PROLOGO: Il sistema solare che
ospitava il pianeta di Altro Regno, nel Microverso, aveva appena guadagnato un
nuovo corpo planetario.
Si trattava di una piccola luna,
dalla superficie irregolare. Un corpo celeste che in realtà era solo un
aggregato instabile di migliaia di rocce delle più svariate dimensioni. Un
corpo celeste nato circa dodici ore fa per volontà di un dio[i] adirato.
Il destino di questo aggregato
era segnato: non possedeva abbastanza massa per restare insieme. Sarebbe
bastata una spinta sufficiente, dall’interno, per disfarlo…
E così fu: coni di luce
emersero dagli interstizi fra le rocce. Un momento dopo, nell’eterno silenzio
cosmico, una porzione delle rocce iniziò a separarsi dal resto del planetoide
in una muta esplosione.
Poco dopo, una specie di
montagna, costellata di componenti tecnologiche, emerse lentamente dalla sua
prigione.
Un bagliore di artigli, il
suono di tessuti e tendini lacerati come da un colpo secco di lama, poi quello
di un corpo che rimbalzava a terra un paio di volte, con echi bagnati…
Una mano artigliata, coperta
di placche arancione come da un’armatura, afferrò la testa e la sollevò da
terra.
“Ti conoscevo bene, Fratello
Superiore Jsejsek,” disse il Principe
Ssylak, nell’ambiente male illuminato dalle luci di emergenza, fissando la
testa dalla lingua penzolante e gli occhi rovesciati. “Ed è mia colpa non avere
saputo prevedere la portata della tua ambizione di Protestante.” Ssylak emise
un corto sibilo irato. “Mettere a rischio l’incolumità di Altro Regno,
minacciare di morte i sacri dragoni…e tutto per la tua sete di potere, più che
per la fede ad Antesys… Generale Viskajj?” aggiunse, voltando solo gli occhi.
Il maschio della casta
guerriera, intento a supervisionare il lavoro degli ‘operai’ alle consolle, si
voltò e mostrò la gola. “Mio Principe, Purtroppo S’shadz è perduta. L’agglomeramento ha danneggiato i
sistemi vitali e di raccoglimento di energia. In compenso, l’82% della flotta è
salva: la maggior parte dei porti ha resistito.”
Ssylak annuì. “Organizza
l’evacuazione, Generale: riprenderemo le redini del nostro destino sulla
superficie di Altro Regno. I tuoi uomini si assicurino che ogni Protestante
resti qui, quando attiveremo l’autodistruzione di S’shadz: la Casta Sacerdotale
non può essere corrotta dai folli come Jsejsek.” Gettò distrattamente la testa,
che ricadde contro il corpo decapitato.
In quel momento, il proiettore
olografico al centro della sala di comando si accese. Ogni Tok, incluso Ssylak,
offrì la gola alla figura che apparve un attimo dopo: quella di un dragone
corazzato. Il colore delle sue placche appuntite ed affilate era quello di un
Tok, ma la sua possanza non aveva pari: era questa creatura l’espressione
ultima della perfezione dei Tok, l’unico che avesse il diritto di deporre le
uova, l’unico a cui obbedire incondizionatamente.
Era Brassilva. “Qui ti sbagli, mio inetto figlio,” disse, con una voce
melodiosa, per gli standard di quella specie.
“Sire..?” Ssylak era
perplesso.
“I tempi cambiano, Principe:
perché credi che i Protestanti siano sempre più cresciuti per numero ed
influenza? Perché l’ho voluto io, per poterci affrancare da un retaggio
culturale che, come ho appena avuto modo di vedere, si dimostra pericoloso per
la nostra sopravvivenza.”
“Sire!” Ssylak era una maschera di indignazione e stupore. “Voi non
potete intendere per davvero…”
“La nostra fede in Antesys è
salda,” lo interruppe il riproduttore. “Ma i vincoli che l’ortodossia pone ti
hanno impedito di ottenere una chiara vittoria, figlio. In nome di Antesys, i
Tok debbono prosperare, non perire. Il blasfemo deve essere eliminato… O forse
tu pensi che questo ‘Stargod’ che tante perdite ci ha inflitto non lo sia?”
Ssylak non disse nulla. Il suo
muso era contratto nel disprezzo, le zanne snudate e iridescenti sotto la luce
d’emergenza.
L’ologramma voltò la testa
verso Viskajj. “Generale. Guerrieri. Operai. Il Principe Ssylak non ha più
potere alcuno, da questo momento: il lo rinnego. Uccidetelo. Dopo verrete da
me, per rinfoltire le file verso la battaglia finale contro Stargod ed i suoi
indegni accoliti.” L’ologramma si spense.
Ssylak osservò i suoi
sottoposti voltarsi verso di lui. Gli occhi di Viskajj e di ogni altro soldato
erano fissi in un’espressione glaciale…
MARVELIT presenta
Episodio 23 – Il mare di Mournhelm
Mournhelm
Secoli fa, quando Altro Regno era
un mondo molto diverso da oggi, un asteroide vi entrò in collisione.
Fu l’apocalisse. Una sezione
dell’unico continente affondò fra i flutti. L’integrità sul lato sud delle
terre emerse fu corrugata da catene di canyon immensi. La quantità di materiali
e polveri espulse da quell’evento generò un anello, quello stesso anello ora
ridotto a un planetoide informe.
L’impatto generò vulcani e
montagne, quelle formazioni che, in un cerchio impenetrabile, compongono e
proteggono l’arcipelago di Mournhelm.
Si tratta di una visione
spettacolare, vista dal mare.
Dal cielo, è ancora più
apprezzabile.
Ma nella mente di questo
particolare spettatore, non c’era spazio per l’euforia.
Il licantropo sedeva sulla
schiena di un azzurro dragone dei cieli. La sua espressione era meditabonda,
triste.
L’essere di nome Stargod
sospirò. <Antesys…> mormorò mentalmente.
E gli fu risposto: le delicate
nuvole nel cielo assunsero l’aspetto di un drago immane, una delle tante
incarnazioni del Supremo Essere. <Ti ascolto, figlio mio,> rispose la
manifestazione, e la sua voce era fresca come il tocco dell’acqua di un
ruscello.
Il dragone azzurro si fermò
dov’era, restando in volo librato.
Stargod levò il muso verso
Antesys. <Perché non posso riparare al danno fatto dai Tok? In quella foresta
distrutta dalla loro bomba nucleare ho forgiato il mio legame con Max…> la
sua mano artigliata accarezzò di riflesso la morbida criniera bianca del
dragone. <Ho combattuto a Kalgarn la prima battaglia contro il nemico,
perché la sua gente fosse liberata, e non annientata. Non sopporto di vedere
questa distruzione e non potervi porre rimedio.>
Antesys sospirò, e quel verso
arruffò la pelliccia di John Jameson.
<Figlio, tutti gli esseri
viventi, in qualche modo, apportano dei cambiamenti nel mondo che li circonda.
<Il gesto dei Tok e le sue
conseguenze serviranno come memento, dalla distruzione vi sarà nuova genesi,
dalla guerra rinascerà la pace. Così è sempre stato, e così sarà sempre.
<Dimmi, figlio: cosa ne
sarebbe del mondo, se tu correggessi tutti gli errori?>
<…>
<Quali lezioni
apprenderebbero i popoli e gli individui, se non osservassero le conseguenze
del loro operato?>
Stargod quasi si lasciò
sfuggire una risata amara. <Considerando quello che l’umanità non sembra
avere appreso in…>
<L’umanità, così come tante
altre specie, impara lentamente, ma impara. I cambiamenti epocali non possono
avvenire nel corso di una sola vita mortale. Ogni volta, qualcuno aggiunge un
frammento, e la specie ne trae beneficio in tempi molto più lunghi.
<Io ti metto a disposizione
il mio potere perché tu lo usi con saggezza, figlio. I dragoni, i primi
depositari della Godstone> nel sentirla menzionare, Stargod si pose una mano
sulla gemma sanguigna alla gola <vollero fare quello che tu stai desiderando:
cambiare le cose per lasciare la loro impronta, a proprio beneficio, non a
beneficio della specie.
<La tua vita sarà lunga,
John. Soffrirai e gioirai. È semplice. Non dimenticarlo.>
Le
nuvole tornarono ad essere dei cirri. L’uomo-lupo entrò in contatto mentale con
qualcun altro… <Seminatore di Morte,
come procede?>
A migliaia di chilometri di
distanza, nel mezzo di una pianura, si muoveva una enorme carovana: era il
villaggio mobile di un popolo-guerriero. Questa gente, fino a poco tempo prima,
sotto il dominio di Azunbulxibar, aveva combattuto contro Stargod. Quando il
dio aveva sconfitto il guerriero, il suo popolo aveva incondizionatamente
accettato Stargod come loro guida.
Dietro ordine del dio, la
gente si era messa in moto alla volta di Mournhelm…e c’era solo un piccolo
problema da risolvere: Altro Regno viveva in uno stadio di tecnologia
medioevale. Spostarsi sulle lunghe distanze richiedeva mesi, letteralmente.
Ed era stato fatto chiaro fin
da quando il viaggio era iniziato, che il popolo ora di Stargod serviva a
Mournhelm molto più in fretta.
Per tale ragione, cinque dei
sette cavalieri-protettori erano stati mandati incontro ai guerrieri nomadi.
<La situazione è sotto
controllo. Non ci sono state perdite, e ci dirigiamo alla zona indicata,>
rispose la sinistra figura avvolta da un completo e mantello neri. Nell’ombra
del suo cappellaccio, gli occhi erano due fiamme gialle. <Saremo lì entro le
prossime sei ore.>
<Ottimo. Vi attenderò qui a
Mournhelm.> La visione della testa del dio lupino scomparve dalla mente del
Seminatore, che tornò a guardare verso la carovana ed alla sua speciale scorta:
Ø
Nel cielo, Iron Monger, nella sua massiccia
armatura ad alta tecnologia. Anche se Veggany era riuscito a danneggiare
seriamente quel guscio[ii], era
anche vero che a volte la migliore tecnologia poco può contro la magia.
Ø
A piedi, al
fianco della cavalcatura alla testa della carovana, il parademone Grigar, del Popolo Felino.
Ø
All’interno di
una delle carrozze, stava Avatar, il
sintezoide nato nella Zona Negativa, sintesi vivente con Agron, la creatura del futuro.
Ø
Su uno dei
cavalli, in coda, sedeva solitaria la figura di Diablo, il maestro alchimista, a copertura della retroguardia.
Estaban Corazon del Diablo non era esattamente un individuo socievole, e aveva
accettato quell’incarico senza esitazioni.
Sotto il cappellaccio, Mary
Elizabeth Sterling non era preoccupata: Diablo poteva elaborare tutti gli
schemi contorti che desiderasse, ma aveva visto cosa poteva fare il capo dei
cavalieri, e sapeva quali rischi correva con qualcuno capace di usare la
telepatia fino ai più intimi livelli senza alcun rimorso.
Dalla sua posizione sulla
rupe, il Seminatore di Morte osservò verso l’alta pianura che era l’obiettivo
della carovana. Nel cielo, volteggiavano stormi di figure quadrupedi alate…il
prossimo mezzo di trasporto di quella gente.
Teoricamente,
doveva andare tutto bene: non c’erano nemici in agguato e solo i Tok avrebbero
potuto rappresentare una minaccia immediata…ma a loro ci avrebbero pensato i
dragoni che pattugliavano i cieli. Ora che Stargod si era guadagnato la
benedizione del loro Alto Consiglio[iii], i
Cavalieri avevano un alleato fondamentale…
Con il cuore se non proprio
rallegrato, almeno rinfrancato, Stargod e Max giunsero nell’arcipelago.
E lo spettacolo era ancora più
impressionante, all’interno dell’anello di montagne: Mournhelm era un mondo
dentro il mondo, una città di mare estesa lungo il perimetro interno, un
mosaico di porti e di palafitte unite da complessi ponteggi grandi come piazze.
Barche a remi, gondole e barche a vela si muovevano nei canali della città e
lungo le rive, trasportando merci e genti. Concerti di canti e di strumenti
venivano dai maestosi templi posti al centro di una specie di isola artificiale
eretta al centro dell’arcipelago; l’isola era costellata di bracieri enormi,
per ora spenti. I ponti si irradiavano da essa verso la città come i raggi di
un sole. Statue di Stargod, alte non meno di trenta metri, stavano ai quattro
punti cardinali. Ogni simulacro aveva una posa vigile, e reggeva con una mano
una spada dal pomolo a testa di lupo, e nell’altra teneva un seme appena
germogliato -il dispensatore di vita e di giustizia.
John pensò ad una Venezia
selvaggia, un’illustrazione di Moebius diventata reale…
Max si diresse verso il grande
tempio. In cima all’edificio piramidale stava un piazzale delle cerimonie
sufficiente a contenere un Jumbo Jet.
Stargod vide che già c’erano
delle figure in attesa: indubbiamente le figure in armature, scudo e lancia
erano i soldati. Ma quattro di loro erano familiari…
Il lupo sorrise.
Max atterrò con grazia sul
marmo lucido. Stargod saltò giù, mentre la delegazione gli arrivava incontro:
un uomo robusto come un orso e con una barba nera lunga e fluente come la sua
capigliatura, vestito solo di un paio di calzoncini e stivali di pelle. Un
guerriero dai lunghi capelli biondi e una cotta di maglia. Una donna dai
capelli dai riflessi violetti e il volto delicato ma dagli occhi duri; la sua
mano destra era occupata da una protesi metallica uncinata. E infine un anziano
vestito di rosso e dai capelli d’argento; a lui mancavano entrambe le mani, ma
la sua brillante mente compensava ampiamente tale handicap.
“Era l’ora che ti facessi rivedere,
musozannuto!” disse l’omone barbuto, afferrando Stargod in un abbraccio
stritolatore e sollevandolo da terra.
L’uomo-lupo ricambiò
l’abbraccio, aggiungendo un paio di pacche sulla schiena. “E io sono felice di
rivederti, Gorjoon.” Si voltò verso gli
altri. “Così come sono felice di rivedere voi.”
L’uomo biondo si fece avanti,
e gli serrò le spalle in un paio di forti mani. “Garth è onorato di poterti ospitare per tutto il tempo che sarà
necessario.”
La donna fece un inchino
formale. “Sapevamo che saresti tornato. Ancora una volta, Duna è pronta a dare la tua vita per te, Salvatore.”
L’uomo anziano, il mago
Lambert, fece una risatina. “Non sarà necessario arrivare a tanto, amici miei.
Questa volta, il Dio è giunto con validi alleati, come sapete… E credo che
abbia altri piani per spendere un po’ del suo tempo qui che pensando a nuove
battaglie.”
Stargod annuì. “Sono qui per
prima cosa per parlare con un Draco
Magister. Il suo nome è Wasya, e
vive nelle profondità di Mournhelm.”
Garth annuì. “Wasya ti sta
aspettando, Salvatore. Se ti senti pronto…” si voltò. Stargod lo seguì.
IL gruppo lo vide sparire
dentro un’arcata. Gorjoon si voltò verso Max, che si era sdraiato per riposare,
le ali ripiegate e la coda distesa lungo il fianco.
“Così, tu saresti il suo
compagno per la vita…” Gorjoon si strofinò il mento, perplesso. “Devo dire che
non mi aspettavo gusti così…esotici da uno che aspirava tanto a tenersi quella
scialba ragazzina[iv]…Eep!”
quasi si morse la lingua, appena si trovò il dorso di un enorme muso quasi
piantato contro il volto.
“Hai qualcosa da ridire
sul nostro legame, piccolo umano?”
Gorjoon
deglutì. Duna levò gli occhi al cielo, rassegnata: quell’uomo era davvero senza
speranza.
Stargod seguì Garth lungo una
lunga teoria di scale, illuminate a tratti regolari da bracieri accesi nelle
zanne ringhianti di teste di lupo. Mano a mano che scendevano, l’odore di acqua
salata si faceva sempre più forte.
John avrebbe voluto parlare a
Garth, dirgli qualcosa -insomma, lui e gli altri erano stati i suoi compagni
d’arme, i suoi seguaci più fedeli, nella battaglia contro Arisen Tyrk. Li aveva
lasciati per essere ‘solo’ John Jameson, sulla Terra. E…
E cosa avrebbe potuto dire?
Narrargli di che inferno era stata la sua vita sul suo mondo natio? Di come
fosse stato bravo a lasciare lavori, a vagare da un incarico all’altro, sempre
incerto su sé stesso ed il proprio destino fino a quando non aveva deciso di
accettarsi una volta per tutte...?
“Lambert mi ha detto di
Sashiel,” disse Garth all’improvviso. Il suo tono era quieto, ma le sensibili
orecchie del lupo fliccarono, cogliendo l’amarezza e la delusione nella voce.
“Mi dispiace. Non avrei mai immaginato che potesse nutrire un simile rancore.”
“Cosa..? Garth, non è colpa
tua. Lei…”
“Era mia moglie, Salvatore.
Come suo marito, era mio dovere assicurarmi che la sua fedeltà venisse dal
cuore, che non la sentisse come un’imposizione per via del nostro legame.”
“Tua moglie..?” Già, e cosa si
era aspettato di notare, ammesso che in quei giorni avesse avuto la testa per farci
caso, un anello al dito? E poi, quei due non si comportavano certo come sposini
felici…
Garth annuì debolmente. “Lei
non voleva fartelo sapere, e non ho pensato ci fosse ragione di dirtelo.
Andavamo in battaglia, non volevo aggravarti con una informazione non
necessaria.” La sua voce era assente, fredda. “Speravo che fosse morta.
L’ultimo ricordo che avevo di lei era di una donna dal carattere difficile, ma
coraggiosa e determinata per il suo mondo. Sapere che è una traditrice…”
“Garth…”
Garth tornò a raddrizzarsi.
“Appena avrai terminato con il Draco Magister, mi rimetterò al tuo giudizio per
il tradimento di Sashiel.” Si fece da parte. Durante quel discorso, erano
giunti ad una porta dalle ante di ferro. Sull’arcata erano incisi, in rilievo
due dragoni serpentiformi, che partendo dai lati si incontravano in alto al
centro, intrecciando le teste.
L’uomo-lupo stava per
rispondere che non ci sarebbe mai stato alcun giudizio…quando le porte si
aprirono, scorrendo su cardini perfettamente oliati, senza un cigolio. Una voce
femminile accarezzò la mente di John, <Vieni avanti, figlio di Antesys e
Salvatore di Altro Regno.>
Stargod guardò un’ultima volta
Garth: sapeva istintivamente che lo avrebbe trovato lì ad attenderlo.
Dalla
soglia, veniva solo il buio. Il dio la oltrepassò senza esitare.
All’interno della carrozza,
seduti accanto a un corpo femminile inerte, stavano due giovani umani: due
gemelli perfettamente identici, uno dai capelli rossi ed uno dai capelli neri.
“Sarà qui fra poco,” disse il
gemello rosso.
Il gemello nero gli rispose
con un identico ghigno e posa della testa, come un’immagine riflessa. “La vendetta
per nostro padre e nostra madre è un passo dal suo compimento. Anche se Stargod
sfuggirà al massacro, per lui sarà solo questione di tempo.”
Davanti
a loro, su una branda, giaceva la figura comatosa di Sashiel, portata in tale
stato dal Seminatore di Morte[v]. Presto,
sarebbe stata riportata alla sua fierezza…
I suoi stivali avevano le
punte tagliate, per permettergli di usare gli artigli dei piedi. Gli artigli
ticchettavano sul pavimento a intervalli regolari, lenti. Passi prudenti,
riflessi di cacciatore intento a studiare il territorio.
Buio. Così buio che anche i
suoi occhi erano ciechi.
Silenzioso. Tanto da fargli
udire i battiti del proprio cuore.
C’era solo l’odore dell’acqua,
salato, puro, che riempiva l’aria come un profumo esotico. Che buffo, era tanto
tempo che non sentiva l’odore del mare, non così. Gli sembrava di stare
nuotando, aveva voglia di perdercisi dentro.
“Questo è l’odore del mondo,
Stargod. Il mondo invisibile agli abitanti della terra e del cielo.” La voce
risuonò di un’eco musicale, veniva da un punto molto vicino…
E fu la luce: un cerchio
perfetto, cristallino, ai piedi del lupo. Da quel cerchio emerse prima la
testa, poi il collo serpentino di un dragone dei mari. Le sue scaglie
sembravano di mercurio, venate dei riflessi dell’acqua. “Io sono Wasya.
Benvenuto.”
“Uh…” bene, magnifico, era
arrivato fin lì, ed ora?
“Non hai nemici da affrontare,
qui. Non ci sono fantasmi che ti perseguiteranno. Non c’è prova a cui possa
sottoporti che tu non possa superare.”
“Perché sono qui, allora?”
Il corpo del dragone emerse
ancora di più dall’acqua. Era enorme, come ci si poteva aspettare: assomigliava
a quello di un drago cinese, con zampe palmate corte, una lunga cresta
pinniforme, basette folte, e un paio di corna corte a ‘tronco’.
La
creatura si appoggiò al bordo della pozza con le zampe anteriori. Il suo fiato
sapeva di sale, iodio ed alghe, mentre sorrideva. “Per scambiare quattro
chiacchiere. Che altro?”
Giunsero alla spianata. Le
creature nel cielo erano simili a cavalli, ma coi musi più tozzi, il corpo
ricoperto di scaglie, mentre le grandi ali erano piumate. Non sembravano molto
nervosi alla vista degli stranieri sul loro pascolo.
Probabilmente la domesticazione scorre nelle loro vene, pensò il Seminatore, mentre i nomadi guerrieri disponevano
in cerchio i loro carri. Rygar, il
comandante designato da Stargod per guidare quella gente in sua assenza, era
stato inamovibile a riguardo: la regola era di disporsi in formazione
difensiva, se possibile, ogni volta che si prevedeva di fermarsi per più di
dodici ore.
Grigar era inquieto. Fin da
quando erano giunti in prossimità della spianata, si era levata una corrente
che andava dal basso verso l’alto. Anche se avrebbe potuto permettere di
localizzare un nemico in agguato, nascondeva l’odore degli animali…
Purtroppo, il mezzo demone non
aveva esperienza sufficiente con gli animali in generale, per comprendere se il
comportamento di queste bestie fosse naturale o meno. Ciononostante, non gli
piaceva affatto quel volteggiare, come se li stessero attendendo…
I cavalli si stavano
disponendo in formazione sopra i guerrieri.
“Iron Monger, esegui una
scansione su quegli animali,” disse la voce del Seminatore.
“Ricevuto,” rispose l’eroe,
prima di fare partire i sensori a tutto spettro. Non che si aspettasse di
trovare chissà che… “Cazzo!”
In
quel momento, uno dopo l’altro, in un’infernale catena, i cavalli esplosero. La sequenza terminò in
un’unica bolla di fuoco che riempì la pianura!
“Punirai il tuo amico?”
“Parli di Garth?” Stargod si
era seduto sul bordo della pozza, le gambe immerse nell’acqua piacevolmente
fresca. “Certo che no!”
“Perché?”
“Perché cosa? Wasya, Garth
darebbe la vita, per me, ed è un fedele amico. Quello che ha scelto di fare
Sashiel non è sua colpa!”
“Perché così hai deciso.”
“È la verità!” Le sue dita si
contrassero sul bordo marmoreo, incrinandolo. “Lui non ha colpa!”
“E se così fosse, invece? In
tempo di guerra, la sua lussuria ha avuto la meglio sul suo raziocinio. Ha
scelto una compagna piena di rancore verso la causa. Sperava di convertirla, ma
non vi è riuscito. La conseguenza di ciò è che la Canzone del Lupo avrebbe
potuto non essere cantata[vi].”
“Non mi addosserò il ruolo di
giudice retroattivo, Wasya. Nessuno di noi credeva che Sashiel fosse
sopravvissuta, in primo luogo.”
Il dragone annuì. “Allora usa
questo argomento, figlio di Antesys.”
“Hm?”
“Forte è la devozione nei tuoi
confronti. Hai un potere su questa gente che ancora non comprendi appieno: devi
restare neutrale, equo, anche se questo significasse negare una mano tesa ad un
amico.
“Se non vuoi redarguire coloro
che ami, devi farlo con le motivazioni corrette.”
Stargod annuì. “Questa
gente…tutti i miei seguaci…morirebbero
per me.” Gli vennero alla mente le immagini dei kamikaze, dei mujaiddin, dei
crociati e dei fanatici -no, non realizzava ancora quanto fosse importante. Lo
sapeva, ma non lo realizzava. “Dovrei abbandonarli? Lasciare che si guidino da
soli?” la domanda era rivolta a sé stesso più che al dragone.
“Devi proteggerli, non
guidarli. Sii presente, lascia che ti adorino, ma non dispensare consigli.
Lascia che la vita e la morte compiano il loro duetto eterno. Cammina fra loro,
fatti vedere per fare sapere loro che potranno contare su di te in tempi di
crisi, ma non interferire con i cicli della natura. Sei solo un dio, non il
loro animale da soma.”
Il lupo accarezzò il muso del
drago. Come per Max, anche le scaglie di questa creatura erano morbide e
tiepide. “Io voglio bene a questa gente, e specialmente ai miei amici: se mi
invocheranno per un miracolo, cosa farò, volterò loro le spalle sempre?”
“Sta al tuo giudizio. In
fondo, non devi estraniarti dai tuoi adoratori.”
“Wasya..?”
“Dimmi.”
“Uhm…” le orecchie triangolari
si fecero di un rosso intenso. “Riguarda Max. Ecco, vorrei sapere se…” in quel
momento, la sua mente sembrò esplodere per il dolore! Serrò gli occhi. Si piegò
istintivamente in avanti, afferrandosi le tempie.
Quando li riaprì, vide sulla
superficie dell’acqua, come su quella di uno specchio, l’esplosione che avvolse
la pianura dei cavalli alati. E sapeva che il grido di dolore era quello del
popolo nomade e dei suoi Cavalieri…
L’ululato di ira di un dio
risuonò fin fuori dal tempio e riempì l’arcipelago.