PROLOGO: Battleground,
Arizona
La vittoria ha tanti padri, la
sconfitta uno solo. E dargli un nome è spesso affidato al buon vecchio
scaricabarile.
Oggi, in questo caso,
all’indomani di un attacco che aveva recato gravi danni in diversi cantieri,
fra i numerosi che si occupavano della ricostruzione di Battleground in New
Phoenix, il colpevole aveva un nome e cognome. E non c’era un’anima fra le
autorità che non avrebbe pagato per infliggergli una punizione più che
esemplare.
Il colpevole si chiamava Sal Whitestone, segretario particolare
della Governatrice Janet Napoletano. Per nascondere un grosso giro di
corruzione in cui era pesantemente coinvolto, Sal aveva scatenato la furia di Kiran la Morte Volante e Raptor il Rinnegato, facendosi possedere
dal primo di quei due mostri venuti da un passato vecchio quanto i dinosauri[i]…
Ma aveva perso, e al costo di
un pesante tributo…
MARVELIT presenta
RANGERS
Episodio 24 - Interludio
Il tributo si chiamava Jonaton Earthgreen, ed in quel momento
se ne stava immobile su un lettino, mentre una batteria di sensori lo esaminava
da cima a fondo del suo corpo di drago antropomorfo. Le scaglie verdi e le
striature sanguigne brillavano di una riflesso innaturale sotto le lampade dei
sensori. I rostri acuminati sulla schiena, braccia e gambe sembravano ancora
più minacciosi. Anche in quella posizione, con le ali della schiena ripiegate,
il muso affilato disteso in un’espressione neutra, Raptor dava l’impressione
della cruda potenza che scorreva nei suoi muscoli e nelle vene.
Finalmente, l’esame terminò. I
sensori rientrarono nei loro alloggiamenti.
L’uomo di nome Johnny ‘Coyote’ Cash esaminò
sommariamente i risultati. “Densità tessuti davvero notevole… E, sì, è proprio
fosforo quello che si trova nel sangue. Dio, che metabolismo fantastico:
guadagnerei un nobel solo con metà di quello che stiamo scoprendo…”
“Perché non ti preoccupi di
dirci come possiamo fare per guarirlo,
invece?!” lo interruppe quasi urlando la voce di una donna.
Coyote sobbalzò, e poi si
massaggiò le orecchie. “Bonita cara, perché continui ad ostinarti? Il nostro
nuovo amico non è ammalato: la sua anima e la sua forza vitale sono andate a
possedere il corpo di Raptor, e a causa del decadimento del corpo di Mr.
Earthgreen, il processo non è reversibile…”
“Uh? Mr. Cash” chiese Raptor
con un tono esitante buffo a sentirsi.
“Hai da aggiungere la tua in
merito, capo?” fece Johnny.
“No. Vorrei sapere se posso
alzarmi. Ha finito?”
“Oh. Sì, prego.”
Quando Coyote entrò nella sala
riunioni, tre ore dopo, trovò ad attenderli il loro superiore, Jack Ironhoof, oltre al resto del gruppo
dei Rangers:
Ø
Thomas Fireheart, Puma, il guerriero-felino.
Ø
Drew Daniels, Texas Twister, padrone dei tornado.
Ø
Victoria Star, Shooting Star, guerriera della luce.
Ø
Jason Strongbow, Aquila Americana, il superforte capotribù Navajo.
Ø
Bonita Juarez, Firebird, la donna imbevuta di energie cosmiche.
Ø
William Talltrees, Red Wolf, campione dei Cheyenne ed avatar del dio-lupo
Owayodata, insieme al suo inseparabile compagno, il lupo rosso Lobo.
Ø
Jesse Black Crow, Corvo Nero, il mistico Navajo.
Ø
Hamilton Slade, Phantom Rider, discendente di un leggendario eroe del vecchio West.
Coyote si sedette. “Allora,
per quanto posso dire, scoppia di salute e risponde bene ad alcuni test attitudinali
basilari. Niente malattie note, ma è una scommessa visto il suo metabolismo.
Certo, occorrerà un professionista per vedere fino a che punto il nostro
Jonaton reagisce alla propria nuova condizione. Per il resto, decidete voi.”
Ironhoof squadrò severamente
gli altri. “Capisco che si tratta di un individuo diverso dalla creatura che
avete combattuto, ma non so quanto tenere Raptor fra
le vostre fila sia una buona idea secondo il punto di vista del pubblico. Oltre
ai gravi danni e molti feriti, non ci è scappato il morto per miracolo.”
“Cionondimeno,
stiamo parlando di un individuo diverso
da quella creatura,” disse pacatamente Corvo Nero. “Jack, è Jonaton quello di
cui stiamo parlando, un essere umano che ha compiuto il gesto estremo per
aiutare gli innocenti. Anche limitandosi a tenerlo in un istituto, lo farà
sentire amareggiato, escluso. Sprecherà il suo gesto.”
Assistente Speciale del
Direttore del Dipartimento di Pubblica Sicurezza dello Stato dell'Arizona,
delegato al collegamento tra il Dipartimento, i Rangers
e L'Ufficio del Governatore dovette concedere che era vero. Prima del disastro
che aveva distrutto Phoenix[ii], era
un detective, uno di quelli tosti ed onesti, schietti, capace di riconoscere il
valore di un uomo. Sapeva che poteva fidarsi della parola dei Rangers…ma era
coinvolto nel giro grosso, adesso, tutti loro lo erano. Rispondevano alle
autorità, e non potevano permettersi di scazzare sul piano delle PR…non troppo,
almeno… “Visto come stanno le cose, posso riuscire a convincere il Procuratore della
Contea perché non proceda contro Raptor… In fondo,
siamo vecchi amici e comunque quello che conosciamo come Raptor non è più lui
nel senso stretto del termine. Ma le imprese danneggiate e le famiglie degli operai
dovranno essere risarciti, e generosamente. Un po’ di buona pubblicità non fa
mai male.”
“Una parte dei soldi posso
chiederli a mio padre,” disse Shooting Star. “Sarà felice di contribuire.” E di farsi un po’ di influenza nel consiglio
municipale, aggiunse a sé stessa, con una punta di amarezza. Suo padre era
un brav’uomo, le aveva insegnato i valori che oggi la guidavano…ma era anche un
magnate del petrolio, e in quell’ambiente dovevi avere parecchio pelo sullo
stomaco per restare in piedi…
Puma non disse nulla, ma
pensava che quello era il momento per la Fireheart Enterprises di creare una fondazione per
casi come questo. Non capitava tutti i giorni di creare una posizione influente
nell’amministrazione locale e senza destare alcun sospetto..!
“Vi ringrazio,” disse Jack,
annuendo. “Dunque, passiamo ora ai piani per la giornata.” Aprì un dossier
davanti a lui, avvolto in una carpetta gialla con su stampigliato il timbro
‘Riservato’. “Per prima cosa, dobbiamo occuparci di stanare i complici di
Whitestone…una volta che avremo terminato con il suo interrogatorio, beninteso…
Sì, Coyote?”
Johnny abbassò la mano e si
schiarì nervosamente la gola. “Volevo solo chiedervi… Insomma, gente, io sono
un grande con le macchine, ma in battaglia sono un due di picche. Adesso che
c’è Raptor, potrei semplicemente fungere da consulente o roba del genere.
Potrei mettere su una base adeguata…”
“Quanto bravo?” lo interruppe Star.
“Uh…dipende: di cosa hai
bisogno?”
“Abbiamo una base da
ristrutturare. Sei disposto a darci un’occhiata?”
“Sicuro. Oh, e, un’altra
cosa…” aggiunse con un tentativo di sorriso accattivante. Jack vinse la tentazione
di strozzarlo: in fondo, aveva scontato la sua pena, anche grazie alla buona
condotta, e si era guadagnato il beneficio del dubbio combattendo insieme ai
Rangers… Ma gli restavano sempre i reati di rapina a mano armata, truffa e
distruzione di beni immobili sul curriculum… “Parla,” disse Jack.
“Stavo portando avanti
un…progetto personale, prima che mi unissi alla banda. Insomma, vorrei mettere
questo progetto a disposizione, ma avrei bisogno di fondi, materiali ed
un’infinità di permessi.”
Jack sospirò. “Quando la
riunione sarà finita, mi farai vedere di che si tratta, e deciderò in merito.
Prendere o lasciare.”
Coyote sollevò le mani in
segno di resa. “Cedo alla violenza.”
“Bene. Ora, dicevo: stanare i
complici. Parliamo di gente in alto, e anche avendo i nomi da Whitestone, senza
prove non andremo molto avanti. Dobbiamo fare cantare la manodopera che quel
figlio di buona donna ci indicherà. Domande?”
“Solo una,” disse Twister, accendendosi
uno dei suoi sigari. “Come siamo sicuri che quello si mette a cantare?”
Jack
sfoderò un mezzo sorriso che diceva tutto. “Non lo sfioreremo neppure con un
dito…”
Quando la porta si aprì, Sal
Whitestone si mise a sedere sul suo letto. Una fleboclisi gli spuntava dal
braccio sinistro. Un sondino nasogastrico usciva dalle narici. Alla vista di
Jack Ironhoof, il suo volto si tinse di arcigna arroganza. “Mi sembrava che il
mio avvocato fosse stato chiaro, ‘Assistente Speciale’. Perché è qui?”
Lasciando la porta aperta
dietro di sé, Jack andò a prendere l’unica sedia per gli ospiti. La portò accanto
al letto, orientandola con lo schienale verso il prigioniero, e vi si sedette,
le braccia appoggiate sullo schienale. “Bando alle stronzate, Sal, OK?” adottò
immediatamente quel tono casuale, indifferente, affinato da tanti
interrogatori. Con quel tono, poteva insultarti per un’ora filata e lasciare
l’interlocutore interdetto. “Sappiamo tutti e quattro -io, te, il tuo avvocato
e la Governatrice- che stai solo giocando al ribasso. Sei colpevole come Giuda,
e bisogna solo decidere se nella Volta avrai o no una cella imbottita e il
diritto all’ora d’aria. Sei un supercriminale,
Sal: anche se ora sembri un innocuo ometto che dovrebbe fare un po’ di
palestra…” l’ombra di un sorriso. “Ehi, anche Silvermane sembrava sull’orlo della tomba e vedi che casino ha
combinato. E ci sono dei cadaveri ambulanti che fanno certi lavori da fare
invidia ai più cattivi terroristi…” Aveva l’abitudine di seguire le imprese dei
metaumani a NY, ed ogni fatto di cronaca sembrava la trama di un film
fantastico. “E poi c’è questa storia della magia…
Insomma, se tu sei stato posseduto contro la tua volontà una volta, cosa
impedisce che succeda di nuovo? Mica ci possiamo fidare della tua parola, giusto?”
Whitestone stava diventando
rosso e quasi digrignava i denti. “Senza prove, lei o i suoi superamici non
potete…”
Jack sollevò una mano in un
ironico segno di pace. “Placa la tua lingua biforcuta, uomo bianco: le regole
le conosco. Sto solo lavorando un po’ d’immaginazione, mica è contro la legge.”
Assunse per un attimo un’espressione meditabonda. “Per esempio… Diciamo che il
tuo sicofante principe del foro riesca a farti ottenere una bella libertà su
cauzione. Lo paghi per questo, no? Pensi veramente che questo ti metterà al
sicuro?” la buttò lì così, con uno svolazzante cenno della mano.
Whitestone impallidì -di poco,
ma la sua sicurezza vacillò per un momento. “Non mi starà minacciando, spero.
Sarebbe un grosso errore…” quasi si morse la lingua per trattenere un insulto
razzista.
Jack scosse la testa. “Sal,
Sal… Non ci arrivi, vero? Ne’ io ne’ i Rangers potremmo farti un etto di male:
siamo pubblici ufficiali, abbiamo un’immagine da rispettare. Ma c’è una persona che non è un pubblico
ufficiale e vorrebbe farti capire cosa intendevo.”
A quella frase, con sinistri
passi pesanti, chinandosi prima per passare dalla soglia, entrò Raptor!
A Whitestone quasi si fermò il
cuore. “No, è uno scherzo, un trucco… È impossibile…” Gli sfuggì una specie di
pigolio quando un’enorme mano artigliata lo afferrò per il colletto del
pigiama, tirandolo su come un pupazzo.
“Un tempo ero un uomo,
miserabile carogna. Avevo una famiglia, degli amici, una vita,” sibilò la creatura a denti stretti, quasi strinando i
capelli all’uomo col suo fiato rovente. “Ora mi è rimasto solo quello che vedi.
E te lo giuro: se fai tanto di non
pagare per i tuoi crimini, verrò da te. Quando meno te lo aspetti. Senza
testimoni. E prima di ridurti ad un pezzo di carbone insieme al tuo avvocato, vi squarterò per bene. Sai che lo potrei fare!”
L’uomo si guardò
disperatamente intorno, ma nessun infermiere intervenne. Guardò verso la telecamera
di sicurezza…e l’altra mano di Raptor gli afferrò il capo e lo rigirò verso di
sé. “Dimentichi che il mio radar
interno può disturbare i circuiti elettronici? Nessuno ci sente.”
“Ah…Ah…” Whitestone guardò
verso Jack, che fece spallucce e sollevò le mani. “Scusami, Sal, ma io non mi metto a discutere con un
cristone del genere. Se vuoi che ti lasci andare, sai cosa devi fare.”
“Va…Va bene. Oddio, per
favore, per favore gli dica di lasciarmi andare. Collaborerò, sconterò tutta la
pena, farò tutti i nomi che volete… Ho una copia dei documenti, di tutto…”
quasi singhiozzava. Un’inequivocabile macchia gialla si era fatta largo sul
cavallo.
A un cenno di Jack, Raptor
lasciò andare bruscamente la sua preda.
Jack
tirò fuori dal suo impermeabile un taccuino ed una biro, per poi porgerli
all’uomo tremante. “Calligrafia leggibile, prego.” Eh, sì, quel lavoro dava
belle soddisfazioni, a volte…
New Mexico
“Per la miseria,” fischiò
Coyote. “Gente, qui ci vuole prima di tutto un’impresa che rimetta in piedi le
infrastrutture.”
Lui, Shooting Star, Texas
Twister e Puma stavano contemplando le rovine della casa coloniale che era
stata la base del gruppo. Intorno a loro, ai piedi della collina, sorgevano le
rovine carbonizzate del villaggio-fantasma di Chilada.
Usando le sue unità da polso,
Victoria generò una scala di luce solida verso il centro del cratere. “Ce ne
preoccuperemo a suo tempo. Prima, devi verificare se del sistema informatico
che c’era qui è rimasto abbastanza da rimettere in piedi.”
Scesero a passi prudenti.
L’aria era calda e secca. Uno strato uniforme di polvere ricopriva i resti dei
macchinari deformati dal calore. Coyote scosse la testa mestamente. “Non so
neppure cosa sia stato usato per fare
questo lavoro. Per quanto ne sappiamo, è stato liberato un IEM di intensità sufficiente a friggere quanto era
rimasto in piedi.” Una prima scansione aveva rilevato l’assenza di radioattività
e di agenti chimici…
Improvvisamente, il suono
intermittente di un cellulare ruppe il silenzio! Tutti sobbalzarono, col cuore
in gola, e ci fu un istintivo cercarsi l’apparecchio addosso…
“Non è un cellulare,” disse
alla fine Johnny, indicando la cintura di Star. In effetti, la fibbia, un ovale
che incorniciava una stella stilizzata, stava brillando alla stessa frequenza
del cicaleccio.
“Ma che diamine..?” fece
Victoria, andando a toccare l’oggetto…
La fibbia smise di suonare. La
luce della stella si fece stabile, più intensa, e proiettò qualcosa…
…per la precisione, un
ologramma molto familiare al gruppo. “Papà?” fece Shooting Star.
Si trattava proprio di Jason Dean, ex scienziato dell’AIM
nonché, brevemente, supercriminale con il nome di Fotone. Nonché padre naturale di Victoria! La rappresentazione
indossava un completo elegante marrone e portava un paio di occhiali a
montatura quadrata. “Vorrai scusarmi per il ritardo che ci ho messo per
rimettermi in contatto, figlia mia…ma sono stato particolarmente occupato a
riallocare svariati terabyte di file del mio sistema operativo. L’attacco a
sorpresa del nemico mi ha un po’…scosso.”
Coyote era affascinato.
Victoria disse, “Dove sei?”
Il fantasma elettronico indicò
il fondo del cratere. “Il mainframe principale si trova in un bunker
sotterraneo adeguatamente schermato. Quello che è stato distrutto era solo il
back-up, lo specchietto per le allodole. Aspettate solo un momento…” e, fedele
alla parola, un momento dopo il terreno davanti agli eroi si smosse, e dal
suolo emerse una cabina d’ascensore. “Mi dispiace che non sia grande
abbastanza. Potete scendere, comunque.”
La porta scorrevole si aprì, e
per ultimo scese Puma. “Notevole,” commentò laconico.
Il termine, in compenso, era
più che adatto: il ‘bunker’ era una specie di caverna, dalle pareti coperte di
metallo e illuminata a giorno da punti luce diffusi un po’ ovunque. I blocchi
dei mainframe, ognuno alto cinque metri, erano una dozzina, e ricordavano molto
i modelli degli elaboratori Cray, con tanto di colonne di azoto liquido per il
raffreddamento.
Le luci degli impianti
ammiccavano in sequenze casuali, e c’era un silenzio innaturale. E faceva
freddo, tanto da vedere nettamente il proprio fiato.
Drew rabbrividì, stringendosi
le braccia. “Diamine, qui è come al polo.”
Riapparve l’ologramma, questa
volta generato da un proiettore nel pavimento. “Il freddo è essenziale per il
mio buon funzionamento. Queste macchine generano un notevole calore.”
“Dove trova l’energia per un
simile impianto?” chiese Puma.
“Un reattore nucleare
tascabile, posto all’ultimo livello di questo bunker… Ma, appena le infrastrutture
saranno ricostruite, passerò all’alimentazione solare. Uso tecnologia
superconduttiva a freddo, per ridurre al minimo l’input di corrente.”
Coyote si aggirava da una
macchina all’altra. Stava praticamente sbavando. “Gente, con tutta questa
potenza di calcolo… Vi rendete conto che potremmo diventare così ricchi da comprarcela, l’Arizona, e
senza muovere un dito??”
“Temo che non lo permetterei,”
lo interruppe, pacato, ma fermo, l’ologramma. “I miei giorni da criminale sono
terminati con la mia vita. E non permetterò a nessuno di usarmi per compiere
atti illegali…”
Johnny lo guardò con
un’espressione sdegnata. “E chi parlava di hackeraggio? La Borsa, gente. Investimenti, azioni, bond… Il limite è la
fantasia: abbiamo degli elaboratori che Wall Street se li sogna. Sarà come
andare a caccia di polli con il napalm, e tutto legale.” Si strofinò le mani.
“Che goduria!”
Victoria
e Thomas si scambiarono un’occhiata silenziosa, ma carica di significato.
Improvvisamente, non sembrava mica tanto un discorso campato in aria..!
“Resta
solo un particolare,” disse Puma. “Trasferire tutto questo materiale in una
sede più adeguata. Non possiamo confinarci in un angolo nel mezzo del nulla,
ritarda il nostro tempo di risposta.”
“Deduco
che lei abbia un’idea,” disse l’ologramma, flemmatico.
Periferia di Battleground
“Jonaton..?”
Sedeva su uno spunzone di
roccia. Il sole era alto nel cielo e già picchiava duro, la sabbia era rovente…ma
la sua pelle li percepiva appena freschi. Era una sensazione strana, sentirsi
così a proprio agio con una terra che, fino al giorno prima, era stata una dura
rivale, a volte nemica…
“Jonaton?”
Voltò la testa, proprio mentre
Firebird gli si metteva affianco. “Ciao, Bonita.”
“Stai bene?” Dio, come avrebbe
voluto fargli una domanda meno banale, ma non sapeva cosa chiedergli. E lui
continuava a fissare la città in ricostruzione con un’espressione malinconica.
Firebird gli posò una mano
sulla spalla, sorprendendosi della morbidezza di quella pelle così resistente.
“Sì, sto bene,” rispose Raptor. “Almeno, non sono andato fuori di matto, e in
un certo senso qualcosa l’ho guadagnato: sono uno di voi, posso fare del bene,
e…” abbassò la testa. Era impossibile capire, da quella voce profonda e
gutturale, quando fosse felice o quando fosse triste, o… “Mia moglie e mio
figlio si erano salvati, lo sai? Come avevo ringraziato gli Spiriti e Dio per
questo. Per quanto brutte le cose erano andate e potessero ancora andare, mi
ripetevo, potevamo contare su di noi come famiglia…” Sospirò, e suonò come un
basso ringhio. Si guardò le mani, flettendole. “E ora non posso neppure
avvicinarmi a loro. Non senza terrorizzarli… Come faccio a spiegargli che il
guscio avvizzito che gli è stato consegnato non è il loro padre, e che…”
Firebird si sedette accanto a
lui. “Puoi provarci, Jonaton. Se credi in loro con la forza che mi hai descritto,
se ti fidi di loro, loro si fideranno di te.”
Lui non voltò nemmeno la
testa. “Bonita…”
Gli posò una mano sulla sua.
“Anche se in un corpo diverso, sei ancora il capo della tua famiglia, marito e
padre. Pensi che potranno accettare più facilmente la tua morte, o saperti vivo
e pronto a difenderli? Jonaton, è in momenti come questo che un uomo mostra la
sua vera forza: combattere una battaglia è poca cosa, di fronte alle
responsabilità della propria vita. Io lo so bene.
“Quando ricevetti i miei
poteri, pensai che fossero un dono di Dio, e mi adoperai nelle vie della giustizia.
Qualche tempo dopo, scoprii che si trattava di un misero incidente, che ero
stata investita dei poteri di uno…scarto di un esperimento. Mi sentii
terribilmente indegna del ruolo che mi ero addossato, attraversai una profonda
crisi.
“Alla fine, capii che, a suo
modo, il Signore aveva operato perché Lo potessi servire, non importa quanto
bizzarro il metodo. Le Sue vie sono infinite.”
“Quindi, se gli eventi mi
hanno portato a questo punto,” Raptor tornò a guardarsi le mani artigliate,
“non è per un qualche scherzo crudele.”
Bonita sorrise. “Hai già
scelto di restare con noi, invece di intraprendere la strada facile e fuggire. Abbi
allora il coraggio di guardare fino in fondo nel cuore di tua moglie. Se è una
brava persona, saprà capire. E io sarò al tuo fianco, per aiutarti, se lo
vorrai.”
L’ombra
del primo sorriso attraversò il muso di Raptor. “Lo voglio, Bonita. E, grazie.”
Quella di Jonaton era una
famiglia orgogliosa. La moglie, Tabby Coasts, e il figlio, il diciottenne
Jerry, non solo non avevano obiettato all’idea di restare nei dintorni di
Phoenix, ma si erano offerti per primi nelle innumerevoli squadre di
volontariato. Dove Jonaton era pagato solo per fare il poliziotto, Tabby e
Jerry occupavano una lunga lista di ruoli, dal recupero di corpi e beni delle
vittime, all’assistenza agli operai portando loro generi di conforto, ai turni
presso l’infermeria… Facevano un po’ da tappabuchi, mentre mano a mano equipe
specializzate riempivano i vuoti creati dal disastro.
E per quanto, ogni volta che i
Sindacati glielo chiedessero, la Governatrice li rassicurasse che le giornate
sarebbero state meno pesanti, la cosa davvero non si notava!
E anche oggi si prospettava
una giornata impegnativa. Nonostante tutti avessero loro consigliato di
prendersi un periodo di riposo per il recente lutto, Tabby e Jerry si erano
gettati sul lavoro ancora più determinati di prima, proprio come Jonaton
avrebbe voluto…
In compenso, avevano accettato
di lavorare insieme, piuttosto che restare separati, a rimuginare. E ora,
eccoli lì, a distribuire pasti agli operai affamati. Non c’era niente da fare:
una buona vecchia mensa con pasti preparati come in casa era il miglior sollievo
per la pausa, al posto di una sfilata di pranzi precotti e sterili.
“Ecco qua, Stan, e buon
appetito,” disse Tabby, capelli rossi, volto pulito, occhi di un verde intenso
e ancora belli nonostante le borse sotto agli occhi, mentre serviva l’ennesimo
vassoio fumante. Jerry, come al solito, stava impegnandosi ai fornelli. Era lui
il cuoco di casa, ed era anche molto in gamba, visto che i genitori erano quasi
sempre via entrambi per lavorare -per quanto l’America vantasse tradizioni
democratiche e tutto il resto, almeno in Arizona ti facevano sudare l’anima se
ti sposavi ad un indiano, e così gli adulti dovevano entrambi sudare duro per
portare a casa una somma dignitosa per mantenersi. E solo l’inguaribile ottimismo
e volontà di Jonaton…
La vista le si offuscò, le
lacrime minacciarono di sgorgare di nuovo, a quelle memorie, e Tabby trasse un
profondo respiro, serrando la mascella, strofinandosi ripetutamente gli occhi
con una mano. Non sarebbe scoppiata a piangere davanti a tutti, no, non…
E mentre la donna cercava di
trattenersi, non si accorse del silenzio che era piombato improvvisamente nella
mensa, sostituendosi al chiacchiericcio dei convitati.
Se ne accorse quando una voce
profonda, inumana, disse, “Tabby..?”
E lei non seppe come, mentre
apriva gli occhi lucidi e sollevava la testa, ma era certa che quella voce
appartenesse a suo marito, come se una cosa buona le avesse accarezzato
l’anima… “Jonaton? Oh.” Il cuore mancò un colpo, speranza e terrore si
mescolarono in una sensazione indefinibile e violenta. E lei se ne stette lì,
rigida, incapace di spiccicare parola di fronte al mostro che le aveva tolto suo marito!
“Sono io, Tabby,” disse
Raptor, poi si voltò a guardare verso Jerry. “Non…non vi ho lasciato.”
“Dice la verità,” disse
Firebird, emergendo da dietro il rettiliano. “Ha un corpo nuovo, ma è l’anima
di suo marito quella che lo anima.” Sorrise ai familiari di Jonaton. “Lei lo ha
percepito, signora. Apra di nuovo il suo cuore, e vedrà che non si era
sbagliata.”
Tabby Earthgreen fece molto di
più: stese con calma, senza esitare, la sua mano sinistra, il dorso rivolto
verso l’alto, le dita leggermente piegate, come una nobildonna per il
baciamano. La prima volta che si erano incontrati, per un appuntamento al buio,
lui l’aveva sorpresa con una splendida reverenza di fronte agli altri avventori
del ristorante…
E Raptor, prendendo
delicatamente quella mano nel proprio enorme arto, chinandosi su un ginocchio,
la testa abbassata cavallerescamente, disse, “Per il Grande Spirito, mai i miei
occhi si posarono su tanta bellezza. Sarai la mia squaw e ti donerò il più bello dei tepee!” Una battuta che ruppe
subito il ghiaccio e la fece ridere di gusto allora…
…E che cancellò d’un colpo
l’angoscia delle ultime ore. La donna si gettò al collo della creatura, ripetendo
più e più volte il nome del marito.
“Papà..?” Jerry, per contro,
non sembrava altrettanto entusiasta. Aveva gli occhi spalancati, e
un’espressione divisa fra l’incredulità e…la rabbia. La bocca gli tremava.
Raptor si mise in piedi,
“Jerry, io…”
Ancora fra il silenzio
generale, il ragazzo sorprese tutti urlando a pieni polmoni, il volto congestionato.
“Perché sei tornato, maledizione?!”
Poi si voltò e corse via, urtando e rovesciando un pentolone di minestra. Il
suono del metallo sul pavimento, seguito dallo scroscio del liquido, scosse gli
operai, che si misero a parlare fra loro fittamente.
“Jerry!!” Jonaton corse verso
l’uscita, i passi pesanti rimbombanti.
Bonita fece per seguirlo…e una
mano maschile le si posò sulle spalle. “Eep!”
Si voltò, e si trovò a fissare
il volto di Red Wolf, che a sua volta scosse la testa. “Hai fatto abbastanza
per loro, amica mia. Ora è diventato un problema solo loro, padre e figlio
devono conciliarsi con le loro forze.”
Accecato dalla rabbia, Jerry
Earthgreen uscì di corsa dal retro del tendone adibito a mensa…e rovinò contro
i bidoni della spazzatura. Al clangore del metallo si mescolò il suo gemito di
dolore.
Prima che potesse rialzarsi,
però, la massiccia figura di Raptor atterrò accanto a lui. “Jerry, ti prego, non
fare così.”
Asciugandosi le lacrime,
digrignando i denti, il ragazzo quasi ringhiò, “E cosa dovrei fare, secondo te? Cazzo, è stato già duro crederti
morto la prima volta, durante il terremoto. Poi ci siamo ritrovati, e non puoi
immaginare quanto ne fossi felice…” Tirò su col naso, mentre si metteva in
piedi, il vestito bianco da cuoco tutto macchiato. “E poi sei morto di nuovo, e
ho dovuto andare io a riconoscere il
cadavere, perché la mamma non ce la faceva! Dobbiamo ancora organizzare il tuo funerale, lo capisci?!
“E adesso salti di nuovo
fuori, e cosa ti aspetti? Non sei più
neppure umano. Che faccio, ti porto a
scuola durante l’ora di ‘Mostra e Dimostra’? E cosa succederà la prossima volta
che morirai? Faccio mettere su una bella lapide con su scritto ‘Andato via per
pranzo, torna subito’? Non potevi restare
morto?” E a quel punto, Jerry scoppiò in un torrente di singhiozzi
incontrollati, liberando le emozioni finora represse.
Raptor si mise in ginocchio e
lo cinse fra le proprie braccia. Jerry si lasciò andare sul suo petto, bagnandolo
di lacrime, tremando come una foglia, tentando di parlare ma non riuscendoci.
Il padre gli accarezzò la
testa e la schiena. “Jerry, tesoro… Non ho intenzione di lasciarvi, non l’ho
mai voluto, credimi. E quello che ho fatto ieri, l’ho fatto per salvare delle
vite innocenti… E lo rifarei, non posso mentirti. Vorrei solo che mi
perdonassi, che ti fidassi di me come da quando questa tragedia è iniziata.”
Ma
Jerry non lo stava più ascoltando. Lo stress lo aveva sopraffatto, ed ora
dormiva.
L’interrogatorio aveva dato
più frutti di quanto avesse sperato.
Purtroppo, quasi tutti i nomi
dell’elenco fornito da Whitestone risultavano deceduti o dispersi. E non c’era
da escludere che alcuni di quegli ultimi ne avessero approfittato per darsi
alla macchia, un po’ come i finti dispersi dell’11/9.
In quel momento, i suoi
uomini, insieme a squadre di automi, stavano andando a recuperare i documenti
dai caveau delle banche distrutte. Bisognava essere veloci a requisire quella
roba, prima che arrivassero i Federali -il vecchio Sal aveva fatto birichinate
in grande stile. Forse per questo aveva collaborato attivamente alla campagna
della Governatrice. Se Janet avesse vinto, lui sarebbe salito sul podio degli
intoccabili… E, invece, era arrivato il disastro, e Janet Napoletano si era trovata
a regnare sulle macerie. Sal si era scoperto paralizzato, impotente…
“Papà?”
“Hm?” Jack sollevò la testa
dagli incartamenti. Gli succedeva di concentrarsi così intensamente da
dimenticarsi il nome della sua stessa figlia. “Dimmi, cara,” borbottò, con una
scivolata d’ala.
Lila Ironhoof entrò
nell’ufficio del padre. “Sei in ritardo per la cena. Di nuovo.” Lo disse con
quel familiare tono monocorde, come faceva sua madre quando voleva
rimproverarlo.
Jack si alzò in piedi. Avrebbe
voluto dire qualcosa per giustificarsi, qualche frase cotta, ma non era il tipo
da simili atteggiamenti. “Lo so, Lila. E sappiamo tutti e due che succederà
tutti i giorni. Il lavoro di tutti si è moltiplicato con questo casino, e suderemo
parecchio fino a quando non sarà stato posato l’ultimo mattone della nuova
Phoenix.”
La ragazza socchiuse gli
occhi. “Grazie per avermi ricordato che non ti sono utile quanto vorresti,
papà.” Si voltò bruscamente ed uscì.
“Lila…” ma l’uomo fu interrotto
dalla violenta chiusura della porta. E tanto per cambiare, si chiese chi glielo
faceva fare di comportarsi come un cretino con la sua unica figlia.
“Maledizione…”