Quel che vi
serve sapere: il Wakanda è sotto attacco delle forze armate dell’Unione Panafricana e
parecchi membri del Clan della Pantera sono intrappolati nel Palazzo Reale
circondato da un impenetrabile campo di forza.
Nel frattempo a New York l’ex Dora Milaje di nome Okoye ha un altro
genere di guai
PROLOGO
Molte sono le leggende che si narrano sotto i cieli dell’Africa. Una di
queste è ormai molto nota anche negli altri continenti: parla di un meteorite
che cadde nella regione dei Grandi Laghi tanto tempo fa. Il meteorite era
composto da un minerale dalle straordinarie proprietà. La zona fu considerata
sacra dal popolo che viveva nella zona che la consacrò alla divinità che
venerava: il Dio Pantera. In cambio il dio garantì al loro capo speciali poteri
alimentati dalle radiazioni del meteorite purché egli divenisse il custode del
luogo e dei suoi segreti. Fu così che il sovrano del Wakanda assunse il titolo
ed il manto di Pantera Nera che ogni suo successore ha portato dopo di lui.
Ma c’è un’altra leggenda che parla di un altro protettore dei popoli che
vivono sulle sponde dell’Oceano Indiano. Si dice che sia uno spirito immortale
che ha assunto forma d’uomo e talvolta anche di donna. Per quasi 500 anni ha
combattuto negrieri, dittatori e pirati e per tutti, avversari od amici, è
sempre stato un Fantasma, un’Ombra che Cammina. Oggi il suo cammino incrocerà
quello della Pantera Nera.
Di Carlo
Monni
(con tanti
ringraziamenti a Carmelo Mobilia e Mickey)
Capitolo 19
Ombre che
camminano nella notte
Palestra
del Palazzo Reale di Wakanda.
La donna che indossava il costume rituale
della Pantera Nera che la indicava come legittima sovrana del Wakanda e l’uomo
con un fisico da culturista che si era appena sfilato un’armatura dorata si
guardarono senza parlare per quella che sembrò loro un’eternità ma in realtà
erano solo pochi secondi.
Alla fine fu la donna a parlare:
<Perché, George?> chiese all’uomo
<Perché ti sei alleato con i nemici del Wakanda?>
<Non credo che potresti capire, Mary.>
rispose lui.
<M’Koni, chiamami M’Koni adesso. Mary
Wheeler non esiste più ed è anche a causa tua.>
<Il tuo popolo, la tua stessa famiglia mi
ha sempre guardato con disprezzo solo perché non ero un nativo wakandano e la
tua famiglia non mi riteneva alla tua altezza. Alla fine ho detto basta.
Dimostrerò a tutti che non sono un perdente.>
<Sei stato tu stesso la causa della tua
rovina, George, non accusare gli altri. Nessuno ti ha costretto a giocare
indebitandoti fino al collo. T’Challa ti ha dato un’opportunità di riscattarti
e tu cosa hai fatto? Ti sei fatto irretire da una sua nemica e mi hai tradito.
Avrei potuto sopportare il dolore che mi hai causato ma non quello che hai
causato a nostro figlio.>
<Basta!> urlò lui, evidentemente
colpito sul vivo e le sferrò un pugno.
Disgraziatamente per lui, la sua ex moglie
non era più la ragazza timida che aveva conosciuto anni prima. Le traversie
della vita l’avevano temprata. Aveva sostenuto lunghe e dure sessioni di
allenamento con il vecchio Zuri, aveva sostenuto e vinto le prove del torneo
per diventare la nuova Pantera Nera dopo l’abdicazione di suo cugino, era
sopravvissuta al confronto con il demone iena[1] e adesso
era preparata a combattere.
Evitò facilmente il pugno, fece una capriola
all’indietro ed atterrò sulle punte dei piedi. Spiccò un balzo verso George
Wheeler colpendolo al mento con un calcio che lo sbattè a terra. Lei atterrò
poco distante e gli si rivolse con durezza:
<Alzati in piedi, George. Abbiamo appena
cominciato.>
Aeroporto
internazionale di Birmin Zana, capitale del Wakanda.
Dicono che un atterraggio a cui sopravvivi è
comunque un buon atterraggio. Shuri sentiva un gran mal di testa ma questo
voleva dire che era viva.
Rapidamente ricordò cos’era successo: quel
bastardo di Joshua N’Dingi, il Dottor Crocodile le aveva dato un ultimatum: o
si arrendeva o i suoi caccia avrebbero abbattuto l’aereo su cui viaggiava. Lei
aveva respinto sdegnosamente l’ultimatum e subito dopo era cominciato
l’attacco. L’aereo era riuscito a resistere ai primi colpi poi un missile
l’aveva centrato. Per fortuna il pilota era riuscito a farlo atterrare su una
pista libera.
<Tutto bene, Vostra Altezza?> le chiese
il pilota in questione.
<Sono stata meglio.> ammise Shuri con
un mezzo sorriso <Grazie per…>
<Ne parleremo in un altro momento, ora
dobbiamo abbandonare l’aereo in fretta.>
<Certo, certo, Non perdiamo tempo.>
Per fortuna in quel volo di Stato c’erano
solo quattro membri dell’equipaggio, due funzionari del Ministero degli Esteri
e della Difesa di Wakanda e naturalmente lei stessa. In un altro momento la
procedura di evacuazione sarebbe stata abbastanza semplice ma la sorella di
T’Challa era ben consapevole che ad aspettarli là fuori c’erano ancora i caccia
dell’aviazione della Federazione Panafricana. Il che rendeva inevitabile la
scelta.
Si calò sul viso la maschera da Pantera Nera
e disse in tono risoluto:
<Andrò io per prima.>
Nessuno osò contraddirla.
Poco
lontano.
Un plotone delle forze speciali della
Federazione Panafricana aveva occupato la torre di controllo ed alcuni dei
militari erano alle postazioni dei controllori di volo preparando la via ad
alcuni aerei da trasporto che sarebbero atterrati di lì a poco con a bordo
altri loro commilitoni.
All’esterno un paio di soldati presidiava
l’ingresso della torre. Al momento ancora nessuna reazione. Il blocco delle
comunicazioni aveva impedito di dare l’allarme e comunque in città stazionava
solo un piccolo presidio. C’erano, era vero, le Dora Milaje ma che pericolo
potevano rappresentare un pugno di donne armate solo di spade, lance e frecce
contro le loro armi moderne?
I due uomini di guardia non si aspettavano
guai ma sbagliavano.
I guai arrivarono improvvisamente e nel modo
più inaspettato.
Un cane, un pastore tedesco per la
precisione, si stava avvicinando per poi fermarsi a pochi metri da loro.
I due militari stupiti si volsero nella sua
direzione puntandogli contro i loro fucili, incerti sul da farsi. In quel
momento uscì dall’ombra una figura che afferrò alla gola uno dei soldati.
L’uomo si divincolò ma il braccio dell’aggressore gli bloccava la trachea.
Annaspò cercando di respirare ma senza molto successo. Il suo compagno si voltò
nella sua direzione ma quest’ultimo si trovava tra lui ed il nuovo venuto.
Sparare avrebbe significato uccidere lui per primo. Della sua esitazione
approfittò il cane che gli balzò addosso azzannandolo alla gola e facendolo
finire rovinosamente a terra.
Nel frattempo anche il primo militare stava
scivolando a terra svenuto o forse morto. Il suo aggressore si avvicinò al cane
e lo accarezzò dicendo:
<Ottimo lavoro, Diavolo. Ora rimani qui a
guardia mentre io vado a sistemare gli altri.>
Entrò nell’edificio mentre il cane rimaneva
fermo accanto ai corpi immobili dei due militari.
Chi avesse guardato con attenzione la gola di
quello aggredito dalla misteriosa figura avrebbe notato un piccolo marchio bianco
lasciato forse dalla pressione di un anello: un marchio a forma di teschio.
Harlem, Manhattan, New York City.
Il nome della ragazza di colore che indossava
un succinto ed aderente costume rosso ed una maschera domino nera sul viso era
Okoye, veniva dal Wakanda ed era l’ex leader delle Dora Milaje, la guardia
personale esclusivamente femminile dei sovrani del Wakanda. Cosa l’avesse
spinta ad abbandonare il suo ruolo e trasferirsi negli Stati Uniti era una
questione complessa, un misto di doveri e sentimenti che sorprendeva perfino
lei stessa.
Anche se non era più ufficialmente una Dora
Milaje, questo non voleva certo dire che non fosse pronta ad accettare un
incarico dal governo del suo paese. Nello specifico, si trattava di catturare Bridget Hapanmyas, ex
dittatrice del Djanda, una piccola nazione dell’Africa Orientale, e fare in
modo che fosse processata per crimini contro l’umanità o davanti alla Corte
Penale Internazionale o nei tribunali del Wakanda. Okoye era riuscita ad
intercettare Bridget Hapanmyas, suo figlio
Ibrim e la loro guardia del corpo Jerik prima che si imbarcassero in un volo
clandestino diretto chissà dove.
Tutto era andato bene, Okoye era riuscita a
sbarazzarsi di buona parte dei suoi avversari ma improvvisamente si era
ritrovata puntata contro una pistola.
Ad impugnarla era John James Toomey,
ufficialmente direttore dell’Harlem Club, un locale notturno alla moda dell’omonimo
quartiere di New York, ma in realtà secondo in comando di Boss Morgan, il
signore del crimine di Harlem.
Con voce tranquilla Toomey si rivolse alla
giovane wakandana:
<Bello spettacolo, ma ora vogliamo vedere
se sei più veloce di un proiettile?>
Okoye non perse tempo a rispondere. Con un
movimento velocissimo lanciò il pugnale che impugnava nella destra, ancora sporco
del sangue dell’uomo dalla cui gola lo aveva estratto. Il pugnale saettò
nell’aria e si conficcò all’interno della canna della pistola dello stupefatto
Toomey.
<Non credo che ti convenga sparare,
adesso.> gli si rivolse Okoye con un sorrisetto sprezzante.
Giardini
del Palazzo Reale di Wakanda.
Khanata non avrebbe voluto i doveri collegati
all’essere una Pantera Nera, sia pure sostituta. Qualcuno sospettava perfino
che avesse fatto apposta a perdere il torneo perché essere il re, la Pantera
titolare, semplicemente non lo interessava.
Dal canto suo, lui sarebbe stato più che
felice di dirigere la sua scuderia di auto da corsa, partecipare a qualche gara
ogni tanto e farsi vedere nei luoghi più noti del jet set internazionale al
fianco di qualche giovane modella o attrice ma era pur sempre un membro del
Clan della Pantera e non sarebbe mai venuto meno ai suoi doveri. Per questo ora
indossava una versione personalizzata del costume della Pantera Nera e stava
fronteggiando una squadra di nemici del suo paese guidati da una donna che
indossava una tuta azzurra che le lasciava scoperto solo il viso.
La donna in questione aveva in quel momento
un‘espressione di rabbia mentre vedeva un altro dei suoi uomini cadere con una
freccia nel petto.
Si girò nella direzione da cui era partito il
dardo e si trovò di fronte la Dora Milaje di nome Folami con un’altra freccia
già incoccata nel suo arco pronta ad essere scagliata.
<Forse dovresti essere tu a considerare
l’idea di arrenderti, adesso.> le disse Khanata.
Per tutta risposta la ragazza si voltò di
nuovo, fece scattare dai suoi polsi dei tentacoli di metallo e ne diresse uno
contro di lui che, preso di sorpresa, non riuscì ad evitarlo. Una scarica elettrica
lo attraversò facendolo tremare e finire a terra.
L’altro tentacolo si avvolse attorno al collo
della Regina Vedova Ramonda. A questo punto la ragazza misteriosa si rivolse a
Folami che, sorpresa a sua volta, aveva tardato a reagire.
<So cosa stai pensando ma anche se la tua
freccia riuscisse a perforare il tessuto metallico della mia tuta, io farei
comunque in tempo a folgorare la tua regina e lo farò ugualmente se non getti
l’arco. Decidi in fretta.>
Aeroporto
di Birmin Zana.
Shuri si lanciò dal portellone del suo aereo
ed atterrò elegantemente sui piedi. C’era un silenzio innaturale. Dove erano
finiti i caccia nemici? La risposta le arrivò sotto forma di scariche di mitra
che la mancarono solo grazie alla sua agilità. In cuor suo benedisse le lunghe
ore di allenamento e le erbe sacre che avevano acuito i suoi riflessi. A quanto
pareva le truppe della Federazione Panafricana spalleggiate dai caccia erano
penetrate nell’aeroporto. Le cose erano peggiori di quanto avesse pensato.
Non stette troppo a riflettere e si lanciò
verso gli uomini armati che, sconcertati dalla sua audacia, non spararono.
Grosso errore.
Senza smettere di correre Shuri staccò
qualcosa dalla sua cintura e lo gettò davanti a sé. Non era un semplice
ornamento ma una mini granata flash bang. Il lampo accecò alcuni dei militari e
disorientò gli altri quanto bastava perché Shuri piombasse su di loro
abbattendone un paio a calci. Atterrò sui piedi e gettò a terra un altro
ninnolo che produsse istantaneamente una cortina fumogena che avvolse lei e la
squadra avversaria. Per il momento i suoi nemici erano ciechi mentre lei non
aveva praticamente difficoltà a muoversi senza vedere. Certo il fumo non
sarebbe durato a lungo ma non era necessario. Muovendosi veloce come il felino
da cui prendeva il nome il suo clan attaccò gli avversari stendendoli uno dopo
l’altro.
Quando il fumo si diradò lei era l’unica
rimasta in piedi.
<Bel lavoro.> disse una voce alle sue
spalle <Ma ora alza le mani o sarò costretto a spararti.>
Altri soldati erano arrivati e la stavano
circondando. Sbarazzarsi di loro non sarebbe stato così facile come con gli
altri.
Harlem, Manhattan, New York City.
Era decisamente una situazione di stallo. John
James Toomey fece un sorrisetto, abbassò la sua pistola e disse:
<Davvero spettacolare. Credevo che solo
Bullseye sapesse fare una cosa simile.>
<Sbagliavi, è evidente.> replicò Okoye.
<Forse se mi dicessi perché ci hai seguito
fin qui potremmo risolvere la questione senza ulteriore violenza.> disse
ancora Toomey.
La sua voce aveva un accento sincero, penso
Okoye, ma avrebbe potuto fidarsi?
Infine disse:
<Bridget Hapanmyas. Devo portarla in Wakanda dove sarà
processata per i suoi crimini.>
La donna corpulenta accanto a Toomey esclamò:
<Maledetta sgualdrina, se credi…>
<Si calmi Mrs. Hapanmyas. Lasci parlare
me.> intervenne Toomey poi si rivolse ancora ad Okoye <Questo è un
problema. La mia organizzazione ha accettato l’incarico di far espatriare Mrs.
Hapanmyas e scortarla fino ad un luogo sicuro. Se adesso te la consegnassi
senza discutere la reputazione di Morgan ne sarebbe danneggiata. Chi si
fiderebbe più della sua… e della mia parola? D’altra parte, non so se sono in
grado di fermarti da solo. Bel dilemma.>
<Che potrei risolvere uccidendoti.>
ribatté Okoye.
Questa volta Toomey non trattenne una risata
per poi aggiungere:
<Oh sì, credo che ne saresti capace,
quindi…>
Non finì la frase. Improvvisamente echeggiò
uno sparo ed Okoye stramazzò al suolo.
Palestra
del Palazzo Reale di Wakanda.
George Wheeler provò a rialzarsi ma ricevette
un calcio alla mascella e si ritrovò in ginocchio.
<Coraggio, George. In fondo non sono che
una semplice donna. Non dovresti avere difficoltà a sopraffarmi. Non è questo
che pensavi?> gli si rivolse M’Koni.
<Io… io…> balbettò lui.
<In piedi, George. Mostra almeno un po’ di
dignità, fallo per tuo figlio.>
<Billy.>
<Già. Eri così accecato dalla tua sete di
vendetta che non hai pensato a lui, non è vero? Cosa credi che gli succederebbe
se Crocodile vincesse? È pur sempre un membro della Famiglia Reale, l’erede al
Trono.>
<Io… lo avrei protetto.>
<Questo è ciò che ti dici ma sai bene che
non avresti potuto. Avresti dovuto metterti contro Crocodile e gli altri ed
alla fine non ne avresti avuto il coraggio.>
Wheeler indietreggiò come se fosse stato
colpito da una staffilata e a giudicare dall’espressione sul suo volto gli
avrebbe fatto meno male delle parole di M’Koni.
<Sbagli! Lo avrei fatto… e posso ancora
farlo.>
Wheeler si avvicinò alla sua armatura.
<Che intendi fare?> gli chiese M’Koni.
<Solo provare a riscattarmi per l’ultima
volta.> rispose lui.
C’era qualcosa nel suo tono di voce che
convinse M’Koni a non ostacolarlo mentre indossava ancora una volta l’armatura
da battaglia delle forze speciali aeree del Wakanda.
Si infilò il casco e la sua voce arrivò
distorta dal microfono mentre diceva semplicemente:
<<Addio Mary… M’Koni.>>
Senza aggiungere altro volò oltre la breccia
nella parete che aveva aperto entrando.
M’Koni rimase ad osservarlo allontanarsi poi
si girò verso la porta. Aveva una nazione da guidare contro un nemico potente e
non intendeva deludere il suo popolo.
Giardini
del Palazzo Reale.
L’indecisione si leggeva chiaramente sul
volto di Folami. Come tutte le Dora Milaje aveva fatto voto di proteggere i
membri della Famiglia Reale e non aveva dubbi che la donna in armatura avrebbe
ucciso la Regina Ramonda se lei non si fosse arresa. Non sembravano esserci
alternative. Con riluttanza cominciò ad abbassare l’arco.
Improvvisamente Khanata si mosse e con uno
scatto che ben si poteva definire felino strinse con le gambe le caviglie
dell’intrusa sbilanciandola e facendola cadere, poi le fu subito sopra.
<Tu!> esclamò lei sorpresa <Come hai
fatto a…?>
<A quanto pare, le fibre di vibranio nel
mio costume hanno assorbito gran parte dell’elettricità che mi hai scaricato
addosso. Sono rimasto stordito qualche minuto ma sono vivo. Ora vorresti essere
così gentile da arrenderti mia cara… non so neppure il tuo nome.>
<Mi chiamo Ohyaku…> replicò lei <… e non sono ancora pronta ad arrendermi.>
Con
uno scatto inaspettato riuscì a proiettare Khanata oltre la sua testa liberandosi
dalla sua presa poi si rialzò e fece scattare le sue fruste bioniche verso
l’avversario.
Khanata
riuscì ad afferrarle prima che lo colpissero di nuovo e sbilanciò Ohyaku
proiettandola verso la vicina fontana.
<Il
tuo giochetto lo so fare anche io.> disse.
Fece
una rapida corsa verso la fontana e tirò fuori dall’acqua la testa della sua
nemica.
<Non
credo che ora ti convenga usare i tuoi tentacoli elettrici. Che ne dici: sei
pronta ad arrenderti adesso?>
<Bastardo!>
rispose lei.
<Devo
prenderlo per un no?>
Ohyaku
non rispose.
Aeroporto
internazionale di Birmin Zana, capitale del Wakanda.
Shuri si voltò e si trovò di fronte un nero
dalla corporatura robusta che indossava la divisa da battaglia delle Forze Speciali
di Terra della Federazione Panafricana. Aveva le mostrine da Tenente Generale
ed i suoi occhi erano nascosti da occhiali con lenti a specchio.
<Zoruun!> esclamò riconoscendolo <E
così ti sei venduto a Crocodile. Non mi sorprende.>
<Il Niganda ora è parte della Federazione
Panafricana, molto semplice. Condivido gli obiettivi del Presidente N’Dingi ed
ho accettato di entrare nel suo esercito.> rispose il militare.
<Guadagnandoti una promozione a quanto
vedo. L’ultima volta che ti ho incontrato avevi una stella di meno sulle
spalline.>
Zoruun
fece un sogghigno e replicò:
<Fortunatamente N’Dingi crede nella parità
dei popoli che compongono la Federazione e non ha dato ruoli di comando solo ai
nativi del suo Mbangawi. Voi wakandani avreste fatto lo stesso? Io ho avuto il
comando delle forze di invasione della capitale ed è un piacere insperato per
me potermi occupare personalmente di te. Quindi ti ripeto: arrenditi o sarò
costretto a spararti. So cosa stai pensando ma per quanto in gamba tu sia non
riusciresti a neutralizzarci tutti da sola e qualcuno di noi riuscirebbe a
colpirti a morte.>
Per quanto odiasse farlo, Shuri, doveva
ammettere che probabilmente Zoruun aveva ragione. Ciononostante, arrendersi era
fuori questione. Serrò i pugni e si preparò a combattere.
Poco
distante.
Patrick McKenna non era un eroe. Questo
almeno era quanto diceva a sé stesso. Non che non fosse un uomo d’azione,
tutt’altro. Era stato nelle Forze Speciali dei Marines, mercenario nei punti
più caldi del pianeta, specialmente in Africa, e solo da poco aveva deciso di
dedicarsi alla più tranquilla, si fa per dire, professione del contrabbandiere d’armi
e di altri generi di beni difficili da procurarsi per vie legali. Ovviamente
lui preferiva definirsi un mediatore che facilitava alle persone giuste l’accesso
a cose che certe leggi rendevano difficile avere.
Non era un eroe, quindi perché non aveva
ancora approfittato della confusione per svignarsela dall’aeroporto ed anzi era
corso verso l’aereo caduto? Non avrebbe saputo spiegarlo nemmeno a sé stesso.
Si era arrestato al limite della pista e di
nascosto stava osservando Shuri alle prese con il Generale Zoruun. La ragazza
era un tipo combattivo ma non aveva grosse speranze di cavarsela.
Anche se avesse voluto aiutarla, non avrebbe
saputo come fare.
<Fermo dove sei!>
L’intimazione gli era stata fatta in Swahili,
la lingua franca dell’Africa subsahariana che lui, per ovvi motivi,
comprendeva. Era stato imprudente e si era fatto sorprendere da una pattuglia
delle forze d’invasione. Ora poteva solo sperare che non gli sparassero sul
posto.
Alzò le mani e si girò dicendo in uno swahili
non proprio eccellente:
<Calma ragazzi, non sono un nemico.>
Erano in sei la maggior parte molto giovani,
forse alla loro prima vera azione di guerra. Molto male. Poteva bastare il più
piccolo gesto a far saltare loro i nervi e dare il via ad una sparatoria di cui
lui sarebbe stato l’unico bersaglio.
Improvvisamente, quasi emergesse dal nulla,
un cane balzò addosso ad uno dei soldati addentandogli una mano e facendogli
perdere la presa sul suo fucile. Quasi contemporaneamente il soldato in fondo
alla fila si sentì afferrare da dietro alla gola. In pochi secondi il mancato
afflusso di sangue al cervello lo fece svenire.
Gli altri soldati ebbero qualche istante di
esitazione. Qualcuno li stava attaccando, ma chi?
McKenna non perse tempo a farsi domande. Le
buone occasioni andavano colte non appena si presentavano. Si tuffò a terra ed
allungò le mani ad impadronirsi del fucile sfuggito al soldato attaccato dal
cane. Sogghignò al pensiero che probabilmente quello era uno dei fucili che
aveva venduto lui poi, con la velocità che viene con la pratica, spostò la
levetta sulla modalità raffica e sparò senza perdere tempo a mirare. Un paio di
soldati caddero. Il resto dei proiettili si perse.
McKenna si stava rialzando quando un altro
soldato cadde ai suoi piedi. Qualcuno lo aveva colpito lasciandogli un segno su
una guancia: un marchio a forma di teschio.
<Ma che…?> esclamò sorpreso.
Alzò gli occhi e vide una figura in costume
che stava battendosi contro i soldati rimasti in piedi stendendoli in poche
mosse.
Era una donna bianca che indossava un attillato
costume violetto con un cappuccio che le lasciava scoperto il volto. Gli occhi
erano nascosti da una mascherina nera. Ai fianchi erano appese due fondine con
relative pistole.
<Non ci credo!> esclamò McKenna.
La donna venne verso di lui dicendo:
<Tutto bene?>
<Non sono ferito, se è questo che
intendi.> rispose McKenna rialzandosi. Esitò un istante poi aggiunse <Ho
sentito parlare di te ma credevo che fossi una leggenda… e che fossi un
maschio.>
La donna in costume sorrise e replicò:
<A volte le leggende sono vere, McKenna… e
a volte non sono esattamente come le raccontano. Ora scusami ma devo andare ad
aiutare Shuri.>
Corse via seguita dal cane. Solo dopo pochi
istanti McKenna si rese conto che lei sapeva il suo nome.
Harlem,
New York.
La ragazza afroamericana era ferma all’angolo
di una strada appoggiata ad un lampione. Tutto nel suo abbigliamento e nel
linguaggio del corpo suggeriva che fosse una prostituta e per una volta almeno,
gli stereotipi dicevano la verità.
Se ne stava ferma in attesa quando udì una
voce alle sue spalle:
<Buonasera Laura… è il tuo nome,
giusto?>
La ragazza sussultò e si voltò di scatto. Si
rilassò solo quando riconobbe l’uomo in costume che le era arrivato
silenziosamente alle spalle.
<Leopardo Nero!> esclamò un po’
sorpresa un po’ sollevata <Avevo sentito dire che eri morto.>
<Parafrasando un famoso scrittore,[2] era una
notizia molto esagerata.>
<Ne sono contenta. Se non fosse stato per
te, la gang di Vlad l’Impalatore mi avrebbe rapita e costretto a lavorare per
lui.>[3]
<Lavorare per Black Mariah è forse
meglio?>
<Decisamente, ma non è per parlare di
questo che sei venuto a cercarmi, non è vero?>
Il Leopardo Nero annuì e poi disse:
<Ho bisogno di un favore e tu puoi aiutarmi.>
Palazzo Reale di Wakanda.
M’Koni lasciò la palestra, Nel corridoio
trovò ad aspettarla sua cugina Zuni affiancata dal vecchio ma ancora baldanzoso
Zuri e soprattutto da Billy.
<Cosa sono quelle facce?> chiese cercando
di mostrarsi più sicura di quanto in realtà si sentisse <Non ditemi che non
credevate che sarei stata capace di cavarmela?>
<Sei sempre stata un’allieva brillante.>
limitò a dire Zuri.
<Papà?> le chiese suo figlio.
<Se n’è andato.> rispose M’Koni
<Credo che abbia capito i suoi errori e che non si metterà più contro di
noi.>
O almeno era quello che lei sperava. Adesso, però,
c’erano questioni più urgenti di cui occuparsi.
<Com’è la situazione?> chiese.
<Siamo tagliati fuori dal mondo.>
rispose Zuni <Il Palazzo Reale è avvolto da un campo di forza e tutte le comunicazioni
sono interrotte. Le truppe della Federazione hanno invaso il Wakanda e sono già
nella capitale>
<Dobbiamo trovare subito un modo di
comunicare con Taku, Omoro e W’Kabi.>
<Che intenzioni hai?>
<Smettere di difenderci e passare
all’attacco. Il Dottor Crocodile pensa che con me alla guida il Wakanda sia
debole, una facile preda. Gli dimostreremo che si sbaglia e che il boccone che
ha provato ad attentare gli spezzerà tutti i denti.>
CONTINUA
NOTE
DELL’AUTORE
Relativamente poco da dire, quindi facciamo in
fretta:
1)
Ohyaku è stata creata da Jonathan
Maberry & Will Conrad su Black Panther Vol 5° #8 datato novembre 2009.
2)
Il generale Zoruun è stato creato da
Evan Narcisse & Javier Pina in Rise of the Black Panther #2 datato aprile
2018.
3)
I più attenti di voi avranno
sicuramente capito chi è la misteriosa donna in costume che ha aiutato Patrick
McKenna. Gli altri dovranno aspettare il prossimo episodio.
E parlando del prossimo episodio: il fato di Okoye, il
Leopardo Nero, Vlad l’Impalatore, altri ospiti a sorpresa ed forse anche il finale
della nostra saga. Tutto in solo episodio. Come ci riuscirò? Leggetelo e lo
saprete.
Carlo