Cosa vi serve sapere: i malvagi dio Leone e dio Iena hanno cercato di
impadronirsi del Wakanda usando T’Shan, l’ambizioso cugino di T’Challa, Pantera
Nera in carica, che a causa di un oscuro incantesimo è stato trasformato
nell’avatar umano del dio Leone riuscendo a conquistare il Wakanda.
T’Challa ha guidato la resistenza
all’invasore ed alla fine ha sconfitto T’Shan che ora giace catatonico.
Traumatizzata per le violenze
subite, Monica Lynne ha annullato il matrimonio ed è tornata negli Stati Uniti.
A sorpresa T’Challa ha deciso di
abdicare, rinunciare al ruolo di Pantera Nera e lasciare il Wakanda.
S’Yan, zio di T’Challa e padre di
T’Shan, ha assunto la reggenza mentre viene organizzato il torneo che deciderà
chi sarà il nuovo sovrano. Due sono le domande che lo angustiano: chi sarà la
nuova Pantera Nera e che ne sarà di T’Challa.
Di
Carlo Monni & Carmelo Mobilia
(con
tanti ringraziamenti a Fabio Chiocchia)
Capitolo 10
La sfida della Pantera
Birnin
Zana, Capitale del Wakanda.
Il Wakanda era uno Stato dell’Africa Centrale
vicino al Kenya ed alla Tanzania. Era molto piccolo ma rivestiva comunque un ruolo
importante negli scenari geopolitici mondiali grazie al fatto che ospitava
l’unica riserva esistente in tutto il Pianeta di un metallo decisamente unico
al Mondo: il vibranio, che aveva la capacità di assorbire le vibrazioni e che
era la principale fonte della sua ricchezze.
Per secoli il Wakanda aveva resistito ad ogni
tentativo di conquistarlo, sia che venisse dalle tribù vicine che, in tempi più
recenti, dalle potenze coloniali europee. Tutti gli invasori avevano dovuto
desistere.
Il sovrano del Wakanda indossava abitualmente
un costume rituale e portava il titolo di Pantera Nera, un nome divenuto ben
noto in tutto il mondo grazie al fatto che il suo ultimo portatore era stato un
membro dei Vendicatori.
Di recente Re T’Challa si era visto privare del
suo trono ed aveva dovuto affrontare ordalie inimmaginabili al termine delle
quali, pur avendo trionfato sui suoi nemici, aveva scelto di non reclamare la
sua posizione perduta.[1]
Suo zio S’Yan aveva assunto la reggenza
mentre si preparava il complesso rituale che avrebbe designato il nuovo
sovrano, la nuova Pantera Nera.
S’Yan, un uomo alto, in perfetta forma
fisica, dai capelli e barba bianchi, osservava i suoi nipoti: l’impetuosa
Shuri, sorella minore di T’Challa, desiderosa di dimostrare di essere
all’altezza, se non superiore ai maschi della famiglia; Khanata, il corridore
automobilistico, playboy, apparentemente poco interessato ai doveri del Trono;
Joshua Itobo, il medico mingherlino e occhialuto che aveva scelto di dedicarsi
ai meno fortunati; M’Koni, che aveva passato molto tempo nei lontani Stati
Uniti e forse non era pronta ad onorare le antiche tradizioni. Sarebbe stato
uno di loro ad ereditare il manto della Pantera Nera? E ne sarebbe stato degno?
<So esattamente cosa stai pensando,
zio.> gli sussurrò un uomo interamente ricoperto da un attillato costume
bianco che sembrava il negativo di quello della Pantera Nera
Il suo vero nome nemmeno lui lo sapeva e
neanche gli interessava. Quando Re T’Chaka lo aveva estratto, ancora neonato
dalle rovine di un aereo precipitato nella jungla del Wakanda e lo aveva
adottato come figlio, lo aveva chiamato K’Winda, Cacciatore. Le ferree leggi
tribali wakandane gli avevano proibito di partecipare al rito della Pantera
Nera perché adottato e, lui ne era convinto, soprattutto perché bianco, un
difetto imperdonabile nella sciovinista società del Wakanda. Come consolazione
T’Chaka aveva creato per lui l’identità del Lupo Bianco e lo aveva messo a capo
degli Hatut Zeraze, la polizia segreta che fu sciolta da T’Challa quando salì
al trono. Solo di recente i due fratelli si erano riconciliati, forse troppo
tardi.
<Davvero?> ribatte S’Yan.
<Mi pare ovvio.> replica il Lupo Bianco
<Nessuno di loro è degno di essere la prossima Pantera Nera, lo sappiamo
entrambi. Tu lo saresti ed anche io, ma…>
<Io sono troppo vecchio. Il regno ha
bisogno di forze giovani. Quanto a te, sai bene che la legge consente solo ai
membri di sangue del Clan della Pantera di partecipare alle prove e tu sei solo
il figlio adottivo di mio fratello T’Chaka.>
<E sono anche bianco, questa è la vera
ragione.>
S’Yan sospirò. In fondo il suo nipote adottivo aveva ragione ma ammetterlo non avrebbe cambiato la situazione. K’Winda, Hunter, sarebbe rimasto il Lupo Bianco, non sarebbe stato lui la Prossima Pantera Nera. Chi sarebbe stato allora?
Manhattan,
New York City.
L’uomo che entrò nella sede del Dipartimento
Risorse Umane della Città di New York era alto, dal fisico scolpito, la pelle
color dell’ebano, occhi vivaci e penetranti, capelli corti e crespi ed il volto
incorniciato da una corta barba e baffi ben curati. Il suo arrivo attirò gli
sguardi di molte donne ed anche qualche uomo.
Entrò nell’ufficio del responsabile del
Distretto di Manhattan e si presentò:
<Mi chiamo Thomas Charlton e sono il nuovo
assistente sociale per Harlem.>
Il suo interlocutore esaminò le sue
credenziali e borbottò:
<Sembra tutto in ordine. Lei ha un
curriculum eccellente Mr. Charlton: ha fatto l’insegnante ed è pure esperto di
cultura africana.>
<Mia madre era sudafricana, ha stimolato
la mia curiosità.>
<Ah, questo spiega il suo strano accento.
Non riuscivo ad individuarlo. Lei prenderà il posto di uno dei nostri uomini
migliori: Sam Wilson. È entrato in politica ed ora è al Congresso. La aspetta
un compito impegnativo, mi creda.>
<Farò del mio meglio per essere alla sua
altezza.>
<Beh, non posso che augurarle buona
fortuna, Mr. Charlton.>
L’uomo che si faceva chiamare Thomas Charlton
abbozzò un sorriso e mentre stringeva la mano dell’altro uomo, non poteva fare
a meno di pensare che un po’ di fortuna era esattamente ciò di cui aveva
bisogno.
Harlem,
New York City.
La voce della giovane donna incantava letteralmente
lo scarno uditorio interamente composto da afroamericani come lei. Quando smise
di cantare l’applauso sorse spontaneo.
Il luogo era un night club di Harlem, il suo
proprietario aveva deciso di farne un locale vecchio stile con una cantante che
si esibiva dal vivo accompagnata da un’orchestra. Il proprietario in questione
possedeva un ristorante di lusso e vari altri locali in quella zona della
Grande Mela ma per quanto fossero redditizi, erano solo la copertura per la sua
vera attività: lo spaccio di droga e lo sfruttamento della prostituzione erano
le principali. Paul Hadley Morgan, infatti, era il boss del crimine organizzato
di Harlem.
La ragazza scese dal palco e si avvicinò
all’uomo in questione, alto, snello, ben vestito, attraente. Se solo non fosse
stato quel che era, pensò lei.
<Allora?> chiese con un leggero tremito
nella voce.
<Sarei un pazzo a non assumerla, Miss
Lynne.> rispose Morgan con un entusiasmo per lui decisamente insolito nella
voce <L’Harlem Club ha trovato la sua cantante.>
<Grazie. Avevo davvero bisogno di questo
lavoro dopo che…>
<Che il suo matrimonio col Re del Wakanda
è sfumato? Un'infelice circostanza, lo capisco, ma egoisticamente ammetto che
sono felice che sia tornata nella sua vera casa: i cari, vecchi Stati Uniti.>
<Ne sentivo la nostalgia, in effetti.>
ammise Monica Lynne.
<Sono anche felice che abbia scelto il mio
locale per il suo rientro sulle scene. Posso chiederle perché lo ha scelto a
proposito? Io non godo esattamente di una buona fama.>
<La sua offerta era molto allettante e
come le ho detto, ho davvero bisogno di lavorare.>
<Bene, sono ancora più felice di averla
ingaggiata. La sua presenza darà a questo locale il tocco di classe di cui ha
bisogno. Posso invitarla a cena per festeggiare il suo ingaggio?>
<Io… ma certo, ne sarò lieta.>
<Ottimo. Andiamo allora. Voglio la sua
opinione sul cuoco che ho assunto. Sa: io voglio sempre il meglio.>
Monica tacque, immersa in chissà quali
pensieri.
Ospedale
Centrale di Wakanda.
Scene come quelle, purtroppo, erano
maledettamente frequenti, negli ospedali africani ed in quel momento l’Ospedale
Centrale, pur essendo un centro all’avanguardia, non faceva eccezione.
Sembrava essere più un ospedale da campo che
civile. La lotta per sovvertire il colpo di Stato del Leone nero e il
ripristino dello status quo aveva fatto le sue vittime e centinaia di feriti.
Il Dottor Joshua Itobo si prendeva cura dei
feriti. Aveva combattuto per far cadere il tiranno, ma per lui la vera lotta
cominciava adesso, tra le corsie dell’ospedale, cercando di salvare più vite
possibile e curare i feriti.
Tra coloro che voleva salvare c’era anche,
paradossalmente, colui che aveva scatenato quell’inferno: suo cugino T’Shan
S’yan, l’avatar sulla terra scelto dallo spietato dio leone.
Oggi, liberato dallo spirito che lo
possedeva, questo cugino ribelle giaceva in uno stato di coma, con le funzioni
vitali ridotte al minimo.
<Come sta?> gli venne chiesto.
A porgli questa domanda era stato il Primo
Ministro N’Gassi, ma accanto a lui c’era anche suo zio S’Yan, il padre di
T’Shan, ed era evidente che la risposta importava più a lui.
<I parametri vitali sono al minimo ma si
sono stabilizzati. Vivrà.>
Cosa si può dire ad un uomo che vede la
propria carne del suo sangue giacere in un letto, immobile, ridotto
praticamente ad un vegetale? Nessuna lo avrebbe consolato.
<Forse sarebbe stato meglio se fosse
morto...> sospirò S’Yan, credendolo un atto di pietà verso il figlio
sofferente.
<Non sono d’accordo, zio. Io penso di
poterlo salvare. La natura del male che l’ha posseduto è di tipo mistico, ma
dal punto di vista medico non c’è nulla che mi faccia pensare che non possa
guarire, un giorno.>
La fiducia di Joshua gli donava una flebile
speranza.
<A proposito di ferite di natura
mistica> cambiò discorso N’Gassi <come sta l’altro paziente?> chiese.
<Stavo giusto andando a visitarlo. Venite
con me.>
Attraversarono un corridoio e giunsero in una
stanza, dove vi trovarono anche il mistico Mendinao.
<Anche questo paziente riporta ferite
mistiche, che non sono il mio campo, per cui ho chiesto aiuto ad un amico.>
Salutato l’anziano sciamano, si dedicarono al
malato.
<Come stai, Jiru?> chiese N’Gassi.
<Bene, maestro. Sono ancora un po’ debole
ma va meglio. Quella scossa con cui sono stato colpito[2] aveva portato le mie forze allo
stremo... come in un’attraversata del deserto. Ma grazie alle cure del dottor
Itobo, mi sto riprendendo.>
<Lo spirito della Jungla è dentro di lui e
lo sta guarendo velocemente.> disse Mendinao.
<Sono contento.> disse S’Yan <Perché
non appena sarai in grado di stare in piedi, ti attendiamo a Palazzo Reale. Ci
sono grandi novità per te. Ti attende la giusta ricompensa per la tua lealtà e
il tuo atto di coraggio.>
<Sono onorato, mio signore.> rispose
Jiru, facendo un lieve inchino col capo.
<Il che mi riposta a te, Joshua. C’è un
nuovo torneo per la scelta della Pantera Nera. Come membro della famiglia reale
e del Clan della Pantera, mi aspetto la tua partecipazione.>
<Spiacente di deluderti, zio, ma devo
declinare. Non sono un grande combattente. Non mi sento in grado di poter
gareggiare al torneo. Il mio posto è qui. Questo è il mio campo di battaglia.
E’ qui che le mie abilità servono maggiormente.>
Constatando in che stato era tutte le corsie
dell’ospedale, nessuno se la sentì di contraddirlo.
Harlem,
New York City.
Il tasso di criminalità a Harlem era ancora
il più alto della città per quanto fosse in discesa. Merito della
riqualificazione urbana e dell’efficienza della Polizia certamente, ma qualcuno
sosteneva che fosse anche merito del supereroe chiamato Falcon. Ormai, però,
Falcon si vedeva sempre più di rado e il violento vigilante che i media avevano
chiamato Cacciatore Notturno era stato di recente assicurato alla giustizia.[3] Qualcuno
si sentiva autorizzato a riprendersi le strade di Harlem, avrebbe scoperto di
essersi sbagliato.
Il mercato della droga era cambiato, andavano
di moda le metamfetamine, droghe sintetiche facili da preparare se si avevano
le giuste nozioni di chimica e facili da smerciare.
Il furgoncino senza insegne e la targa
oscurata entrò in un piccolo magazzino e gli si avvicinarono due afroamericani
uno dei quali apostrofò l’autista:
<Ce ne avete messo di tempo!>
<Il traffico.> provò a scusarsi
l’altro.
<Certo, certo. Su, non perdiamo tempo.
Facci vedere la merce.>
L’autista e un altro uomo, entrambi
afroamericani come il resto dei presenti, scesero dal furgone e lo aprirono sul
retro.
<La roba migliore che i soldi di Morgan
possono comprare.> disse l’autista.
<Attento a non far nomi.> lo rimproverò
l’altro <Te l’ho detto tante volte.>
Improvvisamente le luci si spensero ed una
voce risuonò nelle tenebre:
<Ma a me i nomi interessano parecchio.
Perché non me ne dite anche altri?>
I gangster si voltarono verso il suono della
voce ma non videro nulla… a parte due occhi che brillavano nel buio. La loro
reazione fu immediata e prevedibile: spararono e i loro colpi si persero nelle
tenebre.
<Lo abbiamo preso?>
<Qualcuno faccia luce, presto!>
Il fascio di luce di una torcia elettrica
illuminò la zona davanti ai gangster ma non c’era nulla.
<Ma dov’è finito?>
Alle loro spalle un uomo si ritrovò due forti
braccia alla sua gola e senza riuscire ad emettere un grido fu trascinato in
una zona d’ombra.
<Ehi dov’è finito Mark?>
<È qui con me, venite a raggiungerlo.>
Ancora la voce misteriosa ed ancora una volta
gli uomini spararono. L’eco degli spari si era appena spenta che dalle tenebre
una figura balzò verso di loro.
Difficile distinguerne poco più dei contorni.
I gangster riuscirono a stento a capire che indossava un costume quasi
certamente nero. Si muoveva velocissimo e con un’agilità sovrumana. Sfuggì ai
colpi dei suoi avversari ma loro furono abbattuti uno dopo l’altro dai suoi
pugni e calci.
<Un maledetto supereroe.>
borbottò<uno dei gangster <Come se non ce ne fossero già abbastanza.
Fatti vedere, fottuto bastardo!>
<Eccomi.> disse l’altro avanzando verso
di lui.
La luce della luna illuminò una figura
atletica che indossava una calzamaglia scura. Una maschera gli copriva
interamente il volto ed aveva due appendici simili alle orecchie di un felino.
<Sono qui.> disse ancora <Nel caso
non te ne fossi accorto, sei rimasto solo quindi sarà bene per te non sbagliare
il colpo o altrimenti…>
L’uomo in costume lasciò in sospeso la frase
mentre il suo antagonista stringeva il dito sul grilletto del suo mitra ma
prima che potesse sparare il suo polso fu stretto in una presa ferrea. L’arma
gli cadde inevitabilmente di mano.
<Ed ora mi dirai un sacco di cose.>
<Fottiti.>
L’uomo in costume torse il polso all’altro
che urlò.
<Posso farti ancora più male se non mi
dici quel che voglio sapere.>
Pochi minuti dopo, preceduta dal suono delle
sirene, una squadra SWAT del 28° Distretto irruppe nel magazzino ma trovò solo
il furgone ancora carico e una decina di gangster stesi a terra.
Federazione
Panafricana.
La proclamazione del nuovo Stato era avvenuta
con successo e Joshua N’Dingi, da molti chiamato Dottor Crocodile, aveva
assunto l’incarico di Presidente ad interim in attesa delle prime elezioni
generali che non dubitava di vincere. Il suo sogno di unire i piccoli stati
della zona dei Grandi Laghi in un ‘unica, potente entità stava per realizzarsi.
Per ora della Federazione facevano parte solo il suo natio Mbangawi, la ex Rudyarda,
ora ribattezzata Kitara, e il Dabar, la cui ex presidentessa, ora governatrice,
Akua Kirabo, camminava al suo fianco mentre raggiungevano una palestra dove un
uomo alto e muscoloso stava supervisionando un intenso allenamento.
Si voltò verso i nuovi arrivati mostrando un
volto su cui era stato tatuato un teschio bianco. Crocodile fece una smorfia
che sul suo volto devastato poteva essere interpretata come un sorriso. Raoul
Bushman conosceva il valore ed il potere dei simboli per i popoli di quella
zona del mondo.
<Siete venuti a vedere i progressi della
mia squadra d’assalto?> chiese con un tono che era uhn misto di arroganza e
strafottenza.
Crocodile non ritenne di dover rispondere,
invece squadrò i membri di quello speciale commando: tutti africani ovviamente
e tra loro anche delle donne: le Leonesse del Dabar, l’èlite guerriera tutta al
femminile che aveva portato Akua Kirabo al potere nell’omonimo Stato ora parte
della Federazione ed anche due guerriere molto speciali che Bushman aveva
scelto personalmente. Crocodile aveva approvato quella scelta senza riserve.
<Mi auguro che siano pronti perché ho
inviato ai governi degli Stati vicini l’invito ad unirsi pacificamente alla Federazione e se
risponderanno di no, dovremo invaderli.>
<Il Wakanda non
accetterà di sicuro.> replicò Bushman.
<E nemmeno ho
provato a chiederglielo ma in questo momento il Wakanda è debole, senza un capo
carismatico a guidarlo dopo la morte di T’Challa. Non riuscirà a fermarci ed
anche se ci provasse… abbiamo le nostre carte da giocare.>
Fissò una giovane
donna che fece un cenno di assenso.
Birnin
Zana, Capitale del Wakanda, Palazzo Reale.
Shuri era seduta in meditazione davanti ad un
braciere, le gambe nella posizione del loto.
Era la più giovane dei figli di T’Chaka e
quasi non ricordava suo padre, era troppo piccola quando era stato ucciso da
Ulysses Klaw.[4]
Proprio come i suoi fratelli, era stata
mandata a studiare nelle migliori scuole d’Europa e degli Stati Uniti e solo di
recente era tornata a casa. Era dispiaciuta per la decisione di T’Challa di
rinunciare al Trono, ma non intendeva farsi sfuggire l’occasione di diventare
la prima donna a ricoprire il ruolo di Pantera Nera.
Quella wakandana era una società ancora
troppa legata a tradizioni ormai superate, le cose dovevano cambiare.
<So esattamente come ti senti.>
A parlare era stata una donna dal fisico
imponente che dimostrava tra i cinquanta e i sessant’anni che vestiva l’abito
tradizionale delle donne wakandane. Era appena entrata nel salone.
<Davvero, Zuni?> le chiese Shuri
voltando la testa verso di lei.
<Tu non eri ancora nata quando osai
avanzare la pretesa di partecipare alla sfida delle pantere.>
<Tu? Lo avevo sentito raccontare ma…>
Zuni fece una smorfia e proseguì:
<Ti sembrerà difficile da credere ma
all’epoca riempivo molto bene un costumino attillato come quello che indossi tu
ora e avevo anche parecchi spasimanti, ma questo non ha importanza adesso, quel
che conta è che sfidai la tradizione e partecipai guadagnandomi il diritto di
essere una Pantera sostituta, la prima donna a farlo e la prima a
riuscirci.>
<E la morale quale sarebbe?>
<È molto semplice: se ci credi davvero,
vai là fuori e vinci. Puoi farcela.>
<E lo farò.> fu la decisa risposta
della ragazza.
In
un’altra ala del palazzo.
In un'altra ala del palazzo, si teneva una
conversazione molto simile.
Nella palestra reale un altro partecipante al
torneo, Khanata, si stava allenando.
Pugno e piedi fasciati come un atleta di Muai
Thai, colpiva il sacco ripetutamente.
<Sei in gran forma> notò il Primo
Ministro N’Gassi <Ma d'altronde lo sei sempre stato, fin da ragazzo. Ricordo
come fosse ieri come potevi essere il primo calciatore professionista
wakandano, da ragazzo. Diverse squadre europee ti volevano. Ma tu
declinasti.>
<Le corse erano la mia passione>
rispose il ragazzo <Fui uno dei più giovani partecipanti alla Parigi-
Dakar.>
<Già. Anche allora le questioni reali non
ti interessavano> sospirò il vecchio.
<Le cose sono cambiate quando anni fa,
quando ci fu quella faccenda con Jakarra e dovemmo formare i... moschettieri
neri.[5] Da allora ho preso lezioni di arti
marziali in attesa di... giorni come questi.>
<Finalmente sei sbocciato, Khanata. Meglio
tardi che mai.> sorrise N’Gassi.
<Se vincerò io, se salirò sul trono, ho
intenzione di fare alcuni cambiamenti drastici al nostro paese, specie nella
scena internazionale.>
<Sarebbe a dire?> chiese curioso il
ministro.
<Ospitare i Mondiali di calcio, le
Olimpiadi e il Gran Premio di Formula Uno tanto per cominciare.>
N’Gassi sorrise.
<Mi rimangio la mia ultima affermazione:
non sei affatto cambiato.>
Da
un’altra parte.
Il suo nome era M’Koni ed era anche lei un
membro della Famiglia Reale, figlia di uno dei fratelli minori del defunto Re
T’Chaka. Come tanti rampolli delle più recenti generazioni wakandane era stata
mandata a studiare all’estero e qui aveva conosciuto un pilota di aerei
afroamericano di nome Martin Wheeler se ne era innamorata e contro il parere
dell’allora Reggente, suo zio N’Baza, ma con l’approvazione di T’Challa,
l’aveva sposato. Dopo l’ascesa al trono di T’Challa, Wheeler era diventato per
qualche tempo, unico straniero, pilota dei caccia dell’Aviazione Wakandana. Il
clima di ostilità verso gli stranieri anche tra i suoi compagni lo aveva spinto
a dimettersi ed i due sposi erano andati a vivere con lui negli Stati Uniti
dove M’Koni aveva assunto il nome di Mary. Per un po’ era andato tutto bene:
era nato un figlio, Billy, e Wheeler aveva un buon lavoro poi si era lasciato
divorare dal demone del gioco e si era indebitato fino al collo con pericolosi
strozzini. Solo l’intervento di T’Challa e del supereroe americano Devil aveva
risolto la situazione.[6]
Wheeler ci aveva messo impegno nel cercare di
liberarsi dal vizio del gioco ma ormai qualcosa si era irrimediabilmente rotto
tra lui e Mary ed alla fine lei aveva deciso di divorziare. Subito dopo il
divorzio era partita per il Wakanda con il figlio ridiventando M’Koni e
riprendendo il posto che era suo di diritto nella Famiglia Reale e dandolo
anche a Billy.
Ora il destino aveva deciso di darle
un’occasione di competere per il trono ma era davvero quello che voleva? Gli
altri non erano forse più meritevoli di lei?
Doveva decidere anche per il bene di Billy ed
era la sola cosa importante per lei.
Appartamenti
privati della Regina Madre.
Ramonda, vedova di T’Chaka, stava cenando
assieme al cognato S’Yan ed ognuno di loro sembrava poco interessato al cibo
che veniva loro servito.
Alla fine fu S’Yan a rompere il silenzio:
<A cosa stai pensando, Ramonda?>
<Non lo immagini?> replicò lei
<Questa famiglia ha conosciuto molti lutti: io sono stata rapita da un
pazzoide bianco che si era innamorato dime e mi ha tenuto sua prigioniera er
quasi vent’anni, la morte violenta di T’Chaka, Jakarra mutato in mostro dal
vibranio, T’Shan posseduto da un demone, T’Challa che se n’è andato e ora Shuri
che vuol competere per il trono. ..>
<E questo è male?>
<Potrebbe essere un’ottima regina, e non lo
dico solo perché sono sua madre, ma è impulsiva ed io ho paura che questo le
costi caro.>
<Andrà tutto bene, vedrai.>
S’Yan allungò una mano a sfiorare quella di
Ramonda.
Harlem,
New York City.
Boss Morgan rientrò nel suo ufficio e si
versò un bicchiere di un costosissima scotch importato direttamente dalla
Scozia.
La perdita di un carico di droga era un
disgraziato incidente ma senza troppe conseguenze in fondo. Ai suoi uomini in
carcere avrebbero pensato Big Ben Donovan[7] ed il
suo staff. Tutti quelli che erano sul suo libro paga sapevano che non era
consigliabile tradirlo.
Improvvisamente le luci si spensero.
<Ma che ca…?> esclamò Morgan.
<Opera mia.>
La voce sembrò uscire dal buio, lo stesso
buio in cui sembravano brillare due occhi gialli.
<Inutile chiamare i tuoi uomini. Ho già
pensato a loro.>
<Che cosa gli hai fatto?>
<Diciamo che li ho messi a dormire ma non
preoccuparti: si risveglieranno solo con un po’ di mal di testa.>
La luce della luna illuminò un uomo rivestito
da capo a piedi da un costume nero come una notte senza luna. La maschera che
indossava ricordav il muso di un felino.
<Pantera Nera?> esclamò Morgan
<Avevo sentito che eri morto in Africa. Notizia esagerata come al solito,
immagino.>
<Chi ha detto che sono T’Challa?>
ribattè l’altro <Lui non aveva il tempo di occuparsi di quelli come te ma io
sono diverso. Se vuoi un nome, chiamami Leopardo Nero.>
<Un leopardo e una pantera sono la stessa
cosa.>
<Ovvero: pericolosi. Sono venuto a dirti
che se pensavi di stare più tranquillo ora che Falcon si è trasferito a
Washington, ti sbagliavi, ci sono io adesso e non ti darò tregua.>
<Sono stato minacciato da esperti.>
<Te l’ho detto: io sono diverso.>
Il vigilante che si faceva chiamare Leopardo
Nero fece un passo indietro e fu di nuovo avvolto dalle tenebre. Pochi attimi
dopo le luci si riaccesero ma la stanza era vuota. Morgan non ne fu affatto
sorpreso.
Wakanda.
La grande statua di una pantera nera dominava l’arena dove
i contendenti all’onore e l’onere di essere la prossima Pantera Nera
attendevano. Tutti indossavano il costume rituale, sia pure con qualche
variante. Tutti indossavano la maschera che copriva loro la faccia affinché
fosse impossibile identificarli, tuttavia era altrettanto impossibile non
capire che due di loro erano donne.
Il Principe Reggente S’Yan, anche lui col
costume da Pantera Nera ma a capo scoperto, raggiunse su un palco la Regina
Madre Ramonda ed il Primo Ministro N’Gassi, entrambi indossavano i vestiti
tradizionali wakandani. Ramonda cercava di nascondere il suo nervosismo per il
fatto che sua figlia Shuri era una degli sfidanti. Rompendo per un attimo il
protocollo S’Yan le strinse affettuosamente la mano e lei abbozzò un sorriso.
Con voce stentorea S’Yan si rivolse alle
aspiranti Pantere Nere sotto di lui:
<Che il torneo abbia inizio!>
Chi avesse pensato che l’addestramento dei
corpi speciali delle Forze Armate di certe nazioni fosse durissimo, era perché
non aveva idea di quanto lo fosse quello per diventare Pantere Nere. Ogni
membro della famiglia reale era sottoposto sin dalla più tenera età ad
allenamenti severissimi accompagnati dall’assunzione di certe erbe e pozioni il
cui scopo era acuire le facoltà fisiche e le percezioni sensoriali. C’erano
anche rituali di natura mistico-religiosa ma c’era anche chi sosteneva che non
avessero una reale influenza sullo sviluppo delle capacità sovrumane delle
Pantere Nere.
Tutti gli sfidanti si erano sottoposti a
quelle prove e le avevano superate. Nessuno di loro, però, aveva avuto il
diritto di accedere all’ultima prova, quella riservata a chi si era guadagnato
il diritto di essere la vera Pantera Nera.
S’Yan ricordava ancora con nostalgia ed un
pizzico di invidia il giorno in cui aveva visto suo fratello maggiore T’Chaka
partire verso il Monte Wakanda, un viaggio di cui al ritorno non aveva voluto
parlare portandosi nella tomba segreti che solo suo figlio T’Challa avrebbe
scoperto quando venne il suo turno. Presto un altro avrebbe intrapreso di nuovo
quel viaggio, ma chi?
La prima prova era poco più che un
riscaldamento e tutti l’avevano superata senza grossi problemi, ma il meglio
doveva ancora venire.
Ciascuno degli aspiranti si trovava di fronte
un guerriero tra i più forti dell’èlite guerriera della piccola nazione, uomini
in grado di uccidere con tutti i mezzi conosciuti e qualcuno anche inventato
sul momento.
<Le regole sono semplici.> dice S’Yan
<Avete cinque minuti per sconfiggere il vostro avversario. Voi potete usare
solo le vostre abilità naturali mentre il vostro avversario può usare qualunque
mezzo leale o sleale per vincere. La sfida comincia ora!>
Pochi avrebbero dato a Joshua Itobo una
chance di vincere: era mingherlino, quasi senza muscoli, miope, chi avrebbe mai
potuto pensare che avrebbe potuto battere un soldato esperto? Joshua aveva
preferito lasciare le incombenze della famiglia reale ai suoi cugini per
dedicarsi anima e corpo alla professione medica ma sapeva bene quali erano i
doveri di una Pantera Nera ed alla fine, sia pure con riluttanza, aveva
accettato di partecipare al torneo..
Evitò i primi colpi del suo antagonista
sferrati di piatto con una lancia dimostrando che gli anni non avevano
intaccato la sua agilità. Sorprese il suo avversario scattando verso l’alto e
facendo un salto mortale per poi ricadere stringendolo al collo e facendogli
perdere l’equilibrio. Caddero a terra e Joshua rotolò lontano mentre l’altro
batte la testa e non si rialzò
Il primo round era di Joshua Itobo.
Harlem,
New York City.
Il Sergente Francis Tork era una specie rara
a Harlem: un poliziotto bianco. Era anche un tipo particolare: portava i
capelli lunghi e baffoni spioventi e come arma di dotazione preferiva uno
shotgun a canne mozze. Il suo carattere difficile gli era costato un paio di
retrocessioni e trasferimenti.
Al momento stava interrogando uno degli
uomini arrestati in un magazzino pieno di droga.
<Quello che vorrei sapere è: chi ha steso
te ed i tuoi compari.> disse.
<Non ho nulla da dire senza la presenza
del mio avvocato.> ribattè l’altro.
Stessa litania degli altri. Morgan li aveva
indottrinati davvero bene. Una cosa sembrava certa però: c’era un nuovo
vigilante a Harlem e presto o tardi si sarebbe capito se questo era un bene o
un male.
Wakanda.
M’Koni era stata assente dal Wakanda per anni
e non erano pochi quelli che pensavano che fosse inadatta a fare la Regina, lei
stessa, ad essere onesti, ne dubitava ma era comunque un membro della famiglia
reale e non si era sottratta al suo dovere.
Adesso era in piedi dopo aver superato la
prova dei guerrieri. Il suo costume era lacerato in più punti e piccole ferite
ne segnavano la carne. Fece un paio di passi avanti e sussurrò:
<Ho vinto.>
Poi ripetè ad alta voce:
<Ho vinto!>
Le gambe le cedettero improvvisamente e lei
piombò al suolo.
Harlem,
New York City.
I tempi erano cambiati. La politica di tolleranza zero del Dipartimento
di Polizia di New York, unita all’attività dei cosiddetti supereroi in costume,
aveva ridotto di parecchio l’attività criminale nella Grande Mela.
Ultimamente una vera e propria guerra per il predominio tra le bande
criminali cittadine sembrava scuotere l’equilibrio che si era creato.[8]
Ma le cose stavano tornando verso una qualche forma di normalità… il che,
ovviamente, non impediva che le cose brutte accadessero ancora.
Harlem era uno dei pochi posti in controtendenza rispetto al resto
della città: le statistiche mostravano un incremento del 17% dei crimini e che
la maggior causa di morte tra i giovani era ancora l’omicidio.
Il luogo era un drugstore aperto sino a tarda notte preso spesso di
mira dai rapinatori. Questa era una di quelle sere ma stavolta c’era qualcosa
di diverso. Quando il Sergente Tork arrivò nel negozio trovò tre tizi stesi a
terra e delle armi radunate in un angolo.
<Che diavolo è successo qui?> chiese.
<Questi tipi volevano rapinarmi…> spiegò il gestore del negozio
<… poi è arrivato questo tizio. Indossava un costume nero come la notte.
Aveva una maschera con orecchie come quelle di un gatto che gli copriva
interamente la faccia. Si vedevano solo gli occhi ma sono sicuro che fosse un
fratello.>[9]
Tork, che era bianco, fece un cenno col capo poi e invitò l’uomo a
proseguire.
<Non c’è molto da dire: era agilissimo, si muoveva come il fulmine e
li ha stesi tutti in un batter d’occhio.>
<Ha detto niente?>
<Nulla. Era decisamente il tipo forte e silenzioso.>
Tork ringraziò l’uomo e mentre i suoi agenti prendevano in custodia i
criminali, si avviò alla sua auto. Durante il tragitto verso il 28° Distretto
rimuginò su quanto gli era stato raccontato. Come già sospettava, c’era un
nuovo vigilante a Harlem, uno meno violento del Cacciatore Notturno
recentemente catturato, il che era comunque una buona notizia.
Ci stava ancora pensando quando, finito il suo turno, si avviò verso la
sua auto per tornare a casa ed improvvisamente una figura uscì dall’ombra
balzando sul tettuccio della vettura.
<Non si allarmi, Sergente Tork.> disse <Sono un amico >
<Non sono tipo da allarmarmi facilmente.> ribattè Tork
apparentemente tranquillo <Tu chi saresti? Il tuo costume è simile a quello
della Pantera Nera, sei lui?>
<T’Challa è morto ed una nuova Pantera Nera sarà presto scelta a
Wakanda. Quel nome non spetta a me. Se ne vuole uno, può chiamarmi Leopardo
Nero.>
<Leopardo è un altro nome per la pantera e T’Challa l’ha anche usato
per un po’ di tempo.[10]
Se non sei lui, che legame avete?>
<Questo non ha importanza, quello che ha veramente importanza è che
sono qui per proteggere gli abitanti del quartiere e se ci sarà bisogno di
aiuto, io ci sarò.>
Un balzo ed il cosiddetto Leopardo Nero scomparve tra le tenebre
lasciando Tork a porsi delle domande destinate a non avere risposte almeno per
il momento.
Birnin Zana,
Capitale del Wakanda, Palazzo Reale.
Il Principe Reggente S’Yan rientrò nel suo
appartamento dopo una dura giornata, la prima del torneo per scegliere la nuova
Pantera Nera. L’indomani i candidati rimasti in gara, per così dire, avrebbero
affrontato le prove più difficili.
Era vestito all’occidentale e la prima cosa
che fece entrando, fu allentare il nodo della cravatta. Stava anche per
accendere la luce quando si fermò. I suoi sensi affinati da anni di pratica
avevano sentito una presenza.
<Che ci fai qui?> chiese senza
scomporsi.
Dall’ombra uscì un uomo che indossava un
costume bianco molto simile a quello della Pantera Nera.
<Dobbiamo parlare, zio.> disse il Lupo
Bianco..
Harlem,
New York City.
In un night club aperto da poco una giovane
donna afroamericana molto attraente finì di cantare e l'applauso scattò
spontaneo e fragoroso.
<La tua ragazza ha avuto un successo
piuttosto evidente, direi.> affermò un uomo alto e massiccio rivolgendosi
all'uomo seduto al suo fianco.
<Non è la mia ragazza, non nel senso che
piacerebbe a me almeno.> ribattè Morgan, boss del Crimine Organizzato di
Harlem <Ma su una cosa hai ragione, Big Ben: Monica Lynne è davvero brava ed
è per questo che l'ho assunta. Grazie a lei questo locale guadagnerà la
reputazione di cui ha... di cui anch'io ho bisogno.>
<Lo sai chi è, vero? Chi avrebbe dovuto
sposare?> ribattè l'avvocato Big Ben Donovan.
<E chi non lo sa? Pantera Nera, il Re del
Wakanda, ma a quanto pare è morto, ucciso da un pretendente che poi è morto a
sua volta.[11]
Niente matrimonio e lei è tornata negli Stati Uniti con la necessità di
guadagnarsi da vivere.>
<Sicuro che Re T'Challa sia morto? C'è chi
dice di averlo avvistato in città quando c'è stata quell'invasione aliena.>[12]
<In quella confusione hanno perfino
avvistato Elvis, quindi chissà? Magari era uno dei suoi sostituti o...>
<O...?>
<Nulla, nulla.> rispose, evasivo,
Morgan. Per il momento preferiva tacere sulla visita che aveva ricevuto da
parte del misterioso vigilante che si faceva chiamare Leopardo Nero. Diceva di
non avere nulla a che fare con la Pantera Nera ma era difficile crederci.
Proprio quando Falcon si vedeva sempre meno a Harlem, ci mancava proprio che
spuntasse un altro cosiddetto benefattore in costume.
Morgan abbandonò questi pensieri e sfoderò
uno dei suoi migliori sorrisi mentre Monica Lynne si avvicinava al suo tavolo.
Birnin Zana,
Capitale del Wakanda, Palazzo Reale
Il Principe Khanata guardò dalla terrazza del
suo appartamento il panorama della capitale del Wakanda, sintesi quasi perfetta
di architettura avveniristica e tradizione, il simbolo della nazione stessa e
delle sue contraddizioni.
Khanata avrebbe preferito di gran lunga
continuare ad occuparsi della sua casa automobilistica e delle corse ma non
aveva potuto sottrarsi ai doveri che gli derivavano dall’essere il primo in
linea di successione al trono. Rinunciare non era un’opzione contemplabile.
Stava riflettendo su questo quando
dall’interno della stanza arrivò un grido. Khanata si voltò istintivamente ed
in quel momento due guerrieri mascherati balzarono sul terrazzo con pugnali
nelle mani.
La reazione del membro del Clan della Pantera
fu rapida, presumibilmente più di quanto i suoi assalitori si aspettassero.
<Credevate che fossi una preda facile?>
disse loro mentre sferrava un calcio al mento di uno di loro <Sono pur
sempre uno dei Moschettieri Neri.>
Il secondo aggressore tentò di pugnalarlo
alle spalle ma lui si girò di scatto, gli afferrò il polso e glielo torse
sbilanciandolo. Con un grido l’uomo piombò oltre il terrazzo e si schiantò al
suolo.
Khanata si assicurò che l’altro aggressore
fosse svenuto e volse lo sguardo verso una bella ragazza dalla pelle ambrata
che stava uscendo sul terrazzo.
<Immagino che abbiano tentato di fare la
pelle anche a te.> le disse.
La ragazza piegò le labbra in un sorrisetto.
<Non immaginavano che io fossi una Dora
Milaje[13] addetta
alla tua persona, mio Principe.> rispose <Erano a terra prima di poter
capire perché.>
<Li hai uccisi?>
<Non dovevo farlo?>
<Speravo che potessero dirci chi li ha
mandati.>
<Portano tatuaggi coi simboli del culto
del Gorilla Bianco.>
<Non fidarti mai delle apparenze, Folami,
possono essere ingannevoli. Per fortuna ce n’è rimasto uno e sono certo che
W’Kabi[14] saprà
farlo cantare.>
<E perché dovrebbe interessarci se conosce
delle canzoni?>
Khanata ridacchiò e rispose:
<È un modo di dire che ho imparato in
Europa. Vuol dire farlo parlare.>
La ragazza di nome Folami si chinò sull’uomo
a terra e dice:
<Quest’uomo è morto.>
<Non è possibile!> esclamò Khanata
<Non posso averlo colpito così forte da ucciderlo.>
<Ha della bava alla bocca. Ha sicuramente
ingerito del veleno.>
Khanata era sconcertato. Cosa stava
succedendo?
Harlem, New York City.
Un vecchio proverbio afferma che è sempre più
buio prima dell’alba ed era proprio in queste ore che certe imprese criminali
trovavano il momento più favorevole in un posto come Harlem.
Il gruppetto di spacciatori pensava di avere
vita facile, poi era arrivato il vigilante in costume che si faceva chiamare
Leopardo Nero ed il risultato del breve scontro era stato: tre uomini a terra e
due ragazzi, potenziali acquirenti, in piedi anche se un po’ scossi.
<Filate!> intimò il Leopardo Nero e
loro non se lo fecero ripetere due volte.
Alle spalle dell’uomo in costume nero, uno
degli spacciatori non era svenuto ed aveva estratto una pistola. L’altro se
n’era accorto e non era preoccupato.
Prima che potesse voltarsi, però, qualcosa
fendette l’aria con un sibilo ed una freccia si conficcò nella mano armata del
suo nemico strappandogli un urlo.
Il Leopardo Nero riconobbe la freccia, sapeva
a chi apparteneva. Alzò la testa nella direzione da cui era arrivato il dardo e
poi, con un gesto deciso, lo estrasse dalla mano dell’afroamericano, incurante
del fatto che così facendo lacerava tendini e muscoli forse in modo
irreversibile. La sua pietà non era per quelli come lui.
Si lasciò alle spalle l’uomo svenuto per il
dolore e balzò verso un vicino palazzo. In pochi minuti era sul tetto, dove lo
attendeva una giovane donna dalla pelle color ebano, molto attraente, dal
fisico flessuoso come una gazzella, che indossava un abito rosso corto ed
attillato. A tracolla portava un arco ed una faretra colma di frecce.
<Okoye>- mormorò lui.
<Mio Signore.> replicò lei con un
inchino.
<Non sono più il tuo Signore e tu non devi
seguirmi. Scommetto che è stata un’idea di Omoro, quel vecchio furfante.>
<Ho lasciato le Dora Milaje ed ora non ho
più obblighi se non quelli che mi detta il mio onore.> replicò la ragazza di
nome Okoye <Questa città, questo quartiere, mi piacciono. Credo che ci
resterò. Immagino che questo voglia dire che le nostre strade si incroceranno
spesso.>
Il Leopardo Nero sospirò.
Wakanda.
L’uomo serrò
istintivamente le labbra. Colui che aveva davanti intimoriva perfino uno come
lui. A volte dubitava che si tratti davvero di un essere umano e non di un
demone proveniente da qualche inferno.
<Domani si
svolgerà l’ultimo atto della sfida per decidere chi tra gli aspiranti sarà la
nuova Pantera Nera.> disse il misterioso individuo <Attendi che sia
proclamato il vincitore, chiunque sia, e poi… uccidilo davanti a tutti.>
<Anche se fosse
la ragazza?>
<Soprattutto se
fosse la ragazza. Nessuno dei figli di T’Chaka deve rimanere in vita,
nessuno!>
La risata che seguì
gelò il sangue anche allo scafato mercenario.
CONTINUA
NOTE
DEGLI AUTORI
Episodio
anomalo, questo, come pure i prossimi due, in cui si rinarrano sostanzialmente
avvenimenti già narrati Marvel Knights #95/97, #99/102 e 106 aggiungendo
materiale nuovo in modo da creare un ponte tra gli eventi narrati sino al n. 9
e quelli che vedrete dal n. 13.
Ma ora veniamo alle note vere e proprie:
1)
L’idea di sostituire T’Challa come Re di
Wakanda, mi è venuta da varie fonti. In realtà mi interessava soprattutto come
se la sarebbe cavata T’Challa privato di tutti i vantaggi dell’essere la
Pantera Nera. Qualcosa del genere si è visto nel breve ciclo di Pantera Nera di
David Liss & Francesco Francavilla ma spero che troverete il mio approccio
un po’ diverso.
2)
Per
brevissimo tempo, tra il febbraio ed il novembre 1972, T’Challa decise di farsi
chiamare Leopardo Nero per non essere confuso col Partito delle Pantere Nere,
che predicava l’azione violenta a favore dei diritti civili degli
afroamericani. La cosa è ironica se si pensa che nelle lingue africane il
termine “pantera” non esiste. Pantera era il nome di un felino mitologico
predatore di tutte le belve e cavalcatura favorita di Dioniso. Dal Greco il
termine è passato al Latine poi a tutte le lingue europee. Nelle lingue
africane, quindi, c’è solo il Leopardo Nero.
3)
Mary,
M’Koni, Wheeler è un personaggio creato da Ann Nocenti & Chuck Patton su
Daredevil Vol. 1° #245 datato agosto 1987.
4)
Francis
Tork è stato creato da Jim Owsley, alias Christopher Priest, & Paul Smith
su Falcon #1 datato novembre 1983.
5)
Folami
è stata creata da Roxane Gay & Alitha Martinez su Black Panther: World of
Wakanda #1 datato gennaio 2017.
6)
Akua
Kirabo, il Dabar e le Leonesse del Dabar sono tutte creazioni originali di
Valerio Pastore da Campioni MIT #29 del maggio 2010.
Nel prossimo episodio:
prosegue la saga del Leopardo Nero, qualcuno emerge vincitore dal torneo e
parecchie altre cose accadono.
Carlo e Carmelo
[1] Un riassunto fin troppo succinto di eventi narrati su Pantera Nera #1/9.
[2] Nel numero scorso.
[3] Su Capitan America #89.
[4] Un evento narrato per la prima volta su Fantastic Four Vol. 1° #53 (Prima edizione italiana Fantastici Quattro, Corno, #49).
[5] Black Panther Vol. 1°
#7/10.
[6] Su Daredevil Vol 1° #245
(in Italia su Fantastici Quattro, Star Comics, #52)
[7] L’avvocato di Morgan.
[8] E ne sapreste qualcosa se foste lettori di Capitan America, Devil e Occhio di Falco.
[9] Modo colloquiale con cui gli afroamericani si chiamano fra di sé.
[10] Tra Fantastic Four Vol. 1° #1119 (in Italia su Fantastici Quattro, Corno, #117 ed Avengers Vol. 1° #105 (In Italia su Thor, Corno, #115).
[11] Questa è la versione ufficiale ma noi sappiamo che non è andata esattamente così.
[12] Vista su Vendicatori 99/199, Vendicatori Costa Ovest #37 e Avengers Icons #45.
[13] Guardie del Corpo del sovrano di Wakanda, tutte donne e guerriere formidabili.
[14] Il Ministro della Sicurezza e Capo dei servizi segreti wakandani.