Cosa vi serve sapere: i malvagi dio Leone e dio Iena hanno cercato di impadronirsi del Wakanda usando T’Shan, l’ambizioso cugino di T’Challa, Pantera Nera in carica, che a causa di un oscuro incantesimo è stato trasformato nell’avatar umano del dio Leone riuscendo a conquistare il Wakanda.

T’Challa ha guidato la resistenza all’invasore ed alla fine ha sconfitto T’Shan che ora giace catatonico.

Traumatizzata per le violenze subite, Monica Lynne ha annullato il matrimonio ed è tornata negli Stati Uniti.

A sorpresa T’Challa ha deciso di abdicare, rinunciare al ruolo di Pantera Nera e lasciare il Wakanda.

S’Yan, zio di T’Challa e padre di T’Shan, ha assunto la reggenza mentre viene organizzato il torneo che deciderà chi sarà il nuovo sovrano. Due sono le domande che lo angustiano: chi sarà la nuova Pantera Nera e che ne sarà di T’Challa.

 

 

 

 

Di Carlo Monni & Carmelo Mobilia

(con tanti ringraziamenti a Fabio Chiocchia)

 

Capitolo 10

 

La sfida della Pantera

 

 

Birnin Zana, Capitale del Wakanda.

 

Il Wakanda era uno Stato dell’Africa Centrale vicino al Kenya ed alla Tanzania. Era molto piccolo ma rivestiva comunque un ruolo importante negli scenari geopolitici mondiali grazie al fatto che ospitava l’unica riserva esistente in tutto il Pianeta di un metallo decisamente unico al Mondo: il vibranio, che aveva la capacità di assorbire le vibrazioni e che era la principale fonte della sua ricchezze.

Per secoli il Wakanda aveva resistito ad ogni tentativo di conquistarlo, sia che venisse dalle tribù vicine che, in tempi più recenti, dalle potenze coloniali europee. Tutti gli invasori avevano dovuto desistere.

Il sovrano del Wakanda indossava abitualmente un costume rituale e portava il titolo di Pantera Nera, un nome divenuto ben noto in tutto il mondo grazie al fatto che il suo ultimo portatore era stato un membro dei Vendicatori.

Di recente Re T’Challa si era visto privare del suo trono ed aveva dovuto affrontare ordalie inimmaginabili al termine delle quali, pur avendo trionfato sui suoi nemici, aveva scelto di non reclamare la sua posizione perduta.[1]

Suo zio S’Yan aveva assunto la reggenza mentre si preparava il complesso rituale che avrebbe designato il nuovo sovrano, la nuova Pantera Nera.

S’Yan, un uomo alto, in perfetta forma fisica, dai capelli e barba bianchi, osservava i suoi nipoti: l’impetuosa Shuri, sorella minore di T’Challa, desiderosa di dimostrare di essere all’altezza, se non superiore ai maschi della famiglia; Khanata, il corridore automobilistico, playboy, apparentemente poco interessato ai doveri del Trono; Joshua Itobo, il medico mingherlino e occhialuto che aveva scelto di dedicarsi ai meno fortunati; M’Koni, che aveva passato molto tempo nei lontani Stati Uniti e forse non era pronta ad onorare le antiche tradizioni. Sarebbe stato uno di loro ad ereditare il manto della Pantera Nera? E ne sarebbe stato degno?

<So esattamente cosa stai pensando, zio.> gli sussurrò un uomo interamente ricoperto da un attillato costume bianco che sembrava il negativo di quello della Pantera Nera

Il suo vero nome nemmeno lui lo sapeva e neanche gli interessava. Quando Re T’Chaka lo aveva estratto, ancora neonato dalle rovine di un aereo precipitato nella jungla del Wakanda e lo aveva adottato come figlio, lo aveva chiamato K’Winda, Cacciatore. Le ferree leggi tribali wakandane gli avevano proibito di partecipare al rito della Pantera Nera perché adottato e, lui ne era convinto, soprattutto perché bianco, un difetto imperdonabile nella sciovinista società del Wakanda. Come consolazione T’Chaka aveva creato per lui l’identità del Lupo Bianco e lo aveva messo a capo degli Hatut Zeraze, la polizia segreta che fu sciolta da T’Challa quando salì al trono. Solo di recente i due fratelli si erano riconciliati, forse troppo tardi.

<Davvero?> ribatte S’Yan.

<Mi pare ovvio.> replica il Lupo Bianco <Nessuno di loro è degno di essere la prossima Pantera Nera, lo sappiamo entrambi. Tu lo saresti ed anche io, ma…>

<Io sono troppo vecchio. Il regno ha bisogno di forze giovani. Quanto a te, sai bene che la legge consente solo ai membri di sangue del Clan della Pantera di partecipare alle prove e tu sei solo il figlio adottivo di mio fratello T’Chaka.>

<E sono anche bianco, questa è la vera ragione.>

S’Yan sospirò. In fondo il suo nipote adottivo aveva ragione ma ammetterlo non avrebbe cambiato la situazione. K’Winda, Hunter, sarebbe rimasto il Lupo Bianco, non sarebbe stato lui la Prossima Pantera Nera. Chi sarebbe stato allora?

 

 

Manhattan, New York City.

 

L’uomo che entrò nella sede del Dipartimento Risorse Umane della Città di New York era alto, dal fisico scolpito, la pelle color dell’ebano, occhi vivaci e penetranti, capelli corti e crespi ed il volto incorniciato da una corta barba e baffi ben curati. Il suo arrivo attirò gli sguardi di molte donne ed anche qualche uomo.

Entrò nell’ufficio del responsabile del Distretto di Manhattan e si presentò:

<Mi chiamo Thomas Charlton e sono il nuovo assistente sociale per Harlem.>

Il suo interlocutore esaminò le sue credenziali e borbottò:

<Sembra tutto in ordine. Lei ha un curriculum eccellente Mr. Charlton: ha fatto l’insegnante ed è pure esperto di cultura africana.>

<Mia madre era sudafricana, ha stimolato la mia curiosità.>

<Ah, questo spiega il suo strano accento. Non riuscivo ad individuarlo. Lei prenderà il posto di uno dei nostri uomini migliori: Sam Wilson. È entrato in politica ed ora è al Congresso. La aspetta un compito impegnativo, mi creda.>

<Farò del mio meglio per essere alla sua altezza.>

<Beh, non posso che augurarle buona fortuna, Mr. Charlton.>

L’uomo che si faceva chiamare Thomas Charlton abbozzò un sorriso e mentre stringeva la mano dell’altro uomo, non poteva fare a meno di pensare che un po’ di fortuna era esattamente ciò di cui aveva bisogno.

 

 

Harlem, New York City.

               

La voce della giovane donna incantava letteralmente lo scarno uditorio interamente composto da afroamericani come lei. Quando smise di cantare l’applauso sorse spontaneo.

Il luogo era un night club di Harlem, il suo proprietario aveva deciso di farne un locale vecchio stile con una cantante che si esibiva dal vivo accompagnata da un’orchestra. Il proprietario in questione possedeva un ristorante di lusso e vari altri locali in quella zona della Grande Mela ma per quanto fossero redditizi, erano solo la copertura per la sua vera attività: lo spaccio di droga e lo sfruttamento della prostituzione erano le principali. Paul Hadley Morgan, infatti, era il boss del crimine organizzato di Harlem.

La ragazza scese dal palco e si avvicinò all’uomo in questione, alto, snello, ben vestito, attraente. Se solo non fosse stato quel che era, pensò lei.

<Allora?> chiese con un leggero tremito nella voce.

<Sarei un pazzo a non assumerla, Miss Lynne.> rispose Morgan con un entusiasmo per lui decisamente insolito nella voce <L’Harlem Club ha trovato la sua cantante.>

<Grazie. Avevo davvero bisogno di questo lavoro dopo che…>

<Che il suo matrimonio col Re del Wakanda è sfumato? Un'infelice circostanza, lo capisco, ma egoisticamente ammetto che sono felice che sia tornata nella sua vera casa: i cari, vecchi Stati Uniti.>

<Ne sentivo la nostalgia, in effetti.> ammise Monica Lynne.

<Sono anche felice che abbia scelto il mio locale per il suo rientro sulle scene. Posso chiederle perché lo ha scelto a proposito? Io non godo esattamente di una buona fama.>

<La sua offerta era molto allettante e come le ho detto, ho davvero bisogno di lavorare.>

<Bene, sono ancora più felice di averla ingaggiata. La sua presenza darà a questo locale il tocco di classe di cui ha bisogno. Posso invitarla a cena per festeggiare il suo ingaggio?>

<Io… ma certo, ne sarò lieta.>

<Ottimo. Andiamo allora. Voglio la sua opinione sul cuoco che ho assunto. Sa: io voglio sempre il meglio.>

Monica tacque, immersa in chissà quali pensieri.

 

 

Ospedale Centrale di Wakanda.

 

Scene come quelle, purtroppo, erano maledettamente frequenti, negli ospedali africani ed in quel momento l’Ospedale Centrale, pur essendo un centro all’avanguardia, non faceva eccezione.

Sembrava essere più un ospedale da campo che civile. La lotta per sovvertire il colpo di Stato del Leone nero e il ripristino dello status quo aveva fatto le sue vittime e centinaia di feriti.

Il Dottor Joshua Itobo si prendeva cura dei feriti. Aveva combattuto per far cadere il tiranno, ma per lui la vera lotta cominciava adesso, tra le corsie dell’ospedale, cercando di salvare più vite possibile e curare i feriti.

Tra coloro che voleva salvare c’era anche, paradossalmente, colui che aveva scatenato quell’inferno: suo cugino T’Shan S’yan, l’avatar sulla terra scelto dallo spietato dio leone.

Oggi, liberato dallo spirito che lo possedeva, questo cugino ribelle giaceva in uno stato di coma, con le funzioni vitali ridotte al minimo.

<Come sta?> gli venne chiesto.

A porgli questa domanda era stato il Primo Ministro N’Gassi, ma accanto a lui c’era anche suo zio S’Yan, il padre di T’Shan, ed era evidente che la risposta importava più a lui.

<I parametri vitali sono al minimo ma si sono stabilizzati. Vivrà.>

Cosa si può dire ad un uomo che vede la propria carne del suo sangue giacere in un letto, immobile, ridotto praticamente ad un vegetale? Nessuna lo avrebbe consolato.

<Forse sarebbe stato meglio se fosse morto...> sospirò S’Yan, credendolo un atto di pietà verso il figlio sofferente.

<Non sono d’accordo, zio. Io penso di poterlo salvare. La natura del male che l’ha posseduto è di tipo mistico, ma dal punto di vista medico non c’è nulla che mi faccia pensare che non possa guarire, un giorno.>

La fiducia di Joshua gli donava una flebile speranza.

<A proposito di ferite di natura mistica> cambiò discorso N’Gassi <come sta l’altro paziente?> chiese.

<Stavo giusto andando a visitarlo. Venite con me.>

Attraversarono un corridoio e giunsero in una stanza, dove vi trovarono anche il mistico Mendinao.

<Anche questo paziente riporta ferite mistiche, che non sono il mio campo, per cui ho chiesto aiuto ad un amico.>

Salutato l’anziano sciamano, si dedicarono al malato.

<Come stai, Jiru?> chiese N’Gassi.

<Bene, maestro. Sono ancora un po’ debole ma va meglio. Quella scossa con cui sono stato colpito[2] aveva portato le mie forze allo stremo... come in un’attraversata del deserto. Ma grazie alle cure del dottor Itobo, mi sto riprendendo.>

<Lo spirito della Jungla è dentro di lui e lo sta guarendo velocemente.> disse Mendinao.

<Sono contento.> disse S’Yan <Perché non appena sarai in grado di stare in piedi, ti attendiamo a Palazzo Reale. Ci sono grandi novità per te. Ti attende la giusta ricompensa per la tua lealtà e il tuo atto di coraggio.>

<Sono onorato, mio signore.> rispose Jiru, facendo un lieve inchino col capo.

<Il che mi riposta a te, Joshua. C’è un nuovo torneo per la scelta della Pantera Nera. Come membro della famiglia reale e del Clan della Pantera, mi aspetto la tua partecipazione.>

<Spiacente di deluderti, zio, ma devo declinare. Non sono un grande combattente. Non mi sento in grado di poter gareggiare al torneo. Il mio posto è qui. Questo è il mio campo di battaglia. E’ qui che le mie abilità servono maggiormente.>

Constatando in che stato era tutte le corsie dell’ospedale, nessuno se la sentì di contraddirlo.

 

 

Harlem, New York City.

 

Il tasso di criminalità a Harlem era ancora il più alto della città per quanto fosse in discesa. Merito della riqualificazione urbana e dell’efficienza della Polizia certamente, ma qualcuno sosteneva che fosse anche merito del supereroe chiamato Falcon. Ormai, però, Falcon si vedeva sempre più di rado e il violento vigilante che i media avevano chiamato Cacciatore Notturno era stato di recente assicurato alla giustizia.[3] Qualcuno si sentiva autorizzato a riprendersi le strade di Harlem, avrebbe scoperto di essersi sbagliato.

Il mercato della droga era cambiato, andavano di moda le metamfetamine, droghe sintetiche facili da preparare se si avevano le giuste nozioni di chimica e facili da smerciare.

Il furgoncino senza insegne e la targa oscurata entrò in un piccolo magazzino e gli si avvicinarono due afroamericani uno dei quali apostrofò l’autista:

<Ce ne avete messo di tempo!>

<Il traffico.> provò a scusarsi l’altro.

<Certo, certo. Su, non perdiamo tempo. Facci vedere la merce.>

L’autista e un altro uomo, entrambi afroamericani come il resto dei presenti, scesero dal furgone e lo aprirono sul retro.

<La roba migliore che i soldi di Morgan possono comprare.> disse l’autista.

<Attento a non far nomi.> lo rimproverò l’altro <Te l’ho detto tante volte.>

Improvvisamente le luci si spensero ed una voce risuonò nelle tenebre:

<Ma a me i nomi interessano parecchio. Perché non me ne dite anche altri?>

I gangster si voltarono verso il suono della voce ma non videro nulla… a parte due occhi che brillavano nel buio. La loro reazione fu immediata e prevedibile: spararono e i loro colpi si persero nelle tenebre.

<Lo abbiamo preso?>

<Qualcuno faccia luce, presto!>

Il fascio di luce di una torcia elettrica illuminò la zona davanti ai gangster ma non c’era nulla.

<Ma dov’è finito?>

Alle loro spalle un uomo si ritrovò due forti braccia alla sua gola e senza riuscire ad emettere un grido fu trascinato in una zona d’ombra.

<Ehi dov’è finito Mark?>

<È qui con me, venite a raggiungerlo.>

Ancora la voce misteriosa ed ancora una volta gli uomini spararono. L’eco degli spari si era appena spenta che dalle tenebre una figura balzò verso di loro.

Difficile distinguerne poco più dei contorni. I gangster riuscirono a stento a capire che indossava un costume quasi certamente nero. Si muoveva velocissimo e con un’agilità sovrumana. Sfuggì ai colpi dei suoi avversari ma loro furono abbattuti uno dopo l’altro dai suoi pugni e calci.

<Un maledetto supereroe.> borbottò<uno dei gangster <Come se non ce ne fossero già abbastanza. Fatti vedere, fottuto bastardo!>

<Eccomi.> disse l’altro avanzando verso di lui.

La luce della luna illuminò una figura atletica che indossava una calzamaglia scura. Una maschera gli copriva interamente il volto ed aveva due appendici simili alle orecchie di un felino.

<Sono qui.> disse ancora <Nel caso non te ne fossi accorto, sei rimasto solo quindi sarà bene per te non sbagliare il colpo o altrimenti…>

L’uomo in costume lasciò in sospeso la frase mentre il suo antagonista stringeva il dito sul grilletto del suo mitra ma prima che potesse sparare il suo polso fu stretto in una presa ferrea. L’arma gli cadde inevitabilmente di mano.

<Ed ora mi dirai un sacco di cose.>

<Fottiti.>

L’uomo in costume torse il polso all’altro che urlò.

<Posso farti ancora più male se non mi dici quel che voglio sapere.>

Pochi minuti dopo, preceduta dal suono delle sirene, una squadra SWAT del 28° Distretto irruppe nel magazzino ma trovò solo il furgone ancora carico e una decina di gangster stesi a terra.

 

 

Federazione Panafricana.

 

La proclamazione del nuovo Stato era avvenuta con successo e Joshua N’Dingi, da molti chiamato Dottor Crocodile, aveva assunto l’incarico di Presidente ad interim in attesa delle prime elezioni generali che non dubitava di vincere. Il suo sogno di unire i piccoli stati della zona dei Grandi Laghi in un ‘unica, potente entità stava per realizzarsi. Per ora della Federazione facevano parte solo il suo natio Mbangawi, la ex Rudyarda, ora ribattezzata Kitara, e il Dabar, la cui ex presidentessa, ora governatrice, Akua Kirabo, camminava al suo fianco mentre raggiungevano una palestra dove un uomo alto e muscoloso stava supervisionando un intenso allenamento.

Si voltò verso i nuovi arrivati mostrando un volto su cui era stato tatuato un teschio bianco. Crocodile fece una smorfia che sul suo volto devastato poteva essere interpretata come un sorriso. Raoul Bushman conosceva il valore ed il potere dei simboli per i popoli di quella zona del mondo.

<Siete venuti a vedere i progressi della mia squadra d’assalto?> chiese con un tono che era uhn misto di arroganza e strafottenza.

Crocodile non ritenne di dover rispondere, invece squadrò i membri di quello speciale commando: tutti africani ovviamente e tra loro anche delle donne: le Leonesse del Dabar, l’èlite guerriera tutta al femminile che aveva portato Akua Kirabo al potere nell’omonimo Stato ora parte della Federazione ed anche due guerriere molto speciali che Bushman aveva scelto personalmente. Crocodile aveva approvato quella scelta senza riserve.

<Mi auguro che siano pronti perché ho inviato ai governi degli Stati vicini l’invito ad unirsi pacificamente alla Federazione e se risponderanno di no, dovremo invaderli.>

<Il Wakanda non accetterà di sicuro.> replicò Bushman.

<E nemmeno ho provato a chiederglielo ma in questo momento il Wakanda è debole, senza un capo carismatico a guidarlo dopo la morte di T’Challa. Non riuscirà a fermarci ed anche se ci provasse… abbiamo le nostre carte da giocare.>

Fissò una giovane donna che fece un cenno di assenso.

 

 

Birnin Zana, Capitale del Wakanda, Palazzo Reale.

 

Shuri era seduta in meditazione davanti ad un braciere, le gambe nella posizione del loto.

Era la più giovane dei figli di T’Chaka e quasi non ricordava suo padre, era troppo piccola quando era stato ucciso da Ulysses Klaw.[4]

Proprio come i suoi fratelli, era stata mandata a studiare nelle migliori scuole d’Europa e degli Stati Uniti e solo di recente era tornata a casa. Era dispiaciuta per la decisione di T’Challa di rinunciare al Trono, ma non intendeva farsi sfuggire l’occasione di diventare la prima donna a ricoprire il ruolo di Pantera Nera.

Quella wakandana era una società ancora troppa legata a tradizioni ormai superate, le cose dovevano cambiare.

<So esattamente come ti senti.>

A parlare era stata una donna dal fisico imponente che dimostrava tra i cinquanta e i sessant’anni che vestiva l’abito tradizionale delle donne wakandane. Era appena entrata nel salone.

<Davvero, Zuni?> le chiese Shuri voltando la testa verso di lei.

<Tu non eri ancora nata quando osai avanzare la pretesa di partecipare alla sfida delle pantere.>

<Tu? Lo avevo sentito raccontare ma…>

Zuni fece una smorfia e proseguì:

<Ti sembrerà difficile da credere ma all’epoca riempivo molto bene un costumino attillato come quello che indossi tu ora e avevo anche parecchi spasimanti, ma questo non ha importanza adesso, quel che conta è che sfidai la tradizione e partecipai guadagnandomi il diritto di essere una Pantera sostituta, la prima donna a farlo e la prima a riuscirci.>

<E la morale quale sarebbe?>

<È molto semplice: se ci credi davvero, vai là fuori e vinci. Puoi farcela.>

<E lo farò.> fu la decisa risposta della ragazza.

 

 

In un’altra ala del palazzo.

 

In un'altra ala del palazzo, si teneva una conversazione molto simile.

Nella palestra reale un altro partecipante al torneo, Khanata, si stava allenando.

Pugno e piedi fasciati come un atleta di Muai Thai, colpiva il sacco ripetutamente.

<Sei in gran forma> notò il Primo Ministro N’Gassi <Ma d'altronde lo sei sempre stato, fin da ragazzo. Ricordo come fosse ieri come potevi essere il primo calciatore professionista wakandano, da ragazzo. Diverse squadre europee ti volevano. Ma tu declinasti.>

<Le corse erano la mia passione> rispose il ragazzo <Fui uno dei più giovani partecipanti alla Parigi- Dakar.>

<Già. Anche allora le questioni reali non ti interessavano> sospirò il vecchio.

<Le cose sono cambiate quando anni fa, quando ci fu quella faccenda con Jakarra e dovemmo formare i... moschettieri neri.[5] Da allora ho preso lezioni di arti marziali in attesa di... giorni come questi.>

<Finalmente sei sbocciato, Khanata. Meglio tardi che mai.> sorrise N’Gassi.

<Se vincerò io, se salirò sul trono, ho intenzione di fare alcuni cambiamenti drastici al nostro paese, specie nella scena internazionale.>

<Sarebbe a dire?> chiese curioso il ministro.

<Ospitare i Mondiali di calcio, le Olimpiadi e il Gran Premio di Formula Uno tanto per cominciare.>

N’Gassi sorrise.

<Mi rimangio la mia ultima affermazione: non sei affatto cambiato.>

 

 

Da un’altra parte.

 

Il suo nome era M’Koni ed era anche lei un membro della Famiglia Reale, figlia di uno dei fratelli minori del defunto Re T’Chaka. Come tanti rampolli delle più recenti generazioni wakandane era stata mandata a studiare all’estero e qui aveva conosciuto un pilota di aerei afroamericano di nome Martin Wheeler se ne era innamorata e contro il parere dell’allora Reggente, suo zio N’Baza, ma con l’approvazione di T’Challa, l’aveva sposato. Dopo l’ascesa al trono di T’Challa, Wheeler era diventato per qualche tempo, unico straniero, pilota dei caccia dell’Aviazione Wakandana. Il clima di ostilità verso gli stranieri anche tra i suoi compagni lo aveva spinto a dimettersi ed i due sposi erano andati a vivere con lui negli Stati Uniti dove M’Koni aveva assunto il nome di Mary. Per un po’ era andato tutto bene: era nato un figlio, Billy, e Wheeler aveva un buon lavoro poi si era lasciato divorare dal demone del gioco e si era indebitato fino al collo con pericolosi strozzini. Solo l’intervento di T’Challa e del supereroe americano Devil aveva risolto la situazione.[6]

Wheeler ci aveva messo impegno nel cercare di liberarsi dal vizio del gioco ma ormai qualcosa si era irrimediabilmente rotto tra lui e Mary ed alla fine lei aveva deciso di divorziare. Subito dopo il divorzio era partita per il Wakanda con il figlio ridiventando M’Koni e riprendendo il posto che era suo di diritto nella Famiglia Reale e dandolo anche a Billy.

Ora il destino aveva deciso di darle un’occasione di competere per il trono ma era davvero quello che voleva? Gli altri non erano forse più meritevoli di lei?

Doveva decidere anche per il bene di Billy ed era la sola cosa importante per lei.

 

 

Appartamenti privati della Regina Madre.

 

Ramonda, vedova di T’Chaka, stava cenando assieme al cognato S’Yan ed ognuno di loro sembrava poco interessato al cibo che veniva loro servito.

Alla fine fu S’Yan a rompere il silenzio:

<A cosa stai pensando, Ramonda?>

<Non lo immagini?> replicò lei <Questa famiglia ha conosciuto molti lutti: io sono stata rapita da un pazzoide bianco che si era innamorato dime e mi ha tenuto sua prigioniera er quasi vent’anni, la morte violenta di T’Chaka, Jakarra mutato in mostro dal vibranio, T’Shan posseduto da un demone, T’Challa che se n’è andato e ora Shuri che vuol competere per il trono. ..>

<E questo è male?>

<Potrebbe essere un’ottima regina, e non lo dico solo perché sono sua madre, ma è impulsiva ed io ho paura che questo le costi caro.>

<Andrà tutto bene, vedrai.>

S’Yan allungò una mano a sfiorare quella di Ramonda.

 

 

Harlem, New York City.

 

Boss Morgan rientrò nel suo ufficio e si versò un bicchiere di un costosissima scotch importato direttamente dalla Scozia.

La perdita di un carico di droga era un disgraziato incidente ma senza troppe conseguenze in fondo. Ai suoi uomini in carcere avrebbero pensato Big Ben Donovan[7] ed il suo staff. Tutti quelli che erano sul suo libro paga sapevano che non era consigliabile tradirlo.

Improvvisamente le luci si spensero.

<Ma che ca…?> esclamò Morgan.

<Opera mia.>

La voce sembrò uscire dal buio, lo stesso buio in cui sembravano brillare due occhi gialli.

<Inutile chiamare i tuoi uomini. Ho già pensato a loro.>

<Che cosa gli hai fatto?>

<Diciamo che li ho messi a dormire ma non preoccuparti: si risveglieranno solo con un po’ di mal di testa.>

La luce della luna illuminò un uomo rivestito da capo a piedi da un costume nero come una notte senza luna. La maschera che indossava ricordav il muso di un felino.

<Pantera Nera?> esclamò Morgan <Avevo sentito che eri morto in Africa. Notizia esagerata come al solito, immagino.>

<Chi ha detto che sono T’Challa?> ribattè l’altro <Lui non aveva il tempo di occuparsi di quelli come te ma io sono diverso. Se vuoi un nome, chiamami Leopardo Nero.>

<Un leopardo e una pantera sono la stessa cosa.>

<Ovvero: pericolosi. Sono venuto a dirti che se pensavi di stare più tranquillo ora che Falcon si è trasferito a Washington, ti sbagliavi, ci sono io adesso e non ti darò tregua.>

<Sono stato minacciato da esperti.>

<Te l’ho detto: io sono diverso.>

Il vigilante che si faceva chiamare Leopardo Nero fece un passo indietro e fu di nuovo avvolto dalle tenebre. Pochi attimi dopo le luci si riaccesero ma la stanza era vuota. Morgan non ne fu affatto sorpreso.

 

 

 

 

Wakanda.

 

 La grande statua di una pantera nera dominava l’arena dove i contendenti all’onore e l’onere di essere la prossima Pantera Nera attendevano. Tutti indossavano il costume rituale, sia pure con qualche variante. Tutti indossavano la maschera che copriva loro la faccia affinché fosse impossibile identificarli, tuttavia era altrettanto impossibile non capire che due di loro erano donne.

Il Principe Reggente S’Yan, anche lui col costume da Pantera Nera ma a capo scoperto, raggiunse su un palco la Regina Madre Ramonda ed il Primo Ministro N’Gassi, entrambi indossavano i vestiti tradizionali wakandani. Ramonda cercava di nascondere il suo nervosismo per il fatto che sua figlia Shuri era una degli sfidanti. Rompendo per un attimo il protocollo S’Yan le strinse affettuosamente la mano e lei abbozzò un sorriso.

Con voce stentorea S’Yan si rivolse alle aspiranti Pantere Nere sotto di lui:

<Che il torneo abbia inizio!>

Chi avesse pensato che l’addestramento dei corpi speciali delle Forze Armate di certe nazioni fosse durissimo, era perché non aveva idea di quanto lo fosse quello per diventare Pantere Nere. Ogni membro della famiglia reale era sottoposto sin dalla più tenera età ad allenamenti severissimi accompagnati dall’assunzione di certe erbe e pozioni il cui scopo era acuire le facoltà fisiche e le percezioni sensoriali. C’erano anche rituali di natura mistico-religiosa ma c’era anche chi sosteneva che non avessero una reale influenza sullo sviluppo delle capacità sovrumane delle Pantere Nere.

Tutti gli sfidanti si erano sottoposti a quelle prove e le avevano superate. Nessuno di loro, però, aveva avuto il diritto di accedere all’ultima prova, quella riservata a chi si era guadagnato il diritto di essere la vera Pantera Nera.

S’Yan ricordava ancora con nostalgia ed un pizzico di invidia il giorno in cui aveva visto suo fratello maggiore T’Chaka partire verso il Monte Wakanda, un viaggio di cui al ritorno non aveva voluto parlare portandosi nella tomba segreti che solo suo figlio T’Challa avrebbe scoperto quando venne il suo turno. Presto un altro avrebbe intrapreso di nuovo quel viaggio, ma chi?

La prima prova era poco più che un riscaldamento e tutti l’avevano superata senza grossi problemi, ma il meglio doveva ancora venire.

Ciascuno degli aspiranti si trovava di fronte un guerriero tra i più forti dell’èlite guerriera della piccola nazione, uomini in grado di uccidere con tutti i mezzi conosciuti e qualcuno anche inventato sul momento.

<Le regole sono semplici.> dice S’Yan <Avete cinque minuti per sconfiggere il vostro avversario. Voi potete usare solo le vostre abilità naturali mentre il vostro avversario può usare qualunque mezzo leale o sleale per vincere. La sfida comincia ora!>

Pochi avrebbero dato a Joshua Itobo una chance di vincere: era mingherlino, quasi senza muscoli, miope, chi avrebbe mai potuto pensare che avrebbe potuto battere un soldato esperto? Joshua aveva preferito lasciare le incombenze della famiglia reale ai suoi cugini per dedicarsi anima e corpo alla professione medica ma sapeva bene quali erano i doveri di una Pantera Nera ed alla fine, sia pure con riluttanza, aveva accettato di partecipare al torneo..

Evitò i primi colpi del suo antagonista sferrati di piatto con una lancia dimostrando che gli anni non avevano intaccato la sua agilità. Sorprese il suo avversario scattando verso l’alto e facendo un salto mortale per poi ricadere stringendolo al collo e facendogli perdere l’equilibrio. Caddero a terra e Joshua rotolò lontano mentre l’altro batte la testa e non si rialzò

Il primo round era di Joshua Itobo.

 

 

Harlem, New York City.

 

Il Sergente Francis Tork era una specie rara a Harlem: un poliziotto bianco. Era anche un tipo particolare: portava i capelli lunghi e baffoni spioventi e come arma di dotazione preferiva uno shotgun a canne mozze. Il suo carattere difficile gli era costato un paio di retrocessioni e trasferimenti.

Al momento stava interrogando uno degli uomini arrestati in un magazzino pieno di droga.

<Quello che vorrei sapere è: chi ha steso te ed i tuoi compari.> disse.

<Non ho nulla da dire senza la presenza del mio avvocato.> ribattè l’altro.

Stessa litania degli altri. Morgan li aveva indottrinati davvero bene. Una cosa sembrava certa però: c’era un nuovo vigilante a Harlem e presto o tardi si sarebbe capito se questo era un bene o un male.

 

 

Wakanda.

 

M’Koni era stata assente dal Wakanda per anni e non erano pochi quelli che pensavano che fosse inadatta a fare la Regina, lei stessa, ad essere onesti, ne dubitava ma era comunque un membro della famiglia reale e non si era sottratta al suo dovere.

Adesso era in piedi dopo aver superato la prova dei guerrieri. Il suo costume era lacerato in più punti e piccole ferite ne segnavano la carne. Fece un paio di passi avanti e sussurrò:

<Ho vinto.>

Poi ripetè ad alta voce:

<Ho vinto!>

Le gambe le cedettero improvvisamente e lei piombò al suolo.

 

 

Harlem, New York City.

 

I tempi erano cambiati. La politica di tolleranza zero del Dipartimento di Polizia di New York, unita all’attività dei cosiddetti supereroi in costume, aveva ridotto di parecchio l’attività criminale nella Grande Mela.

Ultimamente una vera e propria guerra per il predominio tra le bande criminali cittadine sembrava scuotere l’equilibrio che si era creato.[8] Ma le cose stavano tornando verso una qualche forma di normalità… il che, ovviamente, non impediva che le cose brutte accadessero ancora.

Harlem era uno dei pochi posti in controtendenza rispetto al resto della città: le statistiche mostravano un incremento del 17% dei crimini e che la maggior causa di morte tra i giovani era ancora l’omicidio.

Il luogo era un drugstore aperto sino a tarda notte preso spesso di mira dai rapinatori. Questa era una di quelle sere ma stavolta c’era qualcosa di diverso. Quando il Sergente Tork arrivò nel negozio trovò tre tizi stesi a terra e delle armi radunate in un angolo.

<Che diavolo è successo qui?> chiese.

<Questi tipi volevano rapinarmi…> spiegò il gestore del negozio <… poi è arrivato questo tizio. Indossava un costume nero come la notte. Aveva una maschera con orecchie come quelle di un gatto che gli copriva interamente la faccia. Si vedevano solo gli occhi ma sono sicuro che fosse un fratello.>[9]

Tork, che era bianco, fece un cenno col capo poi e invitò l’uomo a proseguire.

<Non c’è molto da dire: era agilissimo, si muoveva come il fulmine e li ha stesi tutti in un batter d’occhio.>

<Ha detto niente?>

<Nulla. Era decisamente il tipo forte e silenzioso.>

Tork ringraziò l’uomo e mentre i suoi agenti prendevano in custodia i criminali, si avviò alla sua auto. Durante il tragitto verso il 28° Distretto rimuginò su quanto gli era stato raccontato. Come già sospettava, c’era un nuovo vigilante a Harlem, uno meno violento del Cacciatore Notturno recentemente catturato, il che era comunque una buona notizia.

Ci stava ancora pensando quando, finito il suo turno, si avviò verso la sua auto per tornare a casa ed improvvisamente una figura uscì dall’ombra balzando sul tettuccio della vettura.

<Non si allarmi, Sergente Tork.> disse <Sono un amico >

<Non sono tipo da allarmarmi facilmente.> ribattè Tork apparentemente tranquillo <Tu chi saresti? Il tuo costume è simile a quello della Pantera Nera, sei lui?>

<T’Challa è morto ed una nuova Pantera Nera sarà presto scelta a Wakanda. Quel nome non spetta a me. Se ne vuole uno, può chiamarmi Leopardo Nero.>

<Leopardo è un altro nome per la pantera e T’Challa l’ha anche usato per un po’ di tempo.[10] Se non sei lui, che legame avete?>

<Questo non ha importanza, quello che ha veramente importanza è che sono qui per proteggere gli abitanti del quartiere e se ci sarà bisogno di aiuto, io ci sarò.>

Un balzo ed il cosiddetto Leopardo Nero scomparve tra le tenebre lasciando Tork a porsi delle domande destinate a non avere risposte almeno per il momento.

 

 

Birnin Zana, Capitale del Wakanda, Palazzo Reale.

 

Il Principe Reggente S’Yan rientrò nel suo appartamento dopo una dura giornata, la prima del torneo per scegliere la nuova Pantera Nera. L’indomani i candidati rimasti in gara, per così dire, avrebbero affrontato le prove più difficili.

Era vestito all’occidentale e la prima cosa che fece entrando, fu allentare il nodo della cravatta. Stava anche per accendere la luce quando si fermò. I suoi sensi affinati da anni di pratica avevano sentito una presenza.

<Che ci fai qui?> chiese senza scomporsi.

Dall’ombra uscì un uomo che indossava un costume bianco molto simile a quello della Pantera Nera.

<Dobbiamo parlare, zio.> disse il Lupo Bianco..

 

 

Harlem, New York City.

 

In un night club aperto da poco una giovane donna afroamericana molto attraente finì di cantare e l'applauso scattò spontaneo e fragoroso.

<La tua ragazza ha avuto un successo piuttosto evidente, direi.> affermò un uomo alto e massiccio rivolgendosi all'uomo seduto al suo fianco.

<Non è la mia ragazza, non nel senso che piacerebbe a me almeno.> ribattè Morgan, boss del Crimine Organizzato di Harlem <Ma su una cosa hai ragione, Big Ben: Monica Lynne è davvero brava ed è per questo che l'ho assunta. Grazie a lei questo locale guadagnerà la reputazione di cui ha... di cui anch'io ho bisogno.>

<Lo sai chi è, vero? Chi avrebbe dovuto sposare?> ribattè l'avvocato Big Ben Donovan.

<E chi non lo sa? Pantera Nera, il Re del Wakanda, ma a quanto pare è morto, ucciso da un pretendente che poi è morto a sua volta.[11] Niente matrimonio e lei è tornata negli Stati Uniti con la necessità di guadagnarsi da vivere.>

<Sicuro che Re T'Challa sia morto? C'è chi dice di averlo avvistato in città quando c'è stata quell'invasione aliena.>[12]

<In quella confusione hanno perfino avvistato Elvis, quindi chissà? Magari era uno dei suoi sostituti o...>

<O...?>

<Nulla, nulla.> rispose, evasivo, Morgan. Per il momento preferiva tacere sulla visita che aveva ricevuto da parte del misterioso vigilante che si faceva chiamare Leopardo Nero. Diceva di non avere nulla a che fare con la Pantera Nera ma era difficile crederci. Proprio quando Falcon si vedeva sempre meno a Harlem, ci mancava proprio che spuntasse un altro cosiddetto benefattore in costume.

Morgan abbandonò questi pensieri e sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi mentre Monica Lynne si avvicinava al suo tavolo.

 

 

Birnin Zana, Capitale del Wakanda, Palazzo Reale

 

Il Principe Khanata guardò dalla terrazza del suo appartamento il panorama della capitale del Wakanda, sintesi quasi perfetta di architettura avveniristica e tradizione, il simbolo della nazione stessa e delle sue contraddizioni.

Khanata avrebbe preferito di gran lunga continuare ad occuparsi della sua casa automobilistica e delle corse ma non aveva potuto sottrarsi ai doveri che gli derivavano dall’essere il primo in linea di successione al trono. Rinunciare non era un’opzione contemplabile.

Stava riflettendo su questo quando dall’interno della stanza arrivò un grido. Khanata si voltò istintivamente ed in quel momento due guerrieri mascherati balzarono sul terrazzo con pugnali nelle mani.

La reazione del membro del Clan della Pantera fu rapida, presumibilmente più di quanto i suoi assalitori si aspettassero.

<Credevate che fossi una preda facile?> disse loro mentre sferrava un calcio al mento di uno di loro <Sono pur sempre uno dei Moschettieri Neri.>

Il secondo aggressore tentò di pugnalarlo alle spalle ma lui si girò di scatto, gli afferrò il polso e glielo torse sbilanciandolo. Con un grido l’uomo piombò oltre il terrazzo e si schiantò al suolo.

Khanata si assicurò che l’altro aggressore fosse svenuto e volse lo sguardo verso una bella ragazza dalla pelle ambrata che stava uscendo sul terrazzo.

<Immagino che abbiano tentato di fare la pelle anche a te.> le disse.

La ragazza piegò le labbra in un sorrisetto.

<Non immaginavano che io fossi una Dora Milaje[13] addetta alla tua persona, mio Principe.> rispose <Erano a terra prima di poter capire perché.>

<Li hai uccisi?>

<Non dovevo farlo?>

<Speravo che potessero dirci chi li ha mandati.>

<Portano tatuaggi coi simboli del culto del Gorilla Bianco.>

<Non fidarti mai delle apparenze, Folami, possono essere ingannevoli. Per fortuna ce n’è rimasto uno e sono certo che W’Kabi[14] saprà farlo cantare.>

<E perché dovrebbe interessarci se conosce delle canzoni?>

Khanata ridacchiò e rispose:

<È un modo di dire che ho imparato in Europa. Vuol dire farlo parlare.>

La ragazza di nome Folami si chinò sull’uomo a terra e dice:

<Quest’uomo è morto.>

<Non è possibile!> esclamò Khanata <Non posso averlo colpito così forte da ucciderlo.>

<Ha della bava alla bocca. Ha sicuramente ingerito del veleno.>

Khanata era sconcertato. Cosa stava succedendo?

 

 

Harlem, New York City.

 

Un vecchio proverbio afferma che è sempre più buio prima dell’alba ed era proprio in queste ore che certe imprese criminali trovavano il momento più favorevole in un posto come Harlem.

Il gruppetto di spacciatori pensava di avere vita facile, poi era arrivato il vigilante in costume che si faceva chiamare Leopardo Nero ed il risultato del breve scontro era stato: tre uomini a terra e due ragazzi, potenziali acquirenti, in piedi anche se un po’ scossi.

<Filate!> intimò il Leopardo Nero e loro non se lo fecero ripetere due volte.

Alle spalle dell’uomo in costume nero, uno degli spacciatori non era svenuto ed aveva estratto una pistola. L’altro se n’era accorto e non era preoccupato.

Prima che potesse voltarsi, però, qualcosa fendette l’aria con un sibilo ed una freccia si conficcò nella mano armata del suo nemico strappandogli un urlo.

Il Leopardo Nero riconobbe la freccia, sapeva a chi apparteneva. Alzò la testa nella direzione da cui era arrivato il dardo e poi, con un gesto deciso, lo estrasse dalla mano dell’afroamericano, incurante del fatto che così facendo lacerava tendini e muscoli forse in modo irreversibile. La sua pietà non era per quelli come lui.

Si lasciò alle spalle l’uomo svenuto per il dolore e balzò verso un vicino palazzo. In pochi minuti era sul tetto, dove lo attendeva una giovane donna dalla pelle color ebano, molto attraente, dal fisico flessuoso come una gazzella, che indossava un abito rosso corto ed attillato. A tracolla portava un arco ed una faretra colma di frecce.

<Okoye>- mormorò lui.

<Mio Signore.> replicò lei con un inchino.

<Non sono più il tuo Signore e tu non devi seguirmi. Scommetto che è stata un’idea di Omoro, quel vecchio furfante.>

<Ho lasciato le Dora Milaje ed ora non ho più obblighi se non quelli che mi detta il mio onore.> replicò la ragazza di nome Okoye <Questa città, questo quartiere, mi piacciono. Credo che ci resterò. Immagino che questo voglia dire che le nostre strade si incroceranno spesso.>

Il Leopardo Nero sospirò.

 

 

Wakanda.

 

L’uomo serrò istintivamente le labbra. Colui che aveva davanti intimoriva perfino uno come lui. A volte dubitava che si tratti davvero di un essere umano e non di un demone proveniente da qualche inferno.

<Domani si svolgerà l’ultimo atto della sfida per decidere chi tra gli aspiranti sarà la nuova Pantera Nera.> disse il misterioso individuo <Attendi che sia proclamato il vincitore, chiunque sia, e poi… uccidilo davanti a tutti.>

<Anche se fosse la ragazza?>

<Soprattutto se fosse la ragazza. Nessuno dei figli di T’Chaka deve rimanere in vita, nessuno!>

La risata che seguì gelò il sangue anche allo scafato mercenario.

 

 

CONTINUA

 

 

NOTE DEGLI AUTORI

 

 

Episodio anomalo, questo, come pure i prossimi due, in cui si rinarrano sostanzialmente avvenimenti già narrati Marvel Knights #95/97, #99/102 e 106 aggiungendo materiale nuovo in modo da creare un ponte tra gli eventi narrati sino al n. 9 e quelli che vedrete dal n. 13.

      Ma ora veniamo alle note vere e proprie:

1)    L’idea di sostituire T’Challa come Re di Wakanda, mi è venuta da varie fonti. In realtà mi interessava soprattutto come se la sarebbe cavata T’Challa privato di tutti i vantaggi dell’essere la Pantera Nera. Qualcosa del genere si è visto nel breve ciclo di Pantera Nera di David Liss & Francesco Francavilla ma spero che troverete il mio approccio un po’ diverso.

2)    Per brevissimo tempo, tra il febbraio ed il novembre 1972, T’Challa decise di farsi chiamare Leopardo Nero per non essere confuso col Partito delle Pantere Nere, che predicava l’azione violenta a favore dei diritti civili degli afroamericani. La cosa è ironica se si pensa che nelle lingue africane il termine “pantera” non esiste. Pantera era il nome di un felino mitologico predatore di tutte le belve e cavalcatura favorita di Dioniso. Dal Greco il termine è passato al Latine poi a tutte le lingue europee. Nelle lingue africane, quindi, c’è solo il Leopardo Nero.

3)    Mary, M’Koni, Wheeler è un personaggio creato da Ann Nocenti & Chuck Patton su Daredevil Vol. 1° #245 datato agosto 1987.

4)    Francis Tork è stato creato da Jim Owsley, alias Christopher Priest, & Paul Smith su Falcon #1 datato novembre 1983.

5)    Folami è stata creata da Roxane Gay & Alitha Martinez su Black Panther: World of Wakanda #1 datato gennaio 2017.

6)    Akua Kirabo, il Dabar e le Leonesse del Dabar sono tutte creazioni originali di Valerio Pastore da Campioni MIT #29 del maggio 2010.

Nel prossimo episodio: prosegue la saga del Leopardo Nero, qualcuno emerge vincitore dal torneo e parecchie altre cose accadono.

 

 

Carlo e Carmelo



[1] Un riassunto fin troppo succinto di eventi narrati su Pantera Nera #1/9.

[2] Nel numero scorso.

[3] Su Capitan America #89.

[4] Un evento narrato per la prima volta su Fantastic Four Vol. 1° #53 (Prima edizione italiana Fantastici Quattro, Corno, #49).

[5] Black Panther Vol. 1° #7/10.

[6] Su Daredevil Vol 1° #245 (in Italia su Fantastici Quattro, Star Comics, #52)

[7] L’avvocato di Morgan.

[8] E ne sapreste qualcosa se foste lettori di Capitan America, Devil e Occhio di Falco.

[9] Modo colloquiale con cui gli afroamericani si chiamano fra di sé.

[10] Tra Fantastic Four Vol. 1° #1119 (in Italia su Fantastici Quattro, Corno, #117 ed Avengers Vol. 1° #105 (In Italia su Thor, Corno, #115).

[11] Questa è la versione ufficiale ma noi sappiamo che non è andata esattamente così.

[12] Vista su Vendicatori 99/199, Vendicatori Costa Ovest #37 e Avengers Icons #45.

[13] Guardie del Corpo del sovrano di Wakanda, tutte donne e guerriere formidabili.

[14] Il Ministro della Sicurezza e Capo dei servizi segreti wakandani.