata! I sacchetti devono restare come sono, o perde valore!”
‘Karen’ lavorò sul sacchetto successivo. Fino a quel momento, aveva solo trovato delle imbottiture sagomate e si era quasi rotta un dito… Ma questo sacchetto si a facile. “Alleluja.”
“Spoiler, Karen: te ne pentira—urrk!” e si trovò il coltello piantato in gola!
“Quando avremo finito con te, vedremo chi si pentirà!” disse l’uomo.
La tremenda esplosione chiuse del tutto quella discussione, oltre a devastare tutto il capanno al margine di una foresta.
MARVELIT presenta
Episodio 25 – I Won’t Let The Sun Go Down On Me
Di Valerio Pastore
Solomon
Towers, New York City. Tre giorni prima
Non era stato facile convincere il board che trasferirsi ai primi due piani della torre fosse la migliore scelta possibile: quando gestivi una società di supereroi a pagamento. Del resto, un sondaggio anonimo tra gli inquilini era stato chiaro: nessuno voleva a) trovarsi sulla strada del supercriminale di turno diretto verso la cima, b) venire colpito da cumuli di detriti causati da un attacco di detto supercriminale e c) dovere sopportare il viavai di un cantiere ai piani alti che, per giunta, rovinava la vista.
E di Angela Cleaver, Direttrice delle Operazioni della Justice Inc., non si poteva dire che non sapesse essere persuasiva.
Ore 08:55. Un’altra giornata di lavoro stava per iniziare. Angela, splendida quarantenne afroamericana, in gessato cinerino, capelli lisci acconciati a caschetto, stava terminando di sistemare la sua scrivania. Intonava un motivetto di Aretha Franklin.
Ore 08:58. Angela si sedette alla scrivania. Premette un pulsante, e la finestra scorrevole opposta alla porta si aprì sul traffico di NY –traffico sostanzialmente molto moderato in questi mesi di pandemia; e per una volta da diverse settimane, niente manifestazioni. Un altro pulsante, e si aprì la porta.
Ore 09:00. Squillò l’interfono. “Miss Cleaver? Sono arrivati.”
“Mandali pure su, Gretchen,”
Ore 09.02. *ding* Seguito da una voce. “…non è che ti stia fissando proprio lì, mio fiore del male, ma quando una bellezza come te va in giro così attillata che anche un cappone si riscoprirebbe pimpante—” *POW!”
La figura di Deadpool volò in posa scomposta dalla porta verso la finestra, giusto il tempo per lui di dire al volo “Salvemisscleaver!”
“Buongiorno, Mr. Wilson,” rispose lei, seduta in posa perfettamente composta, senza sollevare gli occhi da un documento. Deadpool volò dalla finestra. “WEEEEE!”
Seguì un tremendo suono di clacson e lamiera accartocciata. “IL MIO TAXI!” urlò un uomo.
“...fcufi…è afficurato lei?” rispose flebile Deadpool, mentre altri sei superumani entravano nella stanza. Angela stava dicendo all’interfono, “Gretchen? Verrà un tassista alquanto irritato. Prepara un modulo di rimborso per un autoveicolo nuovo e detrai l’importo dal compenso del Sig. Wilson, grazie.” E a quel punto si rivolse agli altri: Domino, Gambit, Solo, Chance, Gatta Nera, Lupo Bianco, “Buongiorno e benvenuti. Accomodatevi come volete. Ho fatto preparare del caffè, mentre attendiamo che Deadpool si riprenda dalla caduta…”
Un rampino si agganciò alla finestra. Pochi istanti dopo, Deadpool si presentò fresco e vispo come se nulla fosse successo. “Qualcuno ha detto ‘caffè’? Non posso lasciare che si raffreddi.”
“Non potresti entrare dalla porta come…” Domino non terminò la frase. “Lascia stare.”
Deadpool saltò dentro. “Bambola, non farmi sprecare una citazione femminista di Kim Possibile. E poi occhio, lavoriamo per lo stesso boss. Abbiamo gli avvocati.” Si infilò stravaccato tra Gambit e Solo e si servì una tazza di caffè, per poi berlo attraverso una cannuccia infilata sotto la maschera.
Angela si schiarì la gola. “Vi presento il nostro incarico.” Sullo schermo alla parete apparve una scritta nera bordata di bianco, con una stella stilizzata tra le parole ALBANERA.
Deadpool sollevò una mano. “Ohh, lo so lo so lo so! Dobbiamo sbarazzarci di un pessimo brand di caffè prima che uccidano l’Uomo Ragno! Taccio rispettosamente,” aggiunge appena Solo gli puntò una pistola alla tempia.
Angela rimase imperturbata. “Fino a una settimana fa, questo ‘marchio’ era la sola prova tangibile dell’esistenza del nostro obiettivo.
“Alba Nera esordì nel 1996 come raccolta di scarti del terrorismo italiano, accogliendo ex-membri radicali delle Brigate Rosse della Brigata XXVIII Marzo, di Prima Linea, ecc.. All’inizio, le loro operazioni erano limitate all’acquisizione di denaro per finanziarsi, attraverso sequestri, rapine…ma mai mescolando i propri affari con quelli della criminalità organizzata.
“Dopodiché, i ‘padri fondatori’ sono scomparsi dalla scena. Al loro posto, un’organizzazione che ha lavorato in Rete con l’ausilio di un’infinità di prestanome. Agenda politica: sconosciuta, al momento. Di sicuro hanno contattato ogni sito ultrasovranista europeo e Russo, e il traffico dati è più che mai incrementato da quando partì il referendum sulla Brexit.
“Come sapete, durante la campagna della Brexit, la Sig.ra Jo Cox, una no-Brexiter, fu uccisa da un fanatico Brexiter. Lupo Bianco..?”
L’uomo che indossava un costume simile a quello rituale della Pantera Nera, ma completamente bianco con accessori d’argento, si alzò in piedi. “Una settimana dopo, lo stesso Primo Ministro fu ad un passo dal fare la stessa fine. La notizia non fu diffusa, su richiesta dello stesso Sig. Cameron, per non creare ulteriore nervosismo e radicalizzazioni nella campagna. I terroristi erano in due, inglesi. Uno di loro si suicidò prima dell’arresto. Il secondo riuscì a darsi alla fuga, e scappò in Italia, dove una settimana fa è stato arrestato, per grazia dell’AISI[1].” Tornò a sedersi.
“Ora si trova in una località sicura, sotto interrogazione,” riprese Angela, “ma l’unica cosa che sono riusciti a estrargli è una data: 20 Luglio.”
“Conferenza dei Primi Ministri della UE a Parigi per scongiurare gli effetti più drastici della Brexit,” disse Gambit. “Un summit separato. Un’occasione d’oro per il terrorismo.” Fece spallucce. “E sì, lo so che dovrebbe essere segreto, location segreta eccetera. Ma nel mio ambiente la gente mormora.”
“Come altre ce ne sono state,” disse Chance, scuotendo la testa. “Cosa rende questa più importante?”
“Patti segreti,” rispose Solo. “Decisioni sottobanco di cui i media non devono sapere. La vera riunione sarà quella a porte chiuse. E riguarderà qualcosa di grosso.”
Angela annuì. “Tre giorni, signori. Tre giorni per capire dove, come, neutralizzare, e se possibile localizzare il covo di Alba Nera che dirige questa operazione: il nostro committente ci dà carta bianca, ma dovrete tenere un profilo basso. Il clima politico europeo è rovente, e se anche riuscendo a sventare l’attentato doveste attirare il nome della Justice Inc. sotto i riflettori dei media, ne scaturirebbe una politicizzazione del caso che farebbe ancora meno bene a tale clima. Se accettate, una volta usciti da qui non avrete altro appoggio che voi stessi. A tale scopo, disporrete di un trasporto non identificabile cortesemente offerto dall’SAA[2]. Se veniste catturati e/o eliminati, il trasporto si autodistruggerà. Negazione plausibile. Il vostro compenso, incluse le eventuali detrazioni per danni collaterali…” Deadpool si scoprì oggetto di numerosi sguardi diffidenti. “Che c’è?” “…vi saranno accreditati su un paradiso fiscale a missione conclusa. Domino, tu guiderai la missione, hai la maggiore esperienza con le squadre. Domande?”
Deadpool tirò su la mano. Gambit gliela spezzò distrattamente. Per il resto, no, nessuno aveva domande. La vecchia squadra della JI era come un cartello ambulante che diceva ‘siamo americani e ci impicciamo degli affari altrui’. Questa selezione, invece, era usa-e-getta. A sapere chi fosse il loro datore di lavoro erano solo loro.
“Volevo solo chiedere se questo trasporto aveva il teletrasporto. Aio. E se c’era un’hostess carina. Possibilmente brava nello Shiatsu.”
Angela sfoderò un criptico mezzo sorriso. “Il trasporto è in modalità stealth e vi aspetta sul tetto. Quanto a ‘carina’, deciderai tu…”
Deadpool si grattò la testa. “Se questo è stealth, vorrei avere una supermodella con la stessa feature.”
In effetti, il velivolo, era lì, in bella vista, posato su tre pattini, un perfetto cuneo grigio che non dava l’idea di essere stato assemblato sulla Terra.
Una voce venne dall’apparecchio: una voce femminile e inumana allo stesso tempo. “Al momento, il Dragonwing è invisibile ai dispositivi elettronici, ed emette una frequenza che inibisce l’attenzione degli organici. Se non vi avessero detto che ero qui, non ci avreste fatto caso. Lord Karnivore chiama il dispositivo ‘Effetto Elefante Bianco’. Benvenuti a bordo, e chiamatemi pure Ishmael.”
“Siamo finiti nel fumetto sbagliato…” disse Deadpool, salendo per primo. “Dolcezza, Sai fare lo Shiatsu? In alternativa prendo un Negroni...”
Ma a bordo non c’era nessuno.
“Sono qui!” disse la voce, la cui proprietaria apparve sul parabrezza: una mannara, dal pelo bianchissimo e gli occhi azzurri.
“Sei un’IA?” chiese Solo.
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Lykopolis, Stato Autonomo di Arcadia
“Negativo, Sig. Bourne,” rispose la femmina, seduta in un simulatore. “Sto comandando il Dragonwing a distanza. State pur tranquilli: è come se fossi lì.
“Da quand’è che i lupi mannari sanno pilotare un velivolo?” chiese la Gatta Nera dallo schermo, salendo per ultima. “Non passate il tempo a cacciare sotto la luna o robe così?”
Il portello si chiuse. Ishmael rise. “Io ho passato il mio tempo a imparare a pilotare sotto Charles Lindbergh ed Amelia Earhart, ma senza andare a cercare pubblicità come loro. Da allora, non c’è velivolo che non abbia testato, inclusa una missione con uno Space Shuttle. E mi creda, Ms. Hardy, non c’è sensazione sublime per una come me che volare sotto la Luna Piena: è come toccare Dio. E ora pronti, si parte.”
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Il Dragonwing si sollevò con un ronzio di repulsori e si levò in un cielo limpido e senza trasporti civili.
Con Deadpool adeguatamente imbavagliato all’unico sedile in fondo alla fila, la Gatta Nera si rivolse a Gambit. “Non immaginavo che un bravo ragazzo cajun come te potesse fare il mercenario.”
“E chi ha detto che sono un bravo ragazzo?” fece lui, giocando ad un solitario. “Cherie, non che mi annoi con i vari X-Scout, ma ogni tanto voglio divertirmi per conto mio, e unire l’utile al dilettevole: in questo caso, mettere su il mio bel gruzzoletto per la pensione. Per il resto, non è che debba tirare fuori chissà che motivazione: siamo supereroi, salviamo il mondo. Che sarà mai un’organizzazione terrorista?”
“La mia motivazione è assai semplice,” disse Solo, intagliando una figura nel legno con un coltello hi-tech. “Finché Solo vive, il terrore muore. Avrei lavorato gratis, se me lo avessero chiesto.”
“Se non fosse che il nostro è uno stile di vita costoso,” disse Chance, togliendosi il caratteristico casco migliorato che ora gli dava davvero una visione a 360°. Sotto, c’era un uomo sui 40, capelli biondi e occhi azzurri dal sorriso smagliante. “I nostri fornitori non li regalano, i giocattoli che usiamo. Anche il suo è un hobby costoso, Sig.na Hardy, no?”
“A dire il vero, potrei ritirarmi in qualunque momento,” rispose la Gatta, guardando dal finestrino, trovandovi con gli occhi della mente la maschera di un certo Uomo Ragno. “Ma poi ho conosciuto qualcuno che mi ha insegnato anche a fare la cosa giusta, quando serve. E questa mi pare la cosa giusta. Ho sempre ammirato come l’Europa, un continente percorso per secoli e secoli da ogni tipo di conflitto, sia riuscita a trovare la strada per l’Unione…e non voglio vederla spazzata via da un gruppo di fanatici.” Poi si voltò a guardare Chance. “A proposito, e tu chi sei?”
Lui stese la mano. “Richard Lyons, molto piacere. Il vecchio Nick, il primo Chance, era stato mio commilitone nelle Forze Speciali, nonché mio migliore amico e fratello. Mi aveva nominato custode dei suoi segreti, e dopo il suo decesso[3], porto avanti il suo lavoro, rispettando i suoi principi…nonostante fossero il frutto del suo vizio del gioco.”
“E, coincidenzialmente, fai un sacco di soldi,” disse Domino.
Lui fece spallucce. “Bisogna pur vivere, mia signora. E poi, Nicholas non mi aveva lasciato questa tecnologia per farle fare la polvere. Ho dovuto fare due mutui per pagare una parte del conto del Riparatore, e con questa missione saldo il debito. E che ci dici di te?”
Lei roteò gli occhi. “Qualcuno deve tenere d’occhio Gambit.”
Il mutante di New Orleans le lanciò addosso una carta caricata della propria bioenergia. “Scusa se esisto…bambola!”
Lei afferrò al volo la carta con le dita, e l’energia si scaricò crepitando. “Remy, hai appena usato il tuo potere a bordo di un velivolo ad alta quota. Devo aggiungere altro?”
“Sì, che non ti sai divertirti. Se quella carta fosse stata caricata a dovere, avresti già perso la mano.” Gambit spostò la sua attenzione su Lupo Bianco, che sembrava estraneo a tutto. “E tu? Insomma, la Gilda dei Ladri narra certe cose su di te…che ci fa l’ex capo della disciolta polizia segreta del Wakanda in questa missione al di fuori di ogni canale diplomatico?”
“Al di fuori di certi circoli, non godo di una fama internazionale, ma se anche prendessero una fotografia e dicessero che mi ha mandato la Regina M’Koni, sarebbe solo la prova che questa missione era finanziata dal Wakanda per preservare la pace europea. Alla peggio si arrabbieranno i razzisti.”
“Aw, lo sapevo che sotto quella scorza dura c’è un micione morbidone!” disse…Deadpool, abbracciando il Lupo da dietro il sedile!
Il Lupo Bianco si voltò così in fretta che fu un attimo tendere una mano a un millimetro dagli occhi. “Non. Farlo. Mai. Più!”
La Gatta era non meno allibita. “Come hai fatto a…”
Deadpool si mise a sedere. “Baby, dopo la millemillesima volta, si impara a districarsi da certe situazioni, soprattutto quando ti scappa di brutto. Bel bagno, a proposito, disse al posto di guida.”
“Grazie, ma ora vi invito ad allacciare le cinture. Acceleriamo per la rotta sub-orbitale. Prossima tappa: Italia.”
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Isola di Sassu Fogu, Mar Tirreno
Un puntino quasi invisibile sulla cartina italiana, Sassu Fogu era quel che rimaneva di un’isola vulcanica, che le era valso il proprio nome, nel mezzo del nulla. Troppo aspra e dura per installarci un porto, troppo piccola per farne un centro abitato, era stata sfruttata per un breve periodo dal governo Fascista per i suoi giacimenti di zolfo.
Un terremoto catastrofico chiuse per sempre ogni velleità di proseguire nell’impresa, e dopo la Guerra non c’erano i mezzi e la volontà di perdere tempo dietro ad un’isoletta, non quando la Sicilia aveva risorse sulfuree migliori.
Neppure i disperati dei mari, gli ultimi tra gli ultimi, erano riusciti a cavare un ragno dal buco da questo scoglio infernale il cui unico approdo era stato demolito dagli stessi Fascisti per impedire alle forze Alleate di usarlo come base.
Era il posto perfetto per la costruzione del Supercarcere Alfa Maris, un luogo privilegiato per gli interrogatori lontani da occhi…indiscreti, ed eventualmente per il contenimento delle superminacce, anche se fino a quel momento sembravano solo soldi sprecati…[4]
“Buon pomeriggio, Giustizieri,” disse in perfetto inglese un uomo con indosso una divisa rossa con quattro bande nere che andavano dalla spalla destra al fianco sinistro. In testa portava un berretto pure nero, con visiera rossa. Non un pelo sul volto pallido dal sorriso amichevole. “Sono il Direttore, Alfredo Iattore. Ci hanno avvertiti del vostro arrivo. Spero che riusciate ad essere più convincenti di noi col prigioniero. Prego, seguitemi.”
“Quanto sono profondi questi condotti?” chiese la Gatta. C’era di che sentirsi claustrofobici, mentre un ascensore li portava sempre più giù. Spiegava il pallore di un uomo che viveva su un’isola sempre inondata dal sole.
“Il cuore di Alfa Maris si trova a 700 metri di profondità, in una caverna aperta per errore dai Fascisti. Il supercarcere fu realizzato tra il 1996 ed il 2006, dopo una presunta ondata di super-esseri in Italia. Oh, la realizzazione della struttura è impeccabile, ma alla fine rischiava di diventare l’ennesima cattedrale nel deserto. Poi sono arrivati i terroristi, e i da allora i membri delle organizzazioni più pericolose vengono portati qui da tutta Europa, Ironico, no? Abbiamo un primato importante nella sicurezza, riconosciuto da tutti i governi europei, e nessuno con cui parlarne. E voi non siete dei gran chiacchieroni, vero?”
“Mmmhhmmhh!”[5] fece Deadpool, lo sguardo torvo.
“Lo ignori,” disse Domino. “Gli sta ancora ricrescendo la lingua. E no, Direttore, non siamo qui per chiacchierare; meno sapete, meglio sarà per tutti.”
Le porte dell’ascensore si aprirono.
“Sì, potete ammirare quanto volete, lo sappiamo che è una bellezza,” disse Iattore ai suoi stupefatti ospiti.
‘Caverna’ era un termine alquanto riduttivo. C’era abbastanza spazio per contenere una piccola cittadella! L’illuminazione era perfetta, diffusa ovunque in modo da non lasciare un solo spazio scoperto. L’aria era efficacemente filtrata, e Alfa Maris era un monumento alla solidità. Non c’erano mura intorno al complesso di edifici, ma chi aveva bisogno di quelle quando l’unica via di fuga era un ascensore?
Procedendo lungo il corridoio principale, Lupo Bianco chiese, “Metodi di interrogatorio?”
Iattore perse un po’ del suo buonumore. “Abbiamo smesso quando è diventato chiaro che non sentiva il dolore: rimozione dei centri recettori, chirurgia raffinata. L’analisi di DNA e impronte ci portano ad un vicolo cieco: non esiste su alcun database anagrafico. Niente con cui fare leva, e fanatico fino al midollo. Se sono tutti così, sarà una gatta assai fetente da pelare… Senza offesa, signorina,” aggiunse in italiano.
“Ma si figuri,” rispose lei nella stessa lingua. “Non avete provato con dei telepati?”
Il Direttore sospirò. “Ad averne…”
“Non saranno necessari,” disse Lupo Bianco. “Voglio una stanza con uno specchio monodirezionale. E voglio essere da solo col prigioniero. E, Direttore, lei sarà il solo osservatore.”
La porta della cella si aprì scorrendo.
“Ma guarda, adesso hanno bisogno dei costumi,” disse l’uomo seduto sulla seggiola. Caucasico, giovane, carnagione mediterranea, capelli crespi, volto duro contorto in un ghigno sfottorio. Indossava l’uniforme carceraria bianca di ordinanza. “Ci siamo già presentati?”
Il lupo bianco entrò con passo sicuro. “Siamo in Italia, ti chiamerò Marco.”
‘Marco’ fece spallucce. “Se preferisci, Pantera Bianca. Cosplay carino, comunque.” Nessun tremito nella voce, nessuna esitazione, non un goccio di sudore di fronte alla nuova presenza. Una simile sicurezza non apparteneva al membro di un’organizzazione raccogliticcia. Al di là del lavoro fatto per nascondere la sua identità, per togliergli il dolore, questo era un soldato. Sapeva cosa aspettarsi e la fede nella causa lo alimentava. Spezzarlo sarebbe stato un merito.
La nivea figura si accosciò davanti all’uomo. “Ti rispetto. E ti spiegherò perché tra poco parlerai.”
Il ghigno si fece cattivo. “Alba Nera sorgerà e la sua luce oscura soffocherà i deboli. Non ho altro da dirti.”
Il movimento della mano fu velocissimo quanto quasi casuale. Il prigioniero osservò con curiosità la mano destra artigliata, ora insanguinata.
“Ti ho tagliato il tendine di Achille sinistro. Hai perso la mobilità su quel piede. Parla.”
“Fottiti!”
Un altro movimento della mano. Stavolta toccò al braccio sinistro.
“E allora? Sono pronto a morire. Puoi metterci tutto il tempo che vuoi, fai pure!”
L’orecchio destro cadde a terra con un raccapricciante suono bagnato. Il Lupo Bianco lo raccolse e lo mostrò al prigioniero. “Hai perso l’udito su quel lato. Guardati.” Indicò lo specchio. Il prigioniero si voltò goffamente, il Lupo Bianco torreggiante dietro di lui. Una mano artigliata andò all’occhio sinistro.
Si udì un suono come di palloncino scoppiato. “Non ci metterò molto, ma vuoi sapere cosa succederà, alla fine, Marco? Niente naso. Niente orecchie. Niente braccia e gambe, e infine, se a quel punto rimarrai silenzioso, l’ultimo occhio ti servirà per guardarmi mentre ti taglio la lingua…” un dito si intrufolò a forza nella bocca. “E solo a quel punto ti getterò nelle tenebre eterne. Non morirai, ma avrai il privilegio di esistere per il resto della tua vita nella prigione del tuo corpo, un tronco umano che non potrà sentire alcun tocco, non potrà comunicare, nutrito con un tubo. La tua mente vorrà chiudersi, ma faremo in modo che ti svegli ogni giorno, per vivere l’incubo ancora, e ancora, e ancora.” Ora c’era un sorriso crudele dietro la maschera. Il sorriso del predatore. “Dimmi, Marco, sai quanto può essere lungo un solo minuto in queste condizioni..?”
Il prigioniero che non sentiva dolore urlò a lungo.
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“Tutto bene, Direttore?” chiese la figura olografica seduta al tavolo, esprimendo uguale perplessità dei suoi colleghi presenti per proxy nella sala riunioni. Tre uomini e tre donne in tutto, nessuno oltre i 40 anni. Loro erano il board del DISE: DIrettorio della Sicurezza Europea.
Iattore tirò un respiro. Dopo cinque anni nelle Forze Speciali Italiane, pensava di averne viste di brutalità, ma la…casualità, la leggerezza con cui Lupo Bianco aveva in pochi minuti torturato un essere umano ad un livello così… Gesù, è pratica. Questo tizio è un esperto. Se è wakandano, Dio aiuti i nemici del Wakanda! “Tutto bene, signori. Siamo riusciti a cavare delle informazioni dal prigioniero.
“Alba Nera opera su due livelli: formazioni di assalto per operazioni paramilitari e intelligence/sabotaggi portati avanti da cellule di un individuo. Gli agenti in Inghilterra non sapevano di dovere essere in due, uno doveva attaccare se l’altro avesse fallito. Istruzioni via radio all’ultimo istante.
“Il prigioniero si chiama Giuseppe Sporta, milanese, buona famiglia, nessun precedente. Ottenuto il diploma, ha fatto un viaggio all’estero da cui non è tornato. Tutti i documenti, il suo passato in rete, ogni traccia, tutto ben cancellato.
“Sporta è stato operato in una località a lui stesso sconosciuta. Non è mai uscito dalla sua camera di ospedale se non per essere trasferito in un campo di addestramento. Località sconosciuta.
“Ma, e qui finalmente abbiamo una buona notizia, durante il suo addestramento, Sporta ha conosciuto una ragazza.” Sul tavolo apparve un identikit ottenuto dalle informazioni. “Vilenja Amarkova. Rumekistana, scomparsa a 15 anni, mai cancellata dai database. Di lei, a differenza che degli altri alunni, Sporta sapeva tutto. Il nome, ne è sicuro, era vero, ogni cosa che si dissero era vera, ogni segreto scambiato erano preziosi frammenti di verità nella palude di bugie e negazioni che caratterizzavano l’addestramento…” Iattore sospirò, abbassando lo sguardo. “Vilenja era il suo coniglio.”
Dalla stanza adiacente, i Giustizieri si scambiarono un’occhiata cupa. Nelle forze militari di élite, i soldati avevano un coniglio o un altro animale di cui occuparsi fin da cuccioli. Nessun’altra istruzione se non assicurarsi di averne cura e che non si ammalasse. E non importava quanto duro fosse l’addestramento, durante la giornata il soldato ritrovava la propria umanità nell’affetto verso la creaturina indifesa e innocente.
Fino a quando non bisognava ucciderla. La minima esitazione era considerata il fallimento del programma. Sul campo, le forze speciali dovevano sporcarsi le mani senza badare a sesso od età del loro obiettivo. L’umanità era un lusso.
“Sporta si era innamorato di lei, ed avevano condiviso i propri sogni. E lei gli aveva parlato dell’arsenale nucleare che i sovietici si erano lasciati dietro quando l’URSS era collassata. Lei sperava che un giorno quelle armi sarebbero servite alla causa, ma Sporta non poté saperne di più: il giorno dopo ebbe l’ordine di ucciderla.” Iattore si mise seduto a capotavola. “Ora, capisco che la pista nucleare sia un’ipotesi, ma non abbiamo altro. Del resto, credo che Alba Nera volesse che restassimo sulle spine fino alla data del summit. Sa benissimo che a questo punto abbiamo moltiplicato le difese ed i controlli intorno alla location. E non sono previsti altri eventi o incontri, né ufficiali, né ufficiosi, di quel livello, Ma, a prescindere da tutto, con discrezione, dobbiamo verificare se delle testate siano state trafugate dal Rumekistan. Se ne mancasse anche una sola, è estremamente probabile che il summit sia il bersaglio. Vi chiedo il permesso di lasciare che i nostri, ah, contractor, continuino a fare il proprio lavoro.”
Il Direttorato si scambiò una serie di cenni di assenso. “Preferiremmo non doverci affidare ad elementi esterni sconosciuti, ma viste le loro…raccomandazioni, e visto che hanno ottenuto un risultato importante in così breve tempo,” a Iattore non sfuggì una sfumatura di biasimo nella voce della donna “comunichi loro che hanno il permesso di procedere. E speriamo bene.”
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A bordo del Dragonwing, la Gatta Nera guardò con disgusto il suo compagno di avventura. Si sentiva sporca solo a trovarsi in sua presenza, ma per il bene delle PR fino a quel momento non aveva espresso il suo disappunto, per non dare l’impressione che il gruppo non fosse all’altezza della missione. “Che cosa hai combinato, con quell’uomo?”
“Gli ho promesso che non lo avrei ucciso,” fu la laconica risposta.
“Lo abbiamo sentito urlare, Lupo! Quell’uomo non sentiva il dolore e…” detestava mostrarsi debole, emotiva, di fronte agli altri, diamine, persino di fronte a sé stessa, ma sentiva di dovere tracciare una linea. “Non m’importa se non sono il capo, ma non rivoglio sentire una cosa come quella!”
“E io spero che non dovremo arrivare a tanto. Non possiamo permetterci di procedere raccogliendo le briciole. E prima che tu aggiunga qualcosa, Gatta, ti ricordo non solo la natura cruciale di questa missione e la natura del nostro nemico, ma che siamo stati scelti proprio per questo: antiterrorismo, infiltrazione, combattimento. Ognuno di noi ha esperienza e talenti adatti a gestire questa cosa nel miglior modo possibile. Con qualunque metodo.
“So bene che non sei un’assassina o una torturatrice, ed è la ragione per cui non sei stata mandata in quella stanza. E quando arriverà il momento di lasciarti mano libera, nessuno interferirà con il tuo operato, e lo stesso vale per ogni altro membro di questa squadra.” Si mise di fronte a lei, fissandola intensamente. “Non deve piacerti, ma sai qual è l’alternativa: subito centinaia di migliaia di morti, e poi la terza guerra mondiale.”
Lei non si fece sopraffare e lo fissò con la stessa intensità, quasi ringhiando. “L’Uomo Ragno ha sventato un attacco nucleare del Dottor Octopus, senza ricorrere ai tuoi metodi.”
“Lo so. Per loro fortuna, Octopus fu goffo, stupido, e la sua scelta di location coinvolse il locale Kingpin del crimine, che usò i suoi metodi per fornire informazioni privilegiate all’Uomo Ragno. Il nostro nemico è preparato a tutto ed ha pianificato le sue mosse con largo anticipo.”
Felicia staccò lo sguardo per prima. Sapeva che avrebbe onorato il suo contratto, a modo suo, ma col cavolo che si sarebbe fatta nuovamente coinvolgere!
Il Lupo Bianco si appoggiò allo schienale. Deadpool, emergendo dal sedile avanti, lo stava fissando con dei cuoricini al posto degli occhi. “Sì?”
“Punitore.”
Sei paia di occhi incuriositi.
“Tu e il Punitore. Fate un team-up. Credo nel libero amore e nella libera strage. Sarà…bellissimo!”
“Cerchiamo di tornare sui binari, signori,” disse Domino. “Diamoci non più di 24 ore per sapere in che condizioni è lo stato dell’arsenale nucleare del Rumekistan. Con un po’ di fortuna, lì troveremo gli indizi per scoprire dove hanno portato un’eventuale ordigno nucleare. Scadute le 24 ore, dovremo andare alla location del summit e passare l’intera area al pettine.”
“Intanto dobbiamo prepararci a violare una dozzina di trattati internazionali,” disse Gambit. “Hai già un piano per entrare?”
Domino annuì. L’ologramma di un edificio monolitico e grigio come si conveniva allo stile sovietico comparve sulle loro teste. “Il Ministero della Difesa, solido e impenetrabile ad un attacco convenzionale. Microfoni e telecamere nelle stanze-chiave, ma per il resto nessuno ha voluto aggiornare i sistemi di sicurezza. Non hanno mai avuto problemi di metaumani, non hanno ragione di aspettarsi visite, ma se anche Alba Nera avesse lasciato qualche cane da guardia… Gatta Nera, Gambit, Lupo Bianco, voi vi occuperete della raccolta dati. Solo, sarai il loro appoggio, ma dovrai fare da solo dato che sei l’unico a poterti teletrasportare.”
Solo annuì con un sorriso confidente. “Basterò.”
“Lupo Bianco, durante l’infiltrazione obbedirai alle direttive della Gatta Nera.” La quale, chiamata in causa, fece una linguaccia al ‘collega’, il quale, impassibile, rispose, “Così sarà.”
“Dovrei avere il teletrasporto!” disse Deadpool. “Perché non date a me un teletrasporto? Ma pensate che anche quelli del caffè cattivo usino il teletrasporto?”
Purtroppo, era una buona domanda. Alla quale Solo rispose, scuotendo la testa, “Col teletrasporto, un terrorista non avrebbe bisogno di altro piano che fare detonare un’arma nucleare subito e col massimo impatto psicologico. Washington o New York, o qualunque altra città-simbolo sarebbero state già colpite. No, non avrebbero aspettato di colpire il summit… Il che porta ad un’ipotesi non meno inquietante, Domino.” Lei annuì, capendo.
“Un attacco all’America,” riprese Solo, “scatenerebbe una risposta isterica, incontrollata del Presidente, che non faticherebbe a selezionare una lista di obiettivi per la rappresaglia immediata.”
“Operazione Sundown,” disse Lupo Bianco. “In caso di attacco terroristico nucleare c’è già una lista di obiettivi da colpire, senza preavviso.”
“L’uso di un’arma atomica, in questo specifico scenario, alimenterebbe come non mai la caccia al terrorismo, la paranoia, la follia, ma servirebbe ai terroristi di Alba Nera per dividere completamente l’Europa. Cui prodest? USA, Cina, Russia.”
“Quindi Alba Nera starebbe giocando con uno o più di questi governi?” chiese la Gatta. “Ma è…”
“Folle?” Solo ridacchiò. “E’ vero, ma le vie della diplomazia e del mercato richiedono tempo. E c’è qualcuno che preferisce fare in fretta: del resto, quale migliore scusa, con le popolazioni nel panico e i governi decapitati, per inviare ‘missioni di soccorso’ armate fino ai denti in appoggio a qualche bel decreto speciale che sospenda le democrazie europee? Nel frattempo, peccato per le altre organizzazioni terroristiche: loro dovranno nascondersi mentre Alba Nera sale alla posizione di comando con un colpo solo, con le risorse di un continente diviso a disposizione.”
Deadpool si mise di fronte alla camera. “E questo è
t-t-t-tutto per ora, g-g-gente! Ci vediamo al prossimo eccitante episodio, con
più belle donne, sfarzo, ricchi premi e cotillon!” Si voltò, terrorizzato. “Non di nuovo la lingua…”