PROLOGO: Isola di Santuaria, Oceano Atlantico del Nord
La schermata si aprì col classico effetto-neve, il suono dell’etere cosmico…
…Poi, scintille esplosero, dapprima a intervalli distanti, poi sempre più ravvicinati, in un pattern che sempre meno aveva del casuale… Mentre delle voci si facevano largo nel rumore di fondo.
“Collegamento attivo!” Il sollievo era quasi palpabile, ma presto ben altri toni si fecero largo nella comunicazione. Toni di tristezza, di dolore, nonostante le prime immagini suggerissero ben altro contesto.
Immagini di una fiorente, immensa città dalle architetture aliene, in un cielo così azzurro da essere quasi bianco, sotto la luce combinata di un sistema binario.
“Cavalieri. Quella che vedete è Thule, la prima città eretta dai Nuovi Uomini sul mondo di Wundagore, in orbita intorno al sistema di Sirio, nella costellazione che conoscete come Cane Maggiore.”
Zoom sulla città, sui suoi abitanti, tutti animali antropomorfi, tutti impegnati nella loro vita quotidiana. “Noi siamo la terza generazione discesa dai colonizzatori che lasciarono la cittadella di Wundagore, in cerca di un mondo dove prosperare, dove essere liberi, indipendenti.”
Zoom. Indietro. Fino ad inquadrare il pianeta nella sua interezza, un mondo senza lune, un mondo verde e azzurro punteggiato da piccole masse continentali e ampi sistemi nuvolosi.
Masse continentali su cui improvvisamente sbocciarono i mostruosi fiori infuocati di armi di distruzione di massa! Il paradiso divenne inferno in pochi minuti.
Le città giacevano in rovina, la gente un tempo prospera si trascinava tra macerie infuocate, gli abiti a brandelli, i corpi strinati, ustionati, mutilati… “Il nemico ha attaccato senza preavviso, ma il suo scopo non era di estinguerci, bensì di conquistarci.”
Stacco su una camera, una struttura così grande da contenere uno stadio. Più che adatta ad ospitare centinaia di prigionieri, immobili nei loro cilindri pieni di liquido nutriente.
Zoom su un cilindro. Su una tigre che sembrava dormire. I microled di apparati elettronici fissati al suo cranio lampeggiavano senza sosta.
La tigre aprì gli occhi! E se gli occhi erano lo specchio dell’anima, dietro quello sguardo vuoto più nulla di intelligente sembrava risiedere in quel corpo.
“Il nemico ha un nome, Ixar. E ci vuole usare come suoi soldati per la propria guerra. Siamo le sue armi, e nulla più. Non ascolta ragioni, non conosce pietà. I suoi giganti, gli ultroidi,” stacco sulle colossali sentinelle corazzate che impassibili vegliavano sulle rovine “si sono dimostrati invincibili alle nostre armi.”
Stacco su…un gatto. Un Norvegese in armatura, anche se a vederlo non sembrava averne bisogno. “Io sono Sir Cator, e guido l’ultima, disperata resistenza contro coloro che ci hanno rubato la libertà. Ci appelliamo a voi perché la Terra ha respinto le più terribili minacce cosmiche, i suoi guerrieri non sono secondi a nessuno. In preda all’orgoglio vi lasciammo. Umilmente chiediamo soccorso a quell’umanità che abbiamo disprezzato, prima che nulla della gloriosa stirpe di Wundagore rimanga.”
Fine della trasmissione.
MARVELIT presenta
Episodio 16 – Campo di Battaglia: Santuaria!
(侵入! 戦場:サンツアリア)
Di Valerio Pastore
“Oookay, che mi sono perso?” Nel silenzio generale che seguì alla trasmissione, la domanda di Winthrop Roan Jr. riuscì ad attrarre l’attenzione come un colpo di pistola. Insieme agli sguardi indignati dei quattro professori che dirigevano la base dei Shogun Warriors.
Winthrop fece spallucce. “Che c’è? Voglio dire, da quale universo proviene quella trasmissione? L’ultima volta che mi avete fatto venire il mal di testa a forza di studi, Sirio non aveva alcun pianeta. E se lo avesse, ormai lo avrebbero rilevato, no?”
Fu l’algida Dott.ssa Sherna a rispondere, a lui come agli altri piloti radunati in sala riunioni. “Hai detto bene, Reddy: rilevato.” Al centro del tavolo, si accese un ologramma del sistema binario in questione…e del corpo lampeggiante che si muoveva lungo un’orbita eccentrica. “Quello di Ixar era un nome che speravamo di non sentire mai più: la sua gente costruì quel mondo come fabbrica di materiale organico per i suoi soldati, durante una guerra così lontana nel tempo da essere stata dimenticata dalle maggiori civiltà stellari. Un mondo nascosto dai più raffinati sensori.
“Ixar era l’ultimo leader della propria fazione, e non conosceva altra via che la ricerca della vittoria finale: ormai quella guerra era diventata lo scopo esistenziale dei suoi contendenti, al punto che Ixar sostituì gli ultimi sopravvissuti coi mutaforma ultroidi, capaci di assimilare i poteri e le caratteristiche dei loro avversari…ma ugualmente fallì.”
Tambura, il più anziano dei quattro, continuò l’esposizione. “Ixar giunse sulla Terra, anni fa, per rapire i Vendicatori e farne matrice per i suoi ultroidi, ma venne sconfitto e fuggì alla ricerca di nuove armi. Il che ci fa capire che anche il suo avversario dev’essere ancora operativo.”
“E questo è molto male, vero?” chiese Leonard Wrench. “Insomma, se questo Ixar ha un conto in sospeso con noi, potrebbe decidere di portare lo scontro sulla Terra anche solo per preservare il suo pianeta—“ fu interrotto da un ringhio gutturale: “Il nostro pianeta.”
E tutti si voltarono a guardare verso l’enorme femmina di Grizzly in armatura e mantello che presenziava la riunione. “Wundagore è il mondo dei Nuovi Uomini, Ixar lo abbandonò in rovina, un deserto a stento aggrappato alla vita, e la nostra tecnologia lo ha restituito al suo splendore. Quel folle guerrafondaio non ha diritto di reclamarlo, non ha diritto di usarci per i suoi scopi!”
Il corpulento Charn esalò uno sbuffo di fumo dalla sua pipa. “E non lo farà. Quanto ha detto Hebb è vero: appena le forze in campo saranno pronte a continuare, il conflitto tornerà ad estendersi. I Lumina trovarono interi sistemi ridotti in rovina, le loro armi fortunatamente inutilizzabili, ma se i nostri antichi nemici oggi forgiassero un’alleanza con Ixar o con il suo nemico, in entrambi i casi la catastrofe diverrebbe inarrestabile.”
“Sempre che quel messaggio sia genuino,” disse El Lobo, le braccia incrociate al petto. “Magari è una bella trappola confezionata ad arte per arrivare a noi.”
“Il messaggio era diretto a Wundagore,” rispose l’orsa. “E solo a noi. E’ arrivato tramite il subspazio, ed è di poche ore fa. Ed è possibile che sia una trappola, ma se lo è, scopriranno di avere sbagliato preda.”
“Ci dispiace di non potere partecipare a questa impresa,” intervenne la Consigliera del Popolo dal pelo rosso sangue, “Ma ora la nostra strike force è occupata in missione, e i suoi rincalzi devono restare sulla Terra. Per questo abbiamo pensato a voi, quando la cittadella di Wundagore ci ha contattato per avere aiuto dai Nuovi Uomini che risiedono presso di noi. Ci fidiamo di voi, e le vostre formidabili armi sono più che idonee allo scopo, anche se ciò significherà lasciarci da soli.”
“E…come intendiamo arrivare fin lì?,” disse Judith Johns, “Io non sarò qui da molto, ma nessuno ha mai parlato di un teletrasporto interstellare.”
“Non è esatto,” intervenne, sibillino, il più giovane dei Professori: Basque. “Voglio dire, non abbiamo bisogno del teletrasporto, e questa missione si prospetta lunga…” Poi, all’orsa, “Lady Ursula, “Quanti Cavalieri potranno venire con noi in questa missione? Consigliera?”
Ursula sfoderò un sorriso feroce. “Quanti ne volete, quando volete. A patto che la Cittadella sia protetta in nostra assenza.”
“A quello penseremo noi,” annuì la Consigliera. “Non dovrete temere, rispetteremo il nostro patto. E faremo teletrasportare qui quanti guerrieri vorrete.”
I professori si alzarono in piedi, imitati dai piloti. “Allora raduniamo le forze,” disse Tambura. “Avviare preparativi. Partenza tra sessanta minuti.” E ai piloti, “Ci dispiace non avervi detto tutto sulla nostra base, ma era necessario che nessuna informazione indebita venisse estratta dalle vostre menti in caso di cattura. Senza offesa.”
“Si figuri…” fece James McDonald, ancora un po’ confuso. Tutti loro pilotavano super-robot capaci di andare nello spazio, e alcuni di loro ci erano stati. Ma ora si faceva dannatamente sul serio…
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“Georgianna Sue Castleberry! Non sei mai mancata ad una tua festa di compleanno da che sorge il sole, ed ora hai intenzione di deludere i tuoi soli zii?”
Le dispiaceva molto di non potere neppure parlare con un ologramma di zia Winifred, ma era già molto che quest’ultima avesse accettato di usare uno smartphone per vedere la sua unica nipote.
“Mi dispiace davvero, zia Winnie, ma ho una…trasferta imprevista, e lunga. Ma io e Leonard cercheremo di esserci per il Ringraziamento.” Ed era davvero dispiaciuta. Dispiaciuta di stare lontana dalla sua famiglia, dispiaciuta di non potere fare sapere loro quale fosse il suo vero ‘lavoro’… Ma come facevano i supereroi a vivere una doppia vita!?
La donna di colore sullo schermo sbuffò indignata. “Avresti dovuto sposare quel bravo ragazzo dei Thompson. Lo sapevi che il suo negozio è ancora in piedi? Potevi avere una posizione sicura e tranquilla a casa tua, e invece ti impiastricci con questi progetti governativi da comunisti… E quando ti decidi a sfornarmi un nipotino? Gli anni passano anche per chi lavora col Governo!”
Ci fu come una breve colluttazione, poi il telefono cambiò rapidamente mano. “Ehilà, passerotto.”
“Ehilà, zio Tom.”
L’uomo sullo schermo sorrise. A differenza della moglie, il suo volto era già una valle di rughe come la corteccia della solida quercia che era. “Continua a fare la spiritosa, signorina. Scusa Winifred, lo sai com’è fatta…ma devo avvertirti: ha già terminato il corredino e preparato la nursery. Se vuoi bene a tuo zio, vienile incontro. Insomma, dai soldi che ci mandi direi che ne hai abbastanza per ritirarti quando vuoi, no?” E quello era l’argomento preferito di zio Monte, che aveva imparato a saper gestire i suoi risparmi fin dal suo proverbiale primo cent.
Georgianna li adorava entrambi. I suoi genitori erano una cifra sconosciuta, così come quelli dei suoi cinque compagni di quando erano il Team America –ok, fatta eccezione per il padre di Reddy e Marcia. E non era sicura di quanto per loro fosse una fortuna…
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E a proposito…
“Dici che dovremmo?”
“Io dico che se componiamo il numero, ci morde.”
Sedevano sul letto di lui. Fissavano con una certa apprensione il terminale sulla scrivania.
“Sono d’accordo,” disse Winthrop. “Ma se ci succede qualcosa, non ne soffrirebbe sapendo che non—“
Senza staccare lo sguardo dal terminale come se fosse stato davvero una bestia pronta a morderli, Marcia lo interruppe con, “Fratellone, seriamente: quand’è l’ultima volta che vi siete sentiti?”
“Non lo ricordo più.”
“E che succede se lo chiamiamo?”
Winthrop sospirò. “Ci farà il contropelo. Cercheremo di dirgli qualcosa e lui ci paragonerà ad Herb. Uno di noi due chiuderà la comunicazione e l’altro getterà il monitor contro lo schermo.”
“Io dico che se schiattiamo, almeno saremo vendicati: Herb trasformerà il nome di famiglia in fiumi di inchiostro in un mare di cambiali.”
“Mi pare divertente.” Winthrop si alzò in piedi. Mancavano quaranta minuti alla partenza, aveva una voglia pazza di farsi una corsa in moto sull’isola, ma gli ordini erano tassativi: niente ora d’aria, e i loro file ed effetti personali erano già stati trasferiti nei loro nuovi alloggi…ovunque si trovassero. “A quest’ora dovrebbero stare arrivando i Cavalieri di Wundagore, che ne dici se andiamo a fare conoscenza?” L’occhio gli cadde sul blocco da disegno su cui sua sorella stava facendo volare la matita. Lo schizzo di pochi minuti prima era già diventato un’opera completa. “Cos’è?”
Marcia gli porse il blocco. “La nostra base. Insomma, è chiaro che ci troviamo in una specie di astronave, no? E stando alla pianta della base, potrebbe assomigliare a questa!” Per la precisione, ad una specie di montagna con un mostruoso propulsore, una fila di teschi ghignanti su un lato e delle teste serpentine di drago che spuntavano da dei fori laterali.
Winthrop le ridiede il blocco. “Sul serio?”
“Maddai, è fichissima! Una ragazza non può sognare?” E in quel momento, la loro attenzione fu catturata da un messaggio all’interfono. “Attenzione, a tutti i piloti!”
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“Dirigersi verso il più vicino ascensore. Mancano 30 minuti al termine delle fasi di preparazione. Attenzione, a tutti i piloti…” In qualche modo, il messaggio fu udito anche dai tre originali piloti degli Shogun Warriors: Richard Carson, Genji Odashu e Ilongo Savage erano nell’’officina’, l’immane hangar al livello più basso dove erano ospitati i potenti super-robot.
Goshogun fu l’ultimo a cui furono applicate le morse, riempiendo l’aria di tuoni metallici. Poi la piattaforma che lo reggeva cominciò a scendere, mentre aspettavano il loro turno le macchine che, assemblate, avrebbero composto dei robot. Tra di esse, le loro Getter Machine.
“Buffo,” disse Richard, mentre si staccavano dalla ringhiera per dirigersi alla porta. “Ho sempre sperato di trovarmi in una bella avventura spaziale, e adesso che stiamo per partire mi sento la tremarella alle ginocchia.”
“E’ l’eccitazione,” disse Genji. “Sarà la nostra più grande impresa. Questa volta non combatteremo delle piccole scaramucce in un mondo indifferente, questa volta combattiamo con uno scopo, per un intero popolo.”
“Credevo che combattessimo già per la pace,” disse Ilongo. Il trio arrivò alla porta scorrevole, che si aprì con un sibilo. Nonostante la base non fosse mai affollata, oggi si percepiva come un senso di vuoto.
Le porte si chiusero. Prima che la mano di Richard andasse alla pulsantiera, l’ascensore…scese. Prevedibilmente, ma era comunque la prima volta che si addentravano in una zona sconosciuta della loro ‘casa’.
“E continueremo a farla,” rispose Genji. “Ma questa impresa farà suonare il nostro nome tra le stelle.”
“E’ questo che mi preoccupa,” borbottò Richard -I Fantastici Quattro avevano svegliato una Sentinella Kree, e da allora la Terra si era trovata al centro di fin troppe attenzioni. Se gli Shogun Warriors avessero cannato questa trasferta, i loro nomi sarebbero stati maledetti da ogni terrestre fino alla fine dei giorni… –Diamine, dobbiamo essere parecchio sottoterra; quando si fermerà questo--*Ding* La porta si aprì su un corridoio, dove gli altri piloti stavano già attendendo.
Le porte si chiusero dietro il trio.
-Attenzione- disse una voce femminile con una lieve inflessione elettronica, abbastanza da capire che non era umana, abbastanza naturale da non dare i brividi. –Da questo momento ogni accesso alle infrastrutture superiori è precluso ad ogni membro dell’equipaggio, senza distinzione di rango. Benvenuti a bordo, piloti, io sono Iside, l’IA che gestisce questa nave.”
‘Cowboy’ si levò il cappello. “Uh, piacere, credo. Dove dobbiamo andare?”
In risposta, si accese una striscia di luce sul pavimento nero. -Prego, seguite l’indicazione.-
“Niente tapis roulant?” fece Lobo, mentre si incamminavano.
-Quello è disponibile in caso di necessità. L’equipaggio di Santuaria non è composto di pigroni.-
Lobo ridacchiò. “Sei sfacciata. Mi piaci.”
“Hai parlato con Rover?” chiese Honcho. Il lupo geneticamente modificato dall’Hydra era stato per parecchio tempo la loro mascotte, e Lobo gli si era molto affezionato. E da poco tempo, Rover si era trasferito presso Lycopolis[1], per vivere al sicuro…
Lobo si adombrò. “Per dirgli cosa? Ciao bello, come stai? Parto per una missione che non so quanto durerà, e se va bene ne uscirò vivo, sennò morirete tutti. Ah, e mi mancherai. Hmph, la vedo male come ultima conversazione.” E non disse altro. E nessuno lo contestò.
Alla fine del corridoio, un’altra porta si aprì…
…e si trovarono su una camminata che dava sull’hangar principale –una struttura che o doveva coprire una porzione importante della nave o la nave era molto più grande di quanto avessero pensato. Le piattaforme stavano scaricando gli ultimi veicoli. I robot erano sdraiati, saldamente fissati ai loro supporti, sulla pista a più livelli, dove degli slot erano riservati ad altri tipo di veicoli e velivoli…
Ma la loro attenzione fu al momento tutta per i veri nuovi arrivati: non erano certo una folla imponente in quell’ambiente, ma 200 animali antropomorfi in armatura, divisi tra varie specie, non erano esattamente qualcosa che si vedesse tutti i giorni.
Se ne stavano disciplinatamente in fila per dieci, gli elmi sottobraccio, fieri nelle loro corazze ammantellate di rosso, rigidi come statue, a fissare i quattro professori, e Lady Ursula accanto a loro.
Nessuno dei piloti fece la benché minima osservazione, percependo la solennità del momento. Basque fece loro cenno di prendere posto al fianco della colonna dei Cavalieri di Wundagore, e quando ebbero obbedito, Ursula si rivolse a tutti loro. “Cavalieri! Oggi la nostra gente chiede il nostro aiuto. Sapete tutti cosa ci aspetta, e non vi mentirò promettendovi che ne usciremo tutti vivi.
“Questo è un nemico diverso da tutti quelli finora affrontati, ma con l’aiuto degli Shogun Warriors, ne avremo ragione. Noi siamo nati per sconfiggere i nemici più oscuri, laddove questo nuovo nemico si nasconde dietro una scienza perversa. Noi ci battiamo per il trionfo della giustizia, noi siamo la luce! E non importa quante e quali difficoltà attraverseremo, finché un Cavaliere di Wundagore vivrà, la luce scaccerà la tenebre!”
“LA LUCE SCACCERA’ LE TENEBRE!” insieme a quelle roboanti voci, si levarono duecento spade che brillarono come soli sotto le potenti luci artificiali.
Poi il metallo tornò nelle fodere. “In questa missione, ricordate:” indicò i professori “questi umani saranno i vostri superiori, obbedite loro scrupolosamente. E ora raggiungete i vostri alloggi, Cavalieri. Raccogliete le forze, meditate e—“ L’allarme lacerò l’aria!
-A tutto l’equipaggio!- annunciò Iside. –Attenzione! Attenzione! Rilevate numerose forze ostili in rapido avvicinamento.-
Un ologramma si accese a mezz’aria, e tutti si fecero immediatamente un’idea di quel ‘numerose’: il cielo sopra l’Isola del Drago era costellato di colossi antropomorfi! E nel mare non andava meglio, decine e decine di simili creature convergevano da tutte le direzioni verso la parte sommersa dell’isola.
Una ripresa ravvicinata su una delle creature mostrò…una ghignante testa umana posta sulla gola!
Sherna scosse la testa. “E’ la Covata. Come hanno fatto a radunare simili forze senza farsi notare?”
“Non importa! Posso spazzarle via!” intervenne Lobo, il pugno serrato dalla rabbia. “Ce la posso fare pure da solo!”
“E come conti di partire?” gli chiese Basque. “Siamo sotto
il fondale oceanico, non ci sono uscite disponibili.”
Poi gli batté la spalla. “Ma stai tranquillo, ci penserà Santuaria a
sbarazzarsi di quei mosconi appena saremo in volo. Porta solo pazienza.”
“Ma ne siamo proprio sicuri?” fece Judith. “Non possiamo dare per scontato che siano troppo deboli, e una volta in volo saremo anche un bersaglio molto grosso, e ogni minimo danno che dovessero infliggerci ora potrebbe ripercuotersi su tutta la missione.”
I professori non riuscirono a trovare una controargomentazione.
Il countdown andava avanti: mancavano 15 minuti alla partenza.
E la missione rischiava di fallire ancora prima di cominciare!