Quel che vi
serve sapere: il Wakanda ha respinto l’attacco delle forze armate dell’Unione
Panafricana ed ha portato la guerra in casa del nemico. Il Dottor Crocodile ha
deciso di proporre una sfida. Lui e due suoi campioni contro le tre Pantere
Nere: chi vincerà, prenderà tutto.
Nel frattempo a New York il Leopardo Nero deve affrontare un diverso tipo
di crisi.
Di Carlo
Monni
(con tanti
ringraziamenti a Carmelo Mobilia e Mickey)
Capitolo 22
Pantere e
Coccodrilli
Aeronave Reale del Wakanda. Tardo pomeriggio. Ora dell’Africa Orientale.
Il teatro
della sfida era l’ampio ponte del vascello.
I
contendenti erano tre per parte.
Da un lato
c’era M’Koni, attuale Regina del Wakanda e Pantera Nera in carica. Indossava il
costume rituale con una corta mantella sulle spalle.
Alla sua
destra suo cugino Khanata che indossava una versione del costume senza mantella
e con la parte inferiore del viso scoperta.
Alla
sinistra stava l’altra cugina, Shuri. Anche lei indossava il costume che nel
suo caso era arricchito da una collana, una cintura e dei bracciali ai polsi.
Dal lato
opposto Joshua N’Dingi, noto anche come Dottor Crocodile, Presidente della
neonata Federazione Panafricana. Si era spogliato della sua uniforme ed
indossava solo un perizoma. Ora erano decisamente evidenti le sue protesi
bioniche su tutto il lato sinistro del suo corpo.
Alla sua
sinistra stava Raoul Bushman, alto, massiccio, lunghi capelli annodati in
treccine. Indossava solo pantaloni militari verdi completati da stivali.
Alla destra
di N’Dingi stava quello che poteva essere solo descritto come una pantera nera
antropomorfa. Si faceva chiamare semplicemente Pantera e sosteneva di aver
ricevuto il suo potere dal dio Pantera in persona con il compito di punire i
nemici dei popoli africani. Era completamente nudo.
Fu N’Dingi a
parlare per primo:
<Le
regole sono semplici: ogni colpo è permesso e chi vince prende tutto.>
Ci fu un
attimo di silenzio che ai presenti sembrò quasi interminabile, poi M’Koni
disse:
<Cominciamo, allora.>
Forest Hills, Queens, New
York City. Ore nove del
mattino. Ora della Costa Orientale americana.
Molly von
Richthofen scese dalla sua auto e si guardò intorno circospetta.
Apparentemente
non c’era nessuno, ma in questi casi era sempre meglio non fidarsi troppo. Le
fughe di notizie avvenivano ed era meglio comportarsi come se le cose potessero
andare storte da un momento all’altro.
Si rivolse
al giovanotto nel sedile del passeggero. Era un biondino dall’aria non troppo
sveglia. Come avesse fatto a passare gli esami da detective era un mistero.
<Tu
rimani qui, Soap. Se vedi qualche faccia sconosciuta prima spara e poi chiedi
chi è.>
Senza
aspettare risposta. Molly si avvicinò alla casa sicura che i federali avevano
messo a disposizione di Angela Dinu quando aveva lasciato il marito dopo aver
scoperto che era il capo di un’organizzazione criminale internazionale che
faceva entrare clandestinamente ragazze, ma anche ragazzi, provenienti dai
paesi dell’Est Europa e dall’Africa per farli prostituire contro la loro
volontà.
Molly non ci
sperava molto ma forse, anche inconsapevolmente, quella donna poteva fornire
informazioni utili ad incastrare il marito.
Usò la
chiave che le avevano dato per aprire il portone ed entrare. Aveva appena
varcato la soglia che sentì il freddo acciaio della canna di una pistola alla
tempia destra ed una voce di donna dire:
<Identificati
o ti stacco la testa.>
Molly
sospirò e replicò:
<Piantala,
Carter. Sai benissimo chi sono come io so chi sei tu.>
<E come
faccio a sapere che sei davvero tu e non una killer a cui hanno fatto una
plastica facciale, uno Skrull od un
clone?>
<Guardi
troppa TV, Carter. Sono proprio io. Chi altri potrebbe avere il mio amichevole
carattere? Ma se proprio vuoi una prova, ti posso ricordare dell’altra sera,
dopo l’udienza Dinu, quando io, tu e l’Agente Brandon ci siamo ubriacate
insieme e tu ci hai mostrato il tatuaggio che hai sul…>
<Basta
così. Sono convinta.> disse l’altra abbassando la pistola.
Il suo nome
era Katherine Carter ed era un’Agente Speciale dell’ICE[1],
l’agenzia federale che indagava, tra le altre cose, sui crimini connessi
all’immigrazione. Era bionda, occhi azzurri, i capelli raccolti a coda di
cavallo. Indossava un tailleur sobrio, ma la sua camicetta aveva un bottone
slacciato di troppo e si intravedeva una generosa porzione di seno. Una vista
che a Molly Von Richthofen non dispiaceva affatto.
<Mi stai
guardando le tette.> disse Katherine.
<Mi
avvalgo della facoltà di non rispondere.> replicò l’altra mentre si toglieva
gli occhiali e li ripuliva con un panno. Li inforcò di nuovo e chiese:
<Ci sono
stati problemi?>
<Nessuno.
Del resto, questo è un quartiere abbastanza tranquillo. Ci ho vissuto quando
ero al liceo, prima di trasferirmi
nell’upstate[2] ed il
fatto più grave avvenne quasi una quindicina di anni fa quando un ladro uccise
un anziano durante una rapina ad un paio di isolati da casa mia. Giusto per
dire. L’Agente di ronda aveva poco da
fare e questo gli permetteva di alzare il gomito senza grossi problemi.>
<Molto
interessante.> commentò Molly con un
tono che lasciava intendere il contrario <Non sono venuta qui per ascoltare
i tuoi ricordi d’infanzia. La mammina è pronta per qualche domanda?>
<Si è
alzata da poco e dovrebbe essere in cucina a fare colazione, quindi penso di
sì.>.
<Allora
andiamo. Ho anche un certo appetito.>
Periferia di Birmin Zana, Capitale del Wakanda, sempre tardo pomeriggio.
Ora dell’Africa Orientale,
Era
insolitamente buio per quell’ora ed il panorama era drasticamente mutato: al
posto della città c’era una lussureggiante foresta tropicale. Non poteva che
essere opera di magia.
Il ragazzo
dai capelli neri e gli occhi grigi dimostrava meno di vent’anni. Indossava solo
un perizoma di pelle che copriva lo stretto necessario ed aveva un fisico
scultoreo. Chiunque avesse potuto vederlo non avrebbe potuto fare a meno di
paragonarlo ad un certo leggendario Signore della Jungla e non sarebbe andato
molto lontano dalla verità.
Si faceva
chiamare Jack Porter, ma era solo un nome che usava per nascondere la sua vera
identità, tra le altre cose.
In questo
momento impugnava un pugnale e si stava preparando al peggio.
La ragazza
alle sue spalle si chiamava Lorna Halliwell, aveva 18 anni, lunghi capelli
biondi che le ricadevano sulle spalle nude. Indossava un top rosso e shorts
blu. Anche lei impugnava un coltello ed anche lei era pronta al peggio.
Poco più
indietro stava una ragazza dai capelli neri che indossava un costume intero di
colore nero o forse blu marina, impossibile
dirlo con certezza alla poca luce che c’era, che le lasciava scoperte
braccia e gambe. SI chiamava Jane Hastings, ma preferiva farsi chiamare Jann.
Impugnava un
arco con una freccia incoccata e non aveva nessuna intenzione di aspettare che
arrivasse il peggio.
Completava
il quartetto un uomo dal fisico massiccio dai capelli, baffi e pizzetto neri.
Si chiamava Alyosha Kravinov, ma era più noto con lo stesso nome di suo padre,
di cui indossava il costume: Kraven il Cacciatore. Ostentava una calma che
forse non provava… o forse sì.
Di fronte a
loro stava un uomo, nudo a parte un gonnellino di pelle di
ghepardo, di età indefinibile dai lunghi
capelli neri che gli ricadevano sulla schiena. Aveva un viso aquilino con un
lungo pizzo che gli scendeva dal mento.
I suoi occhi erano incredibilmente verdi, una cosa decisamente insolita
in un africano, anche se c’era una leggenda su una stirpe di maghe le cui
esponenti avevano gli occhi azzurri. Voleva forse dire che anche lui era uno
stregone? I tre ragazzi ci avrebbero scommesso tutto quello che avevano. Kraven
lo sapeva per certo.
Al
fianco dell’uomo c’era una ragazza di circa vent’anni che indossava una veste
bianca senza maniche e con spacchi laterali.
Lo stregone
disse ancora:
<Oggi
morirete tutti.>
<Ma tu ci
precederai.> disse in tono sprezzante Jann e scoccò la sua freccia.
Il dardo
attraversò l’aria e si conficcò nel petto dello stregone che barcollò , fece
qualche passo indietro, ma non cadde. Invece afferrò la freccia e con un certo
sforzo se la strappò dal petto. Sotto gli occhi dei presenti la sua ferita
cominciò a rimarginarsi.
<Ben
tentato, ragazzina, ma hai mancato il cuore, sia pure di pochi millimetri.>
disse l’uomo <Tua nonna non avrebbe fatto un errore simile.>
<Tu
conoscevi mia nonna?>
<Sono
molto più vecchio di quello che sembro… e molto più cattivo e pericoloso.>
<Ho già
detto che odio la magia?> commentò Lorna.
Aeronave Reale del Wakanda. Tardo pomeriggio. Ora dell’Africa Orientale.
Fu il Dottor
Crocodile a fare la prima mossa. Dal suo braccio bionico partì una nebbiolina
rossastra che avvolse M’Koni. La sovrana del Wakanda rimase per qualche attimo
ferma, poi scattò, fece uno spettacolare salto e colpì Crocodile in pieno petto
con un calcio a piedi uniti che lo fece cadere a terra.
<Il mio
gas avrebbe dovuto farti cadere in preda a tuoi peggiori incubi!> esclamò N’Dingi <Come hai fatto a
resistere?>
<Non
avresti dovuto pubblicizzare tanto le meraviglie delle tue protesi
bioniche.> replicò M’Koni <Sapevo cosa avresti tentato e sono venuta
preparata. In fondo sono bastati dei banali filtri nasali.>
La rabbia di
Joshua N’Dingi era palpabile.
Forest Hills, Queens, New
York City. Ore nove e
40 del mattino. Ora della Costa Orientale americana.
Angela Dinu
era tesa e spaventata e ne aveva ben ragione. Fino a poco più di un giorno
prima era stata la moglie trofeo di Vlad Dinu, apparentemente un imprenditore
di successo con circa il doppio dei suoi anni che non aveva avuto troppe
difficolta a convincerla a sposarla. Aveva avuto soldi, una bella casa, tutto
quello che poteva desiderare, ma alla fine aveva dovuto affrontare la dura
realtà: suo marito era in realtà Vlad l’Impalatore, crudele boss della mafia
rumena. Aveva deciso di lasciarlo portando con sé il loro figlio e da quel
momento la sua vita valeva meno di zero.
Molly von
Richthofen le aveva fatto un sacco di domande, ma lei aveva saputo rispondere
solo a pochissime e si vedeva benissimo che la poliziotta non era soddisfatta,
ma che poteva farci?
<Un’altra
domanda…> disse Molly.
<Forse
dovresti lasciarla riposare un po'.> intervenne Kathy Carter <Farle
smaltire la tensione.>
<Decido
io quando smettere un interrogatorio.> ribatté in tono stizzito Molly.
Prima che
Kathy potesse replicare, dall’esterno arrivò l’eco di uno sparo.
Voltando
istintivamente la testa Molly esclamò:
<Soap!>
Aeronave Reale del Wakanda. Tardo pomeriggio. Ora dell’Africa Orientale.
Raoul
Bushman si gettò verso Khanata e gridò:
<Ti
spezzerò in due come un fuscello!>
<Lo ha
detto anche Ivan Drago e non gli è andata bene.> replicò il Principe
wakandano gettandosi a terra,
Khanata non
amava combattere. Se avesse potuto scegliere avrebbe di gran lunga preferito
trovarsi a Montecarlo in compagnia di una top model, meglio ancora se due,
oppure alla guida di una delle sue auto da corsa. Era, però, consapevole del
suo ruolo. Si era allenato ogni giorno, aveva assunto le erbe sacre ed era
abbastanza in forma per affrontare la sfida… o almeno lo sperava.
Mentre
scivolava a terra afferrò con una presa a forbice delle gambe le caviglie di
Bushman che, trascinato dal suo stesso slancio, precipitò rovinosamente sul
pavimento.
Khanata
sapeva che non poteva perdere il vantaggio acquisito. Si rimise in piedi
velocemente e riuscì a sferrare un calcio al mento di Bushman prima che questi
finisse di rialzarsi.
Un punto per
me, pensò Khanata, ma sapeva che era tutt’altro che finita.
Forest Hills, Queens, New
York City. Ore nove e
30 del mattino. Ora della Costa
Orientale americana.
Diciamolo
francamente: Martin Soap nel migliore dei casi era un ingenuo. Nel peggiore,
beh.. forse era meglio non approfondire.
Non c’era da
sorprendersi, quindi, se si era appisolato nell’auto di servizio, per poi
risvegliarsi con la canna di una pistola sotto il naso.
<Tu fa
bravo e tu vive.>
Inglese
pessimo ed accento dell’Europa Orientale. Soap poteva essere ingenuo, ma aveva
fatto bene i suoi compiti: Vlad l’Impalatore veniva dalla Romania ed era molto
probabile che diversi dei suoi scagnozzi
venissero anche loro da lì. In qualche modo Vlad aveva scoperto dove era
nascosta sua moglie ed aveva mandato i suoi uomini a chiudere i conti con lei.
Soap era
anche certo che non avrebbero mantenuto la parola e l’avrebbero ucciso
comunque. Non era nel loro stile lasciarsi dietro testimoni. Decise, quindi,
che tanto valeva tentare una reazione. Anche se avesse fallito, come era
probabile, avrebbe dato un’opportunità in più a quelli dentro la casa. Si
apprestava, quindi, ad aprire lo sportello dell’auto, sperando di far cadere
l’uomo con la pistola prima che lui potesse sparargli, quando le cose presero
una piega diversa.
Una figura
piombò dall’alto sui gangster sferrando pugni e calci a destra e a manca ed
abbattendoli come birilli. Soap lo riconobbe: era quel nuovo supereroe che
agiva prevalentemente ad Harlem, il Leopardo Nero.
Uno dei
gangster stava per sparargli alle spalle, ma Soap lo fece cadere aprendo lo
sportello dell’auto ed urtandolo, facendogli perdere l’equilibrio e sbagliare
mira. Lo sparo si perse nell’aria.
<Grazie,
Detective.> gli disse il Leopardo Nero.
<Io… non
ho fatto molto.> balbettò Soap <È stato lei a stenderli tutti da
solo.>
<Erano
solo bassa manovalanza.>
In quel
momento dalla casa uscirono dalla casa Molly von Richthofen e Kathy Carter con
le pistole spianate.
<Che
cavolo sta succedendo?> chiese Molly.
Il Leopardo
Nero indicò gli uomini a terra e rispose:
<Sicari mandati
da Vlad l’Impalatore. Sapevano che sua moglie era qui. Qualcuno si è fatto
corrompere evidentemente. Suggerisco di lasciare questo posto
immediatamente.>
Kathy
sospirò e disse:
<Temo anch’io
che sia la sola cosa da fare.>
Molly von
Richthofen sciorinò una litania di parolacce degne di uno scaricatore di porto,
poi guardò gi altri e disse:
<Che
aspettiamo? Diamoci una mossa!>
Periferia di Birmin Zana, Capitale del Wakanda, sempre tardo pomeriggio.
Ora dell’Africa Orientale.
La tensione
era decisamente palpabile. C’era
qualcosa nell’aria e non era solo un modo di dire.
<Brutta
stupida!> sbottò improvvisamente Lorna rivolta a Jann <Non sei nemmeno
capace di uccidere un vecchio!>.
<Come
osi? Ora ti faccio vedere io!> gridò di rimando l’altra e la colpì al viso
con l’arco.
Lorna reagì
immediatamente e le si gettò addosso. Le due ragazze cominciarono a lottare
avvinghiate l’una all’altra.
Jack
intervenne per separarle ma, improvvisamente, Lorna gli buttò le braccia al
collo e lo baciò appassionatamente. Lui rispose al bacio con altrettanto
fervore.
Jann
strattonò Lorna gridando:
<Lascialo
stare, puttana. Lui è mio!>
C’era
decisamente qualcosa di storto, pensò Jack. Perché le sue amiche si mettevano a
litigare in questo momento e perché anche lui stesso sentiva i suoi ormoni
impazzire? Non riusciva a pensare chiaramente. Non voleva combattere, voleva
solo…
No! Non
doveva cedere adesso. Era colpa dello
stregone?
Mentre
stringeva i denti combattendo i propri impulsi, vide, come attraverso un velo
rosso, Kraven apparire alle spalle della giovane compagna dello stregone ed
afferrarle il collo sollevandola leggermente da terra.
Aeronave Reale del Wakanda. Tardo pomeriggio. Ora dell’Africa Orientale.
Shuri era
perfettamente consapevole che non doveva farsi toccare dagli artigli e men che
meno dalle zanne del suo avversario. Lei poteva anche indossare un costume
ispirato ad una pantera, ma il suo antagonista era realmente mutato in una
pantera, sia pure antropomorfa, e gli sarebbe bastato poco per sbranarla se ne
avesse avuto l’occasione, un’occasione che lei non intendeva concedergli.
Aveva
sentito delle storie su di lui. Secondo ciò che sosteneva lui stesso, era un
detenuto in una prigione della nazione di Azania quando questa praticava ancora
l’Apartheid. Il dio pantera gli era apparso e gli aveva affidato il compito di
vendicare i neri di Azania uccidendo gli oppressori bianchi. Lo aveva mutato in
quello che era adesso consentendogli di evadere e cominciare la sua missione di
morte.[3]
Shuri non
poteva credere che fosse stato mutato dal dio della sua gente.
Forse l’uomo
che aveva di fronte era un mutante latente la cui mutazione si era attivata a
causa delle angherie subite o era il risultato di qualche esperimento, mentre
il resto era frutto della sua immaginazione malata.
Questo aveva
scarsa importanza adesso. Shuri era fin troppo consapevole che non sarebbe
riuscita ad evitare gli assalti della Pantera per sempre. Magari si sarebbe
stancato prima di lei o magari no.
Doveva
trovare un modo per sconfiggerlo il prima possibile.
Visto che
Crocodile non aveva avuto scrupoli ad usare i suoi gadget lei poteva
permettersi di fare altrettanto.
Staccò un
paio di piccole sfere dalla sua cintura e le lanciò verso la Pantera.
Le sfere
esplosero non appena lo toccarono.
Forest Hills, Queens, New
York City. Ore dieci
del mattino. Ora della Costa Orientale americana.
Avevano
fatto tutto il più alla svelta possibile. I gangster svenuti erano stati
ammanettati e portati dentro la casa. Chi di dovere era stato avvertito di
venirli a prendere. Angela Dinu e suo figlio
erano stati caricati su un’auto alla cui guida si era posta Katherine
Carter, con Molly von Richthofen al fianco sul sedile del passeggero. Martin
Soap li seguiva su un’altra auto.
<Dove
andiamo?> chiese la Detective.
<Lo saprai quando ci arriveremo.> rispose l’Agente Federale <Se sono la sola
a saperlo nessuno potrà scovarci e tantomeno precederci. Ora spegni il tuo
cellulare come ho fatto con il mio. Non voglio correre il rischio che qualcuno
con la tecnologia adeguata possa rintracciarci tramite loro.>
<In
questo modo, però, se avremo bisogno di
aiuto non potremo averlo.>
<Abbiamo
già un angelo custode, ricordi? Con un po' di fortuna non ci servirà altro.>
<Speriamo
bene.> Molly si batté una mano sulla fronte ed esclamò <Soap!
Quell’idiota è capace di riaccenderlo. In confronto a lui Forrest Gump è un
genio.>
<Tranquilla.>
replicò Kathy con un sorriso <gliel’ho preso senza che se ne accorgesse.>
Molly
ridacchiò e commentò:
<Sei più
birichina di quanto pensassi.>
<Da
adolescente mi avevano soprannominata Tornado. Crescendo mi sono calmata.>
<Non
troppo, spero.>
Kathy non
raccolse la battuta e si concentrò sulla guida. Non molto tempo dopo
raggiunsero la penisola di Rockaway e Kathy parcheggiò la sua auto davanti ad
un edificio non lontano dalla spiaggia.
<L’intero
edificio è sfitto al momento. Qualche anno fa in uno dei suoi appartamenti ci
abitava un mio… amico… che mi ha ospitato per qualche giorno quando sono
tornata a New York. Io… ehm… mi sono sempre dimenticata di restituirgli le
chiavi che mi aveva dato allora. Me le porto sempre con me, una decisione
saggia, a quanto pare.>
<Un…
amico?>
<Beh, sai
com’è: il miglior quarterback del liceo, veterano di guerra, un affascinante
mascalzone. Lo reincontri per caso dopo anni e… beh mi capisci, immagino. Quale
ragazza potrebbe mai resistere ad una combinazione del genere?>
<Non
saprei. Io al liceo guardavo le cheerleaders.>
Kathy
preferì non replicare.
In breve
furono dentro l’appartamento che si rivelò più spazioso di quanto Molly si
aspettasse.
<Dubito che
ci troveranno mai qui.> disse Kathy.
<Se mai
lo faranno, li accoglierò a dovere.> replicò Molly con voce dura.
Periferia di Birmin Zana, Capitale del Wakanda, tardo pomeriggio. Ora
dell’Africa Orientale.
La ragazza
si afflosciò come un sacco di patate e Kraven la lasciò andare.
Contemporaneamente
Lorna e Jann smisero di picchiarsi e si guardarono perplesse. Sui volti di
entrambe si poteva leggere una domanda inespressa: perché abbiamo fatto una
cosa così idiota?
Jack Porter
non badava a loro: era corso verso Kraven. Fissò la ragazza a terra e chiese:
<L’hai…?>
<Uccisa?>
ribatté Alyosha <No, è solo svenuta. Io non uccido se posso farne a meno e
meno che mai una donna. Non sarebbe onorevole.>
Jack si
volse verso lo stregone.
<Tu! La
colpa è solo tua. Perché?>
<Perché
eravate sulla mia strada. Anche se la vostra stirpe ha spesso ostacolato i miei
piani, non sareste stati degni della mia collera.>
<La
nostra stirpe? Che intendi dire?>
<Chiedilo
a tuo nonno quando lo rivedrai… se lo rivedrai da vivo.>
L’occhio
destro dello stregone cominciò a brillare mentre alzava il bastone che
impugnava con la destra.
Non doveva
batterlo, pensò Jack. Doveva impedirlo a tutti costi.
Più rapido di quanto lui stesso pensava di poter
essere, bloccò il movimento dello stregone e lo rovesciò a terra.
Tenendo
stretto il bastone lo premette contro il collo dello stregone.
<Chissà
perché, ho la sensazione che con questo posso ucciderti. Mi sbaglio?>
L’altro non
rispose. Dalla bocca non gli usciva alcun suono. Annaspò per qualche istante,
poi cominciò a diventare trasparente ed infine scomparve.
In quel
momento anche la jungla scomparve e quella porzione di città riapparve. Dello
scontro non rimaneva nulla, anche la carcassa della iena era sparita come se
non fosse mai stata lì. A ricordo di ciò che era successo rimaneva solo il
corpo della giovane ragazza fatta svenire da Kraven.
<Era solo
un’illusione oppure…?> chiese Jack.
<Credo
che non lo sapremo mai con sicurezza.> rispose Kraven <Quello che conta
davvero è che ti sei dimostrato all’altezza dei tuoi antenati, Greystoke.>
<Grazie…
io… aspetta! Come mi hai chiamato?>
<Non è il
nome del tuo… casato? È così che si dice, giusto?>
Prima che
Jack potesse rispondere, arrivarono le sue amiche.
<Mi
vergogno tanto.> disse Lorna.
<Io più
di te.> aggiunse Jann.
<Non è
colpa vostra.> disse Kraven <Zenzi è una mutante in grado di amplificare
le emozioni altrui. Per questo il Dottor Crocodile l’ha reclutata. Non eravate
in voi stesse.>
<Tu però
le hai resistito.> commentò Lorna.
<Io
sapevo cosa era capace di fare ed ora lo sapete anche voi.>
<I
combattimenti sembrano cessati.> disse Jack <Forse la guerra è finita, ma
chi ha vinto?>
La risposta
non sarebbe tardata.
Aeronave Reale del Wakanda. Tardo pomeriggio. Ora dell’Africa Orientale.
Le sfere
erano sostanzialmente una versione più sofisticata delle cosiddette granate
flash bang: emettevano gas ed una scarica elettrica che, anche quando non li
abbattevano immediatamente, disorientavano comunque gli avversari per qualche
istante.
Era ciò di
cui Shuri aveva bisogno. Scattò verso la Pantera e cominciò a colpirlo con
pugni e calci saltando indietro ad ogni colpo.
La Pantera
reagiva cercando di colpirla con i suoi artigli ed un paio di volte ci riuscì
procurandole delle lacerazioni al costume e ferite superficiali.
Era arrivato
il momento di farla finita, pensò Shuri.
Prelevò
altre due sfere di colore diverso dalla sua cintura e le lanciò contro la
Pantera.
L’essere fu
avvolto per qualche secondo da una luce azzurrognola. Dalla sua gola uscì una
specie di ruggito che poi si tramutò in un urlo fin troppo umano, poi crollò a
terra e quello che cadde al suolo, svenuto era un uomo di colore nudo.
<Non mi
aspettavo questo, ma va benissimo.> commentò Shuri.
Poco
distante continuava lo scontro tra Khanata e Bushman. Quest’ultimo aveva
resistito al calcio vibratogli da Khanata e gli aveva afferrato una caviglia
sbilanciandolo. Non era stato sufficiente perché Khanata aveva evitato di
misura il suo successivo attacco.
L’ex
mercenario era più forte del wakandano, ma non riusciva a colpirlo perché
quest’ultimo era troppo più agile di lui.
La tattica
di Khanata era semplice: sfiancare Bushman ed approfittare del primo momento in
cui si sarebbe trovato fuori guardia… e quel momento si presentò.
Bushman era
chiaramente affannato e durante l’ennesimo tentativo di colpire il suo
avversario si scoprì troppo.
Khanata non
perse tempo ed eseguì un perfetto calcio rotante colpendo il suo avversario al
petto. Quando questi si piegò istintivamente, gli sferrò un uppercut e poi un
altro ed un altro ancora.
Per qualche
secondo Bushman sembrò pietrificato, poi cadde pesantemente a terra e non si
mosse più.
<Mascella
di vetro alla fine.> commentò Khanata
appoggiandosi ad una parete.
M’Koni
appariva in difficoltà ed era ben consapevole di ciò che significava: gli altri
avrebbero anche potuto vincere le loro sfide, ma era la sua la sola che
contava. Se avesse perso lei, avrebbero perso tutti e questo non doveva
accadere.
Il Dottor Crocodile
era riuscito ad afferrarle il collo con il suo braccio bionico ed ora la teneva
sollevata dal suolo stringendole la gola in una morsa ferrea.
I pensieri
di M’Koni andarono a suo figlio Billy. La vita lo aveva già segnato abbastanza:
aveva perso suo padre… due volte si poteva dire… la sua vita era stata
rivoluzionata quando erano andati a vivere in Wakanda, era l’erede di un trono
che a breve poteva non esistere più. Era colpa sua? Era stata lei a metterlo in
questa situazione ed ora non l’avrebbe rivisto mai più.
No! Non
doveva accadere!
<Se
adesso volessi torcerti il collo…> le disse Crocodile <… come potresti
impedirmelo?>
<Così.>
rispose M’Koni.
Con un certo
sforzo piegò le gambe e le allungò fino a toccare il petto di N’Dingi con la
punta degli stivali.
<Vuoi
farmi cadere?> replicò lui <Non funzionerà. La mia gamba bionica mi tiene
ancorato al suolo.>
<Proprio
quello che volevo sapere.> ribatté M’Koni.
Dagli
stivali si sprigionò un impulso elettromagnetico e di colpo qualsiasi
apparecchiatura elettronica o meccanica nel suo raggio d’azione cessò di
funzionare… comprese le protesi bioniche di Crocodile.
La presa sul
collo di M’Koni si allentò di colpo e lei balzò all’indietro giusto in tempo
per evitare che Crocodile, le cui gambe ora non potevano più reggere il peso del corpo, le piombasse
addosso cadendo.
M’Koni gli
fu sopra e gli afferrò il collo tirandolo verso di lei.
<Se
adesso volessi torcerti il collo…> disse a Crocodile <… come potresti
impedirmelo?>
Ci fu un
attimo di pesante silenzio, poi N’Dingi disse:
<Hai
vinto.>
Sotto la
maschera M’Koni sorrise.
Birmin Zana, Capitale del Wakanda, quasi al tramonto. Ora dell’Africa
Orientale
Il nome
dell’uomo anziano e corpulento seduto ad una robusta scrivania di quercia era
Akeja. Era il leader di una fazione politica wakandana fortemente
conservatrice, per non dire reazionaria, chiamata Desturi, una parola che in
lingua swahili significava «tradizione».
I Desturi si
erano battuti lealmente contro l’invasione guidata dal Dottor Crocodile
mettendo da parte le divergenze politiche con il governo in carica e con la
donna che adesso portava il manto della Pantera Nera. La guerra, però, era
vicina alla fine e volgeva in favore del Wakanda. Questo stava creando
un’opportunità più unica che rara per un colpo di stato approfittando della
confusione.
Akeja
sperava ancora di poter diventare Primo Ministro vincendo le prossime elezioni,
ma non era il tipo da lasciar perdere un’occasione favorevole se gli si
presentava su un piatto d’argento.
Allungò la
mano verso il suo telefono ma, prima che potesse comporre un numero, sentì
contro la nuca il freddo acciaio della canna di una pistola, poi una voce di
donna disse:
<Io non
farei quella chiamata se fossi in lei, Dottor Akeja.>
Akeja fece
fare un giro di 180 gradi alla sua poltrona e si trovò di fronte una donna
inguainata in un aderente costume violetto con un cappuccio che le lasciava
scoperto solo il viso, a parte una mascherina domino sugli occhi. Al suo fianco
un pastore tedesco che emetteva un sommesso ringhio.
<Non si
disturbi ad alzarsi, anzi rimanga seduto che è meglio. Diavolo è piuttosto
nervoso oggi e potrebbe mal interpretare un qualunque suo gesto.>
<Lei…
è…>
<Può
chiamarmi Phantom. Il mio compito è difendere la pace in questo angolo di mondo
e questo vuol dire anche sventare un colpo di stato in Wakanda ancor prima che
inizi.>
Akeja aveva
recuperato la calma e replicò:
<Deve essere
la settimana dell’invadiamo la casa di Akeja. È già il secondo visitatore
indesiderato che sono costretto a tollerare.[4] Ho
ancora meno paura di lei di quanta ne avessi di Raoul Bushman. Conosco il codice d’onore di quelli come lei.
Non mi sparerà.>
La donna
chiamata Phantom sorrise e ribatté:
<Forse ha
ragione, ma potrei sempre andarmene e lasciarla in compagnia di Diavolo e lui
non ha gli scrupoli che lei mi attribuisce. >
Come in
risposta, il cane emise un ringhio.
<Non
oserà!> esclamò Akeja.
<Vuole
mettermi alla prova? Mi dia retta, lasci perdere certe velleità. Chissà,
potrebbe anche vincere le elezioni ed ottenere ciò che desidera pacificamente e
senza spargimento di sangue. Non sarebbe meglio?>
Akeja
sospirò.
Aeronave Reale del Wakanda. Alle prime luci del tramonto. Ora dell’Africa
Orientale.
M’Koni e
Joshua N’Dingi erano seduti l’una di fronte all’altro. Anche se guardato a
vista dalle Dora Milaje, l’uomo noto anche come Dottor Crocodile non era
legato. Aveva dato la sua parola di rispettare i termini della resa e per
quanto avesse tanti difetti, non era un mentitore.
Ai lati di
M’Koni sedevano il Primo Ministro Taku ed il Ministro della Difesa W’Kabi.
<Non c’è
molto da discutere.> disse la sovrana di Wakanda e Pantera Nera
<Ordinerai alle tue forze armate di lasciare il Wakanda e Azania e di
ritirarsi dai confini del Bangalla e delle altre nazioni dell’area.>
<Sarà
fatto.> replicò il Dottor Crocodile <E i prigionieri?>
<Saranno
tutti rilasciati, compresi i tuoi agenti superumani. Con due eccezioni: una
è Nakia.>
<È una
wakandana, una traditrice. Sarà processata per i suoi crimini.> intervenne
W’Kabi <Io l’avrei semplicemente uccisa senza tanti complimenti, ma la mia
sovrana non è d’accordo.>
<Siamo
una nazione civile e seguiremo delle regole civili.> tagliò corto M’Koni.
<Hai
passato troppo tempo in America secondo me.> replicò W’Kabi con un
sogghigno.
M’Koni si
rivolse di nuovo a N’Dingi:
<La
seconda eccezione è Bushman. È un criminale di guerra ricercato ed ha molto di
cui rispondere in Wakanda ed altrove.>
<Non
posso.> replicò l’altro <Lui è parte del mio governo. Non puoi chiedermi
di tradirlo.>
M’Koni
guardò W’Kabi che disse:
<Gli sarà
concesso sino all’alba di domani per lasciare la regione, dopodiché inizierà la
caccia.>
<Sta
bene.> disse N’Dingi.
M’Koni tornò
a rivolgersi a lui:
<Per
quanto riguarda i territori annessi alla tua Federazione Panafricana, in ciascuno
di loro si svolgerà un referendum realmente libero e sotto il controllo di
organismi internazionali indipendenti in cui saranno i cittadini a decidere,
liberamente e senza costrizioni, se rimanere nella Federazione o tornare
indipendenti. Il risultato sarà rispettato qualsiasi dovesse essere l’esito dei
referendum. Come vedi sono stata più generosa di quanto lo saresti stato tu al
mio posto.>
<Non ho
difficoltà ad ammetterlo.>
<Ovviamente
rimarrai mio ospite finché non sarà stato tutto organizzato nei dettagli.>
<Ospite…>
<Un
ospite di riguardo trattato con tutti gli onori di un Capo di Stato ovviamente.
Confido che in un paio di settimane sarà tutto sistemato e potrai far ritorno
nella tua capitale.>
<Che
altro posso dire? Ho perso e per quanto non mi piaccia ammetterlo, tu hai vinto
meritatamente. Fammi avere una copia delle condizioni di pace e la firmerò
immediatamente.>
M’Koni
sospirò di sollievo. Almeno questa parte era stata facile.
Gramercy
Park, Manhattan, New York City, Ore 20, Ora della Costa Orientale
Vlad Dinu
sorseggiava distrattamente un bicchiere di cognac mentre la sua mente era
rivolta altrove.
Sua moglie e suo
figlio erano scomparsi.
Nessuno sapeva dove
potessero essere e questo gli bruciava.
<Lasciali
andare.> disse una voce che veniva dal lato del terrazzo.
Vlad non fu affatto
sorpreso di vedere il Leopardo Nero. Ormai si stava abituando alle sue visite a
sorpresa.
Non aveva bisogno di
chiedere di chi stesse parlando. Sapeva che era stato lui a sventare il
tentativo dei suoi uomini di rapire Angela e Gabriel. Si limitò a ribattere:
<Altrimenti?>
<Te ne
pentiresti.> fu la secca risposta <In ogni caso, non servirebbe a niente.
Ormai sono oltre la tua portata. Me ne sono assicurato personalmente.>
Vlad lo fissò con
odio e disse:
<Un giorno
pagherai per tutto questo.>
<Sono a tua
disposizione.> ribatté il Leopardo Nero, poi saltò oltre il terrazzo e
rapidamente scomparve.
EPILOGHI
Una suite del Wakanda
Hilton, Birmin Zana, Capitale del Wakanda, tarda serata. Ora
dell’Africa Orientale.
Jack Porter
sorrise mentre si chiedeva cosa avrebbero pensato suo padre e soprattutto sua
madre nel vederlo adesso nello stesso letto con due belle ragazze.
Quale modo
migliore per festeggiare l’essere sfuggiti ad una morte che per qualche istante
era sembrata quasi certa?
Palazzo Reale del Wakanda, sezione spa e palestra. Tarda serata. Ora
dell’Africa Orientale.
Khanata si
stava rilassando nella vasca idromassaggio immerso sino alla cintola. Era stata
una brutta giornata ed aveva rischiato di morire.
Per
l’ennesima volta si chiese perché avesse accettato l’incarico di presiedere il
Consiglio di Reggenza, lui che si era sempre sentito più tagliato per il jet
set internazionale che per l’avventura.
Eppure
doveva ammettere che in qualche modo si era divertito. Gli era piaciuto essere
un guerriero dopotutto.
La porta
della sala si aprì e nella semioscurità si staglio la silhouette di una donna.
<Folami?>
chiese Khanata alludendo alla Dora Milaje che gli faceva abitualmente da
guardia del corpo… ed altro.
<Temo che
Folami sia attualmente impegnata nella sicurezza, diciamo così, del Dottor
Crocodile.> disse una voce di donna che lui conosceva bene <Dovrai
accontentarti di me.>
<M’Koni?> esclamò, sorpreso, Khanata.
La Regina
del Wakanda avanzò nella stanza e si fermò davanti alla vasca. Si sfilò la
leggera vestaglia che indossava rimanendo nuda e cominciò a scendere nella
vasca.
<Così a
occhio, direi che sei contento di vedermi.> disse ridendo.
South Bronx, New York City. Ore
17. Ora
della Costa Orientale
Shauna Toomey,
completamente nuda, si alzò dal letto disfatto e si rivolse all’uomo, anche lui
nudo, ed anche lui afroamericano, che vi era ancora disteso:
<Posso usare la
doccia, tesoro?>
<Fai pure.> le
rispose Abe Brown mettendosi a sedere.
<Vuoi unirti a
me?> chiese lei con uno sguardo malizioso.
Lui scosse la testa
e rispose:
<No, grazie. Sono
esausto. Non ho più l’età per certi giochetti, temo.>
<Oh, non direi proprio:
sei stato decisamente all’altezza delle mie aspettative ed anche di più.>
Senza aspettare
risposta Shauna si diresse verso il bagno.
Abe fece un bel
respiro. Che gli era venuto in mente di portarsi a letto la moglie del numero
due della gerarchia criminale di Harlem? Era forse in cerca di più guai di
quanti gliene capitassero di solito?
Certo, era stata lei
a prendere l’iniziativa ed anche in un modo decisamente esplicito.
Gli aveva fornito un
assaggio delle sue capacità nientemeno che nella toilette dell’Harlem Club,
giusto per restare negli stereotipi, e poi gli aveva detto:
<Domani
pomeriggio da te.>
E, puntuale, lei si
era presentata alla sua porta e senza tanti convenevoli in cinque minuti erano
finiti a rotolarsi tra le lenzuola.
Abe si chiese come
avrebbe reagito John James Toomey se avesse scoperto le attività extraconiugali
di sua moglie.
Forse ne era al
corrente e non gli importava purché rimanessero riservate e magari anche lui si
concedeva qualche distrazione. Le ragazze con cui farlo non gli mancavano di
certo.
Abe non era
particolarmente preoccupato.
Se anche qualche gangsta
si fosse fatto vivo per vendicare l’onore di Toomey lui avrebbe saputo come
sistemarlo.
Dopo aver affrontato
semidei interdimensionali, Fu Manchu ed i ninja della Mano, non erano certo i
criminali di Harlem ad impensierirlo… o così continuava a dirsi.
Shauna uscì avvolta
in un asciugamano che poi lasciò cadere disinvoltamente a terra una volta
vicina al letto. Prese i suoi abiti e cominciò a vestirsi:
<Devo essere al
club tra un’ora e non mi piace arrivare in ritardo.>
<Temi che tuo
marito si faccia delle domande?> le chiese Abe.
Lei si limitò a fare
spallucce. Finì di rivestirsi e gli chiese:
<Verrai al club
stasera?>
<È possibile.>
rispose lui vago.
<Bene. Se ti va,
uno di questi giorni potremmo rifarlo. Non mi dispiacerebbe.>
Senza aspettare una
risposta che non venne, Shauna si avviò alla porta ed in un paio di minuti era
scomparsa.
Kiber
Island, Oceano Indiano, poco dopo l’alba. Ora
dell’Africa Orientale.
Quest’isolotto,
poco più di uno scoglio, che si trovava appena fuori dalle acque territoriali
del Kenya, era stato annesso al Wakanda alcuni anni prima[5]
e serviva principalmente come prigione di massima sicurezza per i detenuti
classificati come estremamente pericolosi dal sistema penitenziario wakandano.
La ragazza
che vi arrivò quella mattina era molto bella e non sembrava molto pericolosa,
ma secondo qualcuno doveva esserlo perché era ammanettata saldamente ed ai
piedi aveva una catena che le consentiva appena di camminare.
Mentre lei e
le guardie di scorta percorrevano un lungo corridoio, da una delle celle giunse
una voce di uomo:
<Ma
guarda un po' se quella non è la piccola Nakia. Benvenuta all’inferno.>
Nakia voltò
la testa in direzione della voce, sorrise e replicò:
<Dottor
Achebe, che piacere rivederla.>
FINE?
NOTE DELL’AUTORE
In fondo c’è poco da dire, quindi
non perdiamo tempo:
1) Ebbene sì,
come forse avrete ormai indovinato, Katherine Carter non è una mia creazione
originale, ma un vecchio personaggio che risale addirittura ai tempi in cui la
casa editrice che oggi conosciamo come Marvel non aveva ancora quel nome ma era
chiamata Atlas. Parliamo del 1959, addirittura, ed all’epoca lei era
decisamente molto differente.
2) Se poi vi
chiedeste chi erano l’anziano ucciso da un ladro ed il quarterback della
squadra di football americano del liceo ed aveste delle ipotesi, beh, potreste
aver ragione. -_^
3) La Pantera è
stata creata da Peter B. Gillis & Denys Cowan su Black Panther Vol. 2 #1
datato marzo 1988.
4) Martin Soap è stato creato da Garth
Ennis & Steve Dillon su Punisher Vol. 5° #2 datato maggio 2000.
5) Zenzi è stata creata da Ta-Nehisi
Coates & Brian Stelfreeze su Black Panther Vol. 6° #1
6) datato aprile 2016.
7) Lo stregone senza nome
e la iena Mijeledi sono invece
creazioni originali di Fabio Chiocchia e sono apparsi entrambi nel primo
episodio di questa serie.
8) Un sentito
ringraziamento al mio editor Mickey per alcuni preziosi suggerimenti riguardo
un paio di scene. -_^
Nel prossimo episodio: il? Wakanda affronta le conseguenze
della guerra mentre a New York le cose si complicano.
Carlo