PROLOGO: Hell’s Kitchen,
Conflitto di interesse.
Una frase interessante per
riassumere la sua manichea carriera: di giorno, tutore della legge secondo le
regole della società civile. Di notte, protettore della legge con metodi
obiettivamente ambigui. Stesso fine, nessun problema. In un modo o nell’altro,
riusciva ad ottenere quello che voleva: aiutare chi ne aveva bisogno.
Questa era una di quelle rare
notti in cui le strade del suo territorio erano tranquille: un risultato
visibile del suo impegno. Un’ora fa aveva sistemato un paio di balordi troppo
istupiditi dalla droga per capire che per loro, per chiunque come loro, non
tirava mai aria, qui. Era piacevole potere starsene qui, ora, appollaiato su un
tetto, perso in pigre riflessioni. Come avvocato, aveva a stento il tempo di
respirare.
Il vigilante, avvolto in un
semplice e sgargiante costume scarlatto, caratterizzato da due inconfondibili
cornetti e la grossa doppia ‘D’ gialla sul petto, non aveva bisogno di muoversi
per pattugliare quella zona: i suoi sensi supersviluppati coglievano odori e
suoni di Hell’s Kitchen (si chiamava Clinton, ma per ogni abitante sarebbe
rimasto il Kitchen e basta) come la pulsante sinfonia di un sistema
circolatorio. E il ‘radar’ interno dell’eroe ne coglieva il battito, in cerca
di una discrepanza, di qualcosa che avrebbe richiesto il suo intervento…
Come ora!
All’inizio, era stato solo il
passaggio di un SUV, una di quelle auto da gente con forti complessi di
inferiorità. Era uno di quei veicoli che davvero non passava inosservato:
grosso, rumoroso, inquinante. Il vigilante non aveva desiderato concentrarsi
per superare la barriera sensoriale di quel bisonte, anche perché il veicolo
era diretto all’edificio dell’ambulatorio.
L’ambulatorio era stato
recentemente ristrutturato grazie ad una colletta del quartiere, colletta a cui
Matt Murdock aveva partecipato quanto più generosamente possibile. Al Kitchen
mancava una propria struttura organizzata, veramente efficiente, anche senza
con questo volere detrarne i coraggiosi titolari…
Il veicolo si era fermato
davanti all’ingresso. Ne era scesa una sola persona, una figura massiccia,
tozza, forte. Il vigilante l’aveva riconosciuto, era impossibile altrimenti.
Il radar vide la figura
prendere una breve rincorsa, per poi scagliarsi ad una velocità insospettata
contro l’ingresso: la tecnica inconfondibile del sicario di nome Bullet.
Senza esitazioni, senza
timori, il vigilante si gettò dal tetto, in direzione dell’ambulatorio. Non
importava quali rischi avrebbe corso, come sempre. Perché tale era la sua fama,
tale era il suo nome: Devil, l’Uomo Senza Paura.
MARVELIT presenta
Episodio 4 - Devil & Firebird: Sangue Avvelenato
Ambulatorio di Hell’s
Kitchen, dieci minuti prima.
“Lo ammetto, lo ammetto, sono
impressionato, e non solo io. Questo non è esattamente un quartiere di
ispano-americani, mi capisce miss…” ma le parole del non più giovane titolare
dell’ambulatorio, Noah Burstein, furono garbatamente interrotte dalla ragazza
che sedeva di fronte a lui. Questa era una giovane dai lunghi capelli neri, la
carnagione leggermente olivastra di chi era nato e vissuto sotto il sole degli
stati meridionali. Indossava un abito composto di camicia bianca e blue jeans
stinti, molto anonimo. Il suo volto era quello di una persona solare, portata
al sorriso ed alla pace interiore, anche se gli occhi denotavano una fermezza
che tendeva a spiazzare l’interlocutore.
“La prego, mi chiami Bonita:
le formalità, quando si parla di salvare vite umane, non sono certo il mio
pane.”
Noah si trattenne dal
chiamarla, ugualmente, Miss Juarez, e proseguì. “Sua sorella Florida da sola
lavora per quattro; più sono numerosi i casi, più energie sembra trovare. È una
mutante?” Era, dal tono, una chiara battuta, ma entrambi sapevano, mentre
sorseggiavano il loro tè caldo, che un fondo di seria curiosità c’era: Bonita
Juarez era la super-eroina Firebird, membro degli intrepidi
Rangers.
Senza perdere minimamente la
calma, Bonita rispose, “Un dono di Dio mi ha dato i miei poteri, Noah,
altrimenti, come tutti i miei familiari, sarei stata una persona come le
altre.”
“Su questo mi trova in
disaccordo, Bonita: superpoteri o no, la sua dedizione a difendere il prossimo
ben si riflette nell’operato di Florida, e credo che almeno uno dei vostri
genitori vi abbia trasmesso questa predisposizione.”
Bonita annuì. “Nostro padre
era un uomo di fede salda, ma non certo un fanatico: ci ha insegnato a vivere
secondo la parola di un Dio di amore, non quello di vendetta.”
Il medico sospirò. “Io ho
imparato a vivere secondo i dettami di una scienza malata, purtroppo. È un
piacere vedere qualcuno come sua sorella coniugare forza e fede. Per me può
essere troppo tardi…”
“Deciderlo spetta a qualcuno
più in alto. Per me, il solo fatto che lei e Claire abbiate riaperto
l’ambulatorio dimostra che non è mai troppo tardi.”
“Ci siamo riusciti perché
Florida ci ha aiutato. Se adesso si trova alla reception è solo perché ha già
fatto abbastanza durante la settimana. È l’unica cosa che abbia accettato come
‘turno di riposo’.”
Bonita annuì, e sorseggiò
dell’altro tè. Aveva davvero bisogno di questa visita: dopo gli orrori e la
desolazione di Battleground, dopo avere sostenuto difficili disquisizioni di
ordine morale con i suoi stessi compagni di squadra[i], doveva sincerarsi che qualcuno vicino a
lei stesse facendo qualcosa di buono e lontano da ogni complicazione
sovrannaturale. Era un mondo molto duro, quello di questo Ambulatorio, ma qui
lo splendore della luce della buona volontà guariva la gente della strada,
migliorava il prossimo dove possibile…
Bonita si alzò in piedi.
“Credo che scambierò ancora una parola con Florida. In fondo, questa sembra
essere una serata più tranquilla di quelle che lei mi ha descritto nelle sue
lettere.”
Noah la imitò. “Ci può
scommettere. E non oso nemmeno immaginare come sarebbe il lavoro, qua dentro,
se non ci fosse Devil a tenere un po’ pulite le strade.”
A quel nome, Bonita ebbe un
involontario sussulto. Devil era la leggenda dentro Hell’s Kitchen, il suo
strano demone custode, una contraddizione vivente. Un angelo vestito da diavolo
-perché? Forse, era il suo modo per dire ‘combattere il male con le sue stesse
armi’?
Bonita rise di sé stessa:
quello che aveva appreso attraverso la corrispondenza con Florida parlava di un
uomo forte e buono, un vero paladino. Si trattava solo di una…insolita immagine
per tale ruolo.
La donna percorse il
corridoio, diretta verso la reception. Aveva disturbato abbastanza, per questa
notte: domani avrebbe portato sua sorella almeno a un chiosco di hot-dog,
cascasse il mondo. Distrattamente, si chiese com’era questo Devil, sotto la
maschera: un uomo cupo e silenzioso oppure..?
Aveva appena aperto la porta a
vetri che la separava dall’astanteria, quando vide un uomo enorme avvicinarsi di corsa
all’ingresso. Un uomo vestito interamente di blu, con una maschera che gli
copriva il volto dalla fronte in giù.
Bonita osservò quei
particolari con uno strano senso di distacco. Si accorse che anche qualcuno dei
pochi pazienti si era voltato a guardare quella massiccia figura. Anche sua
sorella sembrava solo incuriosita, come se avesse capito che qualcosa non
andava, ma senza focalizzarsi su quel cosa…
Poi fu il caos. L’uomo sfondò
le massicce vetrate come delicati cristalli. Una pioggia di schegge di vetro
volò dappertutto. Chi, per un attimo, gridò per la paura, ebbe modo di urlare
per il dolore inflitto dai cubetti vetrosi. Qualcuno si buttò a terra, qualcun
altro cercò di scappare. Solo uno non fu così fortunato, e rimase a terra, il
volto ridotto a una poltiglia informe di carne e vetro.
Florida si era gettata sotto
il bancone, ma questo si rivelò subito una difesa tutt’altro che affidabile. La
corsa dell’uomo si concluse proprio contro di esso, sfondandolo. Florida urlò.
Il volto di Bonita si
contrasse in una smorfia di odio: non desiderava chiedere a quel criminale
perché si stesse comportando in quel modo, non desiderava capire. Ora
desiderava solo salvare l’Ambulatorio e fargliela pagare! “TU!”
L’uomo, fermo in mezzo ad una
nuvola di polvere, completamente illeso dalla propria bravata,voltò la testa
verso di lei. “Se non lavori qui, togliti di mezzo,” disse con una calma carica
di minaccia.
“Davvero..?” negli occhi di Bonita
si accese una fiammata con la forma della Forza Fenice.
Devil atterrò in quel momento
davanti all’ingresso devastato… Appena in tempo per percepire l’esplosione di
energia, seguita da una massiccia sagoma in rapido movimento. Verso di lui!
Il crociato scarlatto si gettò
a terra, appena in tempo per evitare il corpo di Bullet proiettato come una
bambola verso la strada. Oddio, ma chi
c’è là dentro,Thor? E mentre lo pensava, ‘vide’ Bullet sfondare la SUV come
se fosse stata fatta di cartone. Si udì un potente schianto di metallo
accartocciato e vetro infranto. Il Veicolo si ribaltò.
Poi, il responsabile di quel
contrattacco venne fuori: Devil percepì la sagoma di una donna in forma,
capelli lunghi e un mantello sagomato come un paio di ali. La sua impronta
biometrica non gli diceva nulla, non la conosceva. E il suo corpo era
circondato da un’aura di energia di enorme potenza.
“Lurido vigliacco, aggredire
un ambulatorio! Avrai molto di cui
rispondere, te lo giuro!” E dal tono di voce che usò, Devil era sicuro che non
stesse esagerando.
“Niente male…signorina,” disse
Bullet, rimettendosi in piedi. “Ma mi dovrai scusare, se non mi trattengo a
vedere il resto della lezione. Mi hai mandato all’aria un lavoro, e questo è
qualcosa che non dimentico.”
Devil percepì ogni movimento
del sicario, inclusi quelli che la sconosciuta, accecata dalla rabbia, ignorò. “Attenta!” urlò, gettandosi in avanti, a
placcarla per un fianco.
Appena in tempo: un copertone
lanciato con inaspettata velocità attraversò il punto occupato un secondo prima
dalla testa di Firebird.
Bullet si allontanò di corsa
dalla scena del crimine. Sapendo chi era il guardiano di quella zona, i suoi
datori di lavoro si erano premuniti. C’era solo da sperare che la loro
‘sorpresina’ funzionasse ancora.
Mentre Devil e Firebird si
preparavano ad inseguirlo, lui premette il pulsante di un dispositivo che
teneva nella tasca.
Il SUV esplose! L’onda d’urto
investì i due eroi e terminò di devastare l’ambulatorio.
Senza
smettere di correre, Bullet scomparve dietro un angolo. Dietro di lui, rimase
un piccolo inferno, mentre si udivano le prime sirene della Polizia…
“Poteva andare davvero
peggio,” disse la dottoressa Temple, togliendosi la mascherina, per poi
sprofondare nel divano. Ormai, era mattino inoltrato. C’erano ancora dei
reporter a sciamare nella zona dell’attentato, ma per fortuna il rapido lavoro
dei Pompieri e della Polizia aveva risolto i maggiori danni. I testimoni erano
tutti concordi: nessun kamikaze, solo l’ennesimo pazzo supercriminale di NYC.
Sarebbero fioccate le ipotesi su eventuali collegamenti terroristici, ma almeno
il panico avrebbe dovuto essere contenuto.
L’esplosione del veicolo si
era dispersa perlopiù lungo la strada. L’astanteria ne era uscita malconcia di
brutto, il bilancio era di venti feriti e un morto.
Sì, poteva davvero andare
peggio.
Nella stanza c’erano la
Temple, Devil, Firebird e la povera Florida, ancora sotto sedativi e sdraiata a
letto. Bonita, seduta accanto al letto, le teneva una mano. La donna nel letto
le assomigliava decisamente, salvo che per i capelli tagliati corti.
Devil annuì. “Lo so che può
non essere il momento di chiederglielo, dottoressa, ma…avete ricevuto minacce,
di recente? Intendo da parte del Gufo
o di qualche altro capo criminale? Conosco Bullet: quando mandano lui, vuol
dire che fanno molto sul serio. Dopo
c’è solo una pallottola nella testa.”
Claire si morse il labbro
inferiore. “Minacce anonime. Lettere, foto sfregiate, insulti dipinti con la
vernice spray. Roba di basso profilo. Non si è mai visto nessuno con
un’’offerta che non si può rifiutare’. Questo attacco era assolutamente
inaspettato.”
Firebird si alzò in piedi. “Ho
contattato il finanziatore dei Rangers, Thomas
Fireheart: provvederà lui a farvi avere i soldi per le riparazioni.”
Claire
annuì. “Ti ringrazio, Bonita. E non ti preoccupare troppo per tua sorella: fra
lo choc ed i sedativi, ne avrà ancora per almeno ventiquattro ore.” Mostrò un
sorriso divertito. “È meglio che riposi quanto più a lungo possibile; appena
sarà sveglia, vorrà subito darsi da fare per recuperare il tempo ‘perso’.”
Un quarto d’ora dopo, i due
eroi si trovavano sul tetto dell’edificio che ospitava l’ambulatorio.
“Qualcosa non torna, in questa
faccenda,” disse Devil, scrutando l’orizzonte di cemento. “Non ho mai visto una
gestione così pasticciata da parte di un criminale. L’ambulatorio non
rappresenta certo un centro sociale, non sottrae gente alla strada. Non è un
centro di spaccio, non genera concorrenza. Non sorge su un terreno interessante
a fini edificabili. Perché preoccuparsi di intraprendere un’azione così
vistosa? Bullet non è certo un sicario economico.”
Firebird scosse la testa. “Mia
sorella non mi ha mai detto alcunché su queste ‘minacce’…ma non è certo una
novità. Lei non mi farebbe mai preoccupare.”
“È la tua sorella maggiore?”
Lei annuì. “La nostra era una
famiglia povera, come le tante del nostro paese natio. Eravamo in sette figli,
quattro maschi e tre femmine. I nostri genitori fecero dei veri miracoli per
mantenerci ed educarci, almeno fino a quando fummo abbastanza grandi da poterci
allontanare da casa. Io ho mantenuto dei contatti costanti solo con Florida;
degli altri…non so più nulla. Prego solo che abbiano portato nel cuore gli
insegnamenti di nostro padre.”
Devil annuì. “Diresti che
Florida è una donna metodica?”
Firebird corrucciò la fronte,
incuriosita. “Sì, senza dubbio. Io ero la scavezzacollo, lei quella che aiutava
mia madre a mandare avanti la casa. Cioè, a gestire noialtri. Un’impresa,
credimi.”
“Allora,
se non ti dispiace, voglio fare un salto a casa di Florida.”
Nonostante l’edificio,
esternamente, sembrasse pronto per la demolizione, l’appartamento di Florida
Juarez, per contro, era un’oasi di ordine e pulizia.
“Cosa speri di trovare, qui?”
chiese l’eroina in giallo e rosso, mentre Devil scrutava ogni angolo con il
radar.
“Un diario, per cominciare.” E
lo trovò, sulla scrivania al centro del piccolo salotto. Un piccolo volume con
un lucchetto e una penna inserita in una fodera attaccata alla costina. “Puoi
aprirlo?” chiese casualmente a Firebird. Non poté vederne l’espressione
leggermente irritata, ma lesse l’equivalente nelle variazioni di pulsazioni e
respirazione. Del resto, lui stesso sapeva che stava per bruciare una prova
importante in un possibile processo contro i mandanti di Bullet…
Firebird si avvicinò. Si
concentrò, e dalla punta dell’indice lanciò una fiammata sottile, sufficiente a
fondere il lucchetto senza toccare il diario. “Spero solo che tu sappia quello
che fai.”
A dire il vero, neppure lui
stesso ne era veramente sicuro. Stavano brancolando al buio, ed ogni minuto
perso era un minuto di pericolo in più per l’ambulatorio. Ogni traccia, per
quanto impalpabile, era buona ora come ora.
Devil passò il diario a
Firebird. “Cerca qualunque possibile riferimento alle minacce menzionate dalla
dott.ssa Temple.” Anche se il suo senso del tatto era abbastanza sensibile da
leggere le impressioni dell’inchiostro, era comunque meno rapido dell’occhio
umano…senza contare che avrebbe insospettito Bonita. Essere un super-cieco
aveva i suoi svantaggi, qualche volta.
Firebird aprì una pagina a
caso. Scorse il diario fino ad arrivare alla prima pagina bianca, e da lì andò
indietro. Con meticoloso distacco, Florida scrisse delle minacce, sia sotto
forma di lettere che di scritte oscene che di telefonate che intasavano il
centralino. Sempre a distanza, sempre tenendosi nell’ombra, il colpevole
sembrava prendere di mira Florida in particolare…eppure, se quanto scritto nel
diario era vero, non si era mai rivolto direttamente a lei. Voleva solo essere
sicuro che lei recepisse i messaggi minatori.
E Firebird continuò a scorrere
all’indietro, cercando il significato di quei fatti…fino a quando non vide
qualcosa che la fece sussultare.
Devil, che si era tenuto in
disparte, le chiese, “Cosa hai trovato?”
Lei le passò il volume.
“Fernando. Nostro fratello.”
Concentrandosi sul tatto,
Devil lesse la pagina. Firebird, intanto, stava proseguendo. “Fernando era il
minore di noi tutti. Per quanto i nostri genitori si sforzassero di amarlo
esattamente come gli altri, lui si sentiva sempre trascurato, messo in fondo. A
volte, diceva di essere di troppo. Tendeva ad isolarsi, a stare lontano. E più
cercavamo di essergli vicini, più lui si alterava.
“Fu il primo ad andarsene.
Aveva solo tredici anni, e non si lasciò dietro neppure una lettera.”
Secondo il diario, Fernando
aveva in qualche modo rintracciato Florida e le aveva telefonato circa un mese
prima. Voleva essere ricoverato sotto falso nome, e lei doveva inserirlo in un
programma per la cura dell’HIV. Quando lei aveva precisato che non avrebbe
fatto nulla senza prima sapere perché lui ci tenesse ad essere registrato con
false credenziali, quando avrebbe potuto comunque beneficiare dell’anonimato,
lui aveva semplicemente riappeso il telefono.
Poi erano iniziate le minacce.
Nel diario non vi era alcunché che suggerisse esplicitamente un collegamento
fra la telefonata e quello che era seguito, ma non c’era bisogno di Matt
Murdock per capire come stessero le cose.
“Penso che Florida stesse
cercando di arrivare a Fernando, e doveva essersi pericolosamente avvicinata,”
disse il crociato scarlatto. “Dobbiamo trovare qualunque appunto che possa
portarci da lui, prima che tenti di finire l’opera.”
Restava solo un tassello da
mettere al suo posto: i soldi. Bullet costava, e con quei soldi Fernando
avrebbe potuto comprarsi una vagonata di ‘cocktail’ per la sua malattia…
I due eroi ripresero a
perquisire l’appartamento. Firebird cercò in quegli angoli e quei posti che
sapeva essere più sicuri per nascondere informazioni preziose, senza rischio di
perderle.
Ma non trovarono nulla.
L’unica possibilità, a questo punto, rimaneva il portafoglio di Florida.
Dovevano tornare all’ambulatorio e…
In quel momento, squillò il
telefono! I due eroi sobbalzarono e all’unisono si voltarono verso
l’apparecchio. Firebird impallidì, al pensiero che potesse essere l’ambulatorio,
con delle brutte notizie… Poi si ricordò che i medici non sapevano che lei si
era diretta a casa di sua sorella. Forse era solo una conoscente che voleva
delle notizie.
Firebird andò a rispondere.
Sollevò la cornetta. “Pronto..?”
Rispose una voce maschile
profonda, fredda, una voce quieta ma sinistra. E, soprattutto, familiare.
“Sembra che una nostra comune
conoscenza ci abbia bellamente ingannato,” disse Bullet. “I soldi, quando sono
tanti, fanno fare strane cose…ma non è mia abitudine distruggere un luogo dove
la gente viene curata. So cosa vuol dire avere qualcuno che soffre.”
“Mia sorella ne è uscita viva
per miracolo, tu…” non era sua abitudine reagire così, ma lo stress dei giorni
precedenti unito alla situazione corrente, stava tirando fuori il peggio di
lei.
Bullet proseguì, imperturbato.
“Lui mi aveva detto di mettere una bella strizza addosso a tua sorella. Non mi
aveva detto nulla della bomba, mi aveva fatto credere che era un flash-bang[ii] per
distrarre Devil in caso di un suo intervento.
“Ad
ogni modo, quel problema è risolto. Ripeto, non
mi piace essere preso in giro. Quanto a Fernando stesso, lo troverete al
seguente indirizzo.” E lo scandì attentamente. “Già che ci siete, c’è un
microfono nella cornetta. Ci si vede, campioni. La prossima volta, farò veramente sul serio.” Seguì il lamento
della linea telefonica caduta.
I
due eroi si guardarono negli occhi.
L’indirizzo in questione era
un garage abbandonato da anni, poco più di un rudere chissà come ancora in
piedi, le finestre cieche e coperte da assi incrociate e marce.
La saracinesca, cioè il pezzo
di metallo arrugginito e gibboso che un tempo lo era, non sembrava essere stata
sollevata da quando il garage aveva chiuso per l’ultima volta. Matt ricordava
quando i ragazzini del quartiere portavano le loro biciclette dal vecchio
gestore, che riusciva a rimetterle in strada dove tutti gli altri preferivano
arrendersi.
Devil condusse Firebird alla
porta sul retro. La trovarono aperta, appena socchiusa. Per i sensi di lui, era
sufficiente. Tenendo la mano guantata sulla maniglia, disse, “Sei sicura di
volere entrare?”
Lei annuì.
Trovarono ciò che lui aveva
già percepito.
Un cadavere riverso per terra,
con la testa voltata ad un angolo innaturale. Un ispanico, il volto smagrito e
coperto di pustole. Tutt’intorno al suo corpo devastato dall’AIDS giacevano
banconote di piccolo taglio.
Devil si chinò a raccoglierne
una. Ad un primo esame, gli risultarono subito dei falsi: abbastanza buoni da
ingannare a prima vista, giusto il tempo di prendere in giro Bullet, si sarà
detto Fernando Juarez.
Il
giustiziere scarlatto si voltò, nell’udire Firebird bisbigliare qualcosa. Fece
per chiederle se avesse bisogno di qualcosa…poi la vide inginocchiata accanto
al fratello. Teneva le mani giunte e pregava a fior di labbra.
L’ambulatorio, due giorni
dopo
“Niente misteri o complotti:
la malattia aveva minato il raziocinio di Fernando. Anche se non ce lo potrà
mai confessare, molto probabilmente, il suo scopo era quello di colpire Bonita
attraverso Florida. L’agenda che portava con sé prova che aveva tenuto d’occhio
la sua famiglia. Abbiamo un bel malloppo di dati, qui.” Willie Lincoln,
detective per lo studio legale Nelson & Murdock, squadrò i presenti nella
sala delle visite, da Matt Murdock, il suo principale cliente, a Bonita e
Florida Juarez ed i dottori Burnstein e Temple. Era un po’ strano vederlo
fissare i presenti come se potesse vederci da dietro i suoi occhiali da cieco.
“Fernando ha avuto una
vita…movimentata. Droga, rapine, risse, furto con scasso…e prostituzione; oltre
a sei anni di prigione. Può avere preso il virus da un ago infetto, un cliente
o forse da un compagno di cella. E ha deciso di rendere la vita il più
miserabile possibile alle sorelle che più invidiava. Ma possiamo parlare solo
per ipotesi, ormai.
“Non sappiamo neppure come e
dove si sia procurato una valigia piena di soldi falsi…e non credo,
onestamente, che scoprirlo cambierebbe le cose più di tanto.”
Seduta sul letto, Florida
disse, “Lasciamolo riposare in pace, ora che l’ha trovata. Ho sentito
abbastanza, sul povero Fernando, e ha pagato per i suoi peccati in terra. Il
Signore deciderà cosa fare di lui, non altre indagini degli uomini. La
ringrazio molto, detective Lincoln, ed anche lei, avvocato, ma a meno che non
sia necessario, questa storia finisce qui.”
In silenzio, uno dopo l’altro,
tutti lasciarono la stanza. Rimasero solo le due sorelle Juarez ed il loro
dolore, espresso dall’abbraccio muto che si scambiarono.
Solo un’altra tragedia della
strada, solo un’altra storia di squallore, una di quelle curiosità per un
sordido tabloid o per un trafiletto sui quotidiani per soddisfare la morbosa
curiosità del Signor Smith di turno. Firebird era virtualmente una dea, ed
aveva imparato una nuova lezione di umiltà -a volte, semplicemente, nessun
potere può cambiare il corso della mera vita di tutti i giorni, con le sue
gioie ma anche con i suoi inevitabili dolori.