PROLOGO: Phoenix, Arizona.
Non si poteva sostenere che
questa città fosse un ‘punto nevralgico’ degli Stati Uniti. Purtroppo, Phoenix possedeva
un suo aeroporto, lo Sky Harbor International.
Per i Marziani, era
sufficiente a darle un valore strategico.
La Guerra dei Mondi ha lambito l’Arizona, e, oggi, i soli segni
visibili dell’evento erano il maggiore spazio occupato dai cimiteri,
e i cantieri edili, questi
impegnati 24 ore al giorno in un mercato del lavoro ora fiorente come non mai.
Presto, la ricostruzione avrebbe donato molti frutti ad ogni classe sociale in
essa impegnata.
Per ora, c’erano solo la
fretta di terminare, per tornare ad una parvenza di normalità -la fretta, e
turni di lavoro massacranti. Il disoccupato era diventato improvvisamente merce
rara, e non ci si faceva troppe domande su chiunque desiderasse fare lavorare
un po’ i muscoli.
Gli Indiani abili al lavoro sudavano come tutti, ma almeno con la
prospettiva di un maggiore peso nella comunità finora troppo influenzata dai
bianchi.
Era quasi mezzanotte, quando
un Cheyenne, distrutto da una giornata di lavoro iniziata alle 8, rientrò a casa…casa!
Un termine pomposo per un monolocale fatiscente di 50mq che condivideva con un
altro operaio, un Hopli. La sola cosa che rendeva tollerabile la convivenza
forzata in uno spazio così ridotto era che uno tornava dal lavoro quando
l’altro ci andava.
Poteva andare peggio,
comunque, rifletteva l’uomo salendo le scale, avvolto dai suoni ed odori di
tante famiglie e single costretti ad una vita che non avevano scelto. Almeno,
stava facendo progressi!
Arrivato al secondo piano,
l’uomo si avvicinò alla porta del suo appartamento. Era stanco, e il suo
livello di attenzione annebbiato. I suoi pensieri correvano al suo ‘contatto’,
a quanto l’agente fosse realmente affidabile…
Non lo avrebbe mai più
scoperto.
Il suo ultimo pensiero,
mentre inseriva la chiave nella toppa, andò a un odore estraneo che veniva
dall’appartamento.
L’esplosione disintegrò
l’appartamento, e coinvolse i quattro vicini. Il bilancio delle vittime,
comprese quelle che si ferirono nel panico che seguì, sarebbe ammontato a 10
morti, più uno di infarto per il panico, e 12 feriti.
Quello che in tre parole si
può classificare come ‘un grave errore’.
MARVELIT presenta
Episodio 1 – UNA MORTE IN
FAMIGLIA
La jeep procedeva sul
sentiero frastagliato come fosse stata una comoda strada asfaltata. Grazie al
suo motore a idrogeno, il veicolo aggiungeva solo il suono delle sue ruote al
lieve sibilare del vento.
Il cielo era quello delle
giornate serene. Un bianco lo avrebbe trovato offensivamente bello, data
l’occasione.
Per l’occupante della jeep,
era invece ideale, per testimoniare il trapasso nei territori di caccia
dell’aldilà.
La jeep si dirigeva verso un
filo di fumo che emergeva dal centro dell’antico cratere vulcanico -non il
segno di una ripresa attività geologica, ma di una cerimonia già iniziata.
L’uomo al volante corrucciò
la fronte. Non poteva biasimarli, per avere iniziato senza di lui…Del resto,
lui aveva già contribuito, ‘acquistando’ l’intera giornata di tour dal servizio
turistico, per non avere occhi indiscreti su quel solenne momento…
Finalmente, la jeep arrivò
al bordo del cratere.
L’uomo scese. Un indiano
dalla testa ai piedi, sarà stato alto due metri, il fisico abbronzato
superbamente allenato. Indossava un costume che copriva completamente solo le
gambe, e parzialmente la metà superiore del corpo. Le decorazioni consistevano
di una collana di denti di animale, di un bracciale, due coppie di penne –una
al bracciale e una al collo- cintura e frange di pelo alle caviglie.
Il mondo conosceva l’uomo
come Thomas Fireheart, fondatore e
manager della Fireheart Enterprises.
Il costume era quello del
suo, più temuto, alter-ego: Puma.
Fireheart saltò dentro il
cratere.
Quando la figura atterrò su un
sentiero che nessun occhio allenato avrebbe mai potuto vedere, l’uomo era stato
sostituito dal guerriero-animale, la testa più felina che umana, il corpo
coperto di pelliccia arancione.
Puma procedette quasi senza
fare rumore. Un canto indiano echeggiava nel cratere. Il fumo si perdeva in una
colonna densa, nella giornata priva di vento.
Puma arrivò alla sua
destinazione.
La cerimonia funebre era
ancora in svolgimento. I presenti erano radunati intorno alla pira funebre, su
cui ardevano i resti dell’amico ucciso, rinchiusi in un fagotto –tutto quello
che era letteralmente rimasto. Sopra il fagotto, steso su un fianco, il corpo
di quello che in vita era stato un magnifico lupo rosso.
A cantare, con voce insieme
potente e triste, era un indiano, una figura enorme in un costume bianco e
azzurro, la testa sormontata da un classico casco di penne.
L’indiano era un Navajo, e
nel costume era conosciuto come Aquila
Americana.
Gli altri presenti, tutti
accomunati dalla postura e l’espressione mesta, erano persone che Puma, nella
sua vita di solitario, non aveva incontrato personalmente, ma di cui aveva
letto, e con le quali si era sentito vicino.
L’uomo che indossava un
completo da cowboy interamente bianco, ma che in più portava un mantello e una
maschera che copriva tutta la testa, era l’attuale Phantom Rider.
L’altro, che a prima vista
sembrava la caricatura di un cowboy, con il suo sgargiante costume rosso e blu,
e una mascherina nera in volto, era Texas
Twister.
Phantom e Twister erano due
degli originali Rangers, i paladini
del Sud-Ovest americano. Mancavano all’appello le due donne, Firebird e Shooting Star.
Puma prese posto nel circolo, e si mise a sedere. Le domande sarebbero
state rimandate. Adesso era tempo di piangere l’eroe caduto, Red Wolf, e il suo fedele compagno Lobo…
Nessuno dei presenti, nonostante almeno due di loro avessero sensi
abbastanza acuti da sentire una piuma cadere, si avvide dell’estraneo che
vegliava sulla cerimonia.
Dietro le montagne, il sole
era ormai una striscia frastagliata scarlatta in un cielo sanguigno, quando fu
tutto finito.
“Victoria ci raggiungerà
dopo…Qualcosa circa la sua famiglia. Bonita non è rintracciabile,” disse Texas
Twister, accendendosi una sigaretta, alla domanda di Puma. “Potrei provare
attraverso i Vendicatori, certo…ma
non voglio quel santone di Capitan America a dirci come comportarci. ”
Le braci funebri sembravano
un faro, nel cratere, un faro per i pensieri dei presenti.
Nessuno aveva dubbi, in
merito: la morte di Red Wolf sarebbe stata vendicata, a costo di andare fino
all’inferno e oltre.
Si trattava solo di trovare
il modo. Obbedire alle emozioni,
muoversi senza una direzione, senza indizi, avrebbe al massimo soppresso il
sintomo, non la causa.
Per questo, si poteva
contare su Thomas Fireheart.
La Fireheart Enterprises era l’interfaccia fra le Nazioni Indiane e il
mondo dei bianchi. Era una compagnia, ma anche una gigantesca agenzia
spionistica, che Thomas, nel suo lavoro di mercenario come Puma, usava per
trovare le sue prede.
Scuotendo la testa, Puma disse,
“Nessun canale convenzionale di informazioni ci sarà di aiuto: qualunque cosa
stesse facendo Red Wolf, nella sua identità civile, era segreta. Niente
documenti, niente confidenti.”
Twister esalò una boccata di
fumo. “Non torna: sono stato abbastanza a lungo nello SHIELD per sapere che
bisogna essere pronti a passare l’incarico. E’ una regola d’oro, tanto valida
quanto delicata l’operazione.”
Aquila Americana annuì. “Mi
sta bene: vuol dire che scoveremo personalmente la nostra preda. Senza
interferenze. Sei dei nostri, Puma?”
Puma guardò gli altri uno ad
uno negli occhi, prima di rispondere. “Oggi non sono un mercenario, anche se
sareste stati pronti a comprare i servizi della mia organizzazione. Oggi sono
un indiano, e oggi giuro che farò tutto quello che è in mio potere per aiutarvi
a trovare gli assassini di un grande eroe.”
Poi, Puma si avvicinò alle
braci, ancora abbastanza calde da cuocerci sopra. Stese un braccio, il polso
rivolto in basso, e con un artiglio dell’altra mano, con un colpo secco, si tagliò
una vena!
Il sangue gocciolò e
sfrigolò sulle braci. Sotto gli sguardi dei suoi nuovi compagni d’arme, Puma
recitò un giuramento di fratellanza nella sua lingua. Che la sua anima potesse vagare
nel Deserto degli Spiriti Dimenticati, se mai fosse venuto meno alla sua
promessa!
Poi, prima una mano
guantata, poi un’altra e una terza, nuda, si posarono sul braccio –tre fratelli
di sangue, a suggellare il giuramento.
Il giorno dopo, a Phoenix.
Era bassa stagione, e a
causa anche della guerra, gli affari languivano più del solito.
L’arrivo inatteso di una
limousine chilometrica nera fece sgranare gli occhi al portiere gallonato
dell’hotel Montezuma. Il portiere si
scosse dal torpore, e corse ad aprire la porta. La sua memoria, allenata su
rotocalchi specializzati nel mondo della politica, della finanza, moda e
spettacolo, non riconobbe la figura che scese dal lato posteriore.
L’uomo aveva un fisico
asciutto, scattante, sano. Capelli biondi, occhialini da professore, giacca di
un grigio anonimo. Portava una spessa 24 ore dall’aria vissuta. Decisamente non
il tipo che si potesse permettere anche solo di guardare un’auto come quella...
In compenso, l’uomo non
sembrò per niente a disagio, mentre diceva al portiere, “Ho solo una valigia...è un po’ pesante, ma c’è dentro roba
fragile, mi raccomando.”
Il portiere scrollò le
spalle e andò al bagagliaio.
Alla reception, l’impiegato fu
altrettanto lesto a non riconoscere la figura in avvicinamento –ma era un
cliente, anche se di basso livello...
L’ospite rivolse un sorriso
smagliante. “Sono Hamilton Slade.
Dovrebbe esserci una prenotazione per me fatta da Thomas Fireheart.”
L’impiegato si mise subito
una censura ai pensieri, e fece un breve inchino, ma talmente profondo che
quasi andò a craniare contro il bancone, mentre esibiva un sorriso vagamente
untuoso. “Benvenuto, signor Slade!” Si affrettò a porgere una tessera-chiave
all’ospite. “Camera 701, la migliore suite. Tutto è stato predisposto come
richiesto. Le serve qualcosa in particolare?”
Slade sembrò pensarci su,
poi disse, “No, davvero...Ah, oggi sarò in camera, ma domani sarò in giro per
qualche ricognizione per studi archeologici...Dovrete prendere ogni messaggio.”
Il receptionist quasi scattò
sull’attenti come di fronte a un generale. “Sarà fatto, si...”
Ma Slade si era già diretto
agli ascensori.
Nessuno di loro fece caso
alla figura seduta nella hall, dietro a un giornale, una figura che non perdeva
d’occhio una sola mossa e una sola parola di Slade.
Pochi minuti dopo, il
bagaglio consegnato, Slade si trovava seduto sul gigantesco letto della suite.
Aveva aperto la 24ore, che si era rivelata una piccola stazione informatizzata
collegata via internet.
L’archeologo aveva il
compito, nella sua identità civile, di controllare ogni riferimento storico e
archeologico che potesse rivelare particolari relativi a giacimenti di minerali
preziosi o petrolio o tesori degli Eterni...o quant’altro potesse spingere qualcuno
ad ammazzare Red Wolf per prevenire fughe di notizie.
Come Phantom Rider, avrebbe pattugliato le aree ritenute più
interessanti.
Perché qualcuno dovesse
chiamare un hotel The Dry Coyote, era
a tuttora un mistero dell’industria turistica.
Fatto stava, che l’edificio
era riuscito a sopravvivere, nel suo anonimo squallore, all’intera storia di
Phoenix e ad ogni tentativo delle autorità di farlo chiudere.
Gli ospiti del Dry Coyote
non erano quelli che si potessero definire ‘brave persone’…Da sempre, gli unici
residenti che avessero pernottato più di 2 giorni erano le puttane a basso
costo e i piccoli narcotrafficanti. Finché si pagava, tutto il personale
chiudeva un occhio e un orecchio.
Decisamente, era l’ultimo posto
dove trovare due supereroi in incognito.
Anche se, per ora, una di
loro non si sentiva per nulla un ‘eroina’.
“Mi preoccupi, piccola.
Stavi già così quando sono arrivato, ed è quasi un’ora che continui a fissare
la muffa.” Drew Daniels amava giocare
con le parole, ma era preoccupato non poco.
Victoria Star, sua compagna nella lotta e nella vita, era sdraiata sul piccolo letto
matrimoniale, una figura incongruamente ben vestita. Ma non stava fissando il
soffitto.
Stava fissando la propria
vita.
Facendosi domande, tutte con
risposte poco piacevoli.
“Sai una cosa, Drew?” chiese
lei, la voce quieta, assente. “Persino essere stati posseduti da un demone può
sembrare una cosa pulita, in confronto a come mi sento adesso.”
Drew serrò la mascella, e
tranciò in due la sigaretta accesa, che sfrigolò sul pavimento. “Adesso mi
spaventi, Victoria. Non ti ho mai sentito così.”
Victoria si mise seduta, a
fatica, come se avesse un macigno addosso. “Potrei parlartene per ore, e
saremmo ancora qui a discuterne fra una settimana...” sospirò. “Voglio che
guardi questo, invece. E capirai.”
L’unica nota stonata in
quella squallida camera era un lettore DVD portatile, piazzato sull’unico
comodino. La donna lo porse a Daniels.
Daniels accese
l’apparecchio...e quasi lo fece cadere di mano, quando vide il logo AIM in
apertura di video!
Il logo fu rimpiazzato
dall’immagine di un uomo –una figura che un tempo avrà avuto carattere, ma che
ora sembrava solo patetica, nella vecchiaia e nella malattia che l’avevano
consumata spietatamente.
Zoom indietro. L’uomo era
sdraiato in un letto d’ospedale, circondato da flebo.
L’uomo tossì, e disse,
stancamente, roco, “Mia cara Victoria, quando avrai ricevuto questo video, sarò
già morto. Almeno, ti sarà stato risparmiato un penoso confronto.
“Ho spesso pensato che
sarebbe stato più giusto lasciarti all’oscuro, ignara, innocente...Ma credo
ancora che la verità non debba mai essere soppressa, per quanto dolorosa. Se
tuo padre sarà d’accordo, ti darà questo video e...il mio lascito.
“Mi chiamo Jason Dean, e in gioventù sono stato
socio d’affari con Remington Star. Io ci mettevo le idee, lui mi finanziava.
“Per un paio di anni, le
cose erano andate bene. Alla fine, ero riuscito a sposarmi...e ad avere te.”
Jason Dean tossì più volte, e riprese a parlare con la voce più affievolita,
gli occhi più tristi.
“Io ero al lavoro, quando
tua madre fu uccisa da un automobilista ubriaco...Mia piccola Victoria, quel
giorno il mio mondo era finito. Precipitai nel dolore; mi vergogno di
ammetterlo, ma tu mi guardavi con i tuoi occhioni innocenti, ridevi nel tuo lettino,
ed io vedevo tua madre in te...e non potevo sopportarlo.
“L’automobilista, il figlio
di un influente politico nel Consiglio Comunale, subì una penalità minima. Ed
io subì l’ultimo colpo nella giustizia del mondo.
“Remington era un brav’uomo,
mai benedetto da figli, ed ero sicuro che ti avrebbe cresciuta come figlia tua.
Io, vigliaccamente, scappai, via dal Texas, via dalla mia vecchia vita.
“Avevo ancora dei buoni
contatti nel mondo della ricerca, e l’AIM mi reclutò per sfruttarli. Avevo
venduto la mia anima al male, e non mi importava niente. Qualche tempo dopo,
loro mi addestrarono per trasformarmi in un super-agente.
Un supercriminale. Mi diedero un costume, e realizzarono una pistola-laser da
me disegnata. Ero diventato Fotone.
“Sotto tale identità,
iniziai addirittura ad uccidere per
conto dell’AIM...ma non durò a lungo. Fui coinvolto in una battaglia contro l’Uomo Ragno e Nova, e con la mia sconfitta, caddi in disgrazia. Ero rimasto solo.
“Sarei rimasto in prigione
per il resto dei miei giorni, se non mi fossi ammalato di cancro. Così, mi fu
permesso di tornare a casa.
“Con le ultime energie e
fondi segreti rimastimi, iniziai la realizzazione di un nuovo costume da
Fotone. Costume che lascio a te, mia dolce figlia...insieme alla mia proprietà
in Messico. Tuo padre, perché solo lui ha il diritto di essere chiamato così, è
stato molto gentile, e mi ha permesso di seguirti sui giornali e alla TV...”
gli occhi di Jason luccicavano di gioia, la sua voce aveva ritrovato forza.
“Sono orgoglioso di te, Victoria. Hai fatto la scelta giusta, e non avrei
permesso a nessuno di rovinarti la vita, rivelandomi...
“Ma ora muoio, e i segreti
moriranno con me. Almeno una volta, però, volevo farti sapere che mi dispiace
per il male che ti ho fatto. Non avrei avuto pace, se tu avessi saputo tutto
questo da qualcun’altro, magari per ricattarti...No, voglio essere io a
dirtelo. So che saprai prendere, ancora una volta, la decisione giusta.”
L’uomo sul letto sembrò
afflosciarsi. Era stanco, ma sorrideva. “Non ho altro da dirti. Sii felice,
piccola.”
Il video si spense.
Lo sguardo di Daniels cadde
sulla scatola posta in un angolo all’ombra. Non ci avrebbe fatto neppure caso,
se non fosse stata menzionata. Gli sembrava che dentro ci fosse un serpente.
Victoria disse, “Se solo lo
avessi saputo prima...Avrei voluto incontrarlo, sai, Drew? Forse lo avrei
picchiato, forse no...Ma volevo vederlo,
il bastardo!” alternava il tono dalla rabbia alla tristezza. “Non può avermi fatto
questo. Non può venire a dirmi che
sono la figlia di un perdente criminale, e poi morire senza guardarmi in
faccia!” con un gesto brusco, strappò il lettore dalle mani di Daniels e lo
mandò a infrangersi contro la parete.
Drew la abbracciò, ma lei non
pianse sulle spalle di lui. Serrando le maniche della sua camicia, chiese
invece, “A che punto siamo con le ricerche? Ci sono tracce?”
L’ex cowboy rimase un attimo
stordito, prima di realizzare. “Troppo presto, piccola. I segugi avranno
iniziato solo adesso, a fare sul serio. Io e te, per ora, dobbiamo restare in
attesa, sperare di cogliere qualche indizio. Mi sa che un ex vaccaro e
un’ereditiera del petrolio non siano molto utili, per ora.”
Victoria sospirò, e si
staccò dal suo compagno. “Non direi. Fra le mie e le tue conoscenze...”
Lui scosse la testa. “Niente
da fare. Niente estranei di mezzo. Red Wolf era un nostro amico, e saremo noi
ad amministrare giustizia.” E le spiegò il piano.
Quando lui ebbe finito,
Victoria strinse gli occhi, riflettendo, e parlando fra sé disse, “Forse, c’è qualcosa che possiamo fare anche
noi.”
Poco prima della pausa di
mezzogiorno, il capomastro aveva sette diavoli per capello. La mano d’opera
abbondava, ma da quando c’era stata quell’esplosione, i ritmi erano pericolosamente
rallentati. E la morte di quell’indiano in particolare sembrava avere messo
l’uggia a tutti i pellerossa del cantiere!
Il capomastro, Simon Turks,
era un omone tutto muscoli, burbero come birra acida e politicamente corretto
come una moneta falsa...Ma pagava bene e riconosceva almeno la pausa pranzo.
Per il resto, era già molto se ti concedeva il permesso di andare a trovare la
mamma malata.
Turks era intento su un
registro, pensando a un modo di fare passare una notte di straordinari a metà
paga, quando qualcuno parlò alle sue spalle. “E’ qui che si può trovare
lavoro?”
Turks era abituato a
riconoscere la gente dal tono di voce. Per questo, quando si voltò, si
aspettava di trovarsi di fronte a qualche pezzo grosso...invece, si trovò di
fronte a un indiano.
Per lui, tutti gli indiani
erano uguali. Questo lo era di più:
era un colosso umano, di quelli che avrebbero potuto prendere in braccio un
cavallo senza fiatare!
Turks si sentì Davide di
fronte a Golia, ma mantenne il suo contegno, quando rispose, “Qui si può
trovare lavoro se riesci a muovere tutte e due le braccia, rosso. Si lavora
anche la Domenica. Paga a fine settimana. Straordinari doppi. Niente stronzate
sindacaliste. Gli armadietti con le attrezzature sono alla baracca C. Se ti va,
dimmi il tuo nome, o taci e smamma!”
L’indiano lo fissò come
fosse una formica da schiacciare, ma disse solo, “Jason Strongbow,” e andò verso la baracca.
Turks si chiese perché quel tizio fosse venuto proprio
lì...Insomma, era abbastanza robusto da fare lavori pagati molto meglio e meno
rischiosi...Hmm, forse stava fuggendo da qualcuno, sì.
Turks sorrise: comunque
fosse, non sarebbe stato difficile farlo tenere d’occhio.
Sotto un sole impietoso, nel
mezzo del nulla, unici testimoni i serpenti e gli scorpioni,
stava Puma. Apparentemente,
in quel punto del deserto non c’era alcunché di interessante.
Tranne una macchia ai suoi
piedi, una macchia essiccata e sbiadita del colore della ruggine.
L’assassino di Lobo aveva
colpito a distanza, da cecchino, con un fucile di precisione...Ma non era un
professionista. Aveva commesso un errore: si era avvicinato per assicurarsi di
avercela fatta.
L’assassino doveva avere il
dono del volo, o un velivolo ad antigravità, per non lasciare alcuna
traccia...Ma era sceso a terra, una volta sola. Sufficiente.
Puma si concentrò sulla
seconda macchia, piccola, appena la punta di uno spillo. Il guerriero rivolse
un complimento mentale a Lobo: in un ultimo, disperato atto di volontà, il lupo
era riuscito a mordere il suo carnefice, per lasciare una traccia preziosa.
Puma era allenato per
imprese molto più difficili, in questo campo. Dovette chinarsi ed annusare il
sangue essiccato una volta sola –e da quel momento, sarebbe solo stata
questione di tempo!
Phoenix.
Ore 23:35
“Dimmi che sto sognando,
Mac....”
“Nahh, è un mutante, te lo dico io!”
“Non ha smesso di lavorare
fino ad ora...”
“Figlio di...”
“E adesso me ne devi 50!”
Nessuno osava rallentare il
ritmo del proprio lavoro; chi faceva gli straordinari, lo faceva sapendo che non sarebbero stati pagati di più, in
caso contrario.
Ma parlare sul lavoro non
era proibito, fino a quando evitavi di procurarti un incidente.
E, a quasi 12 ore dal suo
arrivo nel cantiere, Jason Strongbow era decisamente diventato il centro
dell’attenzione generale.
Jason sapeva che presto
qualcuno si sarebbe deciso ad avvicinarlo...Naturalmente, non si aspettava che
quel qualcuno sarebbe stato il contatto di Red Wolf, non così presto...
Ma il cantiere era,
semplicemente, il posto migliore dove passarsi segreti alla luce del sole. Così
lui pensava.
Se si fosse sbagliato,
almeno sperava che qualcun’altro dei suoi compagni avesse ragione. E presto.
Jason sollevò l’ennesima
trave, leggermente tremando sulle gambe. Non era ancora lontanamente
affaticato, ma doveva comunque mostrare segni di cedimento, o qualcuno avrebbe
davvero finito per chiamare qualche squadra antimutante...
E il buffo era che lui non
era affatto un mu*
Solo il suo ferreo
autocontrollo gli impedì di sussultare, quando qualcuno gli diede una robusta
pacca sulla schiena!
“Ed eccolo qua, il nuovo
Grande Capo!” l’autore della pacca emise un verso a metà fra un ringhio e una
risata. La zaffata di alcool che seguì era qualcosa di nauseante!
Jason posò la trave, e si
voltò.
Si trovò di fronte a un uomo
di età indefinibile fra i trenta e i cinquanta, il volto dai lineamenti forti,
capelli neri e stopposi come i lunghi baffoni e una spinosa barba di due
giorni. Non sarà stato più alto di Wolverine, e i suoi occhietti brillavano di
malizia, intonati alla sua voce roca.
“Senti un po’, Grande
Capo...Ti piace così tanto lavorare qui?” la sua voce, come il suo aspetto,
gridavano messicano.
Jason si limitò ad annuire,
ma continuando a fissare l’altro negli occhi.
Il messicano sfoderò un
ghigno predatorio. “Muy bien,
gigante. Perché se sei d’accordo, adesso ti concedi una bella notte di
tonificante sonno. Una bell’idea, no? Ci sono tanti altri che hanno bisogno di
fare la loro parte.”
Jason capì che il cantiere
aveva una seconda autorità. Forse, questo messicano era la ‘polizia segreta’
degli appaltatori del cantiere. Una presenza capillare.
Jason sfoderò un mezzo
sorriso sarcastico, e voltò le spalle al messicano. Gliel’avrebbe data vinta,
questa volta.
Ne avrebbero riparlato dopo,
a quattr’occhi. In privato.
L’operatore era una figura
anonima, asessuata, impassibile. Inumana.
Sedeva in un cubicolo
letteralmente tappezzato di hi-tech, con schermi ultrapiatti a dimensione
umana. E di tale organo elettronico, l’operatore era letteralmente il cuore,
collegato com’era attraverso filamenti ottici, e cavi attraverso cui passava il
nutrimento. I suoi occhi erano orbite cave i cui filamenti andavano
direttamente alla base degli schermi.
Tre di tali schermi
mostravano la figura in movimento di Jason Strongbow. Uno mostrava la sua
struttura scheletrica, uno quella muscolare e nervosa, e il terzo il brillare
delle bio-energie. Cascate di dati accompagnavano ogni schermata.
L’operatore, che sulla
fronte aveva stampato un ‘64’ nero, disse a un invisibile microfono, “Dati
inviati. Rapporto confermato: l’uomo di nome Jason Strongbow è un paranormale,
un umano mutato. La corrispondenza più prossima nel database è quella di Aquila
Americana, supereroe.” La sua voce era calma, impersonale…
…Mentre le emozioni che
attraversavano il recipiente di quelle informazioni erano tutt’altro che
tranquille.
L’uomo era, almeno così si
dichiarava, il diretto discendente di famiglie nobiliari di quelli che furono
gli Stati Confederati d’America. Almeno, il suo aspetto e il portamento
suggerivano tale estrazione.
Ma la mentalità di William Taurey era tutt’altro che
nobile. Dei suoi antenati, egli aveva mantenuto l’arroganza, il razzismo, e la
ferma convinzione che i moderni USA dovessero venire rimodellati secondo quegli
schemi sociali che furono la causa di una guerra civile.
Seduto nel mezzo di un
salotto che riproduceva fedelmente lo stile di quell’epoca, Taurey sorseggiò
del vino con aria pensosa, mentre osservava il rapporto da uno schermo
incorniciato come fosse stato un quadro.
“Si direbbe che la tua
brillante idea non abbia prodotto i risultati desiderati,” disse, assentemente,
a qualcuno dietro di sé. “L’eliminazione clamorosa di Red Wolf avrebbe dovuto
chiamare qui i Rangers, non un super Navajo.”
“E’ solo questione di sapere
attendere,” disse il misterioso ospite. “Ammetto che la presenza di Aquila
Americana non può essere una coincidenza…Ma non posso sbagliarmi: i Rangers
saranno qui, o ci sono già, ma nelle loro identità civili, per studiare il
terreno.”
Taurey sembrò rifletterci
sopra. “Per questo sono perplesso: a parte Phantom Rider, tutti quei seccatori
amanti degli indiani hanno identità segrete buone come moneta falsa.
Soprattutto, Victoria Star e Drew Daniels: sono inseparabili, e lei non è il
tipo di persona che non si faccia notare…Al contrario di Bonita Juarez, che potrebbe
passare per una qualunque suora locale.”
L’altro non disse niente;
lui, come il suo predecessore, aveva una certa esperienza in fatto di
supereroi, e la prima cosa che aveva imparato era che sottovalutarli significava
perdere. E William Taurey li stava gravemente
sottovalutando.
L’altro disse, “Potremmo
comunque tentare di catturarlo. Il suo DNA potrebbe ancora essere usato per…”
Taurey alzò seccamente una
mano a zittirlo. “Abbiamo già un numero sufficiente dei nostri super-agenti.
Quel pellerossa non servirebbe che ad attirare più attenz…eh?”
Senza alcun preavviso, la
stanza si era messa a tremare! Una scossa breve, ma sufficiente a fare
tintinnare i cristalli del lampadario e a spostare gli oggetti sui tavoli.
Un attimo dopo, entrò in
funzione l’allarme. L’immagine sul quadro/schermo cambiò, mostrando quella di
un tecnico incappucciato, un ‘numero 102’. Il suo impersonale tono era, in
qualche modo, capace di evidenziare la drammaticità della notizia. “Milord. Il
deposito di munizioni 9 è esploso.”
“CHE COSA?!” ringhiò Taurey,
come se volesse strangolare il tecnico attraverso lo schermo. “Se non saprete
darmi una spiegazione entro cinque minuti, io…”
Il tecnico, disse solo, “La
distruzione è totale, signore. Ci vorrà più di un’ora solo per spegnere le
fiamme. Per ora, l’incendio è circoscritto.”
Taurey fece un cenno, e lo
schermo tornò a rappresentare una scena di caccia al lupo.
“Il nostro deposito più
grande…” disse, sconvolto. Poi, i suoi occhi sembrarono rianimarsi di ira.
“D’accordo. Voglio che Eschiverra sia
avvertito, subito! Vediamo se riesce a sbarazzarsi di quel selvaggio maledetto!
Non può non avere a che fare con questo sabotaggio!”
Nella sua camera, Hamilton Slade
era ancora sveglio e lontano dall’avere sonno.
La ricerca era stata fino ad
ora frustrante –naturalmente, se lo era aspettato. Trovare l’ago di questo
pagliaio avrebbe richiesto molto tempo, con una ricerca dettagliata.
Un colpo di fortuna, non
aveva chiesto altro. Uno solo.
E l’aveva ricevuto.
L’archeologo aveva un inizio
di barba, i capelli arruffati ed era in maniche di camicia –sembrava un broker
reduce da una matinee del Venerdì
Nero a Wall Street. Ma sorrideva, mentre un sito –di tutti quanti- brasiliano
gli mostrava una bella chicca…
Scavi archeologici recenti, molto interessanti…Sì, era il caso di
contattare immediatamente gli altri. Valeva la pena fare una visi*
La mano di Slade, che stava
per digitare un comando, si gelò di colpo a un millimetro dalla tastiera.
Com’era quella frase?
Quando un angelo cammina sulla tua tomba.
L’uomo voltò fulmineamente
la testa e lo sguardo in ogni direzione, la mano istintivamente a correre verso
la fondina che ora non aveva. Come se lo spirito di Phantom Rider lo avesse
posseduto, pronto a combattere.
Ma il cavaliere non era giunto. Non c’era nessun pericolo.
Allora, perché Hamilton Slade si scoprì a rabbrividire, sicuro di non
essere solo?
Ore 03:00
Il silenzio nel Dry Coyote
era rotto solo dall’occasionale borbottio di qualche ubriaco, dal cigolare di
un letto rotto sotto il peso di due corpi, dallo zampettare di topi affamati…
E dai passi di qualcuno che
un ratto, decisamente, non era.
L’intruso percorse il
corridoio buio quasi fosse un fantasma. Ai suoi occhi, c’era abbastanza luce da
sembrare giorno.
L’ordine era di eliminare
quel pellerossa ficcanaso con discrezione. Niente di più semplice: neppure il
metallo poteva resistere ai suoi artigli!
Il sicario arrivò davanti
alla porta. L’indiano stava dormendo, il suo respiro era regolare, il suo odore
aveva varcato quella soglia, ed era vecchio come previsto –non aveva fatto
finta di rientrare, il selvaggio!
Un sorriso stirò le labbra
di un volto ferino, rivelando zanne acuminate.
Solo un momento…
La Luna a tre quarti era la
sola fonte di luce della stanza, limitata dal quadrato della finestra. Il letto
dove dormiva Jason Strongbow aveva un solo occupante, ignaro, avvolto
dall’ombra. Solo la testa spuntava dalle lenzuola.
La porta esplose verso l’interno! Contemporaneamente,
un’ombra indistinta saettò verso il letto.
Artigli brillarono di luce
propria, mentre si avvicinavano alla gola della
vittima?
Non fu poca, la sorpresa del
sicario, quando una mano coperta di pelliccia gli agganciò il polso in una morsa
ferrea!
In un solo movimento, la
mossa di attacco del sicario fu trasformata in un disperato tentativo di
attutire l’impatto, mentre egli veniva sballottato come una bambola verso la
finestra.
Il sicario piombò in strada,
seguito da una pioggia di schegge di vetro e legno. Cadde dal primo piano, ma
riuscì ad atterrare aggraziatamente.
Un momento dopo, arrivò il
suo avversario, circondato da un’aureola di schegge vetrose.
“Puma?!”
Una strana visione, l’eroe
ed il criminale: il primo, il ritratto vivente della furia vendicativa;
l’altro, un altro uomo-felino, più piccolo e tozzo rispetto a Puma, la pelliccia
scura e un costume oro e verde, il ritratto vivente della sorpresa.
“L’ultima volta che ho
sentito parlare di te, Esteban Carracus,
eri morto,” disse il guerriero indiano, la voce un ringhio tremendo.
“Correggerò l’errore della tua presenza, dopo
averti strappato le informazioni che voglio.” Detto fatto, Puma saltò addosso
al suo avversario.
El Gato scartò all’ultimo istante, ed affondò gli artigli. Puma fu altrettanto
lesto ad evitare quel colpo al fianco, anche se dovette ricadere malamente su
un fianco.
Di nuovo, i due nemici si
trovarono muso a muso, la tensione al massimo.
El Gato sfoderò un ghigno
malefico. “Esteban? Quel cabron buono
a nulla merita di restare morto, per quel che mi riguarda. Io sono Raoul Eschiverra. E tu sei morto!”
El Gato saltò. Puma fece per
scartare..solo per scoprire che il criminale aveva anticipato la manovra! Con
una torsione, el Gato diede un calcio d’affondo alla mascella di Puma!
Puma barcollò, mentre el
Gato atterrava, rimbalzava,
e colpiva con tutti e cinque gli artigli il fianco del guerriero,
lasciandosi dietro una scia di sangue ed energia!
Puma ruggì, più per la
sorpresa che per il dolore, e saltò all’indietro. Il dolore aveva schiarito la
sua mente dalla furia vendicativa. In un lampo, il nome di Eschiverra tornò
alla sua memoria insieme alla scheda sul supercriminale.
Eschiverra era entrato in
contatto con una Sentinella Kree, e
la sua mente si era impressa nel robot. In tale stato, aveva condiviso il suo
potere con Carracus, trasformandolo in el Gato, fino a quando l’eroe Capitan Marvel non aveva distrutto la
Sentinella. Carracus aveva perso i suoi poteri…Evidentemente, Eschiverra era
sopravvissuto all’esperienza…
El Gato rinnovò il suo
attacco. Era considerevolmente più forte e veloce del suo predecessore, e
ulteriormente avvantaggiato dalla sua inferiore taglia; combatteva come
Wolverine. Anche se Puma riusciva a parare la maggioranza dei colpi, era sufficiente
essere sfiorato dall’energia negli artigli per avvertire il bruciore…
Alla fine, Puma era in
angolo, ancora sulla difensiva sotto la pioggia di colpi del Gato. “Pfah! Non
sei all’altezza della tua fama, gringo!”
disse el Gato fra un colpo e l’altro. “Anche se non sei il pellerossa
designato, la tua testa farà una bella figura su humpphh”
Il piede di Puma gli si era
conficcato nello stomaco, superando l’attacco come se el Gato fosse stato un
facile, immobile bersaglio!
Colto di sorpresa, già
parzialmente stancato, el Gato crollò in ginocchio, reggendosi l’addome.
Una mano impellicciata gli
si agganciò alla collottola, e tirò seccamente la testa all’indietro. L’altra
andò ad agganciare la giugulare. Le ferite di puma si stavano rimarginando a
vista d’occhio. “Piccolo uomo, sono stato allenato per combattere esseri molto
più potenti di te! E adesso dimmi, chi ha ucciso Red Wolf e Lobo?”
“E cosa ti fa pensare che io
lo sappia?” chiese el Gato, rantolando.
“Dovevi uccidere Jason
Strongbow. Anche lui si stava avvicinando troppo alla verità, ve...” non
completò la frase. Un luccichio alla gola del criminale attirò la sua
attenzione –o meglio, lo spinse, istintivamente, a guardare.
Fu sufficiente. A luccicare,
era stato un pendente a forma di testa di gatto. Non appena Puma lo guardò, il
pendente brillò di una luce intensa come quella solare!
Puma lanciò un ruggito
terribile di dolore, e lasciò la presa, cadendo in ginocchio, coprendosi gli
occhi.
El Gato si mise in piedi.
Sollevò un braccio, pronto a colpire...
Dicono che, a un istante
dalla morte, la tua vita ti scorra davanti agli occhi.
Il braccio di el Gato calò.
1 secondo dal colpo fatale.
Alla velocità del pensiero,
Puma ricordò solo l’unico momento in cui si era sentito davvero smarrito,
impotente.
Quando aveva avuto di
fronte, per la prima volta, il nemico contro cui era destinato a combattere.
0.554 secondi.
L’Arcano. Un essere
di potenza quasi infinita, un’entità che di umano aveva solo la forma. Una
minaccia, letteralmente, per l’intero Universo.
Puma era stato insignito
quale Campione della Morte, ricettacolo di una eguale potenza, per vincere
l’Arcano...Era il suo destino, e non se ne era sentito degno. Aveva avuto
paura.
0.120 secondi.
Il suo sensei, l’uomo
che aveva forgiato la sua forza, si era apparentemente sacrificato, per
spingere Puma ad accettare la comunione col Cosmo, e vincere l’Arcano. Ed aveva
funzionato.
Poco importava,
l’interferenza dell’Uomo Ragno, che aveva impedito a Puma di sferrare il colpo
di grazia.
0.003 secondi.
La rabbia, era la chiave.
Quella stessa rabbia che ora alimentava l’anima di Puma, umiliato da un
combattente di così vile statura!
Gli artigli di el Gato
colpirono...E la sua mano, il suo braccio, furono letteralmente avvolti da un
fascio di energia!
El Gato urlò!
Ritrasse di scatto l’arto...per scoprire che non aveva più niente, tranne un
moncherino necrotizzato. El Gato farfugliava incoerentemente, lo sguardo perso
nel suo terrore.
Puma, perfettamente guarito,
scattò in piedi...Solo per vedere il criminale avvolto da un nuovo bagliore,
che sembrava partire dal centro del suo corpo. In un attimo, la figura di el
Gato si fece indistinta, tremula.
E sparì.
Episodio 2 - Duello in
paradiso
Palazzo del 10° Distretto di
Polizia, Creek Street, Phoenix, Arizona.
La giornata prometteva una
temperatura apprezzabile, solo 28 gradi –apprezzabile, almeno, per i nativi,
bianchi o indiani che fossero.
L’Ispettore Jack Ironhoof era un indiano, un uomo
che si era letteralmente fatto da solo, scalando i gradini del potere partendo
da semplice agente di ronda per quel distretto in cui era entrato a 18 anni.
Di Jack Ironhoof, i nemici
dicevano che era un figlio di puttana con pugni degni del suo nome, e ben poco
incline al perdono. Gli amici non potevano che concordare con tale ritratto,
anche se pochi di loro riuscivano a vedere un cuore generoso e dedito alla
giustizia per un popolo ancora troppo oppresso, in questi tempi cosiddetti
‘moderni’.
Nella omicidi, Jack era non
solo la punta di diamante, ma uno di famiglia. La sua opinione aveva un peso, e per questo lui non era incline a
parlare, se non prima di averci pensato molto, molto bene.
E adesso non sapeva neppure cosa pensare.
Un piccolo mare di
scartoffie giaceva sulla scrivania dell’Ispettore. Chi non conoscesse Jack
avrebbe scambiato quel cumulo per irreparabile disordine.
L’attenzione di Jack era
assorbita da un dossier e delle fotografie in bianco e nero. I suoi occhi
carbone, parte di un volto scolpito con l’accetta e precocemente segnato
dall’esposizione al sole e al deserto, cercavano di trovare una connessione fra
il fascicolo e le immagini.
L’etichetta non poteva
neppure riportare in piccolo il nome della vittima –di fatto, della vittima non
era rimasto abbastanza da seppellirlo, figurarsi riconoscerlo…E quel poco
rimasto era stato trafugato da qualcuno che si era introdotto nella morgue! Si
sapeva solo che era un Cheyenne, e che lavorava presso uno dei cantieri
appaltati dalla Foley Real Estate and
Construction, una ditta d’appalti e vendite, pressoché sconosciuta prima dell’arrivo
dei maledetti Marziani…La Guerra dei
Mondi si era lasciato un bel cadavere su cui banchettare!
Jack avrebbe scommesso un
anno di stipendio, che metà delle ditte appaltatrici erano paravento per ogni
losco cartello criminale…ma non ci si poteva fare niente, letteralmente. La
ricostruzione doveva essere rapida, e ogni politico, pur di riportare la
propria città alla normalità, avrebbe ben volentieri fatto carte false.
Per questo, gli indiani
erano le braccia raccomandate per i cantieri. Se ne moriva uno o due, in mezzo
a quelle strutture dove la sicurezza era alquanto relativa, l’inchiesta non
sarebbe andata oltre le domande di rito e uno scandalizzato trafiletto.
Jack non capiva perché gli
indiani del cantiere si comportassero come paesani
Siciliani, rispondendo ad ogni sua domanda col silenzio –insomma, un
‘incidente’ sul lavoro poteva capitare, e sarebbe finita lì…Perché usare una bomba, e così potente?!
Jack guardò le foto. Una
cosa buona della guerra era stato il finanziamento massiccio per la sicurezza.
Molti cittadini avevano storto il naso all’intrusione montante del Grande
Fratello, ma bastava menzionare le parole ‘collaborazionisti’ o ‘terroristi’,
per metterli a tacere.
I risultati stavano lì,
momenti del duello fra metaumani avvenuto la scorsa notte.
Uno era, indubbiamente, Puma, un mercenario a metà fra il felino
e l’umano, di reputazione ambigua –qualcuno lo menzionava come protettore, i
più come criminale e basta.
L’altro, in un costume
giallo e verde, di statura più bassa e tarchiata, era un uomo-felino a sua
volta, ma più bestiale, e altrettanto riconoscibile: El Gato, il Ghepardo. Un criminale che sarebbe dovuto essere morto
da molto tempo.
Jack sospirò. Che rapporto c’era, fra quella morte e
l’improvvisa comparsa di quei super-esseri? E quanti altri ce ne potevano
essere?
“Hai mai avuto la sensazione
di odiare il tuo lavoro, Ned?”
Seduto dall’altra parte
della scrivania, una coca fredda in mano, Ned
Monroe era il compagno di Jack da sei anni, e proprio come il primo giorno,
avrebbe voluto essere molto lontano, quando lui gli rivolgeva quella domanda.
Questa volta, anziché darsi
ad una filippica, Jack si strofinò una tempia –segno che desiderava
immensamente una sigaretta, un vizio che si era tolto dopo che suo padre era
morto in una lunga agonia di cancro polmonare. Jack disse, “Novità
sull’albergo? Indizi sul perché quei due ci stavano lottando come se fosse
stata la stagione...”
Ned si schiarì vistosamente
la gola, mentre apriva il fascicolo sulle sue gambe. “La camera da cui è
partita la lotta era stata registrata da tale Jason Strongbow, un...”
Gli occhi di Jack Ironhoof
sembrarono riaccendersi. “Un capotribù Navajo?”
Ned annuì. “Lo...conosci?”
“Eccome: siamo stati al
college insieme...Passami un po’ quel dossier.” Avutolo, Jack studiò gli
smagriti due fogli, e gli ritornò il familiare cipiglio. “Non capisco...Si è
fatto assumere al cantiere dove aveva lavorato quel Cheyenne. Ned?”
Quasi il suo compagno scattò
sull’attenti.
“Ned, avvisa i nostri informatori, ovunque siano e qualunque cosa
stiano facendo. Voglio una copertura su Strongbow. Sono sicuro che ci porterà
alla soluzione di questo casino. Muoversi!”
Domande. Non era solo il
detective della omicidi, a farsene, sui nuovi arrivati a Phoenix.
Anche gli assassini di William Talltrees
brancolavano nel buio. E questo, ai loro capi, piaceva ancora meno.
Come stava scoprendo, a sue
dolorose spese, William Taurey!
L’uomo si stava contorcendo
sul pavimento, in preda ad un’agonia insopportabile, la mascella così serrata
che si potevano vedere i tendini e le vene sporgere nettamente lungo il collo.
La fonte del suo dolore
appariva come lo schizzo di un volto umano, asessuato, su uno schermo quadrato,
schermo che quasi occupava un’intera parete della stanza.
Non siamo soddisfatti del
tuo operato, Taurey. La tua imprudenza ci ha quasi fatto scoprire!
Faticosamente, l’uomo si
mise in ginocchio. I nervi gli urlavano, lui non osava neppure pensare ad una
risposta.
Il volto continuò a parlare,
echeggiando di toni disumani. Questi super-esseri possono esserci utili da
vivi, per ora. E poiché tu non riesci a comprendere le implicazioni della loro
presenza, abbiamo arrangiato la trappola noi stessi; in questo modo, potremo
radunarli tutti in un colpo solo. Se vorrai ucciderli, potrai farlo dopo che ci
avranno spianato la strada verso la Quintessenza. Il tuo compito deve essere
solo assicurare la sicurezza di questo avamposto. Siamo stati chiari?
Taurey restò inginocchiato,
la testa china. “Sì, miei signori.”
Il volto scomparve, la stanza piombò nel silenzio.
Una delle maggiori attrazioni turistiche
dell’Arizona era il Montezuma Castle
National Monument. Si tratta di un’imponente struttura di 5 piani,
edificata nella roccia a 25 metri dal suolo dagli indiani Sinagua quasi mille anni
prima. Il nome era dovuto al fatto che, inizialmente, si era pensato trattarsi
di una struttura edificata dagli Aztechi. Per visitarlo, insieme al Pozzo di
Montezuma, distante pochi chilometri a nord, il turista può pagare 5$.
Per ora, tuttavia, il massimo
cui potesse aspirare il turista era una ripresa delle impalcature che
circondavano gli scavi nel villaggio, e il piccolo cantiere alla base della
parete.
Quello che il turista non
avrebbe notato, erano i sensori e le telecamere –tutto adeguatamente discreto,
mimetizzato. Ne’ avrebbe saputo che una larga fetta del personale di servizio
era di ben pagati mercenari, con rapido accesso ad armi nascoste in prossimità
della propria posizione…
Misure di sicurezza,
naturalmente, valide solo se l’intruso poteva essere in qualche modo
rilevabile…
…e il futuribile apparecchio
stealth, sostenuto sulla verticale
del sito da un potente rotore ventrale, non lo era.
A bordo, se non proprio
tutte, stavano diverse risposte ai quesiti di Jack Ironhoof, nelle persone di:
- Jason Strongbow, ovvero Aquila Americana. Il possente guerriero
Navajo scrutava con occhi degni di un’aquila il paesaggio in basso, non notando
alcun particolare fuori posto, al di là del sito stesso. Meditava ancora
sull’opportunità perduta la scorsa notte con la sconfitta e la fuga di El Gato.
Jason aveva fatto la connessione quando era tornato al cantiere la mattina
dopo, solo per scoprire che il messicano era…malato, e non si sarebbe fatto
vedere per un po’.
- L’archeologo Hamilton
Slade, ora nel costume di Phantom Rider,
incarnazione del suo antico antenato giustiziere. Rider stava seduto al fianco
del pilota e studiava un monitor che mostrava il sito, come se si trovassero a
pochi metri da esso. Sullo schermo, il lavoro procedeva con militare precisione,
tutti gli sforzi concentrati sulla base della parete, su quello che sembrava
l’ingresso a una galleria. “Ho incrociato i dati della locale biblioteca con
quello che ha segnalato quel sito Internet di cui vi ho parlato prima,” disse
il cavaliere con la familiare voce profonda, quasi ultraterrena, “e sembra non
esserci dubbio: il Castello era stato eretto a guardia di un portale che, se
aperto, porta ai Grandi Pascoli.”
- Drew Daniels, aka Texas Twister, che sedeva al suo posto,
guardando attraverso il finestrino. Gli prudevano le mani, tale era la voglia
di accendersi una bella sigaretta…ma con tutti i nasi ipersensibili là dentro,
era un invito al suicidio. “E cosa sperano di fare, trovarci l’oro o gli
spiriti che dicano loro i prossimi numeri della lotteria?”
- Victoria Star, vestita del
suo nuovo costume, seduta al fianco di Twister. Stava zitta, le mani in grembo,
ma la sua mente continuava a ripeterselo non importava, se il costume le era
stato donato dal suo padre biologico, un uomo che non solo l’aveva abbandonata,
ma che anche era stato un criminale al soldo dell’AIM. Lei era e sarebbe
rimasta la Ranger Shooting Star…Anche
se, da quando aveva scoperto le sue origini, faceva fatica a sentirsi
all’altezza dei suoi amici. E non aveva neppure una scusa per mettersi una
maschera, giacché la sua identità era pubblica; avrebbe dovuto accontentarsi
degli spessi occhiali polarizzati che venivano col costume. Poi, giusto per non
attirare l’attenzione sui suoi problemi, disse, “Come hai fatto ad avere questo
apparecchio? Non credo che neppure i militari ne abbiano uno.”
- Thomas Fireheart, ovvero
Puma, ai comandi dell’aereo, con indosso una visiera che lo faceva sembrare una
versione in pelliccia arancione di Ciclope. Puma disse, “E hai ragione. Questo
modello è un prototipo originariamente commissionato dal Pentagono nel
dopo-Reagan, ma mai prodotto in serie a causa dei costi. La Fireheart
Enterprises lo ha tenuto per sé, e torna molto comodo per controllare i
concorrenti meno…onesti.” Allungò un artiglio a digitare alcuni pulsanti, poi
disse, “Non nascondo di essere preoccupato, cavaliere. Se davvero qualche
quinta colonna fra quei bianchi ha voluto cercarti ad ogni costo per
avvertirti, perché non fare in modo di essere rintracciato?”
La perplessità era una presenza
quasi palpabile, fra gli eroi. In effetti, il portatile di Hamilton Slade
fornito da Fireheart era fornito di un software di tracciamento capace di
sfidare le migliori trovate degli hackers.
Cancellare le proprie tracce in quel modo, e in un minuto, implicava una
competenza impressionante…
Ma come poteva il cavaliere
spiegare che in quel minuto, proprio quando stava per salvare almeno l’homepage
del sito, era come stato avvicinato da una presenza
estranea, come se si fosse trovato dall’altra parte di un microscopio?
“Io mi preoccuperei di ben
altro, Kitty,” disse Twister, “come ad esempio: come facciamo ad entrare senza
scatenare un putiferio? Abbiamo stabilito che, per ora, l’attenzione dei media
non ci serve.”
Il semi-muso di Puma si contrasse in un sorriso. “Facendo un putiferio,
naturalmente.”
L’odore di sudore umano non
faceva in tempo a permeare l’aria, tanto torrido era il clima. Gli operai
lavoravano senza sosta, idratati a intervalli regolari per mantenere le forze
necessarie e null’altro. Non c’era certo il pericolo di fuga, visto che l’unica
strada era in basso, e le sole armi visibili erano quelle dei membri vestiti in
grigio della sicurezza –i quali a loro volta invidiavano la robustezza degli
indiani al loro servizio. I pellerossa sembravano quasi non avere bisogno di
acqua, mentre loro che dovevano solo starli a guardare ne avevano bisogno a
litri. Se solo ci fosse stato un po’ di vento a rinfrescare…
Il primo refolo fu quasi
accolto come una benedizione…Un momento prima che si trasformasse
nell’apocalisse!
L’intero sito fu travolto da
un mostruoso tornado. Come la mano di
Dio, il turbine, modellato da venti viaggianti a centinaia di Km/h,
semplicemente, spazzò via l’intero sito come fosse stato polvere.
Quando il vento si estinse,
nessuna traccia dell’opera dell’uomo era rimasta…A parte un’unica impalcatura
rimasta attaccata alla parete, e gli sventurati che avevano assistito al
fenomeno con sacro terrore, chi convinti di essere stati risparmiati
dall’intercessione dei Sacri Spiriti, chi dalla volontà divina...
In realtà, risparmiati da
Texas Twister, che apparve dalla nube di polvere insieme ai suoi compagni.
Ci fu un momento di
smarrimento generale fra gli operai...Poi, un grido di gioia riecheggiò dal
villaggio!
Poco dopo, gli operai coatti
erano radunati intorno ad Aquila Americana, Puma e Phantom Rider. Non saranno
stati più di una trentina, tutti giovani robusti, cupi.
Il loro rappresentante, un
uomo dai capelli quasi rasati, che avrebbe potuto fare a gara con un orso per
robustezza, disse, “A noi e alle autorità, i bianchi che ci hanno catturati
hanno detto di volere fare chiarezza sul perché i Sinagua avessero abbandonato
questo posto. Di fatto, ci stavano costringendo a raggiungere il Portale per i
Grandi Pascoli. Vi siamo grati per averli fermati.” E fece un inchino.
In un certo senso, noi siamo
grati a quei profanatori, pensò Phantom Rider, guardando verso il Castello. Se non avessero
pensato di catturare solo individui senza familiari, adesso saremmo impantanati
nelle operazioni di soccorso. Una situazione davvero conveniente...
“Perdona la mia ignoranza,
Daniel Ironpaw,” disse Aquila Americana al gigantesco indiano, “ma cosa ci
potrebbe essere di così interessante per l’uomo bianco, in un regno a lui così
alieno?”
“Forse perché l’uomo bianco
in questione è alieno a sua volta,” intervenne Texas Twister. Una sigaretta
pendeva dalle sue labbra, ma lui non stava inalando, concentrato com’era sul
braccio umano che reggeva fra le mani. Poi, lanciò l’arto in questione verso
Puma, che lo afferrò al volo.
Puma esaminò l’attaccatura
del braccio...e inarcò un sopracciglio.
I sensori del loro
apparecchio avevano identificato ogni guardiano e civile non indiano come
entità inorganiche, per quanto non penetrabili dagli scansori. Credevano
fossero robot, ma l’interno del braccio era una riproduzione quasi perfetta
di uno umano. Il sangue era composto di piastrine cristalline, vene e arterie
lucide come materiale plastico...No, sulla Terra, non c’era azienda capace di
arrivare a tanto...
Poi, Puma sobbalzò. “Ultron,”
bisbigliò, parzialmente scoprendo le zanne.
Gli altri quattro eroi sobbalzarono a loro volta: Ultron era un nome
che sarebbe rimasto scolpito negli animi umani per molto tempo, temuto solo
dopo quello dei Marziani. Era il nome del robot senziente assassino, che
sterminò un’intera nazione, la Slorenia, per fondare, come aveva
dichiarato a tutto il mondo, la prima pietra di un mondo delle macchine...
I camion lasciarono il
Castello di Montezuma, per immettersi sulla I-17, al sicuro, lontano.
Per conto loro, gli eroi,
che intanto avevano raggiunto gli edifici del Castello, stavano percorrendo il
primo tratto di tunnel scavato dagli operai. Era un cunicolo piccolo, a
malapena alto per un uomo, illuminato da deboli lampade. Solo grazie agli
operai, i nostri sapevano cosa ci fosse alla fine.
E ci arrivarono. Twister
fece un fischio di ammirazione.
Il cuore di quegli scavi era
un tunnel abbastanza grande per farci passare un camion intero; le lampade al
neon al soffitto funzionavano per grazia dei generatori di emergenza. Il tunnel
terminava intorno ad una specie di piedistallo di roccia scura, forse
ossidiana. Su di esso, si intravedevano i segni degli infruttuosi tentativi di
distruggerlo senza usare esplosivi.
Ma lo spettacolo erano le
pareti: erano letteralmente coperte di simboli e disegni, la maggior parte di
essi incomprensibili, ma in qualche modo armoniche nella loro disposizione.
“Sapete una cosa?” fece
Shooting Star, guardandosi intorno, “non ce lo vedo Ultron a giocare così per
il sottile. Voglio dire, se può costruirsi i suoi servi fedeli, che se ne fa di
un pugno di uomini per questo lavoro? E ci avrebbe messo anche molto meno
tempo, a fare da sé. Senza contare che non si sarebbe certo preoccupato di
risparmiare queste opere d’arte.”
“Le speculazioni a dopo,”
disse Aquila Americana, “adesso, dobbiamo arrivare al Portale e metterlo al
sicuro. Cavaliere, quanto credi sia distante?”
“Prendere il...Ouch!”
Twister fu interrotto da una lesta gomitata della sua compagna.
Phantom Rider stava
studiando i simboli di una parete. Non c’era bisogno di guardare sotto la
maschera, per capire che era intensamente assorbito da quel che vedeva. “I
pochi documenti esistenti dicono che il portale fu creato dal dio Coyote perché
gli umani potessero essere più a contatto con gli Spiriti, invece di limitarsi
a venerarli. Naturalmente, Coyote era un burlone, e le sue intenzioni erano
solo di avere più femmine della nostra specie a disposizione, e seccare i suoi
fratelli...”
“Più...femmine?” fece Shooting Star.
Phantom Rider continuava a
studiare le iscrizioni. “Coyote era anche alquanto lussurioso. Si può dire che
lo faceva con tutto e tutti; avrebbe potuto dare varie lezioni a Casanova...Mio
Dio...” fece per tergersi la fronte, prima di ricordarsi di essere mascherato.
Phantom Rider si rivolse
agli altri. “Avvertimenti...Questo posto è letteralmente saturo di
avvertimenti e sigilli. Io e te, Puma, possediamo una natura mistica –lo senti
anche tu?”
Puma annuì. “Ho voglia di
andarmene, di scappare da qui. Deve essere la nostra parte umana, che ci
impedisce di subire la piena influenza dei sigilli.”
Aquila Americana mise una
mano sulla spalla di Victoria. “Shooting Star?”
Lei disse solo, “Copritevi
gli occhi.” Poi, puntò le braccia verso la fine del tunnel. Aveva l’impressione
di stare per fare da sacrificio a un mostro dalla gola molto profonda, e
represse un brivido.
Shooting Star si concentrò.
Le terminazioni bioneurali del costume raccolsero il segnale. Le sfere sui
dorsi dei guanti brillarono.
Concentrata in due raggi
laser, una luce abbagliante come il Sole riempì il tunnel! Se Victoria non
avesse avuto indosso gli occhiali, sarebbe rimasta accecata!
Sotto quell’assalto di
fotoni, la roccia sfrigolava e fondeva.
“Sbaglio, o sta cedendo un
po’ troppo facilmente?” chiese Twister, schermandosi con una mano, già
pentitosi di avere appena dato una sbirciatina.
Improvvisamente, alla luce
dei laser, si aggiunse una nuova luce, azzurra, non meno intensa...
Shooting Star cessò di sparare.
Guardava l’oggetto che aveva scoperto con un misto di stupore e ammirazione.
Stupore, perché l’oggetto
brillava di una luce spontanea, ed era lucido come fosse stato rinchiuso nella
roccia solo il giorno prima. Ammirazione, perché il cristallo era un gioiello
magnificamente scolpito, una composizione di una sfera parzialmente sporgente
da un cubo, piramidali sporgenti dai lati rotondi. La sua luce, da sola, era
sufficiente a riempire la stanza sostituendosi ai neon.
Il quintetto si teneva a un
paio di metri, in circolo dall’oggetto, che stava sospeso a mezz’aria. Si aveva
l’impressione di sentire la luce cantare.
“Avevi visto giusto, Tex,”
disse Phantom Rider, mentre Puma, avvicinando una mano al gioiello, vide la
pelliccia dell’arto raddrizzarsi come fosse stata percorsa dall’elettricità.
“Non c’era ragione perché cedesse a noi, quando il sigillo ha resistito ad
altri attacchi.. Da quel poco che ho visto, furono gli stessi Spiriti a concedere
il proprio potere per potenziarlo. Cosa abbia fatto decadere adesso un simile
potere, non...”
Non terminò la frase.
Intorno a lui –no, intorno a tutti loro, le pareti, l’intera
caverna...tutto svanì in un tremolio, come se improvvisamente tutto avesse
assunto la consistenza del mercurio.
“Santa Maria madre di Dio...”
disse Texas Twister, quando la transizione fu completa,
e loro furono nei Grandi
Pascoli.
Immaginate l’Eden.
Immaginate una terra vasta a perdita d’occhio, pura, mai contaminata da mano
umana, dove il Sole brilla senza bruciare la tua pelle, dove le nuvole si
rincorrono in giochi d’aria come in un sogno, accompagnate dal canto delle distese
d’erba...
In distanza, branchi di
bisonti come non si vedevano da centinaia di anni brucavano placidamente, non
certo inquietati dagli alieni appena giunti. Il vento portò con sé l’ululato di
un lupo.
“Questo è dunque, il
Paradiso per gli Indiani?” fece Twister, gli occhi ancora sgranati. Sentiva la
pace, la pace e una forte commozione avvolgerlo. Pur non essendo
particolarmente religioso lui stesso, era stato allevato da una famiglia quasi
fanatica nella sua fede. Ricordava ancora come detestasse l’idea di un Paradiso
che solo pochi beati avevano potuto vedere, e al quale non tutti potevano
aspirare dopo la morte. E, soprattutto, avevano cercato di inculcargli l’idea
che quello fosse l’unico Paradiso, che esso fosse negato a chi non
accettava tale ‘fatto’...
Ed ora era qui, ed era
felice; almeno, i soprusi a cui erano stati da sempre sottoposti i Nativi
nordamericani avevano trovato ricompensa.
“Bene, e ora che facciamo?”
fece Puma, guardandosi intorno.
“Restare compatti, per
cominciare,” fece Aquila Americana. “I Grandi Pascoli non hanno una ‘geografia’
come la conosciamo. Ogni porzione di territorio è dedicata a un guerriero o una
tribù o un branco di animali, in proporzione alle sue virtù e meriti. Noi non
dovremmo essere qui, e saranno gli Spiriti stessi a manifestarsi per chiedere
spiegazioni.”
“Magnifico,” fece Star,
“chissà se almeno un autografo ce lo conced...Uh, sembra che stia per piovere.”
Tutt’intorno al gruppo,
infatti, si era manifestata una zona d’ombra come se una nuvola avesse oscurato
il Sole.
Rrrrrr...
Cinque teste si voltarono
mooolto lentamente. Twister fece un tragico sorriso. “Ciao, cuccioletto.”
In compenso, furono tutti
lestissimi a saltare via, un attimo prima che una colossale zampa li
colpisse!
“Fammi indovinare,” fece
Shooting Star, istintivamente andando a prendere le sue vecchie pistole...prima
di ricordarsi di non averle più, “il cane da guardia?”
Un cane, naturalmente, non
era: era un orso, ma una creatura due volte più grande del più grande
grizzly. La sua pelliccia era così nera che sembrava assorbire la luce. I suoi
occhi erano due feroci pozze sanguigne. E sangue colava dalle zanne!
“Peggio,” fece Aquila,
incoccando una freccia, “e’ il Demone-Orso. E’ un agente della morte del
Mondo Oscuro, e non dovrebbe essere qui[1]!”
“Allora vediamolo di
ricordarglielo!” fece Shooting Star, concentrandosi...e non ottenendo nulla!
“Cosa..?”
La seconda zampata la colpì
in pieno, scagliandola via come una bambola rotta!
“VICTORIA!” sull’onda di un
microciclone, Texas Twister volò a prenderla.
Colpa nostra, pensò Aquila Americana,
mirando al cuore della creatura diabolica. La freccia partì, potente come un proiettile...e
fu spezzata a mezz’aria da una zampata. Avremmo dovuto dirle che la
tecnologia dell’uomo bianco non funziona, su questo piano!
Puma ruggì, e saltò alle
spalle del demone-orso, colpendolo con un doppio colpo di artigli alla nuca.
Fulmineo, l’orso si voltò ad afferrare il fastidioso avversario con due
zampe...Come previsto. Allo stesso tempo, Phantom Rider sparò una raffica di
colpi da entrambe le sue pistole –armi che, in virtù della loro natura metafisica,
funzionarono alla perfezione!
Il demone-orso ruggì di
dolore, e lasciò il guerriero. A una velocità fantastica, Aquila Americana
colpì a piena forza il demone sulla mascella!
Fu a quel punto, che le
nuvole si manifestarono per davvero. E da esse, partirono fulmini neri! Puma,
Rider e Aquila, colpiti, non poterono che crollare a terra, le loro energie
vitali rapidamente assorbite dalla tempesta...
L’orso sorrise, prossimo al
trionfo...Prima di accorgersi, con un quasi comico stupore,
che una delle sue prede non stava
comportandosi come avrebbe dovuto. Infatti, Puma stava addirittura, seppure
faticosamente, rimettendosi in piedi. “Buffo...che debba...ricordartelo io...”
disse il guerriero, ghignando nel dolore, “che non si vende...la
pelle...dell’orso...”
Il demone, dimentico delle
altre sue prede, concentrò l’attacco su Puma.
Puma ruggì, barcollò, ma la
sua ira lo aveva finalmente portato al di là del suo stato di mortale. Puma crebbe,
i suoi occhi incandescenti di energia cosmica, fino a raggiungere le dimensioni
dello stesso demone-orso. Sollevò un braccio. “PRIMA DI AVERLO UCCISO!”
Fu un momento, un colpo
rapido come la luce. Un attimo prima, l’orso era in piedi, pronto a combattere.
Quello successivo, cinque squarci paralleli gli attraversavano il petto.
L’orso cadde in ginocchio.
Non colava sangue, ma attraverso gli squarci era possibile vedere come un cielo
stellato. Poi, l’orso parlò. “Nascondi bene la tua natura, Campione
della Morte.” La sua voce era greve, femminile. “Non avrei mai ingaggiato
questa lotta, se ti fossi presentato, invece di strisciare come uno scorpione
fra le rocce.”
Le ferite si rimarginarono.
Il demone divenne più piccolo, fino ad assumere le dimensioni di un qualunque
orso grizzly. “La battaglia è finita, Campione. Adesso, lascia che aiuti i tuoi
amici, ridando loro quello che avevo tolto.”
Gli occhi dell’orso
brillarono, spalancò le fauci, e da esse vomitò sfere di energia, ognuna
diretta verso un caduto.
Texas Twister quasi lasciò
cadere la forma esanime della sua compagna, nel momento in cui il suo brillante
spirito vitale tornò al suo corpo. Poi, lui esalò un respiro di gioia, quando
la vide riaprire gli occhi. “Non sei...troppo cresciuto per...piangere, Drew?”
fece lei, tergendogli un occhio.
Lui l’aiutò a rimettersi in
piedi. “Sono un vecchio dal cuore tenero, lo sai, pupa.” Poi, l’abbracciò con
forza. “Dio, eri...eri...” era stata un pezzo di carne fredda, immobile –ma non
lo avrebbe detto, non importava più.
“Dopo. Raggiungiamo gli
altri, adesso,” disse lei.
Gli eroi erano riuniti
intorno all’orso. Puma, anche se ora alle dimensioni normali, non sembrava meno
deciso a strappare il cuore del nemico, se solo avesse accennato a una mossa
falsa.
L’orso, in posizione seduta,
disse, “Poco tempo fa, per come voi contate il suo passare, una divinità aliena
ha fatto irruzione con le sue armate in questa parte dei Mondi Spirituali. Era
il dio della morte egiziano, Seth, e nulla sembrava potergli resistere[2].
Manitù e gli altri Spiriti, nella loro saggezza, sapevano di essere destinati
alla distruzione.
“Seth, però, non aveva
previsto che i Mondi fossero ben più estesi di quanto si aspettasse, grazie ai
numerosi popoli che credevano in noi, ogni popolo con una sua variazione
sull’aldilà, da Nord a Sud del mondo che ci ha generati.
“Non c’era scelta: Manitù
convinse i suoi fratelli a nascondersi, in un luogo inaccessibile, fino a
quando il pericolo fosse passato. Per nascondersi, diventare irriconoscibili ai
segugi di Seth, gli spiriti abbandonarono le proprie identità individuali, regredirono
al loro stato primordiale, la Quintessenza.
“Ma non bastava: prima di
immolarsi insieme al Primo Uomo e alla Prima Donna, Manitù diede la
Quintessenza a un custode, qualcuno che Seth avrebbe riconosciuto come simile e
non avrebbe ucciso. Finita la battaglia, il custode avrebbe dovuto liberare gli
Spiriti a un determinato momento. Quando, cioè, la fede dei mortali che li
adoravano fosse tornata forte a sufficienza.”
“E tu sei quel
custode,” disse Aquila Americana, a stento controllando il tremito nella sua
voce. Manitù...morto!
L’orso mostrò una fila di
denti tremendi in quello che era un sorriso. “Esatto. E posso dire, con non
poco piacere, che la fede è ancora troppo debole. Ammettilo, Jason Strongbow:
la tua razza sta estinguendosi, un po’ alla volta, piano piano. Oh, i
discendenti esisteranno, ma il loro sangue sarà diluito, indistinguibile da
quello di un bianco, e la loro fede assimilata a quel ‘In God We Trust’,
amalgama di eresia e corruzione che adoro da quando voi mortali lo coniaste
sulla prima moneta.
“Mentre io dovrò solo
aspettare, guardare questo monotono regno appassire, per potere transitare fra
voi ed estendere il mio dominio come meglio mi aggraderà. Temo che Manitù sia
stato poco saggio, questa volta.” E il demone ridacchiò, un suono come palate
di terra su una bara.
Shooting Star lo fissò negli
occhi. La sfida che il demone vi lesse lo indusse a dire, “No, mortale: la
mancanza di fedeli non è un problema, per me. Il male non ha bisogno di
adoratori, basta che vi sia qualcuno a commetterlo; è così più facile entrare
fra le mie fauci, che non accettare un pugno di regole per migliorare la
propria esistenza.
“In questo caso,” disse
Puma, “la nostra sfida sarà provare la falsità delle tue parole. I Sacri Popoli
torneranno a prosperare.”
L’orso fece spallucce e si
mise a quattro zampe. Diede le spalle al gruppo, e incamminandosi, disse,
“Buona fortuna: non ci riusciva Corvo Nero quando gli spiriti erano in
piena forma...Ma nel peggiore dei casi, mi tengo il mio regno...Oh, E fate le
mie congratulazioni al vostro sciamano. Spezzare il sigillo al Portale è stato
un lavoro di grande talento.”
“Sciamano, ma di
che...Ouch!” Texas Twister fu azzittito da una nuova gomitata di Shooting Star.
Un attimo dopo, i cinque
eroi svanirono dai Grandi Pascoli...
...Per ritrovarsi nella
camera sacra, vicino al Portale. Solo per riflesso, Texas Twister guardò
l’orologio. “Appena un paio di minuti...Ma è successo per davvero,
gente?”
“Ci puoi scommettere, Tex,”
disse Puma. “Il Demone deve averci attirato nei Pascoli, una volta distrutto il
sigillo: era un’occasione troppo ghiotta. Con le nostre energie vitali, avrebbe
potuto attraversare il Portale anche ora.”
“Almeno sappiamo che deve
essere la Quintessenza, ciò che cercano i nostri misteriosi nemici,” disse Rider.
“Il potere di decine di divinità...Una tentazione irresistibile.”
Aquila Americana annuì.
“Anche noi dei Sacri Popoli tendiamo a dimenticare che le altre genti possono
interagire con i piani astrali. Red Wolf ha pagato con la vita questa
realizzazione.”
Texas Twister si accigliò,
fissando Puma. “A proposito, Kitty...cos’è questa storia di ‘Campione della
Morte’?”
Puma disse, glaciale, “Sono
il risultato di una lunga linea di esperimenti genetici portati avanti
dalla mia gente da tempo immemorabile, per creare il guerriero perfetto,
destinato a combattere contro l’Arcano. Fu durante la battaglia contro
quell’essere, che furono svegliati i miei poteri cosmici latenti, capaci di
tale distruzione che senza nemmeno saperlo, divenni il Campione della Morte[3].”
Puma sorrise, un sorriso predatorio. “Naturalmente, occorre solo farmi
arrabbiare parecchio, per scatenare tali poteri.”
Twister fischiettò e si
batté le mani. “Ottimo. Adesso, non ci resta che catturare i bastardi
responsabili, giusto? Una passeggiata. E tu avevi un piano, dolcezza, giusto?”
Star disse, “Ve lo spiegherò quando saremo usciti di qui. Per favore.”
“Io avrei preferito
sentirmelo dire là dentro.”
Non avevano incontrato alcun
problema, nell’uscire. Apparentemente, il nemico aveva deciso di prendersela
comoda...
...O di lasciare che fosse
qualcun altro, a prendersi cura di loro.
Texas fece un fischio.
“Farei un putiferio per uscirne fuori...Ma temo che fare la figura degli X-Men
del Sudovest non sia proprio buon PR, giusto?”
Di fatto, Montezuma Castle
era letteralmente circondata di veicoli e uomini armati fino ai denti. E
ovunque, dalle fiancate dei mezzi alle giacche antiproiettile degli agenti,
spiccava l’inconfondibile logo FBI.
La donna al centro della formazione levò il megafono. “Attenzione,
metaumani. Parla l’Ispettore Karstone della Polizia Federale
dell’Arizona. Le armi puntate su di voi sono studiate per situazioni come
questa. Vi dichiaro in arresto per pluriomicidio e distruzione di un sito di
scavi. Fatemi un favore, e non opponete resistenza.”
Nei Grandi Pascoli...
Il Demone-Orso percepì
l’intruso all’istante, prima ancora che la trasposizione fosse completa.
La creatura sorrise. Se
fosse stata una preda mortale, facile, senza la protezione di quel dannato
Puma, avrebbe avuto uno spirito da...
Appena l’intruso apparve, il
demone-orso capì più cose in un colpo solo.
Non era un mortale.
Era potente.
E non era umano. Almeno, il
suo corpo lo sembrava, vestito di un abito che sarebbe andato bene cento anni
prima, con tanto di stivali a larghe falde e un lungo mantello nero.
La sua testa era una
fiammeggiante zucca, intagliata in una espressione malevola, dagli occhi
triangolari alla bocca frastagliata.
L’essere fece un inchino con
la testa, la sua voce una eco di crudeltà e sofferenze di innocenti.
“Permettimi, nobile bestia: sono Jack Lanterna, e tu hai qualcosa che mi
appartiene di diritto. Fai il bravo, e non ti ridurrò a un tappeto.”
Fulmineo, l’orso
attaccò...Per trovarsi il braccio bloccato da una mano guantata come fosse
stato un fuscello!
Con la stessa rapidità, Jack
Lanterna affondò la mano sinistra nel petto della bestia, passando la
carne come fosse stata aria. L’orso urlò, paralizzato dal terrore e dal dolore.
Jack ritrasse la mano, e con
essa il luminescente globo scarlatto della Quintessenza. Il Demone-Orso piombò
a terra, inerte, uggiolante.
“’Custode’,” fece Jack,
spazzolandosi la giacca con la mano destra. “Tss, erano più toste le formiche
che ammazzavo da piccolo.” Poi, fece un altro inchino. “Sayonara, collega. Ti manderò
una cartolina.”
E scomparve.
Episodio 3 - Sulla strada del confronto
Sviluppo di un’indagine.
Pochi giorni fa, a Phoenix, Arizona, il supereroe
Cheyenne noto come Red Wolf e il suo
fedele lupo Lobo, sono stati uccisi
da una mano sconosciuta. Un delitto apparentemente connesso alla Foley Real Estate and Construction, la
maggiore appaltatrice statunitense per la ricostruzione degli immobili a
seguito della Guerra dei Mondi.
Purtroppo, la morte dell’eroe non ha lasciato alcun
indizio utile per il rintracciamento dei suoi assassini, lasciando le autorità
a brancolare nel buio.
Per tale ragione, e per ottenere vendetta, un gruppo
di amici e conoscenti di Red Wolf è giunto in città per svolgere indagini
autonomamente. Un gruppo composto da Puma,
Texas Twister, Shooting Star, Phantom Rider e Aquila Americana. Tutte persone che, chi come membro degli
originali Rangers, ha combattuto a
fianco di Red Wolf, o chi lo conosceva e rispettava abbastanza da non restare
da parte nella caccia all’assassino.
In un certo senso, il gruppo è stato fortunato:
evidentemente innervosito dall’improvviso interesse per l’eroe, che era stato
ucciso nella sua identità civile e quindi senza attirare più attenzione di
tanto, l’assassino spedisce un suo mercenario per uccidere Aquila Americana, il
redivivo El Gato. Un tentativo che
fallisce, grazie alla presenza di Puma.
Successivamente, i nostri decidono di indagare su uno
scavo archeologico presso il Montezuma
Castle National Monument, uno scavo apparentemente dedicato alla ricerca di
indizi sulla tribù indiana che aveva creato ed abitato il Castle. In realtà,
un’operazione di dissacrazione di un antico sito a guardia del portale per i Grandi Pascoli.
L’incontro con il Demone-Orso,
fa luce sulle motivazioni di tale dissacrazione: l’arrivo nei Pascoli del
malvagio dio egizio Seth e dei suoi
eserciti minacciava la vita di tutte le divinità indiane, le quali preferirono
fondersi nella Quintessenza,
piuttosto che farsi annientare senza speranza, e in tale stato custodite
proprio dal Demone-Orso, l’unica entità che Seth avrebbe risparmiato in quanto
affine di natura. Purtroppo, proprio come Quintessenza, gli dei non possiedono
una propria volontà, e chiunque avrebbe potuto usarli a proprio capriccio.
Gli eroi, ritornati sul loro piano, scoprono che
durante la loro assenza, le acque si sono mosse, e non a loro favore. “Attenzione,
metaumani. Parla l’Ispettore Karstone
della Polizia Federale dell’Arizona. Le armi puntate su di voi sono studiate
per situazioni come questa. Vi dichiaro in arresto per pluriomicidio e
distruzione di un sito di scavi. Fatemi un favore, e non opponete resistenza.”
Una donna che, se non avesse parlato, avrebbe potuto
passare per un uomo, attorniata da uomini che potevano essere robot. Un piccolo
esercito di uniformi marchiate FBI e giacche a prova di proiettile, rayban e
soprattutto, armi. Armi sofisticate, fuoriserie, roba che prometteva di
mantenere la promessa della donna dietro al megafono.
Gli eroi studiavano quell’assembramento ostile dalla
loro sopraelevata posizione nel ‘terrazzo’ del Montezuma Castle.
“Ragazzi, c’è qualcosa che non va,” fece Texas
Twister, quasi in un sussurro.
“Perspicace,” fece Puma. “Adesso ci devi solo dire
come uscirne senza prima diventare barbecue. Riconosco quelle armi, sono state
progettate dalle Stane Industries per
fare fronte ai mutanti.”
“Conterò fino a dieci,” disse Karstone. “Se non
scendete entro quel tempo, senza fare resistenza, darò ordine di aprire il
fuoco.”
I pensieri del texano correvano veloci. L’omicidio era
un reato federale, ma non il vandalismo dello ‘scavo’. E come era possibile,
che quegli agenti avrebbero potuto aprire il fuoco coinvolgendo un sito
archeologico prezioso come il Castle? Possibile che quei ‘poliziotti’ fossero
‘replicanti’, come il personale dello ‘scavo’?
Karstone aveva appena finito di annunciare
l’ultimatum, che Twister, senza distogliere lo sguardo dagli agenti, disse a
Shooting Star, che stava al suo fianco, “Vic, so che è la prima volta, ma...ce
la fai a generare uno scudo?”
Lei gli rispose con uno sguardo che non prometteva
niente. Il costume, l’ultimo lascito del suo vero padre, Jason Dean, alias il primo Fotone,
poteva generare luce solida, oltre che ogni frequenza elettromagnetica dello
spettro...Ma lei non si era ancora allenata a sufficienza...
Aquila Americana, per quanto si concentrasse, non
riusciva a vedere nulla di anormale negli uomini e donne sotto di loro. Anche
il loro odore era normale, per quanto saturo di stress.
Phantom Rider, per conto suo, ad insaputa dei suoi
compagni causa la maschera che nascondeva ogni sua emozione, era diviso. Perché
il cavaliere bianco era un gestalt;
il corpo e la mente di Hamilton Slade, e lo spirito del suo antenato, che lo
possedeva e gli dava i suoi poteri.
E mentre Slade non poteva che constatare la gravità
della situazione,
Il Cavaliere guardava con occhi ultraterreni, capaci
di vedere attraverso il labile tessuto di quella che pomposamente chiamiamo
‘realtà’.
“…Cinque, sei, sette…”
Fu pressoché istantaneo: la mano proverbialmente più
veloce dell’occhio, in un solo movimento, volò alla fondina, ne estrasse la
Colt, puntò e sparò!
L’’Ispettore Karstone’, colpito di striscio alla
tempia, emise un gemito strozzato e cadde al suolo. Gli altri eroi non fecero in
tempo a commentare quella mossa apparentemente assurda, che davanti ai loro
occhi, gli agenti dell’FBI tremarono come miraggi,
e loro, e i loro mezzi, e le armi –non rimase niente e
nessuno, a parte un solo veicolo, che non era più un camion, ma una specie di
elicottero. E la donna, in ginocchio sull’arido terreno, intenta a massaggiarsi
la tempia ferita. I suoi occhiali giacevano ai suoi piedi, rotti, il suo
berretto ancora calato sulla testa. “Ma porca di quella *x$%!” disse, con una
voce che di femminile, anzi di umano, non aveva più nulla. Si esaminò la mano, sporca non di sangue, ma di una sostanza
brillante, e verde.
Fu sufficiente, per Shooting Star. Non meno veloce di
Phantom Rider, la donna tese le braccia; dalle unità sui polsi, raggi laser
andarono a colpire…
il punto dove ‘Karstone’ si era trovata un attimo
prima, e dal quale si era spostata con un salto!
‘Karstone’ atterrò più indietro con un agile
movimento. “Questo è il guaio con voi super: non lo capite, quando dovreste
starvene buoni!” Poi, levò la testa, e al posto del cranio, rivelò la sua
fiammeggiante, ghignante zucca. Un
gesto, come a strapparsi via gli abiti, e rivelò il suo antiquato abito
corredato da un nero mantello e stivali a larghe falde. “Permettete allora a Jack Lanterna di illuminarvi!”
Un cenno della mano guantata di nero, e la roccia
sotto i piedi degli eroi si sbriciolò.
Reazione istintiva, dettata dall’addestramento SHIELD
e una naturale tendenza a curarsi degli altri: Texas Twister generò un vortice
sufficiente a depositare i suoi amici a terra senza danno –una soddisfazione di
breve durata, perché il suolo si animò, fulmineo, a intrappolare le loro gambe
entro tentacoli di roccia!
Jack si spazzolò le mani. “Grazie per la
collaborazione, branco di sparring
partners. Avevo giusto bisogno di…oh, duri ad arrendersi, vedo.”
In quell’abbraccio che neanche Iron Man avrebbe potuto
spezzare, i muscoli di Aquila Americana erano tesi allo spasimo, in una
manifestazione di volontà niente affatto dettata dalla testardaggine. Infatti, involontariamente,
intrappolandolo nella roccia, Jack aveva risvegliato nel guerriero Navajo il
ricordo più terribile, quando lui e suo fratello rimasero vittime di una frana
in una miniera.
I tentacoli iniziarono ad incrinarsi.
Jason
Strongbow non sapeva di avere
acquistato i suoi poteri, a causa degli elementi radioattivi nella miniera;
sapeva solo del panico, e della claustrofobia.
Altre crepe. pezzetti di roccia caddero a terra.
Ma era riuscito ad ignorarli, mentre si scavava,
ancora miracolosamente vivo, la strada verso la luce, la vita!
I tentacoli si sbriciolarono! “Sono debitamente
impressionato,” commentò Jack, lanciando frecce ectoplasmatiche dalle mani…
…finendo col colpire a vuoto! Difatti, veloce come
l’uccello di cui portava il nome, il guerriero Navajo stava correndo a zig-zag,
provandosi tutt’altro che un facile bersaglio. Arrivò addosso allo stregone
come un camion, con un pugno sufficiente a spezzare un collo umano…se Jack
Lanterna fosse stato umano.
Invece, Jack rotolò a terra. “-Uhff- Niente male…”
Aquila lo afferrò per il bavero. “E adesso ci dici chi
sei e cosa significa questo…” Ma si accorse di stare stringendo una mera,
evanescente apparizione. Intorno a
lui, tutto tornò alla normalità –nessuna sezione franata del Castello di
Montezuma, nessun tentacolo di roccia…e nessun segno dell’esistenza di un
cantiere archeologico!
In compenso, i turisti c’erano. E c’era anche un
curioso silenzio, carico di domande che restavano inespresse…Senza contare un
numero tutt’altro che indifferente di telecamere, tutte puntate come i fucili
di un plotone di esecuzione.
Insomma, era una banale, semplice giornata turistica.
“Sonoprontoancheadaccettarediessereinuniversoalternativo,”
disse Twister, indeciso fra quella ipotesi, e un’insospettata arteriosclerosi…Ma
la seconda dovette essere subito scartata, perché anche gli altri erano non
meno sorpresi.
Poi, Twister si accorse dell’espressione di Shooting
Star –era qualcosa di brutto, pieno di sorpresa e dolore. “Baby..?”
La donna respirava irregolarmente, la fronte sudata,
come se fosse in preda ad un attacco di nausea. Texas Twister le tese una mano,
ma lei la rifiutò seccamente. “Sto...bene...Era solo...” tacque, terrorizzata,
e che fosse per sé o per il suo uomo o entrambi, non lo disse.
Come poteva spiegare che la sola vicinanza di
quell’essere l’aveva fatta sentire come la prima volta che un demone
l’aveva posseduta? Si guardò intorno, e solo allora se ne accorse. “Dov’è
Puma?” chiese.
A lei, e agli altri eroi, rispose una tremenda risata,
che echeggiò a lungo nella valle…
La risposta giaceva altrove, nel QG segreto degli
assassini di Red Wolf.
Braccia e gambe spalancate, Puma era immobilizzato a
un disco –un oggetto metallico, vibrante, la superficie fittamente intrecciata
di rune mistiche. Ogni runa fusa insieme alle altre fino a perdere il proprio
significato originale, per formarne uno d’insieme completamente nuovo.
E per quanti sforzi cercasse di esercitare, il
guerriero non riusciva a spezzare i legami di energie mistiche ai polsi e alle
caviglie.
“Provaci ancora, Sam,” disse Jack Lanterna, in piedi
davanti a lui. “A questo punto, la tua integrità fisica è solo un bonus per i
miei…soci. A me basta il potere che scorre dentro di te.”
Puma ruggì. “L’assassino di Red Wolf! Sei stato tu! Era
solo un trucco per attirarmi allo scoperto!”
Jack fece spallucce. “Puoi pensarlo, se preferisci, ma
sono stati i miei soci a fare quel lavoretto, e sì, era un’esca.” Poi, la sua
già infernale voce assunse un tono ulteriormente sinistro. “Ma non per te,
bensì per Firebird. Perché credi che
sia stato ucciso proprio il Cheyenne, se non per portare qui i suoi amici
Rangers?
“Siamo stati sgradevolmente sorpresi di non trovare la
donna insieme a voi…Ma non importa: tu
ti sei rivelato una fonte non meno promettente.”
“Fonte?”
Jack frugò in una tasca interna del mantello, e ne
estrasse una sfera di pulsante energia, che restava sospesa a mezz’aria sul
palmo guantato di nero. “La riconosci, micetto? E’ la Quintessenza, il potere divino dei Grandi Spiriti in una pillola.
Purtroppo, quando Manitù decise di
concederla al Demone-Orso perché la custodisse, vi aveva applicato, per così
dire, una ‘serratura di sicurezza’. Infatti, neppure con le mie arti arcane
riesco a piegare questo potere alla mia volontà.
“Con il potere d Firebird, intendevo ovviare a questa
seccatura, ma perfino quella ragazzina esaltata impallidisce di fronte alle tue potenzialità. Tu hai il potere di
entrare in risonanza con il tessuto cosmico, e basterà una frazione di tale
potere, per operare un certo incantesimo. E se tutto andrà bene, anche questo
mondo sarà sbarazzato per sempre di ogni suo metaumano e supereroe; la magia
tornerà a dominare, ed io sarò il Re Stregone. Niente male per uno sbarbatello
di periferia, vero?”
Puma non disse nulla, ma fissava Jack con sguardo
omicida.
Jack rimise la Quintessenza in tasca, e si voltò,
dirigendosi verso la porta. Le ante si aprirono, e lui disse da dietro le
spalle, “Prenditela comoda. Purtroppo, non potrò operare prima della mezzanotte
–sai com’è, c’è più burocrazia in un rito magico che in una richiesta di
patente. Adios!”
Rimasto solo, Puma chiuse gli occhi, concentrandosi.
Se c’era una cosa che detestava, era chiedere
aiuto...Ma era anche vero che le esperienze fatte lo avevano maturato. Riconoscere
i propri limiti era un aspetto di tale maturazione...
Jack Lanterna gli poteva avere tolto il comunicatore,
ma non lo aveva lasciato per questo privo di risorse.
L’atmosfera a bordo dell’aereo era a dir poco cupa.
Stava diventando ridicolo!
Tutti lo sapevano, e non avevano bisogno di dirselo.
A conti fatti, non stavano facendo altro che subire
l’iniziativa del nemico. Si erano fatti guidare come cavie nel labirinto, per
trovare alla fine il formaggio avvelenato.
“Credo che non resti altro che contrattaccare,e
frontalmente,” disse Aquila Americana. Poi, a Shooting Star, “Victoria, prima…avevi
detto di avere un piano per arrivare al nemico.”
La donna annuì. “Se le mie informazioni sono corrette.
E’ un grosso rischio, ma non credo ci sia molta scelta, non col tempo contro di
noi.”
“Davvero, Ispettore, non capisco il perché di
questo…interesse. Dopotutto, che se ne fa un mercenario di un impresario edile,
e…”
Le parole avrebbero potuto essere acqua sul teflon,
per quanto riguardava l’attenzione che Jack
Ironhoof vi stava dedicando. L’Ispettore della Omicidi del 10° Distretto di
Phoenix era intento ad accertarsi delle misure di sicurezza della villa del suo
‘protetto’, Albert T. Foley. Foley
era un uomo-cliché, almeno come li classificava il Navajo: un individuo sgradevole
a vedersi ed udirsi, il tipico rappresentante di un’elite di arrivisti. Il tipo
d’uomo che si costruiva il fisico a palestra e diete alla moda, intelligente
quel tanto che bastava da sapere su quale carro saltare, non abbastanza
determinato da saperci restare. La sua abbronzatura, coronata da una chioma di
un biondo che sapeva di artificiale, insieme agli abiti italiani firmati,
contribuivano a creare un quadro desolante –a meno di essere una prostituta
senza troppe esigenze.
Finalmente, Ironhoof si voltò a guardare Foley.
Percepì il razzismo che si agitava negli occhi nocciola pallido, ma si mantenne
distaccato e professionale, nel rispondere, “Ho il sospetto che ci sia un
legame fra la morte…esplosiva di un suo operaio Cheyenne e l’apparizione di
Puma a Phoenix. Se ho ragione, voglio essere sicuro di potere parlare con quel
gattone prima che lui voglia fare lo stesso con lei.”
Foley, da buon cliché, cercava di fingere sicurezza,
ma c’era da scommettere che stava rovinandosi i vestiti con il sudore nervoso.
Non c’era bisogno di metterlo sotto pressione, avrebbe ceduto da solo, e
presto.
Foley disse, guardando l’autopattuglia nel viale di
accesso, “E come intendete…proteggermi, se Puma mi attacca? Non è un super? E
se…”
E se fossi stato tu, a fare mettere quella bomba? Si domandò Ironhoof, trattenendo un sorriso. Il
detective aveva lanciato un’esca grossa così, e anziché sdegnarsi per anche
solo una velata allusione a quella tragedia che aveva non solo ucciso
l’indiano, ma anche diversi abitanti del palazzo, Foley si preoccupava solo della
propria protezione. Coda di paglia?
O forse, Foley era solo un tale bastardo egocentrico,
da non curarsi di alcun’altra vita che la propria.
“Faremo il possibile, signor Foley. Lei dispone di una
buona serie di sistemi di allarme, e col suo permesso, una pattuglia resterà
nel parco a vigilare fin quando lei lo desidererà.” Dagli spago, lasciagli credere di avere un controllo sulla situazione.
Infatti, Foley recuperò il
suo autocontrollo –tenerlo buono era comunque indispensabile, visto che aveva
una solida influenza nel Consiglio Comunale. “Apprezzo molto, Detective,” disse
Foley, con un sorriso da candidato politico. “Può ritirarsi, adesso: se
succederà qualcosa, sono sicuro che i suoi uomini sapranno fare il loro lavoro.”
Ironhoof grugnì un mezzo
saluto, e si ritirò. Come no! Il verme avrebbe usato quei ragazzi come esca per
stanare Puma, nella speranza di trovarsi due bustarelle in meno da pagare!
Ma già la sua mente stava vagando
verso una nuova preoccupazione: trovare Jason Strongbow, che improvvisamente sembrava
essersi volatilizzato. Non che il suo vecchio compagno di studi ed amico non
avesse il diritto di andare dove volesse, anche se era un capotribù...Ma, guardacaso, Puma e Gato
avevano cominciato a farsi a fette proprio partendo dalla stanza in cui Jason
stava soggiornando, quella notte...
A.T. Foley guardò la
macchina del detective allontanarsi, e poi mise mano a una tasca della giacca.
Estrasse un telefonino satellitare, un modello d’avanguardia con monitor. Fece
per avvicinare un dito alla tastiera, ma si trattenne. Chiamare o non chiamare?
Foley scosse la testa –il
sacrificio della privacy era una clausola di ogni patto col diavolo, e a
quest’ora i suoi padroni dovevano sapere tutto, della visita...Se almeno
fossero proprio loro a dirgli cosa fare, in fondo nemmeno loro potevano permettersi
un indagine sui suoi cant*
Un’improvvisa sensazione di
gelo lungo la schiena, quella terribile sensazione di avere qualcuno che ti sta
fissando da dietro le spalle...Foley si voltò.
E si trovò a fissare sia il
volto mascherato di Phantom Rider, che la canna della Colt puntata alla sua
fronte!
“Non è mia abitudine
minacciare di morte qualcuno, signor Foley,” disse Rider, con una voce
oltretombale. “Ma non esiterò, se non comincia a spiegarmi ora qualcosa sulle sue reali attività.”
“Uh...uh...uh...” Foley non
si muoveva, ma continuava a fissare quella terribile bocca metallica, per
secondi che sembravano ore...Fino a quando l’allarme non ruppe l’incantesimo!
Phantom Rider voltò la
testa verso la porta, e pochi istanti dopo questa fu spalancata con un calcio.
Guardie armate, dipendenti di Foley, furono dentro ad armi spianate,
professionisti addestrati per sparare prima di fare domande. E solo il fatto
che Foley fosse sulla linea di fuoco impedì un massacro.
Per conto suo, Rider
approfittò di quella preziosa pausa per sparire, così come era arrivato! Foley
quasi svenne per il sollievo, ricordandosi a stento di smettere di premere il pulsante
sul telefonino che comandava l’allarme.
“Signore,” chiese una delle
guardie, “dobbiamo avvisare i poliziotti...”
Foley ringhiò la risposta,
“Certo, che dovete avvertirli!
Nessun maledetto metaumano, mutante o no, può venire a minacciarmi, e in casa
mia! Crocifiggerò quel vigilante personalmente, se sarà necessario! Fuori di
qui, adesso! Che sia controllato ogni cm2 di questo posto!!”
Foley si diresse alla
scala, diretto alle sue stanze, mentre, freneticamente, digitava numeri sul
telefonino, intervallandoli a pause regolari.
Alla fine, fu ricompensato
dal trillo dello scrambler –adesso, nessuno poteva intercettare la chiamata.
Fu meno contento, tuttavia, quando vide il volto severo di William
Taurey
comparire sul monitor. “Ci sono novità, oltre alla visita della polizia, signor
Foley?”
“Ci potete scommettere!
Proprio adesso mi ha visitato Phantom Rider, e sono vivo solo grazie a...”
“E cosa...vorresti che
facessimo, Foley?” La voce di Taurey era pericolosamente sarcastica. “Le tue
guardie hanno quello che servono per sistemare i Rangers, o vorresti un nostro
intervento più...diretto?”
Foley stringeva
convulsamente l’apparecchio. “Fate quello che volete, ma non potete lasciarmi
da solo! Ho preso le mie precauzioni, Taurey: se vado giù...”
Un uomo-cliché, appunto.
Jack Ironhoof non avrebbe certo cambiato idea su Foley, ascoltando quella
conversazione...Se ci fosse stato lui, ad ascoltare.
Ma la presenza indiscreta,
intangibile ed invisibile, che accompagnava A.T. Foley, era quella di Phantom
Rider! E quello che aveva visto e sentito finora era sufficiente.
Rider si allontanò, ed uscì
attraversando la parete.
Taurey chiuse la
comunicazione. L’uomo bevve un sorso di whisky da una coppa, e agitando il
liquido distrattamente disse, “Così, il nostro cane di paglia sta già
cominciando a prendere fuoco...Peccato. Speravo in una resistenza maggiore.”
Da un angolo della stanza,
emerse una figura umana. Un fisico allenato, un costume azzurro e bianco, con
una giacca imbottita e ricca di tasche. La sua maschera copriva interamente la
testa, un filtro modificava la voce. “Debbo rimuoverlo?” chiese Spymaster.
Altro sorso. “Con
discrezione. Che sembri naturale, non voglio la polizia di mezzo...Oh, e
intercetta tutte le sue chiamate. I giornali non devono sapere di questa inaspettata
visita.” Le guardie di Foley avrebbero tenuto il becco chiuso con i poliziotti
di ronda...Taurey sorrise. Davvero, Foley
doveva stare un po’ più attento alla selezione del ‘suo’ personale.
Fu distratto dal nuovo segnale di chiamata. Taurey si accigliò
–possibile che quello sciocco non riuscisse a cogliere, quando smettere di ins*
Stranamente, il monitor non si era acceso. Un attimo
dopo, anche il segnale di linea era svanito.
Taurey serrò le labbra, avvertendo il baratro
spalancarsi sotto di lui. Aveva solo una possibilità, ed era agire per primo, o
i suoi padroni non avrebbero affatto apprezzato questo passo falso!
Interludio: Redazione del Phoenix Blaze.
In quell’assolato e rovente pomeriggio, in una delle innumerevoli
assolate e roventi giornate di Phoenix, l’umore nella fossa dei giornalisti non
era alle stelle. Infatti, superata la bolla dell’esplosione del palazzo degli
operai indiani, le indagini erano a un punto pressoché morto. Anche l’arrivo di
Puma ed El Gato, scomparsi dalla circolazione, era già roba vecchia su cui
ricamare ipotesi stravaganti e null’altro. Jack Ironhoof, non affettuosamente
nomignolato ‘Jack Calvario’, per le fatica con cui anche un premio Pulitzer
doveva estirpargli la sola data di nascita, taceva come suo solito. E nessuno
nel suo dipartimento avrebbe osato aprire bocca, per non dovere incorrere nelle
sue ire...E, naturalmente, anche il Commissario, in pieno rispetto della posizione
del Navajo, taceva.
Cosa c’era di meglio, quindi, di una dissetante novità
come l’apparizione dei Rangers in persona al Montezuma Castle, e in anteprima
assoluta?
Una prova di tale affermazione, per esempio.
Prova difficile da rintracciare, quando non esisteva,
e si vedevano solo desolanti immagini di panorama e turisti in vari stadi di
bovinità impegnati a riprendersi l’un l’altro.
Aaron Stone,
Direttore del Blaze, si vantava di avere, a 55 anni, solo capelli
naturali, e che nessuno stress sarebbe stato abbastanza tosto da guastargli la
salute o la capigliatura...Ma quello era un giorno da fare sudare le pietre, il
condizionamento era guasto, le bibite fresche erano già esaurite, e la presenza
di 5 turisti sudati ed eccitati non aiutava.
“Ricapitoliamo,” disse Stone, spegnendo il televisore.
Espulse il videonastro, lo prese e lo lanciò a un turista, che lo prese con un
groviglio di dita. “E’ una giornata pesa, persino per chi ci è nato, in questo
posto. Uno si annoia, magari aveva fatto un salto qui sperando in qualche bella
corsa di diligenze contro le frecce indiane, o di vedere cuori sacrificati su
un altare al Castle. Il sole picchia duro...diamine, in queste condizioni vi
devo fare i miei complimenti: di solito, uno arriva qui con i video della
Madonna o di una flotta di UFO.”
I turisti erano esterrefatti, e sembravano sempre sul
punto di dire qualcosa, per poi ripensarci, e aprire la bocca di nuovo
–sembravano bamboloni riusciti male.
Stone si alzò in piedi. “Non posso neanche offrirvi
qualcosa, spiacente. Ma riprovate, sarete più fortunati.” E questo era il
massimo della gentilezza che potesse offrire –ma cosa cavolo credevano, quei
newyorkesi, di avere a che fare con un JJ Jameson che sarebbe saltato come un
grillo a una stupidaggine del genere?!
Le informazioni erano corrette, alla fine. Una vera fortuna,
che il padre –adottivo- di Victoria Star avesse saldi contatti nel mondo
dell’edilizia. Un giro di controlli dal computer di bordo dell’aereo di Puma
aveva evidenziato come la stella della Foley RE&C fosse ascesa pressoché
istantaneamente dopo la guerra. Foley aveva vinto ogni gara di appalto, senza
dubbio corrompendo a destra e a manca...Ma, soprattutto, con una abbondanza di
mezzi e uomini che una mezza tacca come lui non avrebbe dovuto avere!
Ma la città aveva un bisogno disperato di tornare alla
normalità. Bustarelle o no, se Foley avesse fatto il suo lavoro, bene e presto,
nessuno avrebbe guardato sotto il tappeto.
Il che creava non pochi ostacoli al quartetto, che nel
pomeriggio che ormai volgeva al tramonto, osservava dal tetto di un palazzo vicino
il cantiere dove Red Wolf aveva lavorato fino alla sera della sua morte.
Da una parte, non avevano scelta: il sistema di
criptamento del cellulare di Foley si era rivelato vulnerabile ai mezzi
dell’aereo. E William Taurey era lì dentro, o nel sottosuolo, ma lì.
Dall’altra, attaccare questo cantiere significava non solo mettere in
pericolo gli operai innocenti, ma anche essere scambiati per terroristi. Mezzatacca
o no, Foley doveva avere mezzo consiglio comunale nelle tasche.
E il peggio, l’ironia suprema, era che non c’era
alcuna certezza che Puma fosse là dentro!
“Sei sicuro di non avere notato alcuna attività
sospetta, Aquila?” chiese Shooting Star.
Il guerriero Navajo scosse la testa. “Non importa
quanto acuti possano essere i miei sensi, se erano concentrati sul trovare il
presunto ‘contatto’ di Red Wolf. Anche ora, non vedo nulla di sospetto nella
loro attività.”
“Colpa mia, gente,” fece Twister. “Se non avessi
insistito su questa storia del contatto, adesso avremmo già...”
Star gli mise una mano consolatoria sulla spalla. “Era
un’ipotesi valida come un’altra, al punto in cui eravamo. Adesso, risolviamo
questa faccenda, e...” fu interrotta da un cicalino alla cintura. Era una
vibrazione a fior di pelle, dalla trasmittente che sia lei che Phantom Rider e
Texas Twister possedevano...in quanto Rangers!
La reazione della donna fu la stessa degli altri, solo
che lei fu più veloce nel toccarsi il colletto del costume, attivando la ricetrasmittente.
“Bonita, sei tu?” Si riferiva a Bonita Juarez, alias Firebird, purtroppo
irrintracciabile al momento della convocazione del gruppo.
Immaginarsi non solo la sorpresa sua, ma anche quella
degli altri, quando fu la familiare voce inumana a rispondere! “Bonita è
fortunata, ragazzi: lei è ancora viva; voi non lo resterete a lungo.”
Come previsto, il lato mortale di Phantom Rider, nella
sua sorpresa, ebbe il sopravvento, appannando i riflessi del cavaliere. E Rider
fu impotente esattamente come gli altri, mentre la realtà impazziva sotto i
loro piedi –letteralmente, assumendo la forma della testa fiammeggiante di Jack
Lanterna. La bocca si spalancò, ed inghiottì i malcapitati in un abisso
rovente.
Episodio 4 - L’amaro sapore della vittoria
L’Eli-Piattaforma orbitale dell’organizzazione SHIELD.
“Progressi, tenente?”
Dallo schermo, l’ufficiale della più importante
organizzazione internazionale di difesa e sorveglianza sotto l’egida ONU scosse
mestamente la testa. “Ho chiamato per comunicare un ulteriore sviluppo,
signore,” disse, quasi timoroso di parlare.
E non aveva tutti i torti. Il suo superiore, il gran
capo dello SHIELD, il Colonnello Nicholas ‘Nick’ Fury, non era uomo abituato
ad ammissioni di incapacità da parte dei suoi sottoposti. Era con loro esigente
come con sé stesso. Esalò una zaffata di sigaro. “Fai finta che a non dirmelo
farai una brutta fine di sicuro, Henderson. Allora?”
Henderson deglutì. “I cani sciolti sono...di
nuovo scomparsi, signore. Sospettiamo teletrasporto. Non conosciamo se per
iniziativa loro o del nemico.”
Fury tamburellò sulla scrivania. ‘Cani sciolti’ era la
designazione per i paranormali che si erano messi sulle tracce degli assassini
di Red Wolf. Il super-eroe Cheyenne era stato terminato a Phoenix,
Arizona, da un’esplosione che aveva anche sventrato il palazzo dove lui viveva
temporaneamente. Naturalmente, lo SHIELD era stato incaricato di occuparsi di
quel caso come da protocollo, finquando non fosse stata esclusa un’eventuale
matrice terroristica dell’attentato...
Ma Fury non avrebbe mollato l’osso comunque –Red Wolf
non meritava di essere archiviato come una statistica, nossignore!
Era già stato abbastanza difficile tenere comunque il
fascicolo aperto, in attesa di sviluppi –per quanto ne sapevano tutti, gli
assassini potevano veramente essere legati al terrorismo, visto il modo
in qui avevano agito con una sola persona. Ma Fury non avrebbe avuto il
permesso, per un po’ almeno, di usare uomini e mezzi che dovevano essere
impegnati su fronti più ‘caldi’.
Fury guardò ancora una volta i fascicoli sparsi sulla
scrivania, in un angolo dedicato a loro. I ‘cani sciolti’ –Aquila Americana,
Puma, Texas Twister, Shooting Star e Phantom Rider. Gli ultimi tre
avevano fatto parte, con Wolf e l’adesso Vendicatrice Firebird, dei Rangers.
I primi due dovevano essere in qualche modo amici –per quanto una parola simile
fosse davvero grossa nel caso di Puma, che di mestiere faceva il mercenario
solitario!
La loro presenza in città era stata la manna dal
cielo, e Fury era stato felicissimo, per una volta, di essersi limitato a
lasciare un’insignificante squadra a monitorare gli spostamenti degli eroi.
Seguendo loro, si sarebbe arrivati alla soluzione del caso.
Ma, ‘fra il dire e il fare...’
La prima volta che il gruppo era scomparso, si
trovavano nei pressi del Montezuma Castle. E adesso, a un passo da un
cantiere di un’impresa in odore di mafia del mattone...E anche solo sperare di
collegare questi eventi era peggio che risolvere il Cubo di Rubik a occhi
bendati!
Fury tornò a rivolgersi allo schermo. “Henderson, mi
faccia felice e trovi quel branco. Già che c’è, provi a sondare quel cantiere,
e non me lo faccia ripetere. Fury, chiudo.”
Non si poteva dire che Fury non ne avesse viste, in
vita sua –dai nazisti ai vampiri, dai lupi mannari ai cloni di un male troppo
ostinato per morire, tuttavia Fury restava un essere umano, abituato a
considerare il mondo su una scala che, per quanto ampia, restava limitata.
Il piano astrale era al di fuori di tali
limiti. Limiti, per contro, inesistenti per la malevola entità nota come Jack
Lanterna.
L’oscuro stregone stava in piedi al centro di un
pentacolo tracciato con fiamme d’ebano, gelide. Il pentacolo era solo parte di
una piattaforma sospesa nell’etere mistico, circondata dai colori impalpabili
della vita e della morte.
La bocca, un ghigno atroce scavato in una zucca
fiammeggiante, era ulteriormente accentuata dal suo trionfo, mentre osservava a
turno i vertici del pentacolo –vertici ai quali erano misticamente incatenati i
cinque super-eroi appena catturati. “Ahh, che nostalgia, ragazzi,” disse, e la
sua voce non era solo una, ma un coro di anime dannate e felici di
esserlo. “Solo in un’altra occasione, sono stato così vicino al trionfo. Fui
fregato da quello che credevo il membro più debole, un volgare licantropo con
troppo cervello[4]. Ma stavolta, non ho avuto
bisogno di assistenti per prendervi tutti; e fra poco, assisterete in anteprima
alla Nuova Genesi di questo mondo...Finquando resterete in vita,
naturalmente.”
Nessuno osò fare blande minacce, profferire inutili
smargiassate. Erano stati sconfitti come dei dilettanti, ancora non abituati a
pensare a sé stessi come gruppo...Se almeno uno di loro fosse stato un minimo
saggio, si sarebbero rivolti a Corvo Nero, il mistico guerriero, ma no!
- Aquila Americana era un uomo forte, molto
forte...ma i muscoli potenziati dall’esposizione radioattiva erano inutili
contro queste catene.
- Texas Twister, ironicamente, aveva speso un
periodo della sua vita con poteri potenziati proprio da un demone, un demone da
tempo esorcizzato. Adesso, era solo un buffone mascherato, impotente.
- Shooting Star era l’unica non-metaumana, una
donna la cui forza stava...nelle inutili unità fotoniche ai polsi. Come il suo
compagno, la sua mente era soggetta a un continuo sovraccarico di
informazioni da quel ‘mondo’ di cui lei non faceva parte.
- Phantom Rider doveva i suoi poteri al
fantasma dell’eroe originale che abitava il suo corpo durante la battaglia. Ma
appariva chiaro che Jack Lanterna aveva pensato bene di esorcizzare lo spirito.
- Puma, il vertice del pentacolo, era, almeno
virtualmente, il più potente, forse l’unico capace di liberarsi. Per tale
ragione, gli era stato riservato un trattamento speciale. Le fiamme oscure
lambivano la sua anima e i suoi pensieri, mantenendolo in uno stato
confusionale. Uno stato così accentuato, nella sua ferocia, che adesso il
guerriero possedeva un aspetto felino molto più pronunciato –la sua testa era
quella di un puma, il suo corpo più irrobustito di muscoli animali, la sua voce
dei ruggiti incoerenti.
Jack osservò il cielo di quel ‘regno’, trovandovi, in
un frammento di follia nel surreale, una finestra di cielo notturno, la Luna
prossima allo zenit. La sua mano guantata di nero accarezzò il pugnale infilato
nella cintura del suo ottocentesco costume. “Dovrebbe essere abbastanza veloce,
miei morituri. Giusto il tempo di consumare le vostre carni e mangiarmi le
vostre animucce. Poi, questa palla di fango di periferia galattica sarà purgata
di ogni maledetto mutante e metaumano. Solo le forze della magia ed i loro
praticanti...” si voltò di scatto, le braccia stese come quelle di uno
spaventapasseri. “Dovreste essermi riconoscenti, sapete?”
Texas Twister se ne uscì in un sorriso strozzato.
“Toglimi ‘ste schifezze di dosso, e lo vedrai quanto ti sono riconoscente,
zuccone.”
Jack fece come un cenno di diniego con la testa. “Tsk,
detto proprio da te, peldicarota, che hai un pellerossa nel cuore...” nessuno
si accorse del sobbalzo dell’eroe. “In fondo, non desiderate farla pagare
all’uomo bianco per tutte le ingiustizie commesse nella storia fino ad oggi?
Non avrete un’occasione migliore.”
Aquila Americana disse, “Tu vaneggi. Nessun atto di
vendetta restituirà alla vita i caduti, ne’ risanerà la terra malata.”
“Davvero? Allora osservate!”
A un cenno, l’etere si riempì di nuove forme, e
l’orrore assunse una nuova definizione! Definizione fatta di fantasmi,
spiriti inquieti, anime dannate –un fiume in piena, un oceano di dolore e
rabbia, puro malcontento di colori malati vorticante intorno alla piattaforma!
E ognuno di loro portava il marchio della morte che aveva ricevuto –dai
proiettili, ai colpi di cannone, al vaiolo, mutilazioni, segni dei vandalismi
più abbietti che un corpo umano potesse ricevere.
Jack gongolava, “Questo è il pantheon prossimo venturo! Centinaia
di migliaia di vittime del cosiddetto ‘uomo civilizzato’, spiriti privati della
loro vendetta!
“Ora che i Grandi Spiriti,
come gli altri Dei, sono scomparsi, le dimensioni collassano e ovunque nel
Piano Astrale anime tormentate come queste vogliono trovare un nuovo posto nel
mondo, e io sto per darglielo! Il mondo conoscerà un nuovo ordine, dove la
vendetta è virtù e il sangue è moneta!”
Perso nella propria
profezia, Jack non si accorse del cambio di espressione di Shooting Star. Il suo
volto era sempre quello dalla bocca semiaperta di chi fosse ormai oltre la
sanità mentale –i suoi occhi, per contro, erano un’altra cosa. Erano lucidi, fissi sul criminale!
La Luna raggiunse lo zenit!
La Quintessenza in una mano
artigliata, Jack materializzò un coltello dalla lama d’oro nell’altra, e avanzò
verso Puma. Appoggiò la lama alla gola.
La mano si mosse. Un colpo
solo, e la Quintessenza avrebbe bevuto il sangue di un Campione della Morte. Le
mistiche energie di Puma avrebbero fatto da portale per gli spiriti inquieti,
che a loro volta avrebbero forgiato a propria immagine le terribili energie
divine...
Ancora un millimetro...E
non sarebbe arrivato oltre! Il suo mantello fu strattonato violentemente, e
Jack rovinò a terra! Gli spiriti inquieti ulularono la loro frustrazione!
Lo stregone non fece in
tempo a capire cosa stesse succedendo, che un potente calcio lo spinse ancora
più lontano dalla sua preda. Si mise in ginocchio, e ringhiò, “Tu?”
Victoria Star torreggiava
su di lui, imponente come una furia, il volto una maschera d’odio. “Sorpresa!”
E mollò un altro calcio, e un altro ancora. “Cosa c’è, zuccone? È più umiliante
quando è una donna, a suonartele?!” sollevò Jack per il bavero, e gli
mollò un manrovescio da spezzare il collo. “Non ho bisogno di armi per
sistemarti, mostro! Per colpa tua un grande uomo, un nostro amico, è morto! Voglio ucciderti con le
mie mani, mi capisci??” E sembrava davvero possibile che ci riuscisse –in
qualche modo, la sua forza era amplificata, e Jack non riusciva a
contrattaccare alla scarica di colpi.
Gli spiriti inquieti non
svanirono, anzi la loro rabbia sembrava amplificata dal fallimento, mentre la
Luna usciva dallo zenit. La concentrazione di Jack Lanterna, così come la forza
del suo incantesimo, persero di potenza.
I legami mistici, di
conseguenza, non fecero eccezione!
Jack stava cercando di fare
del suo meglio per non farsi strangolare da Shooting Star. La donna disse solo,
“Adesso fai il bravo è ci dici chi sono i tuoi ‘soci’, e ci porti anche da loro, oppure...”
“Oppure niente, femmina.
Jack Lanterna sa quando è il momento di abbandonare il campo senza tante
storie,” e, detto fatto, sparì come era sua specialità, lasciando l’eroina a
stringere il vuoto. In compenso, questa volta, l’allucinante realtà intorno a
loro non sparì.
Texas Twister mise una mano
sulla spalla di lei. Non si capiva se fosse più sbalordito o ammirato. “Baby,
sei..?”
Lei trasse un profondo
respiro. “Sto...bene. Puma?”
L’uomo-gatto scosse la
testa proprio come un felino. “Sto meglio di quanto...pensassi,” disse con una
voce roca, animalesca. “In qualche modo, Jack ha stimolato la mia...evoluzione.
Come hai fatto a liberarti, Victoria?”
Lei si strinse nelle
braccia. “Quando ancora ero un membro dei Rangers originali, fui posseduta da
un demone. Il mio stesso corpo non era che un ricettacolo per quella...cosa, la
mia mente fusa con un essere i cui pensieri erano malignità allo stato puro,
osceni. Drew mi ha liberato, ma non credo proprio sia un’esperienza che si
possa dimenticare. Tutto il resto, a confronto, sbiadisce. Credetemi...Anche se
non so cosa mi abbia dato una simile forza. Non credevo...”
“La magia del demone,”
disse Puma, “o quella usata per l’esorcismo deve avere lasciato delle tracce, e
il Piano Astrale le amplifica. Ma dovremo occuparcene dopo; ora dobbiamo
andarcene, prima che il Piano ci assimili definitivamente. Nonostante quello
che suggeriscono i nostri ‘sensi’, siamo anime discorporate, e i nostri corpi non
possono vivere a lungo senza l’essenza vitale.”
“Sono passati dieci minuti
dall’ora X, e nessun segno di quello stregone loco. Direi di farla finita, con questi gringos.”
William
Taurey
lanciò un’occhiataccia ammonitrice al criminale noto come El Gato –per quanto potesse capire
tanta impazienza. Un braccio cibernetico nuovo di zecca sostituiva l’arto
letteralmente consumato dal potere di Puma nel loro precedente incontro[5].
I cinque eroi stavano
ancorati a una parete, all’interno di un pentacolo identico a quello della
controparte nel Piano Astrale. Solo che, adesso, il sangue usato per tracciare
il pentacolo era bruciato, e un puzzo nauseabondo riempiva la stanza. Nonostante
la reticenza di Taurey a portarli nella base, Lanterna aveva assicurato che
erano innocui, e i fatti gli davano ragione –quei corpi erano vivi, ma allo
stesso tempo svuotati, non in coma ma ugualmente sospesi fra vita e morte.
I suoi padroni avrebbero
fatto fuoco e fiamme, ma per una volta non potevano certo rifarsi su Taurey
–che in cuor suo era stato fin dal principio contrario a questa blasfema alleanza,
convinto che Lanterna avesse in mente di liberarsi dei suoi ‘soci’ come degli
eroi...Comunque, ci avevano guadagnato: con i corpi degli eroi, avrebbero
generato una nuova casta di guerrieri, molto più potenti e leali di quelli a
disposizione. “Sono d’accordo: mandiamoli al laboratorio, e...”
Movimento! Sopra le loro
teste, una sezione del soffitto sembrò prendere vita; come fosse stata fatta di
mercurio, si deformava, cambiava in una forma...
El Gato fu rapidissimo.
Convogliò la propria energia cosmica attraverso il braccio, in un colpo
preciso,
ma non abbastanza veloce
per l’intruso, che si staccò dal soffitto, precipitando addosso al criminale
felino, colpendolo all’addome.
Taurey non sarebbe rimasto
ad aspettare di vedere il risultato della lotta. Già quando el Gato aveva
sparato, si era voltato verso l’uscita; era quasi in salvo, quando un colpo di
energia esplose proprio ai suoi piedi, bloccandolo sul posto!
Si voltò, più sorpreso che
arrabbiato.
L’intruso era un uomo.
Indossava un costume/armatura interamente nero sul corpo atletico; del suo
volto, solo la bocca e una piccola area intorno ad essa erano visibili. Persino
gli occhi erano coperti da una visiera nera.
“Sono Black Marvel,” disse l’intruso. “E
quelli che tormenti sono miei alleati.”
“Adesso basta, fratelli!”
Il mare delle anime
inquiete esitò, tremolò. La loro rabbia era ancora palpabile, ma in qualche
modo acquietata dalla nuova presenza.
“Queste anime coraggiose
non meritano il vostro odio. Lasciatele tornare al mondo che le aspetta, perché
possano fare giustizia in vostro nome, e non cieca vendetta.”
Gli eroi si guardarono
intorno. La voce era profonda, carica di saggezza ed insieme giovane, vibrante
di energie. Era la voce del capo, e le anime le obbedirono. Il tremolio divenne
una spaccatura. Il mare si divise,
divenne un tunnel. E
attraverso di esso, venne una figura umanoide; una figura ancora non bene
definita, avvolta com’era da un bagliore come di polvere di luce. In una mano,
stringeva una lunga staffa, e la sua testa aveva contorni...lupini...
“Ero sicura che sarebbe
tornato per salvarci,” disse Shooting Star, in un sussurro, guardando la figura
che era così sicura essere quella di Red Wolf...
Poi, la figura fu
pienamente visibile. E non era Red Wolf.
Il suo corpo, ben più robusto
di quello dell’eroe Cheyenne, era coperto di grigia pelliccia, leggermente più
chiara sul davanti. Aveva la coda, e la sua postura era digitigrada su zampe
lupine. Indossava ornamenti indiani fatti di quella polvere luminosa, e una
pezza di stoffa rossa a coprire il grembo. E la testa era decisamente quella di
un lupo, dagli occhi dorati e con una cicatrice che attraversava l’occhio
destro.
Nonostante la sua
imponenza, l’essere aveva un’aria gentile, saggia come la sua voce. “Salute a
voi, eroi. Io sono Karshe, l’incarnazione vivente del Lupo Cacciatore
Celeste, Guardiano del Sentiero di Passaggio.”
“So di te,” disse Aquila
Americana. “Fai parte della mitologia dei Cheemuzwa!”
Un cenno di assenso. “Per
favore, seguitemi. Dobbiamo tornare al mondo che ci appartiene.” Karshe si
voltò, e si incamminò lungo il tunnel di anime.
Gli eroi, non potendo fare
altrimenti, lo seguirono. Sembrava una camminata destinata a durare per sempre,
con la luce dall’altra parte ridotta ad un puntino a malapena visibile.
Invece, furono fuori appena
dopo pochi passi.
E furono in paradiso.
Black Marvel tese il
braccio. Lame di luce si generarono intorno ai bracciali, per poi partire verso
il bersaglio.
El Gato evitò facilmente,
ma le lame lo seguirono, una frusta tagliente tenuta insieme da un campo
elettromagnetico! Istintivamente, il criminale sollevò il braccio metallico,
che tenne nonostante una tremenda pioggia di scintille.
Taurey approfittò di quei
momenti per dileguarsi. Inutilmente, un colpo gli esplose vicino.
Una volta in corridoio, si
avvicinò a una consolle. Iniziò a digitare codici; non poteva perdere tempo,
doveva ordinare l’autodistruzione della stanza, prima che anche gli altri
maledetti eroi tornassero in*
Taurey
La ‘voce’ dei suoi padroni,
echeggiante in ogni direzione, assordante, lo gelò poco prima di iniziare
l’ultimo comando.
Sappiamo cosa vuoi fare e
ti ordiniamo di desistere. Quei corpi sono materiale prezioso, e non li
sprecheremo.
“Miei signori, io...”
Fai silenzio. La situazione
è ancora sotto controllo. E sai bene che abbiamo un’ultima, estrema risorsa da
utilizzare. I cosiddetti ‘eroi’ non potranno, in ultima analisi, che
capitolare. In compenso, sei autorizzato a liberarti di questo intruso che ha osato
profanare la nostra casa. Procedi.
Taurey annuì, e digitò un
singolo pulsante.
Nella stanza, un furioso
Gato tentava invano di raggiungere la sua nemesi con gli artigli, nonostante
delle acrobazie da fare invidia all’Uomo Ragno. In qualche modo, il suo nemico era sempre un
passo avanti, come se riuscisse a calcolare la posizione del suo avversario.
El Gato era disorientato, e
stanco. Aveva usato molte, troppe energie, per quell’inutile caccia, mentre
Marvel era fresco come la proverbiale rosa. Esattamente come l’eroe aveva
pianificato.
Marvel ricreò le sue fruste
di lame, e si preparò a colpire...quando un’altra frusta si avvolse intorno al suo braccio!
Non ebbe il tempo di reagire, che una potente scarica elettrica lo passò da
capo a piedi!
“Dilettanti, mai fare
affidamento su di loro,” fece l’uomo in un maschera e costume bianco e blu,
corredato da un giubbotto pieno di tasche. Era affiancato da una squadra di
cinque elementi, due donne e tre uomini, armati, in uniforme dello stesso
colore. Tutti portavano, sul petto, il simbolo di un pugnale che trapassava un
globo terracqueo stilizzato.
El Gato ringhiò
ferocemente, ma inghiottì amaro. Per ora. Ai suoi sensi, l’uomo era
effettivamente morto.
Senza ritrarre la frusta, Spymaster si avvicinò alla preda
inerte. La sua Squadra Ombra rimaneva in formazione a cerchio, pronta comunque
a sparare in caso di sorprese. “Adesso vediamo chi c’è sotto quella maschera.”
No, non il Paradiso.
Gli occhi potevano essere
ingannati –il posto era così...bello. Una sterminata vallata, circondata da
nude colline, un’oasi senza fine, fatta di prati coperti da un oceano di fiori.
Fiori di cristallo, delicate sculture, che sbocciavano in piccole esplosioni cromatiche e
che non appassivano, mosse da un vento tenue ed invisibile.
Ma in mezzo a quel mare di
bellezza, stavano le rovine. Connesse idealmente da frammenti di sentieri,
erano quello che restava di grandi castelli e di umili dimore, abitate dalla
desolazione, mute testimonianze di una gloria inutile, di sforzi che generavano
ricordi marcescenti, nostalgia inutile.
Non era il Paradiso,
questo, ma un luogo di infinita tristezza.
Fu allora, che gli eroi si
accorsero di una figura china fra i fiori. Era un uomo, o almeno appariva come
tale alla loro percezione. Indossava solo un saio frusto, nero, decorato da una
larga cintura di cuoio. Il cappuccio era abbassato, a scoprire una testa dalla
chioma bianca, morbida. I suoi occhi erano pozze azzurre di un sentimento
indefinibile, carichi di saggezza e tristezza...e qualcosa di più sinistro...
L’essere stava accarezzando
i fiori con una mano dalle dita lunghe e affusolate. Finalmente, si raddrizzò e
abbozzò un sorriso con labbra esangui. La sua voce era un canto echeggiante,
dai toni tristi. “Benvenuti nella Valle delle Lacrime, stranieri ancora in attesa della madre Morte.
Io sono il Re del Dolore.”
Il gruppo si mise in
tensione; solo Karshe li trattenne, levando una mano ammonitrice. Poi, al Re,
“Come tu stesso hai notato, Sire, noi non ti apparteniamo ancora. Non hai
diritto di trattenerci.”
“Invero,” disse il sovrano,
tranquillo, “e io non intendo farlo. Dipende da voi, riuscire a lasciare il mio
regno.”
“Chi sei?” chiese Puma.
L’entità era sì legata alla Morte, lo percepiva, ma era allo stesso tempo aliena...
“Sono il naturale risultato
della Teomachia, campione della Morte. Ciò
che deve colmare il vuoto lasciato dalla scomparsa delle maggiori divinità.
Anche se le anime acquisite da quegli Dei sono finite in mano a Mefisto, qualcuno deve ridirigere
quelle che ora stanno dirigendosi verso un vuoto nel Piano Astrale.”
Shooting Star guardò verso
il campo dei fiori...Era solo una sua impressione, o il vento fra quelle
innumerevoli foglie di cristallo sembrava generare come un unico, interminabile
sospiro? “Tutti questi...fiori...”
Il Sovrano annuì. “Le mie
anime. La mia collezione, il dolore trasformato in bellezza, conservato per
sempre.”
La donna ebbe voglia di
piangere. “Ma perché? Possibile che tutta questa gente meritasse...questo?!”
Lui le si avvicinò, ed
improvvisamente il Sovrano era una figura torreggiante, maestosa come una Spada
di Damocle, un’ombra contro ogni sole di speranza. “E’ molto semplice, Victoria
Star: questo è il mio dominio. Io non esisto per dare ricompense o punizioni.
Esisto per ogni piccolo grande dolore apportato dalla madre Morte. Quelli morti
nella pace propria e di chi stava loro vicino, essi non sono parte del mio
regno. Ma sono veramente pochi. E ora, per favore, andatevene: la vostra
presenza vivente insudicia la perfezione del mio regno.”
Victoria non fece
resistenza, mentre la mano di Karshe la tirava a sé. Il mannaro sollevò la
staffa, e la polvere di stelle avvolse l’intero gruppo, sotto lo sguardo triste
e indifferente del Re del Dolore.
Di el Gato si potevano dire
diverse cose, e nessuna di esse positiva.
Che fosse un tipo
vendicativo, era una. Ma, a differenza del suo meno sottile predecessore, Raoul
Eschiverra
preferiva assaporare l’attesa. Meglio, quando gli era possibile, lasciava che
fosse proprio il suo nemico, a finire nei guai spontaneamente, per godere
meglio della sua caduta.
E se ad el Gato era chiaro
che Black Marvel era morto, gli era anche chiaro che c’era una ragione precisa.
Come l’arrogante Spymaster stava per scoprire, la mano a un centimetro dalla
maschera...
Mano rapidamente,
saldamente afferrata da un arto guantato di nero!
Nella sua sorpresa, il
criminale non riuscì ad impedire che, allo stesso tempo, un calcio ben piazzato
gli togliesse la frusta di mano. La Squadra Ombra quasi premette il grilletto,
ma un addestramento ferreo unito al timore di colpire il capo salvarono
Spymaster mentre questi veniva trascinato a terra, proprio sulla linea di fuoco.
Black Marvel, a quel punto,
semplicemente, scomparve! Il guaio era che si trovavano tutti in uno spazio
chiuso, dove sparare alla cieca era troppo rischioso. Per quanto ne sapevano,
il maledetto si era teleportato.
“Tu lo sapevi!” esclamò Spymaster,
mettendosi in piedi, fissando il ghigno sardonico del Gato.
El Gato annuì. “I
macchinari che porta addosso hanno simulato lo stato di morte. Neppure mentre lo
combattevo, gli sentivo il battito.” Fece spallucce. “Ma credevo che un hombre sapiente come te lo
sapesse già.”
“Pagherai per la tua...eh?”
Un lampo di luce alle sue spalle, a cui fece subito seguito l’espressione
terrorizzata del Gato, gli fece capire, ancora prima di girarsi,
che i prigionieri non erano
più tali!
La Squadra Ombra reagì
d’istinto, dimentica di ogni ordine. Fece fuoco con abbastanza potenza da
buttare giù una piccola casa.
A un comando di Karshe, una
barriera di polvere luminosa assorbì con facilità quell’assalto. Un nuovo
comando, e la stessa barriera divenne una tempesta di filamenti. Alla velocità della luce,
ognuno di essi andò ad avvolgersi intorno ai nemici, immobilizzandoli
saldamente.
“Polvere delle
Pleiadi,”
disse Karshe. “Se avete poteri, non potrete usarli. Se siete forti, la forza vi
si rivolterà contro. Nessun mezzo di fuga può venire in vostro soccorso.”
“Riconosco l’odore di
questo posto,” disse Puma. “E’ qui che vivono gli assassini di Red Wolf, i ‘soci’ di
Jack Lanterna.”
Texas Twister si scrocchiò
le dita. “Allora, direi che non è il caso di perdere tempo. Facciamo male a questi galantuomini, e
vediamo chi parla per primo.” E se ci fosse stato qualche dubbio in merito,
venne fugato dall’espressione omicida di Puma e dal gelo nel volto di Aquila
Americana e degli altri eroi.
Puma non perse tempo. Si
diresse dal Gato, gli artigli sguainati. El Gato non lo aveva ancora visto così furioso, ne’ così animalesco,
le fauci spalancate e sbavanti. L’uomo-gatto puzzava di voglia di sangue, non
stava fingendo! Quindi, non fu vigliaccheria, ma puro istinto di sopravvivenza
che gli fece dire. “SPYMASTER! Lui ha messo la bomba! Tutto per attirare i
Rangers allo scoperto, catturare Firebird oddiononuccidermitiprego!”
Credo che basti così, intrusi.
La voce ottenne l’effetto
desiderato. Gli eroi si concentrarono su di essa, per il momento.
La vostra presenza nel
nostro Nido non è gradita, eroi. Ci congratuliamo per la vostra vittoria, ma
non dimenticheremo questo affronto.
“Te lo puoi scordare,
figlio di...” iniziò Twister, prima che la mano di Star sul braccio lo
fermasse.
Abbiamo preso le nostre
precauzioni, eroi. Ammettiamo che il nostro Nido sorge sotto le fondamenta
della città chiamata Phoenix. E tale città sarà nostra, oppure non apparterrà a
nessuno.
Una bomba nucleare è
nascosta in questa città. Non la faremo detonare, finché non ne avremo ragione.
Se oserete ostacolarci, avrete da perdere molto più di noi. Leggete la mente di
Spymaster, se pensate che mentiamo.
Phantom Rider si avvicinò
al criminale. La sua ira non poteva essere letta sotto il volto interamente
mascherato, ma questo eroe era molto più oltraggiato degli altri, dal tremendo
delitto. Il suo antenato era stato un amico del primo Red Wolf incontrato dai
coloni nel vecchio West, così come l’attuale Cavaliere era stato amico del
corrente guerriero Cheyenne.
Perciò, non ci fu esitazione, da parte del Cavaliere, nel poggiare le mani al
cranio e proiettare il proprio spirito in un riluttante Spymaster –a differenza
della sonda mentale, quella spirituale poteva essere molto più brutale,
intrusiva, e lasciare cicatrici dalle quali era difficile guarire, per uno
spirito non allenato.
L’urlo di dolore di
Spymaster, appena una frazione di quello che stava provando realmente, fu prova
sufficiente di ciò. Il corpo del criminale si irrigidì, il suo urlo ridotto a
un balbettio incoerente. Si afflosciò, in preda ai tremiti, appena Rider lo lasciò.
“Chiunque siano i nostri avversari, dicono il vero.”
Gli eroi si scambiarono
un’occhiata greve. Non c’era molto da fare, in merito, per ora.
Pochi istanti dopo, il
gruppo si trovava in mezzo al deserto, teleportatovi da Karshe. E Black Marvel
era con loro.
“Così vicini...” disse
Twister. Finalmente, almeno, poté estrarre una sigaretta dalla giacca e
fumarsela in pace. “Almeno, sappiamo chi sono l’assassino e i mandanti...E a
proposito di sapere, qual’è il vostro ruolo in ‘sta faccenda?”
Black Marvel storse il naso
alla nuvola soffiatagli in faccia. “Sono stato sulle vostre tracce[6]
fin da quando siete arrivati qui, per le stesse ragioni che hanno spinto me.
Non vi ho lasciato un solo giorno, sperando di essere condotto nella base nemica.”
“Sei imparentato con quel Black Marvel che...” fece
Victoria, e lui annuì.
“Sono suo figlio. Mio padre
era un eroe, ma durante una missione...scelse di fare un patto con Mefisto, per
potercela fare. Ora è morto, e io voglio riscattarlo. Vendicare Red Wolf mi
sembrava un buon punto per iniziare. Era un eroe molto stimato anche fra i Piedi Neri, la mia tribù.”
“La cosa più importante è,”
disse Karshe, “è vostro desiderio restare uniti, come eredi degli originali Rangers, per assicurare la
sconfitta finale di questo nemico e per il restauro del sogno indiano?”
Un silenzio perplesso
accolse l’ultima frase. A quel punto, il possente mannaro sospirò, e levò la
staffa al cielo, verso il Sole. E il risultato fu a dir poco spettacolare!
Il Sole sembrò esplodere in schegge di ogni colore
dello spettro, un oceano color arcobaleno che riempì il cielo in onde d’aurora.
E nell’aurora, le schegge
presero forme precise. Le forme dei Cheemuzwa, la Tribù Nascosta. E in mezzo a loro, solenne, stava lo spirito di
Karshe, un lupo il cui corpo era segnato dalle sette stelle delle Pleiadi.
“Sappiamo cosa ti spinge a convocarci, discepolo,” disse il lupo.
“Non è nostro desiderio
imporci sul vostro arbitrio,” disse un indiano-spettro, la voce tonante e
placida, saggia. “Ma ora più che mai il sogno indiano ha bisogno di nobili
campioni. Non sappiamo se e quando i Grandi Spiriti torneranno nei loro mondi.
Fino ad allora, è della massima importanza che le maligne forze legate all’Uomo
Bianco non prevalgano. La pace deve essere mantenuta.”
“Karshe,” disse il lupo,
“sarà comunque il nostro campione, perché per tale scopo è stato allevato e forgiato.
Ma da solo sarà sempre meno efficiente che in branco. E voi, eredi dei Rangers,
latori della memoria dell’Owayodata vivente, siete i migliori candidati al
ruolo di difensori del Popolo Originale. La scelta è vostra.”
Pronunciate queste parole,
le entità svanirono, implodendo nel Sole così come da esso erano venute.
La sigaretta restò a
penzolare dalla bocca semiaperta in idiotico stupore di Twister. “Ci possiamo
pensare, vero?”
Episodio 5 - Risoluzioni
Un rimedio popolare al logorio della vita moderna
richiede che, quando proprio senti di essere prossimo al punto del non ritorno,
tu ti sieda, prenda un foglio di carta e una penna. A questo punto, fai un bel
respiro, e riordina le idee sulla carta vergine. Decidi quali sono le cose importanti, e usa l’elenco che ne scaturisce
quale lista di priorità.
Facile fin qui, no?
Aggiungi adesso un altro elemento –per esempio, il
fatto che sei un super-essere.
E il ‘facile’ te lo puoi scordare.
ü Città di Phoenix, Arizona. Un’organizzazione
criminale (?) sconosciuta, sotterranea (letteralmente), ha ‘nidificato’ sotto
la città. Non si sa chi siano, ne’ quali siano le loro intenzioni. Ostili,
sicuramente, visto che per garantirsi il segreto hanno fatto uccidere Red Wolf, l’eroe Cheyenne, e il suo
compagno Lobo. Il loro esecutore è
stato Spymaster, che adesso è ridotto
a un vegetale (sempre una punizione troppo gentile, a mio avviso). PROBLEMA: ci
sono forti possibilità che nella città sia nascosta una bomba a fusione termonucleare. I ‘tizi’ del Nido (così chiamano il loro piccolo regno) sono disposti a
distruggere casa e città insieme, se si vedessero costretti all’angolo.
ü Quintessenza. Una qualche lotta fra Dei ha costretto gli
Spiriti Amerindiani a ‘devolversi’ in uno stadio di pura energia, privo di
personalità, per sfuggire all’aggressore del loro regno. La Quintessenza dei
Grandi Spiriti adesso è in mano a uno stregone pazzo, un tale Jack Lanterna (e sì, ha proprio una testa
di zucca ghignante). Le sue intenzioni, sono di crearsi un pantheon di anime
vendicative, e gettare il mondo nel caos. PROBLEMA: non sappiamo dov’è, neanche
un indizio.
ü Anime di Red Wolf e Lobo. Possono essere in
due posti soltanto, ed entrambi molto spiacevoli. O all’Inferno, nelle mani di Mefisto,
se sono stati uccisi prima della teomachia. O intrappolati nella Valle delle Lacrime, se sono morti dopo.
Del primo regno, si può immaginare tutto quello che c’è di male e ancora non
basterebbe. Del secondo, non si sa nulla, ne’ di esso ne’ del suo sovrano, il Re del Dolore. Tranne che sembra un pezzo
da 90. PROBLEMA: nessuno di noi ha esperienza in viaggi extradimensionali o di
combattimento in simili posti.
ü Eredità dei Rangers. Almeno, quelli originali. Un gruppo
di semidei, i Cheemuzwa, o la Tribù Nascosta, ha deciso che noi
rappresentiamo una nuova speranza per le popolazioni Amerindiane e il loro
‘sogno’, qualunque esso sia. Non ci hanno ‘ordinato’ niente, beninteso,
anzi...Ma è come se lo avessero fatto, le vecchie volpi! Come potremmo voltare
le spalle alla memoria di Wolfie? PROBLEMA: fare filare un gruppo di 7 ‘super’
senza o con minima esperienza di gruppo.
ü E non ce ne viene in
tasca un centesimo.
Mica male, come inizio, nevvero?
“Per cominciare, hai dimenticato di inserire un nostro
QG,” disse Shooting Star, esaminando
l’elenco redatto dal suo compagno.
I nuovi Rangers sedevano in cerchio sul nudo suolo
desertico, sotto un sole assassino. Per gli indiani del gruppo –Puma, Black Marvel, Aquila Americana-
non sembrava essere un problema; così come per il misterioso lupo mannaro, Karshe, orpellato come uno sciamano e
abbastanza robusto da sedere sui cactus se gli girava. Sotto la sua maschera, Phantom Rider era come al solito
impenetrabile.
Ma di sicuro Texas
Twister si sentiva come se fosse stato impalato da Vlad Dracul in persona!
Come faceva la sua donna a reggere quel supplizio, era al di là delle sue
possibilità. Twister si arricciò un baffo rosso. “Be’, pensavo che Kitty qui
potesse finanziarcene uno. I soldi non sono certo un problema per...”
“Preferirei evitare di coinvolgere apertamente la Fireheart Enterprises,” disse Puma,
scuotendo le orecchie feline. “Non posso permettere che si stabilisca un nesso
fra di essa e me.”
Twister fece una smorfia. “Alla faccia del
disinteressato! Scommetto che basta minacciarti il portafoglio azionario per
fartela svignare con la coda -erk!-“
Una mano artigliata lo afferrò per la gola,
trascinandogli il volto a 1mm da un muso ringhiante, il fiato rovente quasi
strinargli i baffi. “Se te lo risento dire, ometto, non dovrai più preoccuparti
di alcun altro nemico che me,
chiaro?”
Puma scaraventò Twister a terra come un sacco.
“Abbiamo una vita, al di fuori della nostra attività di Rangers. I nemici che
non hanno esitato ad uccidere Red Wolf non esisterebbero a colpire i nostri
amici. E la Fireheart Enterprises non sarebbe di alcuna utilità, se attraverso
di noi arrivassero ad essa. Chiaro?”
Twister si rimise seduto. Ebbe voglia di chiedergli
chi potesse essergli amico, ma se ne trattenne bene.
“Immagino che Star intendesse proporre una soluzione
lei stessa, giusto?” chiese Aquila Americana, guardando la donna.
Lei annuì. “Mio padre, il mio vero padre era un criminale, un agente dell’AIM, con il nome di Fotone.
E’ stato lui a lasciarmi le armi che mi vedete addosso...insieme ad una proprietà
nel Messico nord-orientale, al confine con gli USA. Quanto ai soldi, sono
sempre la figlia legale di Remington Star,
e non credo che ci negherà una copertura economica.”
Il grande guerriero Navajo annuì, prima di rivolgersi
a Puma. “La FE può fornire dei mezzi di trasporto?”
“I veicoli non saranno un problema.”
“E la logistica è sistemata. Adesso, bisogna capire
come difendere i nostri cari. Star, la tua identità è pubblicamente nota. In un
modo o nell’altro, bisogna garantire una protezione a tuo padre. Lo stesso vale
per le tribù mia, di Black Marvel e di Puma. Twister, Raider, Karshe?”
Il texano fece spallucce. “I miei sono belli che morti
da un pezzo, e l’unica persona a me veramente
cara è Victoria.”
Phantom Rider scosse la testa. “Anche i miei genitori
sono deceduti, e non sono impegnato con nessuno. Sì, temo per i miei amici e
colleghi, ma i miei nemici avranno molto più da temere da me, se osassero intraprendere simili azioni di vigliaccheria.”
Il mannaro annuì, la voce profonda e solenne. “Non
importa cosa possa avere in serbo il destino per me o per coloro che amo. Ho
scelto il sentiero di custode del sogno indiano sapendo dei rischi, rischi
conosciuti ed accettati anche dal mio alter-ego.”
Black Marvel sembrava...imbarazzato. “Ho detto che
quella dei Piedi Neri è la mia
tribù...ma non è propriamente esatto.
“Mio padre divenne Black Marvel dopo avere superato
una serie di prove volte a selezionare il migliore guerriero. E se non fosse
per questa...” Si sfiorò l’armatura, che sembrava una parte integrante del
costume, “non sarei degno neppure di presentarmi alla tomba di mio padre. Gli
anziani della tribù non possono accettare che la tecnologia inquini la memoria
del loro eroe...”
Karshe, che sedeva al suo fianco, gli mise una mano
sulla spalla. “I Cheemuzwa si fidano di te, e tanto deve bastare a qualificarti
come degno erede. Gli uomini, si sa, anche nel Popolo Originale, commettono
errori.”
“Per quanto mi riguarda,” disse Puma, “la mia
posizione la conoscete. Senza contare che la FE devolve numerose risorse ai
popoli indiani.”
Aquila Americana rimase per ultimo. “Non mi tirerò
indietro. Ma Puma ha ragione: alcuni di noi devono comunque vivere la nostra
vita privata, e io devo difendere la mia gente. Karshe, sei un mistico,
puoi..?”
“Posso radunarvi per mezzo della magia della terra in
qualunque momento.”
“E questo risolve le nostre preoccupazioni più
immediate. Adesso,” Aquila prese il blocchetto degli appunti di Twister, “direi
di scegliere il primo di questi obiettivi, e dedicarci ad esso con tutte le
nostre forze. Credo che Phoenix debba essere il primo. Se supereremo questa
prova con successo, anche l’ultimo punto, cioè il collaudo dei Rangers come
gruppo sarà risolto.”
Si alzarono in piedi. Puma disse, “Incaricherò i miei
agenti di indagare sulla possibile locazione della bomba. Un simile ordigno non
può essere nascosto in una valigia. Se hanno avuto dei sospetti con Aquila tali
da mandargli contro un sicario come el
Gato, vuol dire che dispongono di scansori capaci di individuare i metaumani.”
Rider guardò verso la città. “Allora in prima linea ci
sarò io. La mia identità è segreta, e come Hamilton
Slade sono un semplice umano.”
“E io resterò con te,” disse Karshe. “La mia forma
umana è altrettanto ‘innocua’ alle macchine.”
Nessuno disse altro. Sette braccia si unirono a stella
in un unico pugno, solennemente. Sette paia di occhi si scambiarono sguardi
senza esitazione.
I nuovi Rangers erano nati, e Dio aiutasse chi si
sarebbe messo contro di loro.
Il Sole era tramontato, e nel cielo crepuscolare la
Luna appena entrata nella sua fase calante era un fantasma venato di nuvole.
Il jet stealth raggiunse la propria destinazione: un
villaggio fantasma, in mezzo a una landa desolata come la Luna e circondata
dalle rocce. La sola forma di vita degna di tale definizione erano i radi
cespugli irti di spine. Se mai un simile luogo aveva avuto dell’acqua, essa si
era persa nelle nebbie della storia.
Il jet atterrò nel mezzo della locale main street, fra
due ali di rovine. L’aria spostata dall’apparecchio demolì lo scheletro marcito
di un edificio a due piani, che declamò la propria fine con una fitta nuvola di
polvere.
Lo sportello si aprì, e ne scesero Texas Twister,
Shooting Star e Black Marvel,”
“Secondo la mappa, ci siamo,” disse Star, scuotendo la
testa. “Chilada, New Mexico. Un bel posto dove vivere. Popolazione, 7 matti.”
Ovunque voltassero lo sguardo, venivano ricambiati
solo da occhiate di finestre vuote.
Twister si diede un colpo alla tesa del cappello.
“Sembra la località di vacanze degli Addams.
Tuo padre aveva strani gusti in fatto di immobili, baby. L’AIM si tratta un po’
meglio di così.”
“Proprio per questo, dovresti misurare le parole,
Drew. Una cosa l’hanno in comune, lo SHIELD e l’AIM: ottime coperture. Questo
posto è stato abbandonato da secoli, e gli unici ‘abitanti’ occasionali sono
stati i clandestini messicani. L’AIM
ha pagato i burocrati giusti, e nessuna retata ha disturbato gli ‘affari’
locali. Scommetto che avrei ricevuto questo ‘regalo’ anche se fosse stato vivo.
Marvel, è necessario che...Ma..?”
L’eroe in nero era scomparso, volatilizzato!
“Spero che non sia scappato per la fifa,” disse
Twister. “Mi sembrava alquanto
giovane, per ‘sto lavoro.”
Lei gli diede un pugno sul braccio. “Andiamo alla nostra
nuova ‘casa’, piuttosto.” Indicò la cima della collina, dove si stagliava un
imponente maniero, che sotto la luna nascente era un’ombra inquietante…
…E da vicino, non era certo meglio! Solida, era
solida, anche da vicino. Ma le sue linee, il suo stile, i colori…tutto
suggeriva la classica ‘casa infestata’ di decine di film horror di serie B. E i
refoli gelidi del deserto non aiutavano di certo!
“Non posso dire che la fattoria di mio padre sia
altrettanto grande, e si parla di Texas,” disse Daniels, “ma almeno è più allegra. Baby…”
Lei sospirò. “Lasciamo perdere, Drew. Non voglio usare
la sua roba per redimerlo, ma per
redimere me. E lo farò, che ti piaccia o no.” Mise la mano sul pomolo.
La porta si aprì, bene squadrata e su cardini bene
oliati. Il buio fitto era rotto da lame di luce lunare attraverso le finestre.
Star, istintivamente, portò una mano guantata là dove
ti aspetti di trovare l’interruttore. Lo trovò. Accese.
Socchiusero gli occhi più per la sorpresa che per la
luce in sé, che riempì prepotente la grande sala.
Twister fischiò la sua ammirazione. “Se qui ci sono i
fantasmi, metterò un divieto d’ingresso agli esorcisti.”
Era perfetto.
Il pavimento di marmo arabescato, tirato a specchio, non sembrava avere mai
visto la polvere. Gli ottoni sembravano d’oro, e un tappeto rosso d’apparenza
vaporosa copriva la scala centrale che portava al piano superiore. La luce
veniva dal lampadario di cristallo più lucido e luminescente che si potesse
immaginare. Le finestre quasi erano invisibili, i legni dotati di riflessi
metallici.
La casa era un invito ad entrare, eppure fu con grande
trepidazione che i nostri misero piede oltre la soglia. Si aveva la precisa
impressione di stare violando un tempio sacro. Si aspettavano che da un momento
all’altro, venisse fuori una robusta matrona armata di secchio, strofinaccio ed
ogni intenzione di suonarle a questi intrusi.
Ma la casa rimase in silenzio. I loro passi
echeggiavano appena.
Victoria osservò le due file di quadri che correvano
ai lati della scala. Uomini e donne, vestiti con stili di epoche che dovevano
risalire fino ai tempi delle neonate frontiere del West. Un quadro in
particolare attirò la sua attenzione: un ritratto a olio di un uomo, un
militare della Guerra di Secessione. L’uomo aveva, come si conveniva, uno
sguardo severo, capelli prematuramente bianchi e folti baffoni. La sua uniforme
era grigia, con i gradi Colonnello. In basso, un’etichetta di bronzo diceva
‘Col. Marvin Dean-Kincaid’. E basta. “Era un mio antenato.”
Twister sollevò un sopracciglio. Star annuì.
“Assomiglia così tanto a papà Jason…Scommetto che c’è l’intero albero genealogico,
qui.”
“Direi di occuparcene dopo, baby. Separiamoci e
vediamo di scoprire qualcosa.”
“Non sarà necessario, Sig. Daniels,” disse una voce
quieta, maschile…dal nulla. Poi, la luce esplose, abbagliandoli.
Pensate a una riserva
indiana, e la prima cosa che la mente visualizzerà è un arcaico villaggio
di teepee, o roulotte malmesse, le gomme da tempo diventate inutili, tetti per
famiglie di anziani o disadattati pieni di giustificato rancore. In simili
posti, la speranza in un migliore futuro giace nella fuga, nell’alcool, nella
droga, o nella perdita della propria identità al servizio dei bianchi…
Il villaggio di Running
Waters, nella riserva Navajo, era l’eccezione che confermava la regola: un
piccolo agglomerato, vero, ma uno dei pochi che potesse vantare ogni possibile
comfort moderno. Una fortuna generata con l’aiuto della terra –letteralmente,
in virtù della miniera di uranio
aperta qualche anno prima.
Non era stata una decisione facile: i nativi sapevano
del metallo radioattivo da generazioni, ed era rimasto un segreto ben custodito,
nascosto nella sacra montagna che incombeva sul villaggio…fino a quando i
bianchi, il supercriminale Klaw in
testa, non avevano deciso di impossessarsi di quella preziosa risorsa ad ogni
costo.
La tribù, Jason Strongbow in testa, si era ribellata,
ma invano. Jason aveva sfiorato la morte, sepolto vivo nella miniera, anche a
causa del suo stesso fratello. Ma da quell’ordalia, Jason era rinato come
Aquila Americana. E, da allora, difendere la propria gente, era diventata la
cosa più importante.
Per tale ragione, ora, Jason non riusciva ad accettare
quanto gli avevano appena detto.
In qualche modo, gli abiti civili esaltavano
ulteriormente la sua imponente figura, e anche da seduto a un’estremità del
tavolo, dava l’impressione di essere Gulliver in mezzo ai Lillipuziani.
Gli altri membri della famiglia Strongbow ricambiavano
il suo sguardo severo senza vacillare. Il più anziano di loro, un uomo di 60
anni, sospirò e disse, “Jason, i tuoi nuovi doveri non possono essere vincolati
a una sola tribù. Il destino e Wakan
Tanka ti hanno investito di un ruolo speciale, di una responsabilità che
trascendere i propri voleri. Come Red Wolf, ora, la tua volontà è soggetta a
una forza più grande di te.”
Un giovane che non avrà potuto avere più di 25 anni
annuì. “Sei parte della famiglia, Jason. Tu e i tuoi compagni sarete i
benvenuti, sempre. E il tuo aiuto in tempo di bisogno sarà più che apprezzato: ma
non sei una nostra proprietà, e noi non siamo bambini indifesi.”
L’anziano riprese la parola. “I bianchi capiscono bene
il linguaggio del denaro, e noi ne abbiamo abbastanza da avere influenza, nel
contorto mondo della loro politica.”
Jason si alzò in piedi. Si diresse alla finestra
panoramica che dava sulla montagna sacra; alla sua base, la miniera era un
brulicare ordinato di operai e robot. Non era felice di quella profanazione, ma
gli Spiriti non si erano opposti, e tanto doveva bastare…Senza contare che la
ferita era invero piccola, pulita, invece della voragine a cielo aperto
prospettata dai bianchi.
I bianchi! Suo zio aveva ragione: non avrebbero smesso
di attentare al suo popolo, se non si fosse accettato l’aiuto della Talon Corporation, che per una percentuale
sul minerale, offriva tecnologie ‘pulite’ di estrazione. La multinazionale
aveva accettato ogni vincolo imposto dalla nazione indiana, e questo avrebbe
dovuto essere rassicurante…
La verità, era che stava temporeggiando, e lo sapeva.
Jason si voltò, a guardare il cerchio dei suoi parenti. Si chiese se li avrebbe
rivisti insieme, vivi, la prossima volta che avesse fatto loro visita…
La luce si dissipò in fretta com’era apparsa. Al suo
posto, al centro della sala, stava un uomo.
La figura vestiva un completo grigio, elegante, che
accentuava in qualche modo l’aspetto ‘da professore’ conferito dai larghi
occhiali a montatura quadrata e un ordinato taglio dei capelli ingrigiti e
brizzolati.
Shooting Star si morse un labbro, prima di avere il
coraggio di pronunciarlo, “Papà..?”
L’espressione mesta di Jason Dean si illuminò. “Sei bella come tua madre, Victoria. E sono
felice di vedere che almeno la mia unica figlia non sia finita sulla strada
sbagliata.”
Victoria si avvicinò all’uomo…e, velocissima, gli
mollò un ceffone di quelli che rompono i denti.
Immaginate, quindi, la sua comica sorpresa, non appena
la mano, il braccio e poi l’intero corpo di lei, trascinato dall’inerzia, attraversarono l’uomo. Lei rovinò a
terra, mescolata all’ologramma che, per conto proprio, scuoteva la testa in
disapprovazione.
“Di lei, vedo che hai preso proprio tutto, figliola.
Credevi veramente che potessi averti mentito sulla mia morte?”
Lei si alzò. “Con uno sgherro dell’AIM, non si può mai
sapere, non credi?”
“Touché. Spero di potermi redimere ai tuoi occhi,
almeno in questo nuovo stato.”
“…”
L’ologramma sospirò. “Ho fatto inserire la mia
personalità, le mie memorie –tutto di me fa parte di un mainframe ottico che usa la luce per lo stoccaggio delle informazioni.
Il mio ultimo capolavoro finanziato dall’AIM. Ho distrutto tutti i progetti, ad
eccezione di quanto contenuto nel mainframe stesso.
“La villa è interamente automatizzata, un cuore
tecnologico dietro il velo di antico. Come scoprirai, ho fatto in modo da non
farti mancare niente, qualunque cosa tu voglia fare.”
“E dove sarebbe il trucco?” chiese Twister,
avvicinandosi, cercando di mascherare con la diffidenza l’ammirazione per il deceduto
genio –se era veramente lui, la mente dietro a un hardware basato sulla luce,
allora era giunto dove pochissimi potevano vantare.
“Ho a cuore l’interesse della mia bambina, Daniels. Ti
conviene crederci.”
Un passo avanti. “E’ una minaccia, fantasma a 38 bit?”
“Smettetela! Tutti. E. Due!”
Uomo e olo si voltarono a guardare Victoria, che
faticava a mantenere il controllo. “Drew, abbiamo abbastanza di cui preoccuparci
per giocare a fare i macho con una memoria elettronica. Papà, ti consiglio di
starmi alla larga quanto più a lungo possibile, chiaro?”
“Felice di obbedire, figliola,” disse quello, e
scomparve in uno scintillio.
I due eroi si guardarono a lungo. Lei, senza perdere
una grinza della feroce espressione che stava mostrando a un uomo che se la
stava ridendo visibilmente sotto i baffi, sibilò, “Non. Una. Parola.”
La mano era talmente incartapecorita, le dita
deformate dall’artrosi al punto da sembrare artigli, che la si sarebbe detta appartenere
a un morto.
La sua proprietaria, invece, era una donna il cui
spirito, a differenza del corpo, non era stato intaccato dal tempo. I suoi placidi
occhi grigi fissavano le fiamme azzurre, mentre la mano che le aveva alimentate
continuava a danzare segni sconosciuti a chiunque non fosse versato da
generazioni nell’arte degli sciamani.
Tayka Alakta
era una delle poche donne che fossero riuscite ad ascendere a un ruolo, insieme
a quello del guerriero, tradizionalmente dei maschi. Le sole che conoscesse
erano state le sue antenate da sua madre in su.
Per tale ragione, la sua voce era molto rispettata
nella misteriosa tribù che per oltre un millennio aveva portato avanti il programma
genetico il cui frutto sedeva ora dall’altro lato del falò.
Il fuoco tornò del suo naturale colore rosso, e la
donna sospirò, scuotendo la testa. “Ci vorrà tempo, Puma. Il profanatore della
Quintessenza sa nascondersi molto bene.”
Il fuoco trasformava la pelliccia del guerriero in un
manto di rame incandescente, e il tono basso sembrava fondersi con le fiamme.
“Se c’è una persona che può trovare Jack Lanterna, quella sei tu. Senza il potere
degli Spiriti, liberare Red Wolf dal tormento sarà impossibile.”
La donna sorrise a labbra chiuse. “Sei un cucciolo,
Puma, ed è per questo che non ti ho neppure redarguito per avermi svegliata in
questa gelida ora. I Nove Mondi stessi sono in pericolo, senza i Grandi
Spiriti; Manitù si è sacrificato contro il Dio straniero, e il tuo fragile
amico mortale occupa le preoccupazioni del tuo cuore...” Nel vedere le orecchie
di Puma farsi rosse, la donna fece per alzarsi, prontamente sostenuta dal
guerriero. “Ahh, lascia stare, giovane pazzo: torna piuttosto dai tuoi
compagni, e fai quello che devi. E Non osare mettermi fretta, sai?”
Palazzo del 10° Distretto di Polizia, Creek Street,
Phoenix, Arizona.
Fra le varie qualità che Jack Ironhoof potesse
vantare, l’essere un ‘workaholic’, un drogato del lavoro, era decisamente la
più appariscente. Trovare accesa la luce nel suo ufficio a tarda ora era una
certezza quasi paragonabile a una costante cosmica.
Di solito, per lui, un omicidio era una sfida alla sua
intelligenza e alla sua tenacia: prendere l’assassino era quasi un piacere, il
risultato di un elaborato rito di caccia.
E nella caccia, l’uso di informatori era paragonabile
alla cerca di indizi sul suolo più arido. Saperli scegliere, non farsi sviare,
era un talento che Jack vantava possedere innato.
Il casino, adesso, era decidere se i due super-esseri,
il Phantom Rider e un lupo mannaro, piombati nel suo ufficio senza preavviso
potevano essere ‘tracce’ valide, o la deviazione verso i sentieri della follia!
Episodio 6 - Ground Zero
10mo
distretto di Polizia, Phoenix, Arizona. Ufficio Squadra Omicidi.
“Rapporto
redatto dal Detective Jack Ironhoof, col consenso delle parti presenti, da
inviare in copia alla Procura Distrettuale, al Dipartimento di Difesa e l’FBSA
(Federal Bureau for Superhuman Affairs).
“Pochi
istanti fa, sono stato contattato in questo ufficio da due super-esseri
qualificatisi come Phantom Rider e Karshe –il primo essendo un super-eroe già
membro dei Rangers, un gruppo per breve tempo operante nel sud-ovest degli USA.
Il secondo è evidentemente un lupo mannaro, vestito e dipinto come uno
sciamano-guerriero della leggendaria tribù perduta dei Cheemuzwa. Entrambi
affermano di appartenere, insieme con altri cinque metaumani, ad una nuova formazione
dei Rangers...”
Jack
Ironhoof depose il registratore sul tavolo. “Allora, la ragione che vi spinge
qui?”
Phantom
Rider rispose per primo. “E’ iniziato con la morte di Red Wolf, per opera di
ignoti, presunti terroristi[i].
Pur non avendo scoperto la loro reale identità, ora sappiamo che si tratta di
un’organizzazione che ha predisposto una propria base segreta sotto la città[ii].
Sappiamo che i cantieri gestiti dalla Foley Real Estate and Construction sono
una copertura per le loro attività, di qualunque cosa essa si tratti.”
Fece
una pausa, lasciando che il Detective assorbisse con calma quelle nozioni –le
quali, a questo punto, non facevano che confermare alcuni sospetti.
L’esplosione
che aveva sventrato il palazzo dove abitavano gli indiani che lavoravano nei
vari cantieri per la ricostruzione a seguito della Guerra dei Mondi era partita
proprio dall’appartamento del Cheyenne che a questo punto doveva essere l’eroe.
La
fulminea emersione della FRE&C sul mercato immobiliare da piccola agenzia a
magnate della ricostruzione. Non lo riesci ad ottenere, oggidì, non senza una mostruosa
iniezione di denaro troppo spesso di dubbia provenienza.
La
morte dello stesso Foley, apparentemente un suicidio. Avevano trovato il suo
corpo impalato sulla grata del cancello poche ore prima. Il tradizionale
biglietto nella tasca dei pantaloni spiegava i perché di un suicidio
apparentemente motivato da questioni di ricatto e usurai. Sicuro, quello
spiegava la fortuna di Foley ed il suicidio stesso (le impronte sul biglietto erano
quelle di Foley). Ma Jack era convinto che qualcosa non andasse. Ne aveva viste
abbastanza, nella sua vita, da non credere per prima cosa proprio a queste
morti confezionate e servite!
Jack
annuì. “Continuate.”
Fu
Karshe, a riprendere, con una voce sorprendentemente modulata e profonda,
piuttosto che il tono cavernoso e ferale che il mezzo indiano si aspettava. “La
misteriosa organizzazione parla della propria base come ‘il Nido’. È di tale
importanza, per loro, da avere disposto un ordigno nucleare a Phoenix, nel caso
si sentissero minacciati o fossero scoperti. Non conosciamo la natura
dell’ordigno o la sua locazione, per questo abbiamo bisogno della sua
collaborazione.
“Nessuna
autorità può essere coinvolta a questo stadio. La polizia non ha i mezzi per
controllare sistematicamente ogni centimetro quadrato di Phoenix. Noi abbiamo
una possibilità di farcela, se ce ne lascia il tempo. Senza interferenze.”
Jack
andò al distributore dell’acqua in un angolo. Riempiendo il bicchiere, gli
venne da ridacchiare, pensando che simili problemi si presentavano in città
come New York o Los Angeles...No, non nell’assolata ma basicamente tranquilla
Phoenix!
Il
suo buon senso gli diceva di chiamare immediatamente le autorità competenti e lasciare
che fossero loro a risolvere la cosa... “Una settimana. Non di più, con le
politiche imminenti.
“La
campagna è andata a puttane, con questa maledetta guerra: nessun politico osa
presentarsi con promesse di legge e ordine, non quando la gente guarda il cielo
e si chiede quale politico li possa salvare dalla prossima invasione. Se si
venisse a sapere che c’è addirittura una bomba nucleare in città, l’industria
locale e turistica collasserebbero definitivamente. Senza contare le
ripercussioni sociali: i bianchi salterebbero sul carro del fanatismo,
associando gli indiani ai terroristi musulmani...” sospirò. Gli sembrava di
avere dipinto un quadro sufficiente. “Se non riuscite entro questo termine,
chiederò l’intervento dei Vendicatori.”
I
due annuirono. Karshe levò la staffa, e in un bagliore di luce stellare
azzurra, gli eroi sparirono.
Naturalmente, la vera ragione per cui Jack Ironhoof
aveva dato quel termine era per dare la possibilità ai Rangers di prendere una
volta per tutte i bastardi che avevano ucciso Red Wolf e onorarne la memoria
dimostrandosi degni di ereditarne i gravosi compiti...
Chilada,
New Mexico.
C’era
qualche vantaggio spicciolo, ad essere un ‘super’ –o anche, semplicemente, ad
essere un semplice umano ma allenato per la serie A.
Quando
la luce del giorno illuminò il villaggio alla frontiera fra gli USA e il
Messico, il gruppo dei Rangers era seduto al tavolo della sala da pranzo,
ognuno intento alla sua parte di colazione e speculazioni. Il sonno avrebbe
potuto aspettare un’altra notte.
“Le
informazioni contenute nel computer che regola questa casa,” disse Texas
Twister, “sono qualcosa di impressionante: ci sono almeno una dozzina di
modelli di bomba termonucleare tascabile, il più piccolo grande poco meno di
una valigetta.”
“Abbiamo
pensato,” aggiunse Shooting Star, sorbendosi una tazza-magnum di caffè talmente
forte che avresti potuto farci a pugni, “che una ricerca al setaccio sia poco
praticabile. Tu e Karshe, con i vostri sensi e capacità percettive potreste
trovare l’ordigno senza dare nell’occhio.”
Puma,
intento su un panino grosso come il suo braccio, inghiottì il boccone e
rispose, “Ci potrei anche riuscire...se sapessi che odore ha, una valigetta per
bombe nucleari.”
Karshe
depositò sul tavolo la propria ciotola di latte (nessuno osò chiedere cosa
fosse la roba rossa che vi era mescolata!) e disse, “Il guaio con quel tipo di
arma, è che diventa pericolosa solo nel momento in cui esplode. Fino ad allora,
non è che un congegno ad alta tecnologia. Potrei cercare i suoi componenti
radioattivi, ma se fosse nascosta in un ospedale o un qualunque altro istituto
che fa uso di simili materiali, sarebbe solo un buco nell’acqua...”
“Allora
concentrati, per ora, solo sui luoghi dove non può trovarsi,” ribatté lei.
“Calma
un po’, voi due,” intervenne Aquila Americana. “Se vogliamo risolvere la cosa,
credo che dobbiamo metterci a pensare come il nemico.” Ottenuta l’attenzione
generale, il capo Navajo continuò, “Nucleare o no, una bomba resta un’arma, e
neanche loro possono permettersi di sprecarne gli effetti. Se il loro terrore è
di essere scoperti, allora la faranno detonare con la certezza che del loro
‘Nido’ non resti traccia –o che nessuno si preoccupi di cercarne traccia.
Devono assicurarsi che l’intera Phoenix diventi un cumulo radioattivo per
secoli.”
“Ha
senso,” disse Hamilton Slade, la maschera da Rider calata. “Perciò, basterà
studiare gli effetti del più potente degli ordigni detonato entro una
determinata area, per restringere il campo di ricerca.”
Victoria
annuì, e si rivolse all’aria. “Papà..?”
Ci
fu un sobbalzo generale, appena, accanto al tavolo, nel suo impeccabile camice
bianco da ricercatore, apparve Jason Dean, il padre genetico di Victoria. “Buon
giorno, bambina. Signori.”
“’Bambina’..?”
fece Slade. Twister ridacchiò sotto i baffi.
L’ologramma
continuò, implacabile come un corvo buono. “Noto che non hai dormito...di
nuovo. Credi a me, una buona notte di sonno...”
“Papà,
ti prego. Dobbiamo piuttosto presentarti una serie di richieste...”
“...relative
a un’efficace detonazione termonucleare contro la città di Phoenix. Non sono
mica sordo, figliola.”
“Stavi
ascoltando?”
Lui
sembrò offeso. “I miei scansori sono permanentemente attivi. Se volete che
smetta di ascoltare in un determinato ambiente, dovete dirlo specificamente.
Dunque, per tornare a bomba –nessun gioco di parole inteso- il problema che si
presenta è che nessun ordigno tascabile sembra fare al caso vostro. Nessun
ordigno di tecnologia terrestre, almeno. Potete spostare quei piatti al centro,
per favore?”
Una
volta liberato lo spazio, una mappa di Phoenix vi apparve. Un puntino
intermittente si avvicinava alla città dall’alto...
Improvvisamente,
il puntino divenne una colossale sfera di fuoco! In pochi secondi, la sfera
divenne l’immenso fungo nucleare. Il gruppo osservò con la gola secca il mostro
crescere, elevarsi, per poi dissolversi lentamente nel non meno letale fallout...
I
dati parlavano chiaro. Nonostante la terribile detonazione, nonostante i
milioni di morti elencati, la ricostruzione orrendamente dettagliata del
panorama di rovine,
la
percentuale di distruzione aveva raggiunto solo il 70%!
“E
stiamo parlando di una bomba H aerotrasportata da un’unita ICBM,” disse Dean.
“La rotta e il punto di esplosione sono stati calcolati in base a un database di
guerra totale dell’esercito degli Stati Uniti. La percentuale danni non include
eventuali rifugi sotterranei e adeguatamente corazzati.”
Sentirglielo
dire con un simile distacco (era solo una personalità ricostruita in un
mainframe ottico, in fondo) non faceva che accentuare il senso di impotenza.
“Quanto...deve
essere più...grande, per...” fece Twister, incapace di immaginare un ordigno
ancora più terribile!
“Con
la tecnologia terrestre, per potere anche scavare un cratere sufficiente a
distruggere il ‘Nido’ da voi menzionato, ammettendo che questo si trovi a 100
metri di profondità...Ecco.”
Il
modello era un mostro da fare impallidire qualunque ICBM. Non c’era dubbio:
un’arma del genere la si sarebbe vista!
Improvvisamente,
Twister ebbe come un’ispirazione. “Capo, cosa mi dici di un’esplosione
innescata a Ground Zero?”
Ci
volle solo un attimo. La città fu elettricamente ricostruita e nuovamente
distrutta, ma questa volta l’esplosione partiva dal cuore di Phoenix...
I
calcoli furono rifatti, e fu visualizzato l’ordigno necessario...
“Per
il Grande Spirito,” fece Aquila Americana, sudando freddo.
L’ordigno
aveva le dimensioni di un edificio di cinque piani...
“E
se la massa critica fosse raggiunta non con un singolo ordigno, ma dall’unione
delle energie di più ordigni?” chiese Puma.
Pochi
secondi, e la risposta –nonché l’ultimo tassello al coinvolgimento di Foley.
Quattro
fabbricati di due piani ognuno, disposti a quadrato, nel centro geometrico
dell’esplosione.
“Includi
le aree in fase di ricostruzione, e sovrapponile a questa simulazione” disse
Twister, naturalmente avendo già capito,
che
i palazzi gestiti dalla FRE&C erano situati esattamente dove dovevano
trovarsi le componenti dell’ordigno!
Puma
annuì. “Sono in gamba, bisogna concederglielo. Quei palazzi dispongono di
scansori adeguati a rivelarci prima che ci si possa entrare, e nessuna forza di
attacco potrebbe essere abbastanza sottile da entrare, trovare l’innesco e
disattivarlo in tempo.”
“Senza
contare i loro paranormali,” aggiunse Slade. “Con quelli di guardia, possono
trattenere qualunque intruso abbastanza a lungo da permettere l’innesco.”
Il
mutismo di disperazione si prolungò per un minuto pieno, prima che Dean
intervenisse. “Per quanto ingegnoso, questo ordigno un punto debole ce l’ha, a
dire il vero.
“Una
bomba nucleare, quale che sia la forma o dimensioni, la immaginiamo come un
qualcosa di inattaccabile, disattivabile solo con complicate combinazioni e codici...Si
tende a dimenticare, invece, che si tratta di un meccanismo estremamente delicato.
Pochi danni possono, alla peggio, trasformarla in un grosso petardo, senza
innesco nucleare.”
“Sapendo
dove colpire, beninteso,” disse Twister. “Non per fare il difficile, gente, ma
senza sapere come sono strutturati queste specie di ‘interruttori’, siamo al
punto di...”
“A
questo posso pensare io,” disse Karshe, gravemente. “Il Grande Spirito mi
perdoni, ma posso usare il potere della madre terra per colpire almeno uno dei
palazzi. Per distruggerlo. Non c’è altra scelta.”
Il
terrore attraversò la stanza come un’onda fisica. Immagini di cronaca, ricordi
indelebili infestarono all’istante i pensieri degli eroi.
Pensieri
marchiati a fuoco da una data. 11 Settembre 2001. Altri palazzi distrutti,
altra morte e distruzione seminata a scapito di migliaia di vite innocenti...
Il
cerchio di palazzi del ‘Nido’ sorgeva in quartieri fittamente abitati. Se anche
per miracolo non ci fossero stati morti, la comunità dei super-esseri sarebbe
diventata oggetto del più feroce Maccartismo dai tempi della Guerra Fredda..!
E
se non facevano nulla, si rendevano complici di un ricatto nucleare ai danni
degli USA. La paranoia che ne sarebbe seguita nel mondo politico avrebbe fatto
tornare indietro l’orologio della storia di decenni...
Scacco
matto!
“Innanzi
tutto, la distruzione di un interruttore non basterebbe di sicuro,” fece una
voce dalla soglia.
Si
voltarono tutti, pronti a combattere...
...e
si trovarono di fronte un uomo in un costume nero dal mantello rosso e la
cintura d’oro. Black Marvel entrò nella stanza. “Se fossi in loro, e se la loro
tecnologia fosse avanzata a sufficienza, userei due coppie di bombe, in caso
una venisse danneggiata.”
“Ne
sai di cose, per essere scomparso la notte prima senza dire un’acca...” fece
Twister “E in che modo potresti essere di aiuto?”
“Fornendovi
di un utile suggerimento per liberarvi di quelle bombe senza troppi
problemi...A patto che ve la sentiate di diventare i ‘cattivi’, agli occhi
della legge.”
“Mantenere
un basso profilo?” fece l’uomo di nome William Taurey, inginocchiato davanti a
uno schermo-parete che mostrava un volto umano stilizzato. “Il vantaggio è
nostro, padroni. Non c’è nulla che ci possa impedire di...”
Mentre
parlava, il volto assumeva distorsioni caotiche. È avvenuto un fatto
imprevisto, Taurey. Questo mondo è ancora una volta minacciato da forze
provenienti dallo spazio esterno[iii].
Forze estremamente potenti. Non intendiamo correre il rischio che si accorgano
della nostra presenza. È indispensabile per noi restare nascosti ai loro occhi,
fino a quando la crisi non sarà risolta. E se valuti importante la tua
esistenza, obbedirai ai nostri ordini, o la loro ira non sarà dispensata meno
generosamente della nostra.
Il
volto si spense.
Taurey
si mise in piedi. Naturalmente, avrebbe obbedito, e mantenuto un basso profilo.
Sorrise.
Non voleva dire, che non avrebbe saputo approfittarne...
Alle
ore 14:00, il Sole splendeva in un cielo senza nuvole. La temperatura era di
37°C, con un’aria talmente secca che le occasionali brezze avrebbero potuto raschiarti
via la pelle piuttosto che dare sollievo. Solo i turisti più incalliti avevano
il coraggio di vagare per le strade, alla vana ricerca di un po’ di colore
locale.
Nei
cantieri, il lavoro era stato appena interrotto per la pausa pranzo, e tutti
gli operai stavano consumando il pasto ben riparati, a terra.
Guardandoli,
Simon Turks, il capomastro, ebbe una fitta di nostalgia dei bei tempi in cui
negli stati del Sud uno schiavo lo si faceva sgobbare senza tante moine e rispetto
per i sindacati...Ma se il Signor Taurey diceva che non bisognava forzare la
mano, simili pensieri non gli sarebbero usciti di bocca. Del resto, era anche
vero che a questo ritmo, gli uffici sarebbero stati terminati anche prima della
scadenza...
L’uomo
si terse la fronte, anche se in realtà c’era poco da sudare con quella
maledetta aria secca. Rientrò nella propria roulotte-ufficio, già pensando ai
prossimi turni –“urk!”-
Una
morsa d’acciaio lo afferrò alla gola, e lo trascinò indecorosamente dentro.
Nello stesso movimento, si ritrovò incollato alla parete,
da una
donna. Shooting Star. “Resisti, e ti spezzo il collo,” sussurrò. “Una parola, e
ti spezzo il collo. Fai il furbo e...credo tu lo abbia capito, vero? Annuisci.”
Gli
occhi fuori dalle orbite, lui scosse vigorosamente la testa, più confuso che
arrabbiato per l’intrusione non segnalata dell’eroina –e lei non gli avrebbe
detto certo delle proprietà stealth del nuovo costume che allo stesso tempo le
dava la forza di 15 uomini. Grazie di nuovo, papà!
“Ora,
abbiamo bisogno di sapere se ci sono operai all’interno degli edifici. Usa la
testa per rispondere.”
No-No!
“Ci
sono guardie armate?”
No-No!
Con
la mano libera, Star mise l’indice a cerchio sul pollice, e diede un
‘paccherino’ alla nuca di Turks, mandandolo KO. “Hai sentito tutto?” chiese
all’aria...
Sopra
il complesso a stella, seduto nella posizione del loto, Karshe annuì, una
finestra ectoplasmatica aperta su quanto stava avvenendo nella roulotte. “Sì,
ora lascia la tua posizione. Non perdere tempo.”
Per
qualche ragione, la sicurezza era diventata meno sistematica –meglio così.
Sarebbe stato più facile.
Il
campione dei Cheemuzwa si concentrò. C’erano non pochi rischi, ma almeno questo
piano suggerito da Black Marvel avrebbe garantito un margine di successo senza
sacrificare vite innocenti...
Non
aveva bisogno di comporre Parole o intonare Canti. L’energia della Madre Terra
scorreva in lui continuamente, in attesa di essere forgiata dal solo
pensiero...
Era
un modo di agire pericoloso, molto più di quanto non lo fosse l’uso delle
Parole. Una fantasia, un pensiero vagante potevano avere conseguenze estreme..!
Ma
quello che ora il mistico mannaro chiedeva era semplice. Elementare.
E
spettacolare!
Fermo!
Un
momento nello spazio e nel tempo in cui tutti interruppero quello che stavano facendo.
Ogni singolo essere vivente, dal ratto nelle fogne all’uomo della strada,
avvertì distintamente qualcosa, quel senso di terribile aspettativa, la
certezza che ti faceva drizzare i peli sul collo...Qualcosa stava per accadere!
Non
furono delusi: una scossa sismica avvolse l’intera area!
Il
panico si impossessò in fretta dei cuori! La scossa iniziò modestamente, con
forza a malapena sufficiente a scuotere gli scaffali. La gente si riversò nelle
strade urlando.
Poi,
l’intensità iniziò a crescere!
Nei
cantieri, l’evacuazione fu pressoché immediata. I primi piloni iniziarono a
cadere, ma quando avvenne, gli operai erano fuori dalla portata dei detriti.
Il
terremoto crebbe ancora. Con somma sorpresa degli operai, la sua furia si
concentrò esclusivamente sui cantieri...Ma non fu di molta consolazione, per
loro, quando l’istinto gridava di fuggire, alla vista degli edifici che
sembravano ballonzolare su un terreno prossimo ad essere ridotto allo stato
liquido!
All’interno
del Nido, la sola cosa che contasse adesso era di sopravvivere! Le
infrastrutture reggevano a stento quell’assalto. I computer si spegnevano
automaticamente, le luci esplodevano...e, finalmente, la volta rinforzata
stessa iniziò a scricchiolare!
Uno
degli edifici si inclinò paurosamente, seminando una pioggia di schegge
vetrose, ma tenne. Fu a quel punto, che il terremoto si fermò.
Karshe
era esausto, le forze rimastegli a stento sufficienti per teleportarsi
...sul
tetto di uno dei tre edifici rimasti in piedi. Se l’intuizione di Black Marvel
era corretta, con uno degli edifici fuori allineamento, la prima delle bombe
era disattivata! E il panico nel Nido doveva dare sufficiente tempo per
l’intervento dall’alto.
Toccava
agli altri, adesso.
Pochi
istanti dopo, una fetta di cielo tremolò, cambiò colore e prese la forma
dell’aereo-stealth di Thomas Fireheart.
Si
aprì il portello laterale, e Aquila Americana saltò fuori. Al suo costume erano
state aggiunte delle bande metalliche, le stesse bande che ‘decoravano’ anche
braccia e gambe –si trattava di un sistema di convogliamento dell’energia
solare disegnato da Jason Dean, originariamente inteso per l’AIM, e che la sua
morte aveva lasciato chiuso in un cassetto.
Con
quel sistema, il potere del guerriero Navajo, alimentato dalle radiazioni che scorrevano
in lui, fu letteralmente amplificato di almeno 10 volte, formando un inattaccabile
scudo corporeo che Dean, in rispetto al nome di battaglia, aveva programmato
per apparire
come
una grande, abbagliante aquila!
Il
rapace di luce in picchiata sfondò il tetto dell’edificio, penetrandolo come
carta! La sua discesa fu vista piano per piano dalla distruzione che si lasciò
dietro.
Poi,
un innaturale silenzio calò nel cantiere.
In
mezzo al fuoco e alle macerie, Aquila Americana si alzò in piedi, aspettandosi
di trovare le macerie dell’interruttore nucleare,
trovandosi,
invece, a fissare niente altro che semplici rovine. E niente altro.
Possibile
che si fossero sbagliati?
Poi
si accorse della superficie rinforzata su cui si trovava. La superficie di una piattaforma!
Certo!
Le bombe dovevano restare basicamente nascoste!
Siamo
stati degli idioti!
Le
bombe erano al di fuori della loro portata, perfettamente operative!
Episodio 7 - Lethal Showdown!
Schermo nero. Logo della CNN.
“Siamo in onda?” Nonostante le fitte righe e
l’occasionale effetto neve da interferenza, si poteva vedere che la donna era
giovane, una figura perfetta per il piccolo schermo, capace di bucare il video
anche senza parlare. Un volto dai delicati tratti indiani, capelli neri, lunghi
e sciolti, bellissima nonostante il velo di polvere che l’ingrigiva da capo a
piedi. “Maledizione, l’etere è incasinato da pazzi! Tom, riesci a reggere
quella camera senza farti venire il latte alle ginocchia?! E tu guarda che
c...’Sto vestito costa un mutuo e ‘sta polvere non verrà mai via...Che
gesticoli, ragazzino? Oh...Sì.” Non tentò neppure di sfoggiare l’untuoso
sorriso da reporter del ‘tutto-va-bene’ –no, non era nel suo stile! “Buona
sera, Arizona. Qui Carmen Twohawks in
diretta da Phoenix. La pacifica
città, mecca del turismo del Sud-Ovest Americano, è stata da pochi minuti
colpita da un disastro tale da fare impallidire quello in corso del Grande
Incendio.” Taglio sulla tremenda colonna di fumo e polvere che si levava dal
cuore della città. Rapide carrellate sulla folla ammutolita, incredula, figure
sporche e lacere. E tutti guardavano verso l’epicentro del disastro in
questione, visibilmente indecisi sul da farsi, come in attesa di un segnale...
Stacco sulla figura di Carmen, che riusciva visibilmente
a condividere le emozioni dei presenti, catturando i telespettatori, inchiodandoli
allo schermo. “Pochi minuti fa, senza il minimo preavviso, un terremoto, una prolungata scossa stimata
in 8.0 gradi della Scala Richter, ha investito l’area alle mie spalle. Qui,
sorgeva un cantiere, uno dei più grandi sorti in seguito alla cataclismatica Guerra dei Mondi che anche a Phoenix ha
lasciato le sue cicatrici.
“La scossa ha semidistrutto uno dei nuovi edifici da
poco terminati, inclinandolo al punto che ora se ne teme il crollo da un
momento all’altro. Gli altri tre non sono messi meglio, come potete vedere
dalle immagini.” Stacco su due edifici, ridotti a fumanti scheletri senza
finestre, circondati da un esercito di pompieri e altro personale di soccorso
che si adoperavano come formiche a soccorrere l’immensa tana.
“Ma la cosa più impressionante è che questo terremoto,
che nessuno scienziato riesce ancora a spiegarsi,” e poco importava che fosse
passato troppo poco tempo per elaborare delle ipotesi valide, partendo da zero
dati, “dicevo, questo terremoto ha investito esclusivamente l’area del cantiere. Non un’abitazione è stata toccata.
Il terremoto è stato preceduto da una microscossa che ha spinto la gente nelle
strade, ma niente di più grave.” Stacco su grappoli di esseri umani
sviluppatisi intorno ad improvvisati podi. Sui podi, gesticolavano e parlavano
con grande solennità ed intensità figure maschili vestite di un bianco
innaturalmente immacolato, con un sole stilizzato all’altezza del cuore.
“I Luciferi,
come si fanno chiamare, stanno arringando le folle,” un po’ esagerato, ma non
era il caso di fare gli schizzinosi, “e sembra non abbiano problemi, considerando,
ripeto, la singolare natura di questo inspiegato sisma.
“Non ne siamo sicuri, ma subito dopo il sisma, nel
cielo, fra le colonne di polvere, molti dicono di avere visto una specie di uccello fiammeggiante scendere dal cielo
dentro l’unico edificio rimasto integro. Anche le numerose voci che parlano di
un aereo a bassa quota non sono state ne’ confermate ne’ smentite,” altro velo
pietoso sul fatto che le forze dell’ordine stavano sudando sette camice con
problemi ben più seri degli avvistamenti di una folla giustamente isterica, “La
Casa Bianca ha diramato un comunicato, escludendo categoricamente un attentato
terroristico,” buona questa! Entro la fine della giornata, il posto avrebbe
come minimo pullulato di membri di ogni agenzia antiterroristica del paese.
“Qui Carmen Twohawks da Phoenix, Arizona, per la CNN.”
Carmen fece un cenno secco con la mano non inquadrata, e il collegamento fu
interrotto. Subito il senior-member dello staff, un uomo sopra i 30 a metà fra
il magro ed il pingue, con i capelli biondi stempiati, T-Shirt e shorts neri,
le portò un bicchierone d’acqua, che lei bevve senza ritegno, mentre gli altri
le facevano i complimenti di rito.
Carmen restituì il bicchiere, e disse, “Fine
dell’intervallo, gente. Ed,” disse al senior, “trova un modo di farmi entrare
là dentro,” e col microfono puntò il cantiere, “o trovati un altro impiego.
Forza, forza! Non voglio che sia il giornaletto locale a precederci sulla
possibile pista di un attentato terroristico mutante! E non fate quella faccia:
non crederete davvero che sia stato
un fenomeno naturale?!”
Alla periferia di Phoenix giaceva, letteralmente, la
risposta.
Sotto il sole rovente, disteso nel mezzo di un
elaborato disegno inciso nella sabbia e nella roccia, stava un lupo mannaro, una possente figura
vestita come uno sciamano-guerriero. Pochi avrebbero potuto riconoscere lo
stile e le pitture in uso presso la scomparsa tribù dei Cheemuzwa. E ancora in meno avrebbero saputo riconoscere in questo
maschio ansante, provato, il tramite incarnato degli stessi Cheemuzwa, un
essere estremamente potente!
Si chiamava Karshe,
e in quel momento era tutto tranne che un essere potente…
“Eri stato avvertito, discepolo.”
La lingua penzoloni da un lato, Karshe voltò la testa,
ad incontrare lo sguardo severo di un lupo, un maschio del colore della sabbia.
Il suo pelo era agitato da invisibili correnti d’aria. “Perché lo hai fatto?
Perché hai traviato il dono che hai guadagnato con una vita di insegnamenti?”
Non suonava offesa, la creatura…Solo dispiaciuta, triste.
Karshe tornò a fissare il cielo, troppo debole anche
solo per abbassare le orecchie in segno di rispetto. La gola era arida, e
faticava a parlare –avrebbe potuto comunicare con la mente, ma la
mortificazione del corpo era il segno del suo pentimento…
Non era stato tanto l’uso del Pr’Ana di Madre Terra, ad esaurirlo, quanto la distruzione che con
tale uso aveva provocato, seguita dal controllo di massa delle emozioni degli
abitanti di Phoenix. Per la prima volta nella sua vita, anche se per pochi soli
minuti, aveva replicato la natura oppressiva delle azioni del suo predecessore,
l’infame Uomo dei Miracoli, che nella
sua follia aveva messo a rischio l’integrità stessa del pianeta…
“Ho…dovuto…Per disinnescare…le bombe. Non…avevo…”
Il lupo si accucciò accanto al mannaro. Gentilmente,
gli leccò il muso. “C’è sempre un’altra scelta, discepolo. Soprattutto quando la
caccia è appena iniziata. Ti sei fatto influenzare dalle prospettive dei tuoi
amici, ed è questo che ti rimprovero.” Si alzò in piedi. “Adesso riposa. Sei
giovane, ed hai diritto di commettere qualche errore. Ma se lo ripetessi, sarai
debitamente punito.”
Per quanto concerneva l’’uccello fiammeggiante’
menzionato dalla reporter Navajo, non si era trattato di un effetto ottico o di
un’allucinazione di massa.
Era stato il prodotto dei nuovi gadget concepiti per potenziare ulteriormente il campione dei Navajo,
Aquila Americana.
Teoricamente, proprio grazie a quelle bande metalliche
che coprivano parte del suo corpo in una disposizione asimmetrica, l’esecuzione
era stata perfetta. Il terremoto creato da Karshe aveva disallineato i palazzi
rigorosamente disposti a quadrato, e con essi le bombe nucleari che, se detonate insieme, avrebbero trasformato
Phoenix in un unico cratere profondo decine di metri! Poi, l’attacco di Aquila
avrebbe dovuto distruggere una delle bombe.
Se l’ordigno in questione si fosse trovato dove si
supponeva che fosse.
“Quale Dio dobbiamo ringraziare, per essere ancora
vivi?” fece Texas Twister, che
insieme ai compagni fissava
l’enorme, impenetrabile portello corazzato, sotto il
quale stava nascosto l’ordigno. Un portello a sua volta a prova di esplosione
nucleare.
“Qualunque esso sia,” disse Phantom Rider, “non conviene abusarne la generosità. Scenderò la
sotto, a cercare un modo di aprirlo.” Il cavaliere fischiò.
Una pioggia di scintille eteree preannunciò la
materializzazione
di Banshee,
lo spettrale cavallo appartenuto al primo Rider! Il cavaliere vi saltò sopra.
Con un nitrito, Banshee saltò…e si immerse nel pavimento.
Riemersero pochi istanti dopo, in un’oscurità
illuminata a tratti da lampade di emergenza bluastre. Di fatto, il cavaliere e
il suo cavallo erano la più potente sorgente luminosa, a rivelare la
devastazione causata da Karshe.
Pareti e soffitto erano paurosamente incrinati, molte
travi piegate al punto che sarebbe bastato un calcio per finire il lavoro.
L’ossigeno c’era, a giudicare dai piccoli fuochi che scoppiettavano in numerosi
quadri elettrici.
E c’erano i cadaveri. Come archeologo, Hamilton Slade ne aveva visti di morti,
in ogni forma conosciuta di decomposizione e mummificazione…Ma come questi –erano a stento umani, la carne e gli organi oscenamente
fusi con il metallo. Nessuna linea di demarcazione appariva a separare i due
tipi di materia, il che indicava un lavoro a livello molecolare.
Il che dava un’ulteriore idea della raffinatezza
tecnologica dei loro avversari.
Rider si incamminò lungo quella che doveva essere la
‘main street’ locale –una serie di strade stratificate e intersecate lungo
l’estensione della base. La struttura era incredibile, come un uovo nella
roccia viva; la quantità di energia usata per la sua costruzione*
Movimento!
Dietro di lui.
Phantom Rider non avrebbe reagito in tempo. Poté solo
rendersi intangibile, mentre l’’ombra’ lo attraversava.
Un'ombra, che, alla spettrale luce emessa dall’eroe,
si rivelò essere El Gato.
El Gato terminò il proprio attacco ‘fallito’ facendo
una capriola a mezz’aria, e atterrando elegantemente, per poi usare la propria
inerzia
per rimbalzare contro il cavaliere. Di nuovo,
l’eroe dovette solo lasciarsi attraversare...E, quando El Gato tornò
all’attacco,
Phantom Rider la fece finita saltando nel vuoto! El
Gato ruggì dietro di lui, ma arrestò il proprio scatto nel vedere il nemico
atterrare sicuro sulla sella di Banshee. Correndo come sul suolo, il cavallo si
diresse verso l’estremità del corridoio...
Non era ancora finita!
Il fegato distrutto, i polmoni perforati dalle costole
fratturate, le gambe due pezzi di carne sanguinanti e deformati, William
Taurey viveva ancora. Solo un cieco senso di vendetta spingeva l’uomo a
strisciare fra i detriti della sua stanza, verso la sua scrivania che ancora
stava in piedi.
Era morto, e lo sapeva. Se per miracolo fosse
sopravvissuto alle ferite, i suoi padroni lo avrebbero ucciso per non avere
prevenuto la distruzione del Nido.
Tanto valeva farla finita in gloria. Che andassero
tutti al diavolo. Almeno lui, William Taurey, avrebbe avuto la soddisfazione di
portarsi dietro un bel mucchio di quei dannati samaritani!
L’uomo continuò a strisciare verso la scrivania.
Era finita! Loro erano morti, lui era
morto, ridotto ad atomi sparsi nel cielo, e dal cielo poteva guardare il
cratere fumante che era stata Phoenix!
Il suolo era un lago
magmatico ribollente, radioattivo. Non una trave, non uno scheletro erano
rimaste della città –nulla che potesse indicare la presenza umana, qui. Un’orrenda
colonna di fumo e ceneri saliva fino agli strati alti dell’atmosfera, ceneri di
uomini, animali e cose. E insieme a quel fumo rovente, letale, volavano le milioni
di anime erranti, improvvisamente private dell’esistenza mortale, destinate a
riempire le file del Limbo, tormentate, urlanti.
Poi, una di loro gli volò
incontro, fulminea, il ‘volto’ una maschera di angoscia indicibile, mentre
urlava Ti senti bene?
“Puma, ti senti bene?”
Il guerriero felino fece
scattare il braccio, un movimento inarrestabile e letale...Lo fermò a un passo
dalla gola di Shooting Star.
“Figlio di...” fece Texas
Twister, ma lei levò un braccio ammonitore a fermarlo.
Puma era visibilmente
sconvolto, il pelo gonfio, ansimava come un cane dopo un grande sforzo. I suoi
occhi erano riempiti dalle pupille, le orecchie piatte che sembravano volere
scomparire nel cranio. Il suo sguardo era distante, puntato da qualche parte
dentro di sé.
Finalmente, Puma abbassò il
braccio. “Mi...dispiace...Io...Per quanto è durato?”
“Meno di cinque secondi,”
rispose Aquila Americana. “Raramente ho visto qualcuno in preda a una visione
di tale intensità. Cosa hai visto?”
Un bianco avrebbe
facilmente scartato l’avvenimento come una forma di allucinazione da stress o
qualche altra spiegazione da parapsicologo, e Puma sarebbe stato felice di
dargli corda...Ma perfino Twister e Victoria sarebbero stati disposti a credergli,
avendo loro stessi fatto esperienza con la cultura amerindiana...
Così, raccontò loro ogni
dettaglio della sua visione. “Da quando Jack Lanterna ha interferito con il mio
lato mistico, quei poteri latenti che avrei dovuto sviluppare con altri tempi
stanno emergendo spontaneamente. Non c’è altra spiegazione.”
“Vuol dire che stiamo per
morire tutti?”
Il quartetto si voltò
all’unisono, aspettandosi chissà quale minaccia...
...Non certo una donna
assurdamente vestita come un manichino, accompagnata da un muscoloso cameraman.
“E come fate ad esserne
sicuri?” chiese lei, avanzando, toccandosi un microfono fissato al bavero della
giacca. “Da quando in qua la comunità dei supereroi si affida a una ‘visione’
per pianificare una battaglia? E in quale misura siete corresponsabili di questo disastro?”
Il gruppo si scambiò
un’occhiata preoccupata.
Tanto valeva arrendersi e
subito.
Phantom Rider contemplò uno
degli ordigni, alto quanto il palazzo che avrebbe dovuto ospitarlo. Fra i suoi
poteri non c’era certo quello di distruggere i circuiti a colpi di
intangibilità, e con le pistole non avrebbe potuto fare di più che graffiare la
corazza del monolito...
Guardò verso il soffitto. I
GPS avevano funzionato, e orai I suoi compagni...potevano trovarsi su un altro
pianeta. Ovunque si trovassero i comandi di apertura del portello corazzato,
non sembravano trovarsi lì. L’hangar era praticamente nudo. E il tempo passava.
“Hombre...”
Dietro di lui.
El Gato era pronto
all’attacco, gli artigli e le zanne saturi di energia cosmica...
Ancora più vicino...Il
dolore era ormai come un rumore di sottofondo, squisita agonia che lo spingeva
verso il terminale da cui avrebbe ordinato la detonazione...
William Taurey raggiunse la
scrivania.
Aquila Americana si
avvicinò al portello. “Professore, qual’è il limite delle unità di
potenziamento?”
Improvvisamente, accanto al
guerriero Navajo apparve l’ologramma di un uomo. Un uomo vestito di un camice
bianco aperto, capelli grigi stempiati e occhiali di tartaruga a montatura
quadrata.
Carmen si rivolse al suo
cameraman. Non disse una parola, ma lo sguardo era sufficiente –se il ragazzo non
riprendeva, tutto e bene, sarebbe stato meglio che quella fantomatica bomba
scoppiasse per davvero!
Jason Dean, o meglio quello che di
lui era stato integrato in un computer quantico, si aggiustò gli occhiali
pensosamente e disse, “Sarò onesto, Aquila: non le ho mai testate ai loro
limiti. So solo che dovrebbero evitare di infettare le cellule come fecero
quelle da me usate per il costume di Fotone.”
Fotone?? Carmen soppesava
bene quelle parole. Certo, ce n’erano di super in giro, ma che lei sapesse l’unico
a portare quel nome era una donna, una Vendicatrice, per giunta nera!
“Ad ogni modo,” proseguì la
coscienza elettronica, “la tua già considerevole forza dovrebbe essere
amplificata fino a classe Hulk. Naturalmente, più ti avvicinerai a tale fattore,
minore sarà il tempo di utilizzo, maggiore il drawback per te ed il tempo di
ricarica per le batterie. Hai bisogno di sapere altro?”
Aquila scosse la testa, e
l’ologramma scomparve.
Il guerriero si portò al
centro del portello. Non aveva problemi, ad accettare i suoi poteri: erano
stati un dono degli Spiriti, e il vero crimine sarebbe stato sprecarli. Quello
che non gli piaceva era doversi affidare a delle macchine!
Ma aveva altra scelta?
Naturalmente no.
Levò il pugno. Energia
azzurra dalle bande percorse il braccio, avvolgendolo in un’aura infuocata.
Il pugno calò, potente come
una meteora! Il braccio affondò fino al gomito.
“Gesù,” mormorò Carmen,
segnandosi velocemente. Con la coda dell’occhio, vide il cameraman fare lo
stesso ma senza perdere l’inquadratura.
Poi, la reporter vide che
Texas Twister la stava fissando con decisa ostilità.
L’uomo si rivolse agli
altri. “State pensando quello che penso io?”
Victoria annuì, mentre il
corpo di Aquila Americana veniva avvolto dalle prime ‘fiamme’ azzurre. Sconsolata,
disse, “Non possiamo farci niente, per ora. Possiamo solo sperare che non le
venga in mente di collegarci al sisma.”
Era strano, vedere il
sudore di Aquila correre lungo le braccia e la parte scoperta del volto, al di
sotto della crepitante energia che ormai lo avvolgeva in un bozzolo sempre più
abbagliante.
Aquila Americana strinse i
denti, mentre con entrambe le mani tirava i lembi dello squarcio...
Ora o mai
più!
Aquila Americana urlò, e
tirò con tutta la forza di cui potesse disporre!
“Signoreiddio!” urlò
Carmen, perché quello che sentì fu il verso di una vera aquila, e quello che vide fu un bellissimo,
terribile uccello infuocato spiegare le ali e strappare con le zampe artigliate l’acciaio come
fosse cartone!
L’aura si dissolse, e Puma fu
al fianco del Navajo esausto. Il guerriero disse solo, “Starò bene...Fate
quello che dovete, ora.”
Twister fischiò di
ammirazione allo squarcio sufficientemente ampio per fare passare un uomo.
“Gente, vado per primo. Vi sosterrò con un cuscino d’aria.”
Il primo colpo lo aveva
preso alla sprovvista. Aveva sottovalutato il nemico, un errore da dilettante,
a dispetto degli ammonimenti dello spirito del suo antenato che gli prestava i
poteri e l’esperienza!
Ed ora era ferito! In
qualche modo, l’energia che alimentava El Gato poteva interagire col suo stato
di intangibilità! Da quel momento, era stato un gioco al massacro. El Gato
aveva voluto divertirsi, stuzzicare il topo prima del colpo di grazia.
Phantom Rider fu sbalzato
contro la parete del monolitico ordigno, il costume lacero e insanguinato.
Avrebbe avuto una possibilità, se solo avesse potuto usare le pistole...Se solo
El Gato fosse stato molto più lento...
William Taurey urlò, e
ricadde. Tremava, le gambe non potevano materialmente sostenerlo e la schiena e
i polmoni erano centri infuocati. Persino tenersi aggrappato al bordo della
scrivania era una tortura disumana.
Taurey si morse le labbra
fino a scarnificarle. Riuscì finalmente a portarsi con la testa fino a vedere
la superficie.
A vedere il pannello rosso
in essa incassato.
Guardando El Gato saltargli
addosso per l’ultima volta, Phantom Rider ebbe solo un fugace pensiero di
quanto questo mostro felino fosse drasticamente diverso dal vanaglorioso
chiacchierone che gli aveva descritto Puma...
Un colpo di energia
fotonica mise fine alla carica del Gato!
Hamilton avrebbe voluto
fare un commento spiritoso, ma, letteralmente, Carter Slade gli prese la mano.
Phantom Rider afferrò la pistola e sparò.
El Gato non era arrivato a
toccare il pavimento, che il proiettile spettrale superò la barriera della
carne, andando misticamente ad interferire non con tessuti e nervi, ma con la
stessa essenza spirituale!
El Gato urlò, e quando arrivò al
pavimento era in un profondo coma.
Il sangue sgorgava copioso
dalla bocca. Taurey tossì, aggiungendo dolore ai polmoni martoriati. La sua
coscienza era ridotta al pannello ora aperto, mentre digitava i pulsanti del
tastierino sottostante.
Le batterie di riserva, i
collegamenti, quelli funzionavano ancora. Erano l’ultima risorsa, dovevano essere protetti.
Addio, maledetti!
Digitata la sequenza di fuoco, Taurey premette
l’ultimo pulsante.
Ma non ci fu la tanto attesa, abbagliante luce
purificatrice. Invece, un ologramma tremolante apparve sopra il centro della
scrivania –l’ologramma di un volto umano asessuato, stilizzato, severo. “Ci
eravamo aspettati il tuo ultimo tradimento, William Taurey,” disse uno dei
‘padroni’, con voce neutra come le proprie apparenze.
Sgomento, Taurey non poté che ascoltare, mentre l’olo
diceva, “Purtroppo, un nuovo, imprevisto fattore ha determinato la nostra
evacuazione di questo Nido, impedendoci di utilizzare la risorsa
nucleare. Naturalmente, non permetteremo che le sue risorse finiscano nelle
mani dei terrestri o dei nostri antichi nemici. Questa base si autodistruggerà
a partire dal punto in cui hai osato digitare la sequenza nucleare senza il
nostro permesso. Addio, Taurey. Ci hai servito bene, per un po’.”
Taurey urlò di rabbia, prima di venire avvolto dalle
fiamme.
Mentre Taurey gongolava sull’imminente vittoria, il
gruppo degli eroi si radunava intorno al cavaliere ferito.
Shooting Star si voltò a guardare la torre nucleare.
In quel momento, stava a lei e a Twister. C’era solo da sperare che la loro
buona stella continuasse ad assisterli...
Tese le braccia. Accanto a lei, il texano fece lo
stesso...
Il suolo iniziò a tremare! L’aria si riempì dagli
inconfondibili suoni di esplosioni!
“Tom, torna qui, figlio di *$%ç!” urlò Carmen. Ma fu
inutile: alle prime scosse, il cameraman aveva iniziato ad arretrare...per poi
darsela a gambe senza ritegno! Gli ci vollero ben tre secondi, prima di
accorgersi che avrebbe fatto molto più in fretta abbandonando il pesante
apparecchio!
Carmen quasi ululò per la disperazione, vedendo l’apparecchio
fracassarsi contro un acuminato spunzone di trave! Immediatamente corse verso
di esso, almeno per recuperare la cassetta se possibile. Dio, lì c’era la prova
che quei mostri erano coinvolti nell’attacco al cantiere, e forse un possibile
attentato nucleare!!
Le scosse si moltiplicarono in rapida sequenza. Il
pavimento sotto i piedi della reporter cedette. Carmen cadde, mentre
sotto di lei iniziava ad aprirsi un cratere.
Il suolo ebbe un nuovo sussulto, mentre il portellone
corazzato veniva inghiottito da un’ultima, immane esplosione! Una pioggia di
detriti trasformò la telecamera in un rottame. Altri piovvero verso l’inerme
donna.
All’ultimo momento, un paio di potenti braccia
l’afferrarono e la sollevarono come una bambola. “Si tenga stretta e non le
succederà nulla,” disse Aquila Americana, correndo con insospettata grazia
mista alla velocità.
Fecero appena in tempo ad uscire, che il palazzo, come
i suoi fratelli, crollò come un castello di carte. Intorno al cantiere si era
fatto il vuoto, e solo qualche soldato fegatoso era rimasto in quel perimetro.
E quei pochi fissavano i due come fossero stati fantasmi...
“Sta bene, signora?” chiese Aquila, aiutando la donna
a mettersi in piedi.
Lei guardava verso l’area del disastro. Come poteva
quel...quel...Come si poteva essere così insensibili alla sorte dei
propri compagni, anche se criminali?!
Poi, si accorse che l’attenzione di lui e degli altri
era attratta
dalla bolla di luce che stava emergendo dalle
rovine, levandosi alta nel cielo...per poi schizzare via, e sparire alla vista
in un batter d’occhio!
Un mormorio di sorpresa da qualcuno dei soldati la
fece voltare.
Aquila Americana non c’era più, sparito
all’improvviso!
La donna iniziò a spolverarsi, mentre un soldato le si
avvicinava ad arma prudentemente puntata. Obbe’, poco importava di avere perso
la cassetta, in fondo –ne avrebbe sofferto più Tom per la sua sbadataggine che
lei. La trasmittente aveva funzionato, e quella storia era andata in diretta!
Figurarsi, un eroe come Aquila Americana che se la intendeva con un sicario
della statura di Puma! Roba sufficiente a fare tremare tutte le nazioni
indiane, da Pulitzer!
Carmen sorrise.
Nascosto fra le rovine, perfettamente mimetizzato
dalle proprietà camaleontiche del suo costume, Black Marvel sorrise.
Sorrise, al pensiero della faccia che la donna avrebbe fatto, scoprendo che la
sua preziosa camera non aveva trasmesso neppure un fotogramma!
Lo strano erede al titolo di eroe dei Piedi Neri si
allontanò discretamente, mentre dal cielo unità SHIELD si avvicinavano alle
rovine. Forse non avrà contribuito con delle scazzottate, ma qualcuno fra
quegli esaltati doveva ben sapere sfruttare la sottile arte del sabotaggio...
Episodio 8 - Arizona Anno Zero
Ore 08:41. Villaggio di
Chilada, al confine fra il Nuovo Messico ed il Messico.
Su
una delle colline che circondavano il villaggio fantasma, sorgeva la magione
coloniale un tempo usata dalla AIM quale laboratorio segreto. Recentemente,
essa era diventata la dimora della nuova formazione dei Rangers.
La
posizione isolata ed elevata, oltre ad offrire i tradizionali vantaggi tattici
difensivi, permetteva ai sistemi di scansione, sistemi di elevata qualità, di
coprire svariati chilometri in terra e in cielo senza la minima interferenza.
Di fatto, niente e nessuno poteva avvicinarsi, quali che fossero le sue
intenzioni, senza rischiare una ‘brusca’ accoglienza.
Apparentemente,
l’improvviso suonare degli allarmi a tutto volume, in un cielo libero fin dove
guardava l’occhio, su un terreno dove la cosa più minacciosa era la fauna
velenosa locale, era un atto privo di senso.
Drew Daniels e Victoria Star furono strappati dal sonno come da un colpo fisico.
Ruppero l’abbraccio e forti del loro addestramento si precipitarono ai costumi
appoggiati alle sedie ai rispettivi lati del letto matrimoniale. Non ci furono
domande, nessuno spazio per le emozioni. In pochi attimi, Texas Twister e Shooting Star
correvano fuori della stanza. Poi, lo sentirono.
Thomas Fireheart era sveglio da diversi minuti.
Il sonno, purtroppo, non aveva portato alcun riposo, bensì un’interminabile
sequenza di incubi. Incubi troppo atroci per essere scartati come il frutto
dello stress delle recenti esperienze…
Spiriti, di cosa volete
avvertirmi? No,
la verità era che nuovi poteri stavano emergendo. E troppo in fretta, doveva
contattare la sua vecchia amica –a proposito, doveva sapere come stava
procedendo la sua ricerca su*
L’allarme
lo colse di sorpresa. La trasformazione in Puma
avvenne di riflesso, facile come indossare un vestito –ma non ci badò. Aveva
fatto sufficiente esperienza militare per sapere comportarsi di fronte a
un’emergenza. E l’improvviso tremore sotto i suoi piedi non fu che una conferma
a muoversi e in fretta!
Hamilton Slade fu altresì svegliato prematuramente
da una mano gentile come un Panzer MKII sulla spalla. Il giovane archeologo
quasi ebbe un attacco cardiaco. “Oddio, chi è, cosa succede, prima le donne
e…tu??”
A
svegliarlo, era stato il suo compagno di stanza, Jason Strongbow. L’enorme Navajo era visibilmente nervoso. “Sta per
succedere qualcosa di molto brutto. Sento energie negative giungere dal suolo a
ondate…”
Slade
si strofinò gli occhi. “Un modo originale per dirmi che il tuo callo sente un
terremoto in arrivo, ma…Eh?” a metà frase, si trovò improvvisamente vestito
come Phantom Rider –il suo antenato,
il primo Cavaliere Fantasma, lo aveva posseduto, cosa che succedeva solo nei
momenti di pericolo imminente.
Poi,
arrivò il terremoto.
Il
lupo mannaro Karshe, il campione
designato dei Cheemuzwa, aveva
trascorso la notte in uno stato di meditazione, sospeso a mezz’aria sopra un
cerchio di fuocobrina dipinto nell’aria. Il suo corpo nudo dalla grigia
pelliccia era avvolto dallo stesso tipo di fiamma corroborante, simbolo della
raggiunta purezza fisica e spirituale.
Non
fu l’allarme, a strapparlo dalla sua meditazione, ma il tremore che fece
vibrare e cadere ogni oggetto nella stanza. Una scossa forte, anche se breve.
Le sue orecchie fliccarono in tutte le direzioni, percependo il sinistro rombo che
sembrava venire da ogni punto. Per pochi istanti, lunghi qualche battito di
cuore, Madre Terra emise un lamento terribile, come se lo Spirito-Serpente
avesse deciso di liberarsi dai suoi vincoli…
Un
cenno impercettibile, e lo sciamano-guerriero fu vestito come si conveniva.
Nella mano stringeva la sua staffa di polvere di stelle.
In
pochi minuti, l’intero gruppo era radunato nel salone da pranzo, che serviva
anche da sala riunioni. Ad aspettarli, avevano trovato il misterioso Black Marvel e la proiezione olografica
di Jason Dean.
“Andiamo
bene,” disse, sarcastico, il guerriero in nero, sedicente erede dell’omonimo
eroe dei Piedi Neri. Se ci stesse attaccando un nemico, avrei dovuto intrattenerlo
con un picnic, nel tempo che ci avete messo!”
Puma
rispose con un ringhio che prometteva sangue, ma fu interrotto dalla
manifestazione elettronica. Una preoccupazione umana segnava il ‘volto’
dell’ex-agente dell’AIM. “Signori, per favore. Abbiamo un’emergenza di
preoccupante gravità fra le mani. Prego, sedetevi.”
I
sette lo fecero. Dean disse, “Pochi minuti fa, i miei sensori hanno captato un
sisma pari a Richter 10, con
epicentro in Arizona. Prima di fare
domande, per favore, osservate quanto stanno riportando i satelliti militari e
geologici focalizzati sull’area.”
In
un silenzio carico d’orrore, sette paia di occhi osservarono lo schermo
olografico apparire a mezz’aria…E i presenti desiderarono di stare ancora
sognando.
Perché
la città di Phoenix era stata distrutta.
Rasa al suolo, trasformata
in un fumante ammasso di macerie, come se una mano dal cielo avesse deciso di
rompere un gioco di costruzioni malriuscito. Gli incendi dilagavano senza
possibilità di essere fermati, di tutte le dimensioni, come se l’Inferno avesse
voluto ritagliare una propria costellazione sul mondo. La risoluzione era,
purtroppo, sufficiente ad esaltare ogni macabro particolare. La catastrofe era
stata talmente improvvisa, che la gente se ne stava lì, come manichini di un
film messi lì per fingere le attività che stavano svolgendo prima della fine,
sicuramente in preda al disorientamento più assoluto, incapaci di comprendere
che in un istante, la vita che conoscevano era finita per sempre. Geyser
d’acqua dalle condutture distrutte liquefacevano il suolo rendendolo, se
possibile, ancora più periglioso. I cadaveri erano semplicemente incalcolabili,
e presto epidemie di tifo, colera, e forse anche peste, avrebbero reclamato un
ulteriore pedaggio. La subitaneità aveva praticamente decapitato le forze
dell’ordine di pubblica sicurezza –quante altre vittime sarebbero cadute per
mano degli psicotici criminali? L’autostrada era come un lungo osso frammentato
oltre ogni ragionevole abilità chirurgica. Le auto giacevano sparpagliate o a
grotteschi, roventi mucchi in cui impiegati, famiglie, migliaia di innocenti
erano periti senza sapere perché...
“Cave Creek, Scottsdale,
Glendale, Queen Creek, Florence, Apache Junction...” l’elenco dei nomi delle
città colpite che usciva dalle ‘labbra’ di Dean era una litania atroce. Nessuno
dei presenti osava addentrarsi in una simile realtà, non senza impazzire.
“L’area dei danni è estesa circolarmente per un raggio di 3.000 Chilometri
Quadrati.” La visione di distruzione divenne una mappa dell’Arizona, puntata
sul settore nord-ovest. Subito fu stabilito un nuovo contatto con un altro
satellite.
“Signore che sei nei
Cieli...” fu Texas Twister a mormorarlo, facendosi istintivamente il segno
della Croce.
Lo schermo era tornato in
modalità-TV, e mostrava il responsabile del disastro.
Una figura umana, alta 300 metri, vestita di un’armatura nera! L’essere procedeva con
passi capaci di coprire chilometri, del tutto ignara, o semplicemente
indifferente, alla distruzione da essa causata...
“Grado ‘relativo’?” fece
Shooting Star, mortalmente pallida.
L’ologramma annuì. “Di fatto,
il quadro di Phoenix è virtualmente identico per tutte le altre città nell’area
colpita. Persino i rilievi sono state in parte rimodellati. Solo microcasualità
accumulate dalla distanza fisica possono avere salvato qualche vita in più.
“Le uniche entità che
trovano confronti con quella che stiamo osservando sono i cosiddetti Celestiali...”
“Dei nomi mi importa poco,”
fece Aquila Americana, sollevandosi, subito imitato da Twister e dagli altri a
ruota. “Voglio solo uccidere
quell’assassino, con le mie...”
“Falliresti,” la voce di
Dean arrivò come una doccia fredda. “Fallireste tutti, anche se combatteste al
fianco di ogni singolo super-essere di questo mondo, di ogni Dio, e degli alieni
noti. Un solo Celestiale possiede il potere di annientare questo mondo con un
cenno. Non c’è semplicemente nulla che possiate fare, per fermarlo.”
“Può darsi,” disse Twister, aggiustandosi il cappello da cowboy. “Può
darsi, ma ci proveremo comunque. Questo figlio di ***** ha ucciso in un colpo
solo più di un milione di persone innocenti e altre sono sul suo cammino. Stare
a guardare non è nel nostro stile. Scalda i motori, micio: andiamo a caccia
grossa!”
Eli-velivolo SHIELD, in
orbita intorno alla Terra
Ferrati a tutto, pronti a
tutto. Nella loro vita, l’incredibile era ordinaria amministrazione,
l’impossibile un inconveniente. Questi erano gli uomini dello SHIELD, la più
potente organizzazione spionistica e antiterroristica conosciuta.
Definizioni che trovavano
incarnazione nel loro Comandante, lo statuario Nicholas Fury.
Fury ‘dirigeva la baracca’
con un’insaziabile precisione. La sua presenza era semplicemente scontata, i
suoi ordini indiscussi sulla base di una fiducia basata sul vero rispetto.
Fury era un faro, e non
poteva permettersi di crollare, neppure quando, come ora, avrebbe voluto
chiudersi in una stanza buia e piangere le più calde lacrime per la distruzione
portata dall’allucinante alieno. Stava male, Fury: non era preparato per una cosa
simile. Non così...improvviso, così terribile quanto inaspettato. Tutto il
genio del mondo, i mezzi, per cosa? Per essere trattati come delle specie di comprimari!
I Marziani erano stati fortunati,
loro erano morti tutti, ed era avvenuto su un pianeta lontano. Tutto sterile,
telegenico. Nessuno sarebbe rimasto per contemplare l’eccidio perpetrato dai
Terrestri[iv],
tranne i Terrestri stessi, che ora sapevano
cosa succedeva quando qualcuno decideva di ridimensionarti...
Fury lanciò una fugace occhiata
a una finestra del maxischermo, dedicata ad un altro tipo di emergenza...
L’occhio buono dell’uomo si
socchiuse in curiosità, i denti serrarono con forza il sigaro acceso.
“Ingranditemi quella c***o di finestra,” fece, puntandola col sigaro. “Allora,
che aspettate? La merendina? Avanti, gente, al lavoro!”
La sala comando, fino a quel
momento immersa in uno stupore sepolcrale, si rianimò. I comandi furono
eseguiti, e l’ingrandimento operato.
Si trattava della mappa del
globo terrestre, la mappa che fino a poco prima dell’apparizione del Celestiale
aveva mostrato i punti luccicanti sparpagliati o a grappoli ovunque nel mondo.
I punti erano spenti,
cancellati, scomparsi come erano apparsi!
Fury annuì. Un fottuto faro, ecco cos’erano quei cosi. Un qualche
sistema di segnalazione per vandali spaziali! Un faro spento, ora che non
serviva più!
Ahimè, persino la mente
analitica di Nicholas Fury non avrebbe per molto tempo realizzato la verità.
Che la distruzione del tutto involontaria di uno solo di quei ‘punti’, in un
angolo sperduto nello stato dell’Arizona, aveva causato la fine di una strategia
che, se portata a termine, avrebbe potuto causare danni ben peggiori di quelli
in corso![v]
Comunque fosse, era certo che Fury non avrebbe mai ringraziato il
gigantesco celestiale di nome Maelstrom[vi].
L’SJ-X0, un modello esclusivo delle Fireheart Industries, era un capolavoro ibrido delle due categorie
più importanti nell’aviazione militare: stealth
e velocità. Due propulsori a H/O garantivano una spinta degna del vecchio
SR-71. Giunse nei pressi del titano a tempo di record.
“Non possiamo procedere
senza un piano, gente,” protestava
Black Marvel. “Dobbiamo contattare qualcuno che abbia esperienza. I Vendicatori…”
Un pannello di cristallo si
mise a brillare a intermittenza. La voce di Jason Dean si fece sentire, “I
vendicatori non sono reperibili in quanto apparentemente scomparsi in un’altra
dimensione. I Fantastici Quattro sono
altresì irreperibili, I…”
“Quasar!” fece Texas
Twister.
“La locazione del
Vendicatore riservista, attualmente…”
Il Texano indicava un punto
davanti a loro. “Il ragazzo è davanti a noi, testa di microchip! Atterra,
micio. Abbiamo l’aiuto che si serve!”
Predisponendo in tal senso
l’aereo, Puma decise distrattamente che avrebbe sventrato quel metaumano appena
avesse usato quella parola solo 1
altra volta…
L’aereo atterrò, e i Rangers
ne uscirono subito dopo. A volo radente e di corsa, rispettivamente, giunsero
il biondo Protettore dell’Universo e l’Eterno Makkari. Atterrati davanti al gruppo, fu Makkari ad aprire le
danze.
“Quasar, vorrei presentarti
i Rangers. Credo tu conosca già Texas Twister.”
“Già, eravamo insieme nei
super-soldati SHIELD,” fece il Protettore.
Il texano mise un braccio
attorno alle spalle di Quasar, prima che fosse possibile fare altre
presentazioni.
“-Come va, ragazzo ? Ho
saputo che eri entrato nei Vendicatori, ma non si sente parlare di te da
parecchio ! Accidenti… l’unico di quella squadra ad aver fatto una carriera
decente !”
Il Protettore era
visibilmente imbarazzato. “Ehm…apprezzo la rimpatriata, ma abbiamo molto lavoro
da fare.
“Ah ! Tutto come ai vecchi
tempi…sempre il solito stakanovista, eh ? Allora, il tuo amico pié veloce ci ha
detto che il gigante è un tuo vecchio nemico.”
“Maelstrom, sì. E quello che
sta usando è il corpo di un Celestiale.”
“Ho chiesto a mio padre
delle informazioni in proposito – intervenne Shooting Star – non ne aveva molte
in memoria, ma quello che ci ha detto era terrificante.”
“In memoria..?”
Scrollata di spalle. “E’ una
lunga storia.”
Era surreale, quasi tutti i
presenti si trovassero in uno stato di diniego –ed in parte, era vero. La
ragione, semplicemente, esigeva di attaccarsi a qualcosa di familiare. “Scusate
ma…che ci fate qui ? La base dei Rangers non era in Messico ?”
“Più o meno…” rispose
Twister. “Ma non siamo i Rangers che ricordi tu, Quasar. Ne è passata di acqua
sotto i ponti.”
Intervenne Makkari. “Sono
stato io a rintracciarli, Quaze…avevo sentito parlare di loro.”
“Ne siamo onorati,” disse
Phantom Rider, “sebbene io non sia abituato ad incontrare un uomo che ha
lottato a fianco del mio antenato, più di cento anni fa.”
“Cosa dovrei dire io allora,
Phantom Rider ?” prese la parola l’enigmatico Karshe. “Non credevo fosse ancora
in vita un uomo che incontrò Cheemuzwa così tanto tempo fa.”
Un sorriso curioso illuminò
brevemente il volto dell’Eterno. “Beh sì, ho avuto una vita un po’
movimentata.”
“Non riesco a credere che ve
ne stiate così, a parlare!” esplose Puma “Mentre un gigante inarrestabile vaga
per questi antichi territori, spargendo distruzione !”
“Un gigante…inarrestabile…”
Quasar scosse la testa, e scacciò il pensiero. “Sentite…onestamente parlando,
non so cosa possiate fare contro Maelstrom. Non so neanche se posso farci io
qualcosa. Ma qui intorno ci sono città e villaggi che sicuramente hanno bisogno
di voi, dopo il terremoto. E ora, se volete scusarmi…devo proprio andare. In
che direzione sta andando Maelstrom ?”
Puma puntò un pollice.
“Ovest, verso la California.”
“Calif…è troppo sperare che
vada a Los Angeles ?”
“No, sembra diretto verso i
monti Diablo.”
Makkari, come molto
raramente gli succedeva, impallidì. “No ! Quaze…sepolto sotto la montagna c’è…”
“Lo so, lo so…meglio
sbrigarsi, allora. Scusate gente, sarà per la prossima volta !”
Quasar si alzò velocemente
in volo, seguito da Makkari. Mentre i Rangers tornavano all’aereo, Texas
Twister usò i suoi poteri per creare un micro-tornado che gli permise di volare
dietro a Quasar, nonostante Puma gli chiedesse di tornare indietro....
...E il Texano obbedì. Ci
mise cinque minuti buoni, ma ritornò, veloce come era partito e scuro in volto.
Puma non poté trattenere un
ghigno zannuto. “Lo sai? Facevo proprio quella faccia, quando il mio sensei
mi redarguiva per qualche bella fesseria.”
Aquila Americana si
intromise fra i due. “Pensiamo ai feriti, piuttosto. Mentre eri via, Drew, Dean
ci ha aggiornato sulla situazione.
“La macchina governativa si
sta mettendo in moto. Entro 24 ore, la Guardia Nazionale diventerà l’unica autorità
riconosciuta, alla quale i resti delle forze di polizia locali dovranno
obbedire come da Legge Marziale. Ogni aiuto è benvenuto, sopratutto
quello dei superumani. Naturalmente, non risparmieremo gli sforzi.” Inutile
chiedere all’uomo se fosse d’accordo. Bastava leggere la risposta nei suoi
occhi castani.
Black Marvel si fece avanti.
“La mia idea è di non dividere la forze. Data la vastità della distruzione, il
nostro apporto è comunque minimo, questo dobbiamo riconoscerlo. Tanto vale
restare insieme in una data area, almeno solo per una migliore risposta, quando
qualche criminale sufficientemente pazzo o qualche entità soprannaturale ostile
decideranno di approfittare della situazione.” Anche qui, nessun dubbio. Il
peggio doveva ancora venire!
Per ora, tutti pensavano a
una sola parola. Un solo luogo.
Phoenix.
I resti del palazzo del 10°
Distretto di Polizia.
Buffo come la mente tendesse
a divagare nelle direzioni più curiose, dopo che il mondo ti era crollato
letteralmente addosso da un minuto all’altro.
Jack Ironhoof, Detective in borghese
della Squadra Omicidi di Phoenix, giaceva fra ammassi di calcinacci e pezzi di
tetto nel parcheggio all’aperto della stazione. Adesso sapeva cosa provava un
epilettico, ecco cosa stava pensando. Un attimo e puf, sei giù senza neanche
accorgertene...
L’uomo si scosse dal loop
mentale. Lo choc lo aveva come drogato, ora doveva rialzarsi...Bene, nessun
problema, niente fratture, solo qualche acciacco.
Intorno a lui, le macchine
capovolte, o schiacciate sotto le macerie, come stritolati erano i resti umani
che pure sotto di esse giacevano, resti traditi da braccia e piedi esposti al
sole, sanguinanti. Il palazzo era in fiamme, e il cielo era pieno del fumo
degli incendi e della polvere. Centinaia di allarmi di auto e di appartamenti
costituivano il solo lamento di una città ferita. Era folle, non si udiva un
solo lamento umano! Era come se la gente avesse paura a riconoscere di essere
ferita. Si limitavano tutti ad aggirarsi come spiriti inquieti, persi...
Persi...
“Lila,” mormorò Jack. Lila,
sua figlia. 18 anni, una ragazza che aveva preso la bellezza di sua madre, una
cherokee, e il carattere indomito di lui. La sua Lila, a casa, a dormire, a
casa..! “Lila,” Jack voleva gridare, ma non ne aveva il coraggio, lei non era
morta, no! Niente bus, niente taxi, solo fango, fuoco e colonne d’acqua. Lila
viveva in periferia, le piaceva lontano dal cemento. L’avrebbe raggiunta a
piedi, con calma. Lei era viva...
Jack Ironhoof, spirito
inquieto, si fuse nella massa di disperati.
Qualcuno cominciò a urlare.
Dite quello che volete su di
loro, denigrateli fino a farvi venire la voce roca, inventatevi termini
offensivi fino ad esaurire la fantasia,
ma sugli emigrati Italiani
potevate contare, in tempi di crisi. Nello specifico, si poteva contare su Luigi
Carlo Candelari. I suoi nonni giunsero a Phoenix nel 1927, simpatizzanti
comunisti e filoebraici, due qualità che nella nascente Italia Fascista erano
promessa di persecuzione dura.
Phoenix era sufficientemente
lontana sia dall’Italia che da una tentennante Washington da offrire il rifugio
desiderato, e i Candelari si adattarono con la tenacia e la fantasia tipica
dell’Italiano all’estero. Inizialmente, fu l’allevamento, nella migliore tradizione
di una famiglia di origine Abruzzese che si era ferrata fra i più tosti briganti
e signorotti arroganti. Gli indiani, artigiani per eccellenza con la lana,
erano i migliori clienti, e fornirono abbastanza introiti da aprire un
ristorante, il Rainbow Rug, sulla Statale 60, appena prima di entrare in
città. I turisti su quella rotta erano numerosi quanto bastava.
Luigi, nonostante fosse un
brav’uomo ben voluto da chiunque si affidasse alle sue maniere bonaccione, era
anche un uomo pronto a tutto, caratterizzato da una dura vena di cinismo. Vena
forgiata dalla prematura morte dei suoi genitori, freddati da un balordo
cocainomane armato ed in crisi di astinenza. Luigi aveva visto tutto, e ci
erano voluti mesi per aiutarlo a riprendersi.
Non si era dedicato a
combattere il crimine se non affidandosi allo strumento del voto, come suo
padre gli aveva insegnato come un prete impartirebbe un dogma a un fedele.
Integrare il voto con un buon ‘cannone’ non guastava, naturalmente...
Fortunatamente, la famiglia
di Luigi era rispettata tanto dagli Indiani della vicina riserva di Gila River
quanto dai vicini della suburbia, essendo cresciuto come il ‘figlio adottivo’
delle due comunità. Nessun balordo si era fatto comunque vedere nei pressi del Rainbow
Rug, e la pistola, una Magnum calibro 45 che avrebbe fatto gola
all’Ispettore Callaghan, aveva fatto polvere nel suo cassetto. Fino ad oggi.
Luigi emerse dai resti del
baracchino privato che fungeva da bagno privato. Se ne avesse avuto il tempo,
si sarebbe contato abbastanza lividi da farlo sembrare un appestato all’ultimo
studio. Invece, levò un silente ringraziamento al padre che aveva insistito per
una struttura di legno, leggera, invece di una scatola di cemento che a quel
punto lo avrebbe ridotto a un polpettone.
Il ristoratore, un omino
magro ma dal fisico scattante, dai capelli neri e crespi come quelli del padre,
gli occhi castani della madre nascosti da un paio di occhiali crepati, si
spolverò istintivamente la giacca, cercando di dare un senso alla nuova tragedia.
Del ristorante, erano
rimaste a stento le pareti. I rubinetti del gas e dell’acqua erano ancora,
fortunatamente, chiusi, limitando i danni a quelli strutturali. Uno dei vicini
pali dell’alta tensione era andato proprio sull’edificio, tagliando in due i
resti e appiattendo la macchina di Luigi, una convertibile usata cromata per
rimettere a nuovo la quale aveva investito molti sforzi e pazienza. Luigi
sospirò. Almeno, il furgone, un vecchio ‘mulo’ pickup della Ford, era salvo.
L’italoamericano, con
prudenza, entrò nel locale. Il pavimento era crepato, ma ancora sicuro. La
polvere era peggio della nebbia e lo faceva tossire –ricordava ancora suo padre
chiedersi affettuosamente cosa aveva fatto di male per mettere al mondo un
mingherlino simile! Per fortuna, i suoi erano morti: un simile disastro li
avrebbe uccisi solo per il dolore della perdita.
Luigi giunse all’ingresso
per lo scantinato. Le solide porte, che avrebbero dovuto resistere a un ariete,
erano state scardinate come fogli di latta. Alla luce della torcia, Luigi tirò
un sospiro di sollievo. C’erano crepe pericolose dappertutto, parlare di
disordine era superfluo, ma la struttura aveva resistito.
L’oste si chinò a verificare
la solidità dei paletti piantati a terra; annuì, soddisfatto, e aprì una botte rovesciata
vicino all’ingresso. Ne estrasse una scala di corda arrotolata, e la fissò ai
paletti prima di srotolarla nel buio abisso.
Quando fu sceso, la torcia
stretta fra i denti, si diresse verso il gruppo elettrogeno. Era roba
recuperata dall’ultima Guerra Mondiale, fatta per fottersene di EMP, terremoti
ed altre cazzate buone solo per quegli aggeggi griffati usa e getta. Luigi spese
una buona mezz’ora a mettere insieme i collegamenti, ma alla fine aveva di che
fare funzionare il bunker –va bene, quella era una sua paranoia, ma
adesso era lieto di averle dato retta.
Il generatore entrò in
funzione con un allegro scoppiettio. Luigi passò ad esaminare la dispensa,
cercando di rimettere in ordine la roba sugli scaffali bene inchiodati alle
pareti. La benzina, l’acqua e il cibo stoccati sarebbero bastati per almeno 8 mesi,
usando un po’ di raziocinio. I medicinali non erano roba da alta chirurgia, ma
almeno poteva curarci lo stretto necessario.
Quando ebbe finito, Luigi andò a una parete, e ne estrasse una scala
estendibile d’acciaio. Adesso, veniva il difficile: prepararsi a ricevere
ospiti. Qualcuno poteva, doveva chiamarlo; di telefoni, non se ne
parlava. Chissà se i cellulari funzionavano...Quando quei pazzi fanatici
avevano fatto saltare il WTC, o quando c’era stata l’invasione dei Marziani,
anche le linee senza cavo si erano saturate in un momento...
Altrove
Uno schermo mostrava la
devastazione di Phoenix, in particolare su quello che era rimasto dei cantieri
che avevano funto, fino al giorno prima, da nascondiglio del misterioso Nido.
Adesso, solo un vasto cratere occupava quell’area. L’intero cantiere era
collassato dentro i resti del Nido, e la nube di polvere impediva qualunque
visione dettagliata.
I padroni del defunto
William Taurey erano soddisfatti. La potenziale catastrofe, alla fine, aveva
avuto un costo minimo e aveva sviato l’attenzione dei Terrestri. Sarebbe
passato molto tempo, prima che il cantiere venisse ripristinato; tempo sufficiente
a rimuovere i dispositivi nucleari. La loro corazzatura aveva resistito, e nessuna
fuga di radiazioni tradiva la loro presenza...ma sfidare la sorte non era nelle
intenzioni della Nidiata.
Con calma. La vittoria
sarebbe stata loro, alla fine.
Episodio 9 - Le ceneri della Fenice (I parte)
Fort Huachuca, Sierra Vista, Arizona Sud-Orientale
Normalmente, il luogo chiamato familiarmente Thunder
Mountain ospita due istituzioni particolarmente care alle ‘alte sfere’
degli Stati Uniti d’America. Una, la più conosciuta, è l’U.S. Army
Intelligence, una delle controparti militari della CIA. Le sue operazioni
sovente non rientrano nella categoria ‘pulite’, e da esse dipende la politica
militare del Presidente.
L’altra è la famigerata National Security Agency,
l’organizzazione volta alle intercettazioni e decriptazioni. Opera praticamente
nell’ombra, e i suoi archivi sono aperti a una ristrettissima rosa di
individui.
Entrambe queste organizzazioni nutrono,
comprensibilmente, un’innata diffidenza verso ogni estraneo che bussasse alla
loro porta, foss’anche il più alto dei papaveri e con una storia di fedeltà
degna di un fanatico integralista...
Ma come potevano, oggi, rifiutare o limitare
l’ingresso al Governo stesso dell’Arizona, alle Forze Armate Federali
e alla Guardia Nazionale? Sopratutto quando non solo il Presidente
stesso, ma l’intero Congresso aveva votato perché il Comando Integrato
fosse piazzato proprio a Thunder Mountain?
Il Generale di Divisione Trey Anderson, fino a
quel momento comandante e padrone assoluto del Forte, avrebbe voluto strozzare
solo per questo affronto l’alieno responsabile del disastro che stava
per trasformare il suo concetto di sicurezza in un colabrodo!
Ad ogni modo, Anderson era un buon soldato, e obbedire
agli ordini era una sua seconda natura. Fece buon viso a cattivo gioco e,
impeccabile come sempre, fece un rapido saluto a:
-
il suo Pari
grado, l’Aiutante Generale Woodson, Comandante Operativo della GN,
-
il Tenente
Generale Dadalus, comandante delle FAF, richiamato solo in caso di
estensione della crisi
-
il Governatore
(col cavolo che avrebbe ‘femminizzato’ la definizione della carica!) Jane Dee Hull.
I militari erano ovviamente tesi e spaventati, ma una
vita di addestramento li aiutava a trasformare la paura in pura adrenalina, in cibo
per l’azione. Mentre arrivavano a Thunder Mountain su un HG-60G Pave Hawk,
avevano già vagliato e preparato una lunga lista di azioni da intraprendere.
Hull non era da meno: era stata fortunata, l’avevano trovata
in quello che era rimasto della sua casa, miracolosamente con appena qualche
livido e un bello spavento. Si era ripresa in fretta, ed era salita a bordo
dell’elicottero non senza avere indossato prima un’uniforme militare
predisposta da un previdente Woodson. Suo marito, correntemente fuori
dall’Arizona, era stato prontamente avvertito, e la prima cosa che lei gli
aveva detto, era di starsene alla larga! Poi si era gettata sul cellulare
speciale in dotazione alle forze armate, e aveva iniziato a chiamare tutti
quelli che dello staff erano ancora vivi, senza dare loro neppure il tempo di
obiettare –se erano coscienti, non mutilati e capaci di camminare, dovevano
darsi da fare e subito! La Guardia avrebbe provveduto ai loro familiari.
La donna dai capelli rossi e il volto sorridente era
ora come posseduta da un demone volitivo: rispose al saluto di Anderson con un
secco cenno del capo. “Generale, confido che abbia provveduto allo spazio e
mezzi necessari.”
L’uomo annuì, facendo loro strada –diamine, quella
avrebbe potuto domare un cavallo selvaggio col solo sguardo, in quel momento!
“C’è tutto quello che desiderate, a anche di più. Siamo in contatto diretto con
l’FBSA e lo SHIELD. Presto avremo anche i mezzi per pattugliare
l’intera area in caso di supercriminali che volessero fare gli
sciacalli.”
Proseguirono lungo un intrico di corridoi da fare
girare la testa, fino a giungere in una sala super-attrezzata, le pareti
ricoperte di monitor e pannelli. Altri membri del Supercomando Integrato si
alzarono in piedi dai loro posti alla tavola rotonda. Hull fece loro cenno di
rimettersi seduti, e si sedette lei stessa.
La donna non sapeva neppure da che parte
cominciare, ma non si sarebbe assolutamente permessa di mostrarsi indecisa
–anche se, guardando il monitor principale, sarebbe volentieri scoppiata a
piangere. Fino a quel momento, nonostante la casa le fosse crollata addosso,
tutta la devastazione che il suo occhio aveva potuto cogliere era il panorama
offerto da un finestrino blindato del Pave Hawk.
Adesso, per la prima volta, stava guardando Phoenix,
la sua Phoenix, in tutta la mostruosa gloria della sua caduta.
Inutile chiedere quale fosse l’estensione dei danni:
la città era stata rasa al suolo, punto. Gli incendi avevano consumato in
fretta i detriti, e l’acqua dalle condutture esplose aveva contribuito a
fermarne altri. Adesso, a parte qualche piccolo focolaio, la città era
costellata da un’infinità di nere colonne di fumo –quanto di quel fumo era
composto di resti umani?
Di strade era inutile solo parlare. Jane Dee Hull tirò
un profondo respiro e disse, “Temo che dovremo contare solo sulla Marina e
l’Air Force, dico bene?”
Dadalus si schiarì la gola. “Abbiamo richiamato ogni
elicottero da trasporto disponibile. Ma siamo anche sommersi da chiamate di civili
proprietari di aerei ed elicotteri turistici. Chiunque abbia un fuoristrada è
pronto a guidare personalmente fino al cuore di Phoenix.” Tacque, e guardò
verso un altro membro dello staff.
Era questi Paul Steinberg, Direttore del Dipartimento
della Sanità dell’Arizona. L’uomo si aggiustò un paio di occhialini da
professore e disse, leggendo un foglio stilato in fretta e furia. “Stanno
giungendo migliaia di chiamate all’ora di volontari disposti a donare il sangue
e medicine. Questi, insieme a quello che le industrie sono pronte a donare,
dovrebbero rassicurarci nell’immediato sul fronte dell’approvvigionamento. Il
più, sarà evitare che qualche terrorista, domestico o no, voglia approfittarne
per contaminare le ‘donazioni’ o donare sangue infetto. La Guardia dovrà fare
gli straordinari solo per potere lavorare efficacemente a due velocità sul
fronte donazioni.
“Ad ogni modo,” e indicò con lo sguardo uno dei tanti
fogli impilati davanti alla Governatrice, “lì c’è una lista completa delle
malattie che attendono la popolazione colpita.”
Alla donna bastò un solo sguardo veloce per averne
un’idea, e le venne da vomitare. Guardò gli altri, ognuno col suo rapportino.
Sospirò. “Signori, non ho dubbi che le cose stiano, o stiano per diventare,
peggio di quanto possiate dirmi adesso, sprecando ore in rapporti che dovranno
essere aggiornati ogni minuto. Mi affido a voi: fate quello che dovete. Avrete
pieni poteri, il Presidente stesso lo ha giurato. Adesso, la priorità è
l’assistenza alla popolazione e la prevenzione dei disordini, nonché la
salvaguardia delle risorse ancora disponibili.” Si rivolse a uno degli schermi,
occupato da un altro partecipante alla riunione: Nick Fury, Direttore dello
SHIELD.
“L’Arizona è sotto legge marziale, Colonnello,”
disse Jane, “e lei risponderà direttamente al SCI. Naturalmente, siamo tutti
pronti ad accettare ed attuare proposte costruttive per quanto concerne i
super-esseri.”
Il veterano annuì. “Sto già predisponendo una nuova
squadra di Vendicatori[vii] per ampliare
l’area di vigilanza in tale senso. Alcuni super-esseri sono già al lavoro, fra
cui Quasar, un valido Vendicatore riservista ed ex-membro dei Super
Agenti.
“Desidero segnalarle in modo particolare una ‘presenza
fissa’ che può fare non poco sia per i locali di Phoenix che per le tribù delle
Riserve anch’esse investite dal sisma. Si tratta dei Rangers, una
vecchia conoscenza da quelle parti. Vi invio una scheda.”
Su un altro monitor, apparvero, una ad una, le
descrizioni del gruppo in questione.
-
Una specie di
animale antropomorfo, dalla pelliccia ocra, vestito di una specie di costume
rosso sangue in stile tribale. Era talmente robusto che sembrava volesse
esplodere dal tessuto. “Questo è Puma. Nonostante i suoi trascorsi di
mercenario (Nick trascurò deliberatamente la parola ‘assassino’), sembra bene
integrato con gli altri membri del gruppo.”
-
Un uomo in
mascherina nera, dai baffi rosso-carota, con un costume blu e rosso con due ‘T’
intorno a un tornado stilizzato sul petto, e un cappello da cowboy bianco. “Texas
Twister, anche lui Super-Agente insieme a Quasar. Entrambi garantiscono per
Puma e tanto mi basta.”
-
Una donna bionda
in un costume non dissimile nei colori da quello di Twister, ma con una stella
bianca al petto e una visiera agli occhi. “Shooting Star, e vi posso
garantire che è più tosta di quello che sembra.”
-
Un lupo
mannaro dalla folta pelliccia grigia, vestito come uno sciamano-guerriero,
con tanto di staffa e scudo. “Questo gentiluomo è Karshe e, sebbene
nuovo sulla scena, ci sa fare.”
-
Un uomo,
apparentemente il più giovane a giudicare dal fisico e dal volto liscio sotto
quello che la maschera integralmente nera come il costume lasciava scoperto. “Black
Marvel è una vecchia conoscenza fra gli Indiani della tribù dei Piedi
Neri. Suo padre è stato coi nostri durante la II Guerra Mondiale, e come
garanzia è più che sufficiente.”
-
Una specie di
gigante in un familiare costume bianco e blu con tanto di arco e casco di
penne. “Aquila Americana è uno che vale una pila di Bibbie. Se volete,
posso darvi le referenze dai Fantastici Quattro, con cui ha lavorato.
-
Infine, un uomo
vestito in un costume e mantello interamente bianchi, il volto coperto da una
maschera dello stesso colore. “Phantom Rider ha avuto a che fare con i
vecchi Vendicatori della Costa Ovest, e anche qui mi basta.
“Questi signori sono presenti sul territorio e si
stanno già dannando per aiutare i più bisognosi. Propongo che abbiano un riconoscimento
e status ufficiali per operare in concerto con l’SCI e senza interferenze.”
Hull lanciò un’occhiata ai militari –durante la legge
marziale, erano i militari a prendere il più delle decisioni, ma era anche
chiaro che in un mondo dove i super-esseri erano un fattore ormai comune e
strategico, un simile fattore non poteva venire trascurato...
Fu Woodson a rispondere. “E sia. Comunichi a questi
Rangers la loro nuova posizione, e dica loro di tenersi a disposizione per
ulteriori ordini. Per ora, si occupino principalmente di vigilare. Vagliate con
la massima cura ogni richiesta di supporto dalla comunità dei
super-esseri.”
Rapido assenso. La comunicazione si spense.
Hull si rivolse ad Anderson. “L’alieno responsabile di
questo disastro è scomparso, mi hanno detto.”
“Sì. Dopo avere praticamente scoperchiato una montagna,
e messo alla luce un suo simile, che però si è dimostrato meno iracondo[viii].
Ci sono rapporti di un terzo e quarto gigante apparsi nel Pacifico, ma anche lì
la cosa non ha avuto un seguito, se si esclude uno scontro fratricida[ix]
Risolto questo problema, l’assemblea si preparò alla
prima di una lunga serie di interminabili giornate di lavoro...
Phoenix, Arizona
Alla fine, vista la terribile situazione, cos’altro
potevano fare, se non mandare tutti i piani carini all’aria e separarsi? C’era
semplicemente troppo da fare, per restare uniti. Dovevano vigilare il
più ampio territorio possibile.
La forma spettrale di Phantom Rider emerse da un
cumulo di macerie di quello che era stato un palazzo di dieci piani. “Due
sopravvissuti. In una delle cantine. Un ragazzo e una ragazza.” Inutile
sottolineare che si trovavano in stato di choc. Quasi erano morti di paura, nel
vedere un fantasma emergere da una parete.
Texas Twister avrebbe potuto rimuovere le macerie in
un batter d’occhio, ma avrebbe solo finito col rinnovare il panico.
Toccò a Shooting Star fare il miracolo. Istruita sulle
coordinate, la donna puntò le braccia, e dalle unità ai polsi scaturirono
abbaglianti raggi laser. Le macerie furono scavate come burro.
Era irreale! Tutto intorno a loro, il silenzio era
rotto dai pochi allarmi intenti a terminare le batterie e da qualche lamento. I
pochi sopravvissuti o vagavano intontiti per le strade come tante anime
erranti, gli occhi vuoti o pieni di troppo orrore da sopportare, o si erano
rintanati nel primo angolo disponibile, istintivamente alla ricerca di una
casa, un rifugio...
Shooting Star non sapeva da dove veniva l’energia per
alimentare le unità e il costume costruito da suo padre, Jason Dean questi già
agente dell’AIM sotto il nome di Fotone, e non voleva saperlo. Le
bastava sapere di poterlo usare per salvare delle vite, ripulirsi dall’infame
ombra che incombeva sul suo lignaggio.
Ad un certo punto, si avvertì distintamente l’odore di
carne bruciata –Dio, stava scavando attraverso i corpi! Ma non smise,
non poteva, non doveva...
Finalmente, il foro giunse proprio sopra le teste
della coppia indicata dal suo amico. E vedere prima l’incredulità, poi la speranza
e infine la gioia dipingersi sui volti dei poveretti, fu ricompensa
sufficiente, per ora, a farle dimenticare l’orrore.
Dalla sella del suo fedele cavallo-fantasma, Banshee,
Phantom Rider estrasse un lasso. “Qui ci penso io, Star.” Si avvicinò al
cratere.
Victoria Star si vergognava. Poteva fare molto di più,
con le sue armi...ma non osava trasformare le operazioni di soccorso in
esperimenti! Se solo avesse avuto il tempo di allenarsi... “Che..?”
Un raggio di luce dal cielo affondò nel cratere! I
giovani urlarono la propria sorpresa...pochi istanti prima di venire sollevati
da quello stesso raggio –che in realtà era una grezza, solida mano.
Rider e Star guardarono verso l’inaspettato
soccorritore. “Quasar?” fece lei, schermandosi gli occhi con una mano.
Il Protettore dell’Universo depose i ragazzi a terra,
e atterrò accanto ai suoi ‘colleghi’. “Pensavo ne avreste avuto bisogno. Lo sa
Dio, che dobbiamo cooperare il più strettamente possibile.”
“E te ne siamo grati,” disse Phantom Rider, ma non
suonava veramente contento. “I tuoi...amici?”
Quasar annuì. “Makkari sta facendo la spola fra
qui e questo SCI. Nuvola è un aiuto prezioso: sta contenendo la fuga di
radiazioni alla centrale nucleare di Palo Verde. Quanto a...”
finalmente, realizzò il tono di Rider, e si morse la lingua! “Beh’, lui sta
lavorando in periferia. Ha spento l’incendio dei depositi di gas, e ora dovrebbe
avere messo mano al disastro chimico. Non avrei mai creduto di doverlo
ringraziare di cuore –i sopravvissuti sono già così pochi...”
Di fatto, il sisma aveva colpito all’alba. La maggior
parte della gente era a casa, a dormire, ignara...
Shooting Star sospirò. “Che razza di mostro è, questo Maelstrom?
Ha fatto tutto questo senza alcuna ragione...”
E non hai visto di cos’altro è capace! Quasar non sapeva cosa dire
lui stesso, che aveva combattuto più volte quel mostro capace di nefandezze
quali solo un Deviante poteva concepire.
Ma Maelstrom non aveva ancora vinto: con quel colpo
all’Arizona, voleva fare cadere i Protettori dell’Universo in disperazione, ma
se credeva di potere sottovalutare la forza d’animo delle sue vittime, beh’,
doveva impararne, di cose! “Coraggio. Abbiamo una lunga giornata,
davanti.” Disse con un sorriso forzato, ma che per il momento risollevò un po’
il morale.
Abitudini.
Che buffo! Le odiamo, quando regolano la nostra vita
fino al punto da farci dimenticare che c’è qualcosa di meglio del tran tran. Le
amiamo, quando sono la nostra unica fonte di salvezza. O anche solo di speranza
Ogni punto di riferimento era semplicemente andato. I cartelli
stradali puntavano verso il basso, come se ci fosse un’unica strada rimasta per
i vivi.
Jack Ironhoof,
ex Detective della ex Omicidi dell’ex 10° Distretto, procedeva in uno stato di
stupore. Sangue gli colava da una ferita alla gamba, ma non provava dolore. Non
provava niente che non fosse apprensione per sua figlia Lila.
La strada era andata, ma era un percorso che avrebbe
potuto fare a occhi bendati –se si escludevano le buche fangose, quelle fumose,
i detriti. Ogni passo, un po’ di speranza in più.
Lila. Bella come sua madre, testona come suo
padre. Da quando avevano inaugurato
quella nuova birreria, lei si era comportata come una falena con la fiamma: non
ne poteva fare a meno –era un bel localino, in fondo. Ci era stato,
all’inaugurazione: buona musica, rumoroso ma non troppo, pieno di giovani...
Lila. Dio, fa che si trovasse lì, al momento del
terremoto. Era una sua abitudine, andare tutte le sere a spendere
qualche ora con gli amici, in quel locale! Era un edificio a un solo piano, ce
l’avrebbe fatta a uscirne viva, ne era certo.
E lui non poteva neppure raggiungerla: non poteva
neppure trovarlo, il locale! Poteva solo sperare di trovarla a casa...o aspettarla
lì.
La gamba cominciava a fargli male... “Ciao, Jack.”
!*!
Anni di istinto di sopravvivenza, di vita da
poliziotto, lo fecero reagire a quelle due sole parole come se gli avessero
fatto un elettrochoc. Si voltò, improvvisamente lucido, riconoscendo la voce.
Strano animale, l’uomo. Di fronte a una crisi, poteva
tirare fuori il meglio o il peggio di sé. E quando era la seconda, era sempre
con una agghiacciante lucidità. Un pazzo non dava il peggio, era semplicemente
una conseguenza di cose più grandi di lui.
Le creature che circondarono Jack Ironhoof erano
lucide. Lo sapeva. Le conosceva.
Blood Wheels,
le Ruote di Sangue. Nel vecchio West, sarebbero stati con orgoglio il terrore
di qualunque carovana, altro che indiani! Per Jack, erano solo un branco di
giovani cretini, incapaci di andare oltre la soddisfazione personale a spese degli
altri. Si spostavano su due ruote fra uno stato e l’altro, facendo impazzire le
divisioni di polizia, tormentando gli automobilisti alle stazioni di servizio e
le stazioni di servizio.
Alla fine, avevano esagerato. Jack aveva raccolto la
sfida, aveva teso l’agguato e li aveva presi. Messi in carcere, in attesa della
sentenza...
E se loro erano liberi...
Jeb, uno dei ‘Sanguinari’, un ragazzo che portava una
bandana rossa e una benda all’occhio destro, giacca di pelle nera e stivali
borchiati, accarezzò il piede di porco che teneva in una mano. “Sorpresa.
Abbiamo deciso di venire a farti una visita.”
Nessuno era armato, se non di catene, spranghe,
bottiglie rotte –grazie a Dio, l’armeria della stazione di polizia doveva essere
stata sepolta, e loro non avevano pensato di perquisire gli agenti caduti.
Veloce, Jack estrasse la pistola –una bella calibro 38, un giocattolo utile
contro.
Jack gemette, appena un coltello gli si piantò nel
braccio! Lasciò cadere l’arma.
Jeb scosse la testa in disappunto. Dietro di lui,
‘Nino’, un biondo che nella banda era famoso per le sue abilità con le lame,
ridacchiò. “Ma che sciocchino, detective,” disse Jeb. “Ma come, dimentichi così
in fretta i tuoi cari amici?”
Avanzarono ancora. Lentamente. Avevano la situazione
sotto controllo, e lo sapevano. Nessuno sarebbe intervenuto. Potevano
prendersela comoda.
Jack si appoggiò a un moncone di lampione. “Lila...Che
ne avete fatto di Lila..?”
Ci fu uno scambio di occhiate perplesse. Jack sospirò
di sollievo –non erano stati a casa sua, allora! Lei non sarebbe stata in
immediato pericolo...
“Tranquillo, capo,” disse Jeb, “se lei è così
importante per te, la aiuteremo a ritrovarti. Sulla strada per l’Inferno.”
Più vicini. Almeno, se fosse stato fortunato, avrebbe
potuto cavare l’altro occhio a quel mostro sadico...
*rrrrRRRR*
Neanche una bomba avrebbe potuto scuoterli meglio! Si
voltarono tutti, dimentichi delle ostilità, verso il proprietario di quel
mostruoso ringhio.
Lo videro su una pila di macerie, accosciato, una mano
artigliata levata, gli artigli luccicanti al sole. Puma.
Nino reagì d’istinto. Era convinto di avere a che fare
con un qualche travestimento, e lanciò con tranquilla precisione.
La testa di Puma saettò più veloce di quella di un
serpente! Il coltello fu afferrato al volo dalle bianche fauci. Un colpo di mascella,
e la lama finì a pezzi come una caramella!
Ora, non che si potesse dire che la banda dei
Sanguinari non fosse fedele al suo capo...Ma più di tanto non si poteva proprio
chiedere, non con un simile mostro.
In altre parole, Nino bestemmiò e se la diede a gambe
levate –grave errore, di fronte a un predatore!
Puma saltò. Un solo salto, e quando atterrò fu addosso
al ragazzo. Un colpo di artigli alla gola, e la banda ora era sotto di un
membro. In pochi secondi.
“Cazzocazzocazzo..!” borbottava Jeb.
Puma lo fissò. Ringhiò, un tono basso ma gravido di
promesse.
Fu sufficiente. L’intera banda se la squagliò con
un’improvvisa agilità da cerbiatti.
Puma si avvicinò a Jack. “Dovrei...dichiararti in
arresto per...omicidio...” Il detective sfoggiò un pallido sorriso, reggendosi
il braccio. In realtà, non era mai stato così contento di un aiuto.
Puma grugnì qualcosa, e con un movimento secco strappò
via la manica zuppa. Annusò la ferita. “Una leggera infezione. Ora stai fermo.”
Jack Ironhoof sbarrò gli occhi, ma poté solo limitarsi
a gemere per le bruciante sensazione che dava la lingua di Puma mentre questi
leccava la sua ferita! Non avrebbe potuto muoversi neppure volendo; il suo
braccio era trattenuto in una morsa gentile ma ferma.
Pochi colpi, e la ferita fu pulita. Sempre reggendo il
braccio con una mano, Puma usò l’altra per aprire una borsa in pelle che teneva
alla cintura. Ne estrasse una specie di impacco verde, grezzo, e lo applicò con
forza alla ferita, fasciandola a dovere. “Non rimuoverla. Il nostro sciamano la
usa per ferite anche più gravi.”
Jack riconobbe al fiuto una serie di sostanze che
usava suo nonno. Una di esse era un sedativo. La ferita smise di pulsare, e la
lucidità iniziò a farsi largo nella sua mente. “Perché mi hai leccato? Non
bastava..?”
“La mia saliva contiene potenti enzimi, ottimi per una
prima sterilizzazione. Non c’era tempo di sputare su un fazzoletto e passartelo
su. Dove ti stai dirigendo, da solo?”
Il detective glielo spiegò velocemente. Puma disse,
“Va bene. Appoggiati a me.”
L’altro obbedì senza fiatare, sorpreso dal contrasto
della setosità morbida del pelo e del ferro dei muscoli sottostanti. “L’altra
ferita..?”
“Solo un graffio. Si è già chiusa. Taci e cammina.”
Abitudini.
Maledette abitudini!
Mai che ti tornassero utili al momento giusto, normalmente. E nel momento
sbagliato, peggioravano solo la situazione!
Conoscendo papà, a quest’ora sarà già a casa o al Golden
Crop a cercarla, contando sulle abitudini di Lila Ironhoof (cognome del
*!ӣ$).
E tu guarda cosa succede l’unica (vabbe’, forse
non proprio l’unica) volta che decide di andare a un Rave sulla 60!
Lila continuò a camminare accanto ai resti della
strada –era decisamente più sicuro che camminarci sopra. Se anche avesse
potuto evitare di rompersi tutt’e 2 le gambe, ne aveva abbastanza dei cadaveri
o arrostiti o maciullati nei modi più artistici. Poco ma sicuro.
Il Sole era una palla infuocata impietosa. La puzza di
carne e carburante era quasi intollerabile. La casa di Daniel era ridotta a un
mucchietto di Lego, con lui dentro. Il garage, dove lei, insieme a metà della
banda, stava dormendo, era in piedi per il più puro dei miracoli. Anna, una che
poteva andare in abito nero tanto che era devota, si era inginocchiata
facendosi il segno della Croce a velocità stroboscopica.
Lila iniziò a ridacchiare a quel ricordo. Le prime
lacrime iniziarono a scenderle dagli occhi, ma le ricacciò prontamente indietro,
insieme alla risata. Niente isterismi per ora, ragazza!
Doveva concentrarsi sul suo obiettivo –ammesso che
fosse ancora in piedi, naturalmente: il Rainbow Rug, il locale di quel
buffo omino italiano. C’era un telefono, lì (e che le venisse la peste, se
infilava le mani nei rottami a prenderlo da un cadavere!).
E già, e poi chi avrebbe chiamato? Era chiaro
anche da quella distanza che Phoenix non esisteva più, come città. C’era un
silenzio assurdo!
I suoi pensieri vagavano di palo in frasca. Stava
cominciando a cedere allo choc. Non capiva neppure se la voce che la chiamava
per nome fosse reale, o solo...
Una spalla si posò sulla sua mano. Lila urlò. Si
liberò, inciampò, cadde.
Di nuovo, lo sconosciuto la prese per le spalle, e lei
si lasciò docilmente mettere in piedi. “Lila, Signore sei proprio tu!”
La voce, come la faccia, erano di Luigi Carlo
Candelari, il ‘buffo omino italiano’ proprietario del Rainbow Rug –cioè dei
resti che lei aveva superato senza neppure accorgersene, ipnotizzata com’era
dalla vista di Phoenix. I suoi occhialini tondi erano crepati, ma non sembrava
farci caso –lei era sicura che fossero puramente decorativi, per fare scena.
Lila scosse la testa. “Io...papà...”
Luigi la condusse docilmente verso un tavolino del bar
sistemato alla meglio con una bella tovaglia a fiori sopra. “Non so nulla di nessuno,
piccina. Non un numero telefonico funziona, e quelli degli uffici federali sono
occupati...Cavoli, che scossa! Ho sentito parlare di Pompei, ma scommetto che
non ha fatto la metà dei danni.”
“Un terremoto..?” Lila accettò meccanicamente un
bicchiere d’acqua. Era fresca, una delizia per il suo palato arido. La bevve
con gratitudine, sentendosi improvvisamente lucida. “Credevo fosse stata la
Bomba! Come può un terremoto..?”
Lui scosse la testa. “Ero sveglio, quando è successo.
Non c’era stato nessun Flash atomico; nessun’onda d’urto...No, è stato
un terremoto. Il più schifosamente potente.”
Lei fece per alzarsi, ma fu ricacciata giù da
un’ondata di nausea. “Devo tornare da papà, capisci? Devo...” questa volta,
quasi divenne verde –Dio, ti prego, non ora!
Luigi passò qualche istante a carezzarsi il mento
pensosamente, poi, “Senti, facciamo così. Io non posso abbandonare il Rainbow
così di punto in bianco: potrebbe essere l’unico punto di soccorso nel
raggio di chilometri. Ho una bella cantina rifornita di tutto, ma sono solo.
“Ti posso prestare il mio Pickup, se prometti di
riportarmelo, insieme a qualcuno che abbia veramente bisogno di aiuto.
Ma potrai prenderlo solo appena ti sentirai un po’ meglio. Ora come ora, non ti
darei neppure le chiavi del cesso.”
Lei accennò un timido sorriso. “Stai tranquillo. E,
grazie...”
Lui contraccambiò il sorriso. “Non dirlo
neppure...hm?” si fece improvvisamente cupo.
Lei seguì il suo sguardo. Rabbrividì, istintivamente.
C’era una piccola folla, sulla Statale 60 –da dove
erano venuti?! Saranno stati una ventina, uomini e donne laceri, volti ed arti
incrostati di sangue ormai annerito. Stavano lì, silenti, immobili. Come
statue...
Luigi estrasse la sua pistola dalla fondina ascellare.
Era una calibro 45 a tamburo, roba da uccidere 2 persone in un colpo solo –non
aveva tempo, per pensare al rimorso di spegnere altre vite dopo una simile
tragedia. Se questa gente era impazzita, era pericolosa. Si chiese solo se un
caricatore fosse bastato a fermare la follia...
Ma la folla non si mosse. Non fecero niente, se non
stare a guardare con...occhi...
Lila era una figlia della civiltà moderna. La sua
mente razionalizzava, e nel tentativo di fare ciò non afferrava ciò che gli
occhi trasmettevano.
Luigi era cresciuto con genitori alquanto
superstiziosi. E la mente di lui era tutt’altro che disincline ad accettare
che quegli occhi bianchi, alcuni di essi dalle orbite
vuote, le orrende ferite –ad uno di loro mancava una mano!- non potevano
appartenere ad esseri viventi.
Quella gente immobile era morta.
Luigi indietreggiò, la gola secca e la voce tremante.
“Bambina, alzati. Stai al mio fianco, per l’amor di Dio.”
Il terrore nelle parole di lui fu la conferma che Lila
stava inconsciamente cercando di rifiutare. Si alzò in piedi, appoggiandosi a
Candelari come a una colonna.
Lila non urlò, ma solo perché non ne aveva il
coraggio.
Adesso, i non-morti erano aumentati. Erano, quanti,
trenta? Quaranta? Alcuni di loro erano bambini o reggevano infanti atrocemente
mutilati o carbonizzati. E nei loro occhi, adesso c’era una scintilla. Qualcosa
di ostile.
Luigi si mise a pregare. Padre nostro che sei nei
Cieli, sia santificato il Tuo Nome, venga il Tuo Regno...
Volevano loro.
Una mano, un arto incancrenito dalla putrefazione,
spuntò dal suolo, ed afferrò la caviglia di lei! Lila sbarrò gli occhi, il suo
respiro mozzo e affrettato. Luigi quasi sparò all’apparizione, prima di
ricordarsi che avrebbe amputato la ragazza!
Adesso, erano tutt’intorno a loro, i loro occhi colmi
di odio sui volti –o i resti di essi- impassibili. Ma stavano a distanza, come
se qualcosa li stesse trattenendo...
Improvvisamente, ci fu come un sospiro, un profondo
verso collettivo, da quelle anime in pena. Ed esse scomparvero, sbiadendo come
vecchie fotografie.
Lila si guardò la caviglia. Dio, quella cosa
l’aveva toccata, l’aveva sentita, così fredda..! “Lila?”
E adesso cosa?! Levò la testa, e quando lo vide, come
un angelo su di loro, gli sembrò la cosa più bella che potesse immaginare, dopo
quegli orrori. Anche se era un lupo mannaro.
Karshe scese davanti alla coppia. Luigi riusciva
ancora a tenere saldamente la pistola, ma francamente non sapeva neppure cosa
farsene –i lupi mannari erano vulnerabili solo all’argento, giusto?
“State bene?” chiese lo sciamano-guerriero la cui
staffa era fatta come di polvere di stelle finissima.
“Credo di sì,” fece Luigi, riponendo la pistola. Non
aveva mai sentito di quelle creature vestire in quel modo, con tanto di pitture
corporee –ma se un lupo mannaro poteva rispettare le tradizioni indiane, a lui
bastava. “Cosa erano?”
Karshe guardò verso la statale 60. “Anime in pena. I
morti degli innumerevoli incidenti stradali e di questa catastrofe.
“Le morti di massa causano gravi squilibri sul piano
astrale, e forze ostili all’uomo possono tentare di infrangere le barriere. Voi
siete stati fortunati: la vostra fede vi ha protetto contro anime che in vita
professavano basicamente la stessa.”
Luigi si portò istintivamente la mano alla piccola
croce dorata che reggeva al collo. Per questo, solo Lila era stata quasi
presa! Lei era un’atea dichiarata! “Grazie per averci soccorso...er..?”
“Karshe è il mio nome, e rappresento i Cheemuzwa.
Cosa ci fate, qui?”
Luigi lo spiegò, e alla fine il mannaro disse, “Posso
esorcizzare quest’area, creare anche un percorso sicuro per la ragazza...Ma non
posso garantire niente, fino a quando non avrò trovato ed estirpato l’entità
che sta approfittando di questo caos. Mi capite?”
Nella direzione opposta della periferia di Phoenix,
Aquila Americana e Texas Twister stavano occupandosi di rimuovere le macerie di
una villetta a schiera. Le grida di un bambino erano ancora chiare, ma sempre
più deboli.
Ad un certo punto, il guerriero Navajo ringhiò di
frustrazione. “Andiamo troppo piano. Al diavolo! Twister, devi usare di
più di quei minivortici!”
Drew Daniels sospirò. “Socio, ‘stavolta non ho nulla
in contrario. Fatti da parte.”
Il tempo per Aquila di spostarsi a distanza di
sicurezza, e un impressionante tornado si abbatté sulle rovine,
succhiandole via con precisione chirurgica –Drew ringraziò più volte i suoi
superiori allo SHIELD per quelle interminabili sedute di allenamento! Disperse
le macerie in un’area sicura, e Aquila Americana si gettò sulle poche rimanenti.
Sotto una porta, giaceva una strana immagine. Un uomo
svenuto di circa 40 anni, vestito della sola camicia e di un paio di pantaloni
vistosamente calati...abbracciato a un bambino...
Dire che gli eroi restarono senza parole era un
allegro eufemismo. Praticamente, impallidirono, gli occhi sgranati.
“Mamma..?” fece il bambino ormai sull’orlo del
collasso –una creaturina terrorizzata, confusa, che non avrà potuto avere più
di 7 anni. Interamente nudo. E i lividi...su tutta la schiena...
“Prendi il bambino,” disse Twister, gelido come la
morte in persona. Il suo compagno afferrò la creaturina, che continuava a
guardare verso quella che era stata la camera attigua. Solo un braccio
insanguinato, inerte sporgeva fra le travi. Se era la madre, era morta. Inutile
fare vedere anche quello, al poveretto. Aquila Americana portò il bambino verso
il nero SJ-X0, l’ esclusivo aereo del gruppo, parcheggiato al bordo della
strada.
Texas Twister afferrò l’uomo inerte per il colletto.
Il colpo in testa, evidenziato dal sangue rappreso fra i capelli, lo aveva
praticamente messo in coma –un destino ancora troppo gentile per quell’ignobile
maniaco! Twister non esitò nel comandare un brusco movimento d’aria che portò
la pressione atmosferica intorno al cranio dell’uomo quasi a 0. Di fatto, ogni
capillare e vena sotto la pelle esplose. Il volto divenne una maschera
scarlatta, il corpo sussultò e non si mosse più. L’eroe lo lasciò cadere come
fosse stato un sacco di spazzatura.
Non si accorse minimamente di un paio di occhi terrorizzati
seguirlo mentre andava verso l’aereo.
Si trattava di molecole semplici, in fondo.
Per lui, almeno. Sempre meglio che cercare di
ricostruire palazzi e tubature –senza le conoscenze di un ingegnere edile, avrebbe
fatto un casino non indifferente.
Trasformare le sostanze chimiche attive e venefiche in
gas inerti e benefici per l’atmosfera era un altro discorso. Semplice come
schioccare le dita, per Molecola.
Non un’anima era sopravvissuta alla distruzione, qui.
Quelli che il sisma aveva risparmiato erano stati uccisi dalle esalazioni e
dagli incendi dei prodotti chimici. I pochi cadaveri rimasti erano bambole
contorte nelle smorfie più grottesche. E per fortuna che non c’erano fiumi o
mari, o sarebbero stati altri dolori! Owen Reece aveva praticamente perso il
potere di controllare anche le molecole organiche...
Un gesto della mano, e altre tonnellate di prodotti
furono volatilizzate. Il volto segnato dalle cicatrici a fulmine si distese in
un sorriso triste –Protettore dell’Universo, pensa un po’! E nessuno gli
avrebbe creduto, anzi, avrebbe messo il povero Quasar nei guai se si fosse
fatto vedere insieme a lui... “Uh?”
Stava per trasformare un altro laghetto di scorie in
gas, quando avvertì come una resistenza. Come se improvvisamente le
molecole avessero deciso di rifiutarsi di obbedirgli! Una volta ci aveva
scherzato, con Volcana, ma lui poteva davvero sintonizzarsi con
il mondo microscopico...
Altro cenno della mano.
Il laghetto verde/nero ribollì, ma non successe altro
–com’era possibile?? Il potere di Molecola derivava dallo stesso Cubo
Cosmico, e non c’era nulla al mondo che potesse...
L’aria stessa esplose davanti ad Owen Reece,
proiettandolo con forza diversi metri indietro. Tale fu la forza dell’attacco,
che il super-essere passò dalla sorpresa allo svenimento nello stesso momento.
Il laghetto iniziò a ribollire con più forza.
Una mano artigliata emerse dalla superficie
viscosa!
Episodio 10 - Le ceneri della Fenice (II Parte)
Frammenti di vita dal notiziario della CNN.
Schermata: un giovane impomatato dal volto pallido
nonostante il trucco, gli occhi rossi e i capelli di una brutta notte di sonno
tenuti giù da generoso gel. “...e la situazione del mercato interno non sembra
stare migliorando. Oggi il Dow Jones ed il NASDAQ hanno perso altri 5 punti in
quella che ormai è una cascata al ribasso. L’incertezza domina nei mercati. I
piccoli risparmiatori vendono quello che possono, non sapendo se un giorno
saranno le loro stesse città a subire la sorte di Phoenix, Arizona...”
Schermata: un uomo in giacca kaki senza maniche con il
logo CNN su un taschino al petto. La pelle è abbronzata dalle settimane di
esposizione al sole del deserto. Dietro di lui si intravede un’antenna
parabolica. Sullo sfondo, colline brulle color ocra. Nel microfono che stringe
a sé quasi fosse un talismano, dice “...a Baghdad la situazione si sta facendo
a dir poco incandescente. Saddam Hussein dichiara che se gli Stati Uniti ancora
dovessero persistere con la loro politica guerrafondaia a scapito dei loro
stessi connazionali in grave bisogno, allora il mondo intero avrebbe la prova
della fame di petrolio a danno dei Paesi Arabi...”
Schermata: un’anchorwoman di colore con indosso un
impeccabile completo color crema. La cura della sua figura, dai capelli alla
pelle senza rughe, non riesce a nascondere un leggero tremolio nella voce. Non
è studiato, ma le farà comunque guadagnare molta popolarità fra gli spettatori
a casa. “...dei morti, ormai, è stimata oltre le 700.000 unità. L’evento, ricordiamo,
ha colpito poco prima dell’alba, quando la maggioranza della popolazione era a
casa, a...dormire. E in questa tragedia, il nostro pensiero va alla nostra
corrispondente Carmen Twohawks ed al suo staff, di cui ancora non si hanno
notizie. Dio sia con voi, ragazzi.”
Schermata: Mr. Fleischer, il Portavoce della
Casa Bianca. Sembra un irreale manichino, tutto impomatato e curato come fosse
pronto per una conferenza ad un cocktail party. Invece, si trova nella fossa dei
leoni. Davanti al podio, la sala è letteralmente gremita di giornalisti di
tutte le testate ed etnie che lo spazio euclideo potesse contenere. L’aria è
viziata nonostante i condizionatori vadano al massimo, la tensione è palpabile.
Mai come in questo momento, l’uomo si trova a pensare agli ospiti come ad un
allucinante branco di squali che abbia fiutato la più ricca preda. Persino i
loro occhi sembrano istupiditi per la brama.
L’uomo si schiarisce la gola. “Dunque...Per
cominciare, evitate di fare domande fino a quando non avrò finito, OK? In risposta
alla crisi di Phoenix, il Governo ha mobilitato ogni mezzo disponibile della
Guardia Nazionale, della Marina, dell’Aviazione e dell’Esercito. E non mancano
le offerte della popolazione civile da ogni dove negli USA e nel mondo. I primi
rifugiati sono già stati portati al sicuro negli accampamenti siti alla
periferia. Grazie al prezioso contributo della comunità dei super-esseri, sono
già stati tempestivamente recuperati molti sopravvissuti fra i più ostili cumuli
di macerie. Ed è sempre grazie ai super-esseri, che le nostre squadre di
decontaminazione ambientale hanno potuto lavorare al meglio per contenere i
danni causati dalla distruzione delle fabbriche di prodotti chimici ed
industriali. Il Governatore Hull sta bene, e dirige le operazioni in armonia
con la Guardia Nazionale dalla sede provvisoria del Governo a Fort Huachuca. E
no, non abbiamo alcuna intenzione di dare retta alle lagnanze dei Luciferi
sulla pericolosità dei super-esseri. Anzi, diversi si sono offerti per le operazioni
di soccorso e lo sa Dio se abbiamo bisogno di loro in una situazione di simili
proporzioni, per salvare quante più vite umane nel più breve tempo possibile.
Ora, per quanto concerne il programma economico...” finita ‘sta storia, si
sarebbe dato malato per almeno 1anno!
La sua città era stata distrutta. Rasa al
suolo, appiattita come una frittata. In un istante, una prospera comunità di un
milione di persone era stata trasformata in un angolo dell’inferno. Nonostante
la maggior parte dei morti fosse rimasta intrappolata sotto le macerie, ce ne
erano abbastanza, in strada, da ammorbare l’aria insieme al fumo degli incendi.
Le mosche, belle grasse e lucide, enormi, sembravano essere spuntate fuori dal
nulla in nuvole oscene, rabdomanti viventi delle prede più ghiotte. I ratti si
muovevano indisturbati, cantando a festa, arditi, fra le strade che non erano
più, in un paesaggio diventato alieno.
E quello era il meno peggio.
Una nuova stirpe di mostri era sorta dalle macerie.
Mostri umani.
Qualunque ombra, qualunque cancro dell’anima la
civiltà e la morale riuscissero a tenere sotto controllo, il megasisma li aveva
liberati. Forse non tutti i sopravvissuti erano ridotti alla strana tribù che
ora circondava in silenzio il furgone della CNN, ma di sicuro non sarebbero
venuti in soccorso dello staff assediato.
Questi
sopravvissuti, uomini e donne, e ragazzini, avevano gli occhi iniettati di una
strana luce. Alcune delle loro ferite al volto erano chiaramente entrate in
suppurazione, ma non sembravano curarsene. Stavano seduti, a gambe incrociate,
sorridendo come ebeti, un filo di bava dalla bocca. Scandivano i secondi
battendo ritmicamente al suolo dei pezzi acuminati di metallo.
Avevano scandito quel ritmo infernale per tutta la
notte.
“Cosa stanno aspettando?” fece Edward Lazinsky,
senior dello staff. Aveva perso la sua lieve pinguedine, e con i capelli ancora
più scarmigliati del solito, sembrava la caricatura di uno scienziato pazzo.
Dei graffi attraversano le gambe coperte solo da un paio di shorts.
“Aspettano che usciamo,” rispose Tom Billings,
il cameraman e più giovane membro dello staff. “Ci vogliono mangiare, ne
sono sicuro...oddio...”
Geoffrey Hornset, l’autista, un uomo calvo come una palla da biliardo, che si riteneva
ferrato a tutto, avendo portato quel furgone in numerose zone di guerra in
Africa e nei Balcani, esitò nel dire, “Ragazzino, risparmiatele queste
sciocchezze.” Ma voleva solo impedirgli di cadere nell’isteria. La verità era
che lui stesso non aveva mai visto un simile comportamento. Quella gente era
come posseduta, e la fame nei loro occhi era inequivocabile...Se
anche non li avessero mangiati, potevano fare loro molto di peggio...
“Non possiamo stare qui per sempre, comunque. Visto che, a parte quei poveri
pazzi, il quartiere è deserto, dobbiamo tentare la fuga. Non è che siamo
disarmati, giusto?”
Carmen Twohawks
smise di guardare dal finestrino, e quasi diede un morso all’uomo. “Ci sono già
stati abbastanza morti, Geoffrey! Conti di sparare a tutti quelli che
incontreremo sulla strada?”
Lui levò le mani a difendersi. “Oh, calma! Se hai
un’idea migliore, allora tirala fuori! Abbiamo già dovuto fare i nostri bisogni
nei pantaloni, e c’è una puzza insopportabile. Abbiamo finito l’acqua e il
cibo, e perdio...”
“Guardate!”
L’urlo di Tom era
indubbiamente di gioia. L’intero staff si precipitò al finestrino, facendo
quasi a botte per la migliore visuale. “Dio ti ringrazio,” disse Ed.
I folli stavano cercando di
attaccare un nuovo arrivato, la loro unica speranza –un giovane muscoloso,
atletico, che indossava un costume interamente nero con mantellina nera,
coperto in parte come da un’armatura leggera. Era naturalmente una battaglia
persa in partenza...per i folli. Loro erano almeno una dozzina, ma scoordinati,
istupiditi. Fu un gioco da ragazzi, per l’eroe, stenderli uno dopo l’altro con
un paio di pugni e calci bene mirati.
Quando ebbe finito, il
portello laterale del furgone fu aperto, e lo staff maleodorante della CNN ne
venne fuori.
“State tutti bene?” chiese
l’eroe.
Carmen riuscì a ricomporsi
per quanto la dignità glielo concedesse. “Immagino di essere in debito, mr..?”
L’eroe sorrise –l’unica
espressione visibile sotto una maschera che copriva tutta la testa fino al
naso. “Black Marvel basterà, Miss Twohawks. La vostra attrezzatura funziona?”
Decisamente non era la
domanda che lo staff si aspettava, a giudicare dalle loro comiche espressioni.
Tom fu il primo a riprendersi. “Uh, sì. Abbiamo questa videocamera di riserva,
e altro materiale per piccole interviste, e un laptop...”
Black Marvel indicò dietro
di sé con un pollice. “Portateli con voi. Da quella parte, è stata eretta una
tendopoli dove troverete quello che serve per una completa assistenza. Ci sono
pattuglie di elicotteri alla ricerca di sopravvissuti, e con un po’ di fortuna
vi troveranno a metà strada, ma dovrete camminare allo scoperto. Registrate
tutto quello che potete, sarà una testimonianza preziosa...Oh, e non perdete
tempo a cercare qualche genere di conforto. Non troverete un solo negozio in
piedi.” Detto ciò, saltò via con l’agilità di un puma, sparendo presto dietro
le macerie.
“Eroi!” fece Carmen,
tornando nel furgone. Non che avrebbe trovato l’ombra di un accordo con le sue
considerazioni in generale sui super-esseri, ma per gli altri bastava che la
‘Lady di Ferro’ avesse ritrovato il suo carattere, e quando lei assegnò i
ruoli, furono tutti felici di obbedire.
La desolazione. La
terribile desolazione.
Jack Ironhoof avrebbe dato tutto almeno
per potere sentire dei lamenti, qualunque cosa che testimoniasse una briciola
di vita nella sua città. Invece, quando finalmente giunse a casa, i soli
frammenti di vita nel raggio di chilometri erano lui e il suo singolare
‘paladino’, il teriomorfo guerriero di nome Puma.
Casa? No, che parola
assurda, per descrivere l’informe cumulo che gli stava davanti...Ma non
importava. No, quello che importava era che non ci fosse sua figlia, fra quelle macerie
fumanti!
Puma, che fino a quel
momento aveva sorretto il Detective della Omicidi, lasciò che l’uomo si
sedesse, mentre lui andava a sondare le macerie. Il suo leggendario fiuto
avrebbe potuto localizzare un singolo essere umano in una città delle
dimensioni di New York. Sarebbe stato molto semplice, trovare una singola
traccia fra quelle rovine...
Guardandolo all’opera, per
la prima volta Ironhoof avvertì una punta di invidia. Quell’essere così simile
a un puma sulle due zampe incarnava la bellezza e le virtù delle creature del
mito, come gliele raccontava suo nonno...Prima che suo padre decidesse che la
vita nella Riserva non faceva decisamente per lui. Puma si muoveva agilmente,
senza alcun timore di slogarsi o rompersi una gamba, e la sua forza valeva
cento pistole...Eppure, quando menzionava le proprie abilità, il guerriero
sembrava amareggiato, come se il suo dono non fosse cosa gradita... “Come?” si accorse
all’ultimo istante del fatto che Puma gli aveva parlato.
“Ho detto che tua figlia
non solo non è fra queste macerie, ma non è neppure passata di qui dal momento
del sisma.”
Jack quasi svenne dalla
gioia. “Signore ti ringrazio...Puma, dobbiamo trovare un campo. Ormai il
Governo dovrebbe avere...Puma?”
La creatura si era
improvvisamente distratta. Le sue orecchie fliccavano in varie direzioni, come
alla ricerca di un suono che solo lui poteva udire...Poi, Puma ringhiò. Un
verso sinistro, di sfida. E già il pelo sulle braccia e sul collo stava
drizzandosi. “Jack, non posso stare ancora con te. Devo andare.”
Lo stupito detective non
ebbe neppure il tempo di chiedere spiegazioni. Poté solo guardarlo correre via
come il lampo.
“Rider..?”
Ma la figura vestita
interamente di bianco non rispose subito al tono preoccupato di Shooting Star, che lo fissava preoccupata.
Colui che era chiamato Phantom Rider si era improvvisamente piegato in due come in
preda a un indicibile dolore. “Sto...bene...” disse, rialzandosi in piedi, ma a
fatica. “Star, c’è una presenza, in questa città. Lo spirito del mio antenato che
mi possiede non si sbaglia: è oscura, malvagia...Dobbiamo combatterla senza indugio.”
La donna fece tanto
d’occhi. “Stai scherzando, dimmelo. Ci sono persone che dobbiamo salvare, se non te ne fossi accorto,
e...”
Ma già il cavaliere aveva
evocato il suo fedele e spettrale destriero, Banshee. Saltò in sella al cavallo
che appartenne al suo antenato. “Persone che moriranno, se non facciamo qualcosa
e subito. Avverti il Super Comando Integrato. Penseranno loro a...”
In quel momento, il
segnalatore alla cintura emise un ronzio. Un attimo dopo, si udì forte e chiara
una voce maschile. “Shooting Star e Phantom Rider, qui parla il Direttore G.W. Bridge da Thunder
Mountain,
mi sentite?”
“La riceviamo forte e
chiaro, signore,” rispose altrettanto chiaramente la voce della giovane donna.
Bridge, un nero dai capelli
ormai interamente bianchi ma dal fisico ancora perfettamente allenato, annuì.
“Abbiamo nuovi dati dai satelliti, eroi. Sta succedendo un qualche casino a sud
della città, dove si trovano...si trovavano i maggiori depositi chimici.” Davanti a lui, uno
schermo mostrava un’attività energetica intensa sulle frequenze luminose.
Cascate di dati accanto all’immagine erano piene di punti interrogativi. “I
sensori non sanno classificare il tipo di casino, e scommetterei che c’entra
qualche magia. I Rangers sono gli unici disponibili con qualche esperienza
in quel campo, perciò mollate tutto e cercate di capire che sta succedendo ed impedite
che succeda. Avvertiremo noi gli altri eroi.”
Bridge era abituato a farsi
obbedire, e la risposta affermativa della donna fu lesta come si aspettava.
“Quanto a lungo ancora
dovrà soffrire, la mia città?” disse l’unica donna presente nella sala, il Governatore
Janet Dee Hull. Reggeva fra le mani l’ennesima tazza di caffè –ormai c’era da
scommettere che la bevanda aveva in tutto e per tutto rimpiazzato il suo
sangue, ma lei non mollava, e non dava segni di stanchezza. Nella catena di
comando, durante la legge marziale, lei era il Comandante in Capo, ma erano i
militari ad esercitare il vero controllo, anche se erano la sua competenza
sulla città, l’intima conoscenza delle abitudini dei suoi abitanti, che le
avevano permesso di coordinare gli sforzi degli elicotteri, i soli mezzi che
potessero per ora atterrare nel cuore del caos.
Bridge avrebbe avuto voglia
di spaccare qualcosa. Era stato mandato lì insieme a un battaglione dello SHIELD
per i primi soccorsi...e non poteva fare niente di più! Era proprio vero, che
le disgrazie non venivano mai da sole: proprio in quel momento, l’Hydra aveva approfittato del
momento di confusione per attaccare in grande stile il QG SHIELD a New York[x].
Per ora, Phoenix non avrebbe avuto altro aiuto da loro...
...Ma erano, per ora, ben
altre le preoccupazioni per un certo supercriminale in cerca di redenzione.
Niente di strano che i
satelliti stessero captando quantità anomale di energia, nell’evento –quell’uomo
era proprio uno dei punti focali di esso!
Owen Reece, alias Molecola, stava facendo del suo
meglio, salvo causare un disastro su scala nazionale, per tenere a freno
l’entità che aveva di fronte –e per quanto impossibile sembrasse, i suoi
attacchi non stavano praticamente avendo effetto!
Reece sapeva di essere
‘vulnerabile’ agli attacchi mistici, ma fino a quel momento non era che una
teoria. Non si era mai trovato di fronte un mistico!
La figura davanti a lui era
una sagoma umana indistinta, avvolta com’era dalle mostruose energie scatenate
contro di essa. E in tutta risposta, la figura rideva. E avanzava. “E non sai fare di meglio,
ometto? Wolverine, lui sì che sapeva combattere, fosse stato anche con i soli artigli!”
La voce era un ringhio
osceno, profondo, di ghiaia infilata nella gola e rimestata a qualcosa di
indicibile.
Molecola era stanco. Non
tanto per la quantità di potere utilizzato –diavolo, poteva quasi competere con
un Cubo
Cosmico-
quanto per l’impossibilità di mantenere la concentrazione. Aveva mescolato gli
elementi della tabella periodica in tutti i modi possibili, aveva generato
energie sullo spettro fino ai raggi gamma, e non era servito a niente!
Alla fine, la figura fu
davanti a lui. Molecola ne vide il volto, e quasi svenne per il terrore...
Una mano artigliata lo
afferrò per la gola, sollevandolo come uno straccetto. “Pfui, che razza di
femminucce vivono in questa cosiddetta ‘era moderna’! Un simile potere per un
esserino come te è sprecato.” La ‘cosa’ sollevò un altra mano, le dita/artiglio
spianate. “Il tuo cuore e il tuo potere saranno un primo pasto decente...”
Molecola chiuse gli occhi.
Il suo ultimo pensiero andò alla sua Volcana –povera ragazza, chissà se avrebbe portato dei bei
fiori al suo funerale..?
Si accorse che quell’’ultimo’
pensiero stava effettivamente durando un po’ troppo a lungo. Sorpreso, aprì gli
occhi, e si accorse di
- essere seduto a terra, e
- che il cielo aveva
risposto alle sue preghiere!
Il nuovo nemico era
umano...almeno nella forma e nella pelle. Vestiva come un guerriero
tribale...ma finiva lì. Perché la ringhiante testa di lupo stringeva fra le
zanne un braccio umano! Sotto la vernice nera che copriva la fronte, gli occhi erano due pozze
ardenti di rosso, senza pupille, malevoli come le zanne della bocca.
Stava acquattato in una
posa che rispecchiava bene quella del salvatore di Molecola: Karshe, il lupo mannaro e
sciamano-guerriero!
“Ci si rivede, cane,” disse il mostro,
soddisfatto. “Potrei persino risparmiare la vita di quell’inutile ometto, visto
che è servita a fare arrivare te.”
Concentrato sullo scontro
imminente, Karshe si guardava bene dal mostrare una qualche sorpresa alle
parole del suo avversario –perché una cosa era certa, lo conosceva per la sua
sinistra fama, non certo per averlo mai incontrato!
“Allora,” disse la
creatura, “dove sono i tuoi amici? Ricordo bene quanto siate inseparabili, voi
branco di esseri inferiori. Questa volta, mi rifarò dell’umiliazione che mi
avete inflitto!”
Il potere che emanava lo
sciamano Siksika era grande...quanto familiare. Il mana di ogni mistico possedeva un’impronta unica,
e Karshe poteva affermare con certezza che il suo nemico era imbevuto del
potere di un altro mostro che i Rangers conoscevano bene...
Un rombo nel cielo spinse
il mannaro a fliccare le orecchie, ma la concentrazione tenne.
Neanche il mostro si era
distratto. “Magnifico! Sono qui! Un pubblico ideale, per finire te per primo!”
La mossa era praticamente
telefonata, ma Karshe ne fu preso di sorpresa dalla potenza. Il nemico gli arrivò
addosso come un treno merci in corsa, un treno merci coperto da un fuoco che
ustionava non le carni ma l’anima stessa!
Il mostro colpì e colpì con
gli artigli, ferendo Karshe, ma senza potere penetrare l’aura stellare di
Karshe. Avvinghiati l’uno all’altro, i due avversari terminarono la corsa
contro un cumulo di macerie, nel quale affondarono per oltre un metro.
Il futuristico SJ-X0 nero dei Rangers restò
sospeso a mezz’aria sul propulsore verticale. Sotto il muso, si aprì un
portello, e ne vennero fuori Texas Twister e l’imponente Aquila Americana.
“Perdio, quando lo SHIELD
dice ‘emergenza’ mica scherza, nevvero?” fece il texano, aiutando Molecola a
rimettersi in piedi. “Tutto bene, carciofo?”
Un tempo, Reece avrebbe
polverizzato quella lingualunga per quella battuta. Invece, disse, “Occupati
del tuo amico, piuttosto! Non lo vedi che...” fu interrotto da una poderosa
esplosione!
Le macerie furono dissolte
come polvere, e ne vennero fuori due specie di comete, una azzurra e una rossa.
Quando atterrarono una di fronte all’altra, presero le forme dei due
contendenti.
Karshe, il pelo coperto di
graffi sanguinanti, ansimava –il dannato sapeva usare bene il potere donatogli dal suo
nuovo padrone. “State indietro tutti, quest’essere è troppo potente per voi!”
disse, senza staccare gli occhi di dosso al nemico.
“’Questo’ chi?” fece Twister, già
avanzando verso di loro.
“Lupo
Assassino,
ecco chi,” fece Puma spuntando dietro di lui. Twister si voltò, e vide che
erano arrivati anche gli altri Rangers.
Aquila Americana disse,
“Uno sciamano Siksika, dedito al culto dell’Avversario. Usiamo il suo nome per
spaventare i bambini riottosi. Ma so che era morto, secoli fa.”
“Idioti!” sibilò Lupo
Assassino, “Come disse il mio primo padrone, la morte non è che uno scherzo,
una finzione! Non potevate costringermi in quello stato per sempre!”
Karshe disse, “E’ imbevuto
del potere di Jack Lanterna. È lui che serve, adesso.”
“Uno scambio conveniente,”
disse Lupo Assassino. “Il Danzatore del Silenzio non ha mai saputo fare più
che blaterare vuote promesse, usandomi a sua convenienza, mentre adesso...”
Levò un braccio. Gli artigli si accesero di luce rossa.
Risposero al suo silente
richiamo. Emersero dalle macerie, dal suolo, si animarono, si mossero persino
se mancavano loro le gambe, strisciando come orridi vermi.
I morti del sisma. Privi
delle loro anime, erano ora schifosi burattini obbedienti, i volti contorti
nello stesso rictus odioso di Lupo Assassino.
Durò poco. Imbevuti del
volere del loro padrone, le loro fattezze distrutte si ripararono, gli abiti
cambiarono foggia e colore, le loro fronti si tinsero di nero...
“Date il bentornato ai miei seguaci, infedeli!” rise
lupo Assassino. Il rapporto numerico era ora decisamente cambiato, e gli eroi
erano circondati da un’intera tribù di Siksika rinati!
“Sì, avevo proprio voglia
di dir loro...addio!” fece Twister, concentrandosi...
E non successe niente!
“Dammene atto,” fece
Molecola, “lo avrei già fatto, ma la magia di quel mostro impedisce di
‘sintonizzarsi’ sulle molecole. Benvenuto nel club, peldicarota.”
“Vendetta sarà mia!” urlò
lo sciamano diabolico, e calò il braccio.
Come un sol uomo, i
guerrieri rinati si gettarono sul gruppo.
“Vediamo se può impedire ai
fotoni, di sintonizzarsi!” La
risposta di Shooting Star fu spettacolare! Dalle unità ai polsi, concepite e
costruite da suo padre, il primo Fotone, partirono due getti di luce solida che si unirono e formarono
un ariete. La prima ondata fu
facilmente sbaragliata!
Puma ruggì, e concentrò la
sua volontà nei suoi artigli, che brillarono di arcane energie. Un colpo solo,
e già due dei guerrieri Siksika furono esorcizzati dal terribile potere che
faceva di lui il Campione della Morte!
Aquila Americana decise di
collaudare il nuovo tomahawk creato dal padre di Shooting Star. Lo estrasse dal
fianco e lo lanciò con un solo gesto. Subito dopo, l’arma si carico di energia,
e falciò le file nemiche come una cometa rotante. I guerrieri che riuscirono ad
arrivare fino a lui furono tenuti a bada dalla sua forza degna di quella del
mutante Colosso. Purtroppo, si rivelò subito uno spreco di forza, perché le ferite si rimarginavano
subito dopo essere state inflitte!
Phantom Rider, postosi a
difesa di Texas Twister, li abbatteva senza sforzo con i proiettili astrali
delle sue Colt. Appena venivano colpiti, i guerrieri riprendevano le originali
sembianze cadaveriche, e cadevano per non rialzarsi.
“Corrompere il riposo dei
morti!” esclamò Karshe, impegnato in un duello serrato con Lupo Assassino,
artigli contro staffa. “Se ci fossimo già incontrati, ti avrei trascinato
personalmente nelle braccia del Re del Dolore, demonio!”
“Sogna pure, cane. Quando
avrò finito con te, ti resteranno solo gli incubi!”
Lupo Assassino era veloce,
molto più di un uomo, ed abbastanza forte da tenere Karshe in un angolo...Ma i
suoi attacchi erano tanto aggraziati quanto quelli di un vecchio grizzly. La
parte più difficile era trovare il momento esatto in cui avrebbe abbassato la
guardia...come...
Ora!
Karshe fece per parare, con
la staffa...ma la dissolse un attimo prima che gli artigli di Lupo
l’incontrassero. Non aspettandosi tale mossa, lo sciamano fu proiettato in
avanti dalla sua stessa inerzia.
Contemporaneamente, Karshe afferrò
la mano di Lupo, e fece scattare la zampa in alto, a colpirlo in pieno stomaco
con gli artigli!
Lupo Assassino urlò, e si
irrigidì istintivamente –proprio quello su cui il campione dei Cheemuzwa contava! Un secondo calcio
della zampa, e il nemico fu a terra con un nuovo, profondo squarcio stavolta
nel fianco. Non sangue colava, ma il familiare fluido ectoplasmatico
caratteristico di Jack Lanterna.
Karshe approfittò della
pausa per pronunciare un breve canto, gesticolando all’indirizzo di Texas Twister.
Il texano si sentì percorso
da un familiare formicolio. “Yeah, vai così pelosone!” sogghignò, tendendo le
braccia. “Ora, cosa stavo dicendo, a proposito degli addii..?”
La figura di Lupo Assassino
fu travolta da un vortice di venti a 100 m/s! Fu scaraventato in aria come una
palla di cannone.
“Ottimo!” commentò Karshe
“Mantienilo così ancora un istante.” Ricreò la staffa, e questa volta ad una
estremità vi fece apparire una doppia punta frastagliata.
Karshe tese il braccio, e
scagliò la lancia stellare con tutta la forza e la precisione che il suo corpo
e l’occhio possedessero!
Lupo Assassinò urlò
un’ultima volta, prima di venire colpito in pieno! L’oggetto mistico si infilò
nella sua bocca, e una volta nel corpo, esplose. Il corpo di Lupo
Assassino fu dilaniato, ridotto a brandelli ectoplasmatici.
I guerrieri Siksika
tornarono all’istante ad essere semplici morti.
“Però,” disse Molecola.
“Una cosa buona l’ha fatta,
quel mostro,” fece Twister, i pollici infilati nella cintura. “Almeno, ci ha
risparmiato la fatica di riesumare quei poveri cristi prima che si
decomponessero. A proposito, K, lui è morto morto, vero? Voglio dire...”
“Una creatura di magia?”
fece Karshe, scuotendo tristemente la testa. “Non era neppure vivo, era solo un simulacro
vivente, come quando l’Avversario lo possedette la prima volta. Era debole, e
Jack Lanterna doveva saperlo: è stato mandato qui per distrarci, ma da cosa,
temo che lo scopriremo presto.”