PROLOGO: Clinica Jeffrey
Matthews, Galveston, Texas
La sala di attesa
era oppressa da una cappa di muto nervosismo.
Erano presenti un uomo di
colore, una donna caucasica e due bambini pure di colore, di più o meno sette
anni. E tutti fissavano con vari gradi di curiosità le
tre tese figure sedute di fronte a loro, sul lato opposto della stanza. Del
resto, Galveston non ospitava eroi in costume da parecchio tempo, e i tre
uomini in uniforme-armatura blu, bianco e rosso erano uno spettacolo
inconsueto.
Erano arrivati dal cielo a
bordo di un enorme robot. All’inizio,
era naturalmente scoppiato un mezzo panico, soprattutto dopo le voci di una
battaglia fra giganti in prossimità della costa[i], ma
quando uno dei piloti si era presentato con le barelle ed i due pazienti, l’ira
del Primario dell’ospedale si era trasformata in professionalità medica
-soprattutto perché i coniugi Clarisse e Winthrop Roan avevano dato i loro
bravi fondi a quella struttura..!
Il resto era stato un delirio
con le autorità. Il robot era stato fatto spostare, ma a piedi, ed anche così
sembrava ci fosse un terremoto in atto ad ogni passo,
il tutto senza contare una marea di curiosi proveniente da ogni angolo della
città. Inutile dire che i media sbavavano, e quando
era saltato fuori il nome dei due illustri ricoverati, l’attenzione si era decuplicata.
A tuttora, una nutrita folla si tratteneva fuori dall’ospedale,
metà divisa all’ingresso, con il personale ed i pazienti che bestemmiavano
sordamente e la sicurezza che stava facendo miracoli per impedire l’irruzione e
gestire ingressi e uscite. L’altra metà aveva fatto cerchio
intorno al gigante di metallo, sembravano altrettanti adoratori di
fronte ad una divinità incarnata. I turisti da New York scrollavano le spalle.
Niente di tutto questo importava
ai piloti -soprattutto ad uno di loro, il più giovane, caratterizzato da una
chioma rossa che gli valeva il soprannome di ‘Reddy’: Winthrop Roan Jr. Da quando erano stati pressoché spinti a forza in
sala d’attesa, non aveva smesso per un momento di fissare il vuoto, pensando a una sola cosa.
Lasciare o no gli Shogun
Warriors, visto che il responsabile di quel casino era
lui?
MARVELIT presenta
SHOGUN WARRIORS
Episodio 12 - Settimo scontro: L’ascesa di Ryger, il
Guerriero-Bestia!
Fortezza sottomarina
Demonica, Oceano Indiano
Il suo nome era Maur-Kon. E sebbene ora servisse la
causa del Dottor Demonicus, era
ancora un fiero discendente di una antica stirpe
extraterrestre…così antica che i suoi primi rappresentanti già combatterono per
il dominio della Terra cinquanta milioni di anni fa.
Ma le azioni della sua gente, nel corso della storia,
erano più volte state frustrate da un’altra stirpe, quella dei Seguaci della Luce -come si facevano
chiamare oggi, i maledetti! L’ignara umanità, fin da quando
non era che rappresentata da sparuti ed erranti ominidi bruti, era stata
l’oggetto di una contesa feroce. Contesa che era
aumentata in intensità con la venuta dei primi Dei e poi dei Celestiali. Il potenziale della
prima specie senziente fin dall’estinzione dei Dinosauri era una potente attrattiva
per gli antenati di Maur-Kon, e una ragione in più per i Seguaci per
raddoppiare i loro sforzi per impedire loro di ottenerlo.
La guerra andò avanti,
forgiando la storia umana nel bene e nel male, gli dei e le civiltà caddero e
sorsero…fino ad oggi, l’era del potere incarnato, l’era degli
uomini che camminavano come dei.
Questa era l’era cruciale,
Maur-Kon ne era sicuro! Doveva conquistare l’umanità
prima che essa si autodistruggesse. La Terra poteva morire, per quanto lo riguardava,
ma l’umanità doveva essere sua quanto prima! Per questo aveva accettato
l’alleanza con il Dottor Demonicus, non certo per le
sciocchezze ideologiche della Federazione
Mercantile!
Il solo problema era l’avere
gravemente sottovalutato le capacità di organizzazione
dei Seguaci della Luce! Credeva di essersene liberato
definitivamente una volta, soprattutto dopo avere distrutto la loro dannata
base[ii]… E,
invece, loro avevano già predisposto una nuova base nell’Oceano
Atlantico! Credeva che i loro preziosi robot -Danguard A, Raydeen e Combattler
V- distrutti per sempre da quel terrestre[iii],
non potessero essere rimpiazzati… E, invece, non solo era
sorta una nazione, lo Zilnawa,
capace di costruire super-robot in serie, ma gli stessi Seguaci avevano creato
tre più potenti rimpiazzi: Mazinwarrior,
Daltanius e Goshogun. E da quel momento, ogni battaglia si era risolta in una
vittoria per i Seguaci.
Maur-Kon non era disposto a
tollerare oltre! La guerra per il controllo del mondo era ormai diventata una ragione
personale. Non avrebbe retto al peso di un altro fallimento, doveva riscattarsi personalmente
o morire nel tentativo!
L’alieno umanoide, seduto in
ginocchio al centro del suo pentacolo delle evocazioni, si era spogliato
completamente. Sul suo corpo spiccava una complessa trama di tatuaggi neri, simboli
della cultura del suo mondo natale. Un mondo che non avrebbe comunque
rivisto, dopo la visita del Divoratore di
Mondi…
Maur-Kon concentrò la volontà
nel canto rituale, ipnotico. Le fiamme ai vertici del pentacolo si intensificarono.
Nella sala di comando della
fortezza, l’uomo nella sinistra armatura osservava lo svolgersi del rituale
sullo schermo principale.
Lo
stesso Maur-Kon aveva chiesto quella ultima
possibilità per vincere o morire nel tentativo. Naturalmente, Demonicus
gliel’aveva concessa. E, giusto per
essere sicuri, aveva predisposto dei gruppi di suoi soldati per tenere
occupati i Thunderiders durante l’attacco…
Il segnale squillò
insistentemente, spezzando il silenzio nella saletta.
Con un sospiro, Reddy sollevò
il polso. “Se volete convincermi a muovermi di lì, ve
lo ripeto: niente da fare. Fino a quando non saprò come è
andata l’operazione, è inutile che sprechiate energie. Chiudo.” E cercò di sdraiarsi contro lo schienale, le braccia incrociate
strettamente al petto.
Gli altri due Thunderiders e
membri delle Frecce Spaziali, James
McDonald e Luke Merryweather,
lanciarono un’occhiata al loro amico, ma non dissero nulla. Erano rimasti
proprio perché in quel momento Winthrop era terribilmente vulnerabile. Se il nemico avesse deciso di attaccare l’ospedale, avrebbe
solo trovato un facile bersaglio.
Winthrop avrebbe
voluto scoppiare in una risata isterica: per una vita lui e suo padre
erano stati antagonisti su tutto, con la madre che, da brava moglie del sud,
era sempre rimasta da parte a vedere i drammi familiari a consumarsi a volte
fino alla estreme conseguenze…
E ora? Proprio ora che ho
qualcosa di cui andare fiero... Winthrop serrò allo spasimo i pugni e le
mascelle. Oh, quanto cara l’avrebbero
pagata Demonicus e tutti i suoi accoliti, per questo!!
“Dovresti cercare di
rilassarti,” disse una voce femminile. Winthrop
sollevò di colpo lo sguardo. “Marcia.” E il suo senso
di vergogna salì su di un’altra tacca: altra ironia della sorte, sua sorella
aveva dovuto farsi strada a gomitate per dimostrare di potere ereditare il
piccolo impero petrolifero dei Roan, e se non fosse stato per il suo contributo
nell’ultima battaglia o i loro genitori o il Goshogun sarebbero…
Marcia Jennifer Roan si sedette
accanto al fratello. “Senti, so cosa ti sta rodendo, e credimi se ti dico che stai
solo sprecando energie.”
Lui le rivolse una strana
occhiata, come se improvvisamente temesse di trovarsi di fronte ad una extraterrestre.
Marcia gli diede un pugnetto
al braccio. “Sei stato grande, là fuori. Darei un braccio e un occhio per
essere al posto tuo su quel bestione.”
“Mamma l’ha dato, un occhio, e
non c’era stata. Marcia, tu credi che mi sia divertito?”
“Fino a
un certo punto, sì. E non fare quella faccia: quando
ci siamo visti, ti brillavano gli occhi. Gongolavi ed eri pronto a prendere
nostro padre a calci nel fondoschiena. E sai cosa mi
faceva arrabbiare, in quel momento? Che pensavi di avere ancora tredici anni.”
“Eh..?”
Marcia si incupì.
“Tutti questi anni sprecati a fare cosa? Il vagabondo, lo
stuntman, il motociclista acrobatico… Poi, finalmente, arrivi in prima pagina,
salvatore del mondo, grande eroe guerriero. E tutto quello a cui pensavi quando sei venuto era fare vedere a papà quanto sei
tosto. È ora di crescere, ragazzino. Secondo i dottori, i
nostri non sono in pericolo di vita, anche se se la sono vista brutta. Se vuoi fare un favore all’umanità, e non scherzo, tornatene
alla tua base spaziale o dove altro si trova il vostro club. E
se non incontrerai papà questa volta, perché di incontrare mamma non te ne
importava una cicca, non ti crucciare: sarà lo stesso fiero di te. Lo è
già.” E lo disse con un sorriso dolce, che riscaldò il
cuore del ragazzo.
“Una così la voglio sposare,
Honcho” sospirò Luke.
Ma James, a cui si era rivolto, aveva un’espressione
concentrata e rivolta a Marcia. Le cose erano state molto concitate dalla fine
della battaglia, e non c’era stato il tempo di mettere in
chiaro alcuni dettagli che inizialmente si potevano anche dare per scontati…
“Marcia?”
“Sì?”
Nella mente, l’ex agente CIA
rivedeva gli istanti cruciali di quella battaglia: l’aereo della ragazza che
volava verso la mecabestia, la gigantesca aquila che la distruggeva…e poi,
Axelot e Rover, il lupo geneticamente modificato, accanto alle capsule che
contenevano i genitori di Winthrop… “Eri tu
ad indossare le vesti di Axelot.” E
nel dirlo, sapeva di non avere alcun dubbio.
Winthrop e
Luke quasi scattarono in piedi.
“Ma che dici!?” esclamarono all’unisono.
Marcia, invece, sorrise ed annuì. “Ci hai messo un po’, ma ci sei arrivato.”
James sorrise. “È andata così:
eri alla guida dell’apparecchio, in modalità Axelot.
Prima che il robot nemico reagisse, sei saltata fuori
portandoti Rover, protetta dall’invisibilità. Quando l’aereo è stato distrutto,
eravate già sulle spalle della mecabestia, facendo credere di essere stati
teleportati lì dalla base.”
“Ma…”
balbettò Reddy. “Come..?”
“I Professori stessi ci hanno
detto che, aumentando la distanza, la precisione dei dispositivi di teletrasporto
diminuisce. Il tempismo e la precisione necessari per un doppio teletrasporto
guidato, con Rover a terra e uno di noi dalla base…” scosse la testa. “No, la
risposta più ovvia è che tua sorella fosse una mutante
come noi.”
Subito
un concitatissimo Winthrop attivò il proprio comunicatore. “Professori!”
“Era quello che cercavamo di
dirti, ogni volta che invece ci sbattevi il telefono in faccia,” disse la severa donna di nome Sherna, dalla sala-comando di Base
Santuaria. “Metti insieme pochi fattori: di tutti i Thunderiders, tu sei il
solo ad avere una sorella. Tutti gli altri sono figli unici. Inoltre, il Progetto Nuova Genesi, dal quale avete
avuto origine, era specificamente mirato ad avere una generazione di bambini
mutanti. Marcia sarebbe stata una singolare eccezione, se fosse nata senza
alcun potere.”
“Se avevate simili sospetti,” disse Winthrop sullo schermo principale, “Perché non farmi sapere niente??”
Fu il compassato Professor Tambura a rispondere,
“Speravamo di lasciarla fuori dal conflitto. Anche se
temevamo che un giorno il nemico sarebbe arrivato alla tua famiglia, ugualmente
non abbiamo dato per scontato la partecipazione di tua sorella.”
“Quello che non capisco,” intervenne Luke apparendo su un’altra finestra dello
schermo, “è come mai Marcia si sia dimostrata subito così pronta e tosta. A noi
è venuto da star male, la prima volta che abbiamo subito la piena trasformazione.”
Un sorriso divertito apparve
sul volto del robusto Professor Charn. “Prendetevela con i cromosomi femminili. Le donne
sono più adattabili al potere-gestalt: non a caso la prima ad usufruirne fu Georgianna[iv].”
“Questa
nuova situazione cosa comporterà per tutti noi?” chiese Winthrop.
Bellamente sdraiato nella
cabina di comando del Goshogun, Rover dormiva pacificamente…
Tuttavia, come i delfini, questa creatura modificata dalla scienza dell’uomo
usava solo una frazione del suo cervello per riposare. La rimanente
frazione era ben sveglia, e pronta a percepire ogni pericolo…come ora!
Il
giovane lupo antropoide aprì di scatto gli occhi, annusando istintivamente
l’aria, le orecchie dritte, uggiolando nervosamente. Poi il suo sguardo scorse
lungo la plancia… E qui, egli fece qualcosa che nessuno si sarebbe aspettato.
Attivò la sequenza del pilota automatico. Subito dopo, corse fuori
dalla cabina e dentro l’ascensore interno. C’era bisogno di lui,
altrove, adesso!
“Ogni decisione spetterà solo
a Marcia,” disse Tambura. “Nel caso desiderasse unirsi
ai Thunderiders, disponiamo di un nuovo modello di
Shogun Warrior che*” improvvisamente, in sottofondo, esplose il segnale di
allarme! “Thunderiders, il satellite segnala l’apparizione di una mecabestia
sulla vostra verticale!”
“Figli di..!”
fece James, scattando subito verso la porta, seguito a ruota dagli altri. Ma
non ebbero fatto in tempo ad uscire nel corridoio, che si ritrovarono di fronte
a un plotone di soldati in armature simili a quella
del Dottor Demonicus!
Fecero appena in tempo a
saltare di nuovo nella saletta, mentre il corridoio si riempiva di raffiche! Un
medico ed un’infermiera abbastanza sfortunati da trovarsi in mezzo a quel
volume di fuoco morirono all’istante.
“Gli uomini di Demonicus!”
disse Luke. “E ora che facciamo?”
Marcia guardò verso la
finestra. Nel cielo, era ben visibile la figura di un robot
umanoide blu e rosso, il cui volto era una cornuta maschera bestiale. In
una mano, reggeva uno spadone simile ad una scimitarra frastagliata, dalla lama
infuocata. E si stava avvicinando all’ospedale.
“Facciamo che io vado a proteggere i miei genitori. Voi altri cercate di cavarvela.
Guardate.”
Nel cielo era apparso anche il
Goshogun!
“Grazie per avercelo spedito,
prof!” fece Luke.
“Spedito?” fece la voce di un
incredulo Charn. “Credevo che lo aveste
chiamato voi. Avete i
dispositivi, in fondo.”
Ma non c’era tempo per le sorprese e le domande. Quello
che importava era che in quel momento gli uomini di Demonicus, dal corridoio,
fecero fuoco contro la sala d’attesa!
Solo per una frazione di
secondo, Axelot apparve fra le raffiche assassine e la famiglia di civili, che
si era rintanata in un angolo!
Goshogun
atterrò davanti alla mecabestia, che sollevò lo spadone e lo calò in un
terribile fendente. Il robot non cadde, ma vacillò, ed uno squarcio sul petto
si aggiunse a quelli provocati dalla precedente battaglia!
“È molto potente, troppo per i
normali livelli delle mecabestie,” disse il più
giovane degli scienziati di Santuaria, Basque.
“Quel mostro è un vero concentrato di mana!”
“Dobbiamo mandare subito un
altro robot,” disse Sherna.
Basque
scosse la testa. “Impossibile. L’intera area è coperta da una rete di energie mistiche. Se proviamo a
teleportare qualcosa più grande di una mela, può succedere un casino!”
Axelot si concentrò, e dal suo
diadema partì un raggio esplosivo! Colpì in pieno uno dei soldati, e l’onda
d’urto sparpagliò gli altri soldati…ma causò anche dei danni strutturali alle
pareti. Grida di panico si diffusero nei corridoi. “Schifosi bastardi,” sibilò Marcia, costretta a combattere in un ospedale. “Me
la paghi, Demonicus!”
“Mettiti in fila,” disse Winthrop, mentre puntava la sua pistola verso la
parete, imitato dagli altri. Fecero fuoco, e la parete esplose.
I tre guerrieri saltarono
fuori.
Dalla schiena e dalle gambe del
Goshogun partirono tre raggi di luce in corrispondenza delle cabine di guida, che avvolsero i piloti.
In quel momento, la mecabestia
sollevò di nuovo la sua lama per un altro colpo…
“HOLSTER BEAM!” e dalle gambe
dell’altro partì un doppio colpo di energia! Colpito
in pieno, il mostro vacillò all’indietro. Il suo orrendo volto si stirò in un sorriso
minaccioso. “Stai solo perdendo tempo, Shogun Warrior! Arrenditi, e ti prometto
una morte veloce e senza coinvolgere altri innocenti!”
Nella supermacchina, Winthrop
fece una smorfia sotto il casco. “Vieni a propormelo di persona, demonio!”
“Oh, ma lo sto già facendo.”
“Cosa??”
fecero tre voci all’unisono.
La
mecabestia…rise. “Ho deciso di tornare in campo personalmente, fondendomi con
questo perfetto corpo gigante! E ora, morite!” e si gettò a testa bassa contro
Goshogun!
Non stava andando come aveva
sperato. Pensava che, uscendo dalla sala d’attesa, avrebbe attirato su di sé le
attenzioni dei soldati… Invece, il loro capo li aveva istruiti bene..! Demonicus doveva sapere che non avrebbero avuto una
chance contro Axelot, e così, ora quei bastardi si erano disposti chi davanti
alle camere e chi di fronte a gruppetti terrorizzati di personale medico che se
ne stava contro il muro.
“Arrenditi senza fare tante
storie,” disse uno dei soldati, mentre teneva sotto
tiro un paziente svenuto su una barella. I monitor collegati al poveretto
davano dei valori critici. “O lui sarà la prima
vittima!”
Marcia non si era mai sentita
così frustrata! Questo era decisamente un caso in cui
il concetto di ‘perdite accettabili’ era del tutto inapplicabile. Se morivano degli indifesi per colpa sua, non se lo sarebbe mai
perdonato…
L’eroina in armatura abbassò
la testa, e con un bagliore di energia tornò ad essere
una donna come le altre.
I soldati esitarono. “E chi è questa?” disse quello che l’aveva minacciata…ma non
avrebbe detto altro. Una specie di ombra grigia si
gettò sulla sua schiena! Si udì un ringhio spaventoso,
seguito dal suono di metallo accartocciato, poi il soldato cadde a
terra, con il collo squarciato. Senza perdere tempo, il lupo si gettò contro
gli altri soldati, squarciando i loro ventri con un colpo secco di artigli, ringhiando e latrando in modo da generare loro
il massimo della confusione e paura.
“Ottimo lavoro, Rover! Axelot!” e subito Marcia tornò ad essere
una furia rossa e grigia. Estrasse la sua alabarda dalla schiena, si voltò e la
lanciò verso i soldati disorientati che ancora erano in piedi. Roteando,
l’oggetto tagliò loro a chi la testa e a chi le mani. E quando, come un
boomerang, tornò nelle sue mani, si era lasciata
dietro una scia di corpi morti e sanguinanti. I lamenti di paura e di dolore
appestavano l’aria insieme al metallico odore del sangue.
Rover, ansante, ma decisamente più calmo, si avvicinò ad un giovane medico che,
alla vista della belva macchiata di sangue, quasi sveniva, e gli prese una
penna dal taschino. Sulla parete neutra scrisse MAMMA+PAPA’= ♥ e scodinzolò.
Marcia abbandonò nuovamente
l’armatura. Si avvicinò al lupo e gli diede una robusta carezza fra le
orecchie, ottenendo un mugolio soddisfatto. “Sei stato davvero bravo.” Era stata una sorpresa anche per lei: quella creatura
sembrava possedere una specie di senso di premonizione per fare la cosa giusta
al momento giusto…
Il collare di Rover emise un
cicaleccio. Subito dopo, la voce di Tambura disse, “Temo che ci sia ancora
bisogno di lei, Ms. Roan.”
Lei
si terse la fronte. “Sono tutta orecchi, signori. Cosa devo fare?”
La lama calò nuovamente, e
questa volta tranciò di netto la cima dell’ascia spaziale! E
come se non fosse bastato, l’arma stava cadendo dritta verso l’ospedale. Avrebbe
potuto tranciarlo in due come un panetto di burro…
“COSMIC BEAM!” i raggi ottici
di Goshogun colpirono l’ascia, deviando la sua rotta verso l’edificio del
parcheggio. La struttura andò in pezzi, e piccole esplosioni si sollevarono a catena
ogni volta che esplodeva un serbatoio di benzina. Almeno, eccettuato il personale
medico e i pazienti che non potevano essere mossi, l’evacuazione dell’ospedale
era stata rapida. I soli pazzi civili che stavano ancora fra i piedi,
soprattutto sul tetto, erano i reporter!
“Non devi distrarti!” ruggì
Maur-Kon, e colpì…questa volta centrando in pieno il
jetpack! Il colpo liberò una spaventosa fiammata, seguita da una fitta nuvola
di fumo. A quel punto, l’assetto di volo era andato a farsi benedire!
“Non abbiamo altra scelta,” disse James. “Pronti a farsi un po’ male?” E tirò la cloche.
Il propulsore residuo si illuminò, e in un’ultima fiammata bianca fece schizzare
il robot verso il parco.
“Non mi scapperai!” Maur-Kon
ghignò. I terrestri avevano commesso il loro ultimo errore. “Sei mio!”
La mecabestia, invece di
gettarsi all’inseguimento, scagliò la sua spada come una lancia.
Un centro perfetto! Goshogun
fu colpito al fianco, appena sotto il torace! Archi voltaici si levarono
intorno alla ferita, mentre il robot cadeva a terra!
“Nnngghh…” faticosamente, la
macchina si mise in ginocchio. Cercò di afferrare la scimitarra per
togliersela…col solo risultato di farsi investire da una nuova scarica di energia emessa dall’arma!
Maur-Kon atterrò dietro alla
macchina. “Non ti preoccupare: ti farà ancora
più male!” Afferrò l’elsa e rigirò impietosamente l’arma. Il feedback neurale
si trasmise ai piloti come un’onda di fuoco, facendoli urlare all’unisono.
“Maledetti!” ringhiò il
mostro. “Ho dovuto sacrificare il mio corpo per arrivare a questo momento, ma
ne varrà davvero la pena!” Estrasse la scimitarra con un colpo secco, facendo
sobbalzare il nemico. I piloti erano esausti, reduci da una battaglia e
incapaci di proseguire oltre questa.
L’espulsione di emergenza, in quella situazione, era utile come una
stampella di gomma: una volta inflitto il colpo di grazia a Goshogun,
l’esplosione li avrebbe fatti a pezzi prima che potessero toccare terra, e
sicuramente Maur-Kon non avrebbe perso tempo per finire anche loro…
La mecabestia sollevò la
spada, tenendola verticale sulla schiena del super-robot. “Addio, miserabile!”
E calò l’arma per il colpo di grazia…
“Io non lo farei,” disse Marcia Jennifer Roan, con una voce
sorprendentemente calma.
La lama si fermò ad un passo
dall’impatto. Maur-Kon voltò la testa. “Cosa? Tu,
un’inutile femmina, osi..?”
Anche il robot voltò lo sguardo verso la figura che se ne
stava lì in piedi, in mezzo al parco devastato. “Marcia…” disse Winthrop.
La donna, se era intimorita,
lo nascondeva molto bene. Fissava Maur-Kon con puro disprezzo e sfida. Così
indifesa di fronte ai due colossi, riusciva ugualmente ad avere la loro piena
attenzione. “Hai già perso, Maur-Kon. È solo che non lo hai ancora capito.”
Ora gli occhi della mecabestia
fiammeggiavano. “Tu sei pazza! E per dimostrartelo, ti…
Cosa??” aveva già sollevato lo spadone, quando lei sollevò la mano destra, il
palmo rivolto verso di lui. “Cosa significa!?”
La donna levò il braccio verso
l’alto. “La tua fine, come ti avevo predetto.” Nubi
nere si accumularono improvvisamente nel cielo. Un tappeto di
nubi attraversate da fuochi incandescenti, come se stessero bruciando…
Poi, quelle fiamme si
trasformarono nella fiera immagine di una ruggente testa di leone. Il suo verso squassò le nubi, e
dal centro della sua bocca emerse, in un’ultima esplosione di luce, una specie
di velivolo dorato, ogivale, con un paio di ali pure
dorate, a freccia invertita, che spuntavano dal centro dei fianchi e una prua
costituita da un aculeo aguzzo.
L’oggetto era velocissimo,
tanto che Maur-Kon ebbe appena il tempo di usare la spada per pararsi il corpo.
Il velivolo lo investì in pieno, trafiggendo il polso libero, strappandogli via
il braccio! L’ala dai bordi affilati gli
aprì uno squarcio nel fianco, da cui colò un nero umore che, a contatto
con la terra, la avvelenò…
Il velivolo dorato compì un cerchio,
e si diresse in verticale verso terra. Allo stesso tempo, un raggio
teleportante avvolse Marcia, e la trascinò all’interno di una gemma scarlatta
posta al centro del dorso.
Archi voltaici scorsero
intorno al velivolo, mentre le ali e la prua si ritiravano. Poi il guscio
stesso si spaccò. La zona dorsale rientrò su sé stessa, rivelando un corpo
umanoide cremisi e oro, dai muscoli guizzanti, i piedi e le mani simili a zampe
artigliate…
Poi, da quello che era il
gruppo propulsore emerse la testa -una testa cornuta
di leone, dalle fauci spalancate, dotata di una folta criniera scarlatta.
Il nuovo super-robot atterrò
con una forza che fece tremare tutti gli edifici nelle immediate vicinanze, e
scosse l’aria con un poderoso ruggito!
Ancora reggendo la sua scimitarra,
Maur-Kon disse, “Tutta questa scena non ti porterà
alla vittoria, chiunque tu sia!”
Dalla bestia giunse forte la
voce di Marcia. “Amico, hai appena pronunciato la tua ultima buffonata!” La
macchina si tese, e dai dorsi dei polsi
emersero tre lunghi artigli affilati!
“Bah! Prendi!” Maur-Kon lanciò la sua spada, e
subito dopo si gettò contro il nemico…
“COSMIC BEAM!” i raggi ottici
di Goshogun lo colpirono a piena potenza a una gamba,
distruggendola. Con un urlo di dolore, la mecabestia cadde a terra. “Hai
presente quel detto sulla pelle dell’orso, bastardo?” disse James.
Intanto, il nuovo robot se ne
stava lì, aspettando l’arrivo dell’arma*
Un balenare di riflessi, due
mosse ben sincronizzate…e ora la spada era saldamente trattenuta fra gli artigli!
Le fiamme della lama non avevano alcun effetto sulle affilatissime armi.
Il super-robot tese i muscoli
delle braccia, e la scimitarra si spezzò in tanti frammenti!
Contemporaneamente, le fiamme si spensero.
Maur-Kon si mise in ginocchio.
“Hai spezzato la mia lama… Non è possibile, l’avevo calibrata per distruggervi tutti insieme se necessario…”
Per risposta, la leonina
macchina scattò in avanti, velocissima, gli artigli dorsali ancora sguainati…
Un nuovo arco letale.
Quando la
macchina fu passata oltre la mecabestia, si fermò. E si voltò.
Tre strisce sanguinolente
correvano dall’inguine al volto di Maur-Kon. La sua voce era un rantolo
gorgogliante. Niente ultime parole, niente ultima sfida. Semplicemente, il
gigantesco corpo biosintetico, grondando sangue velenoso, divenne più piccolo,
sempre più piccolo, fino a quando non rimase che il corpo nudo e ferito a morte
del sacerdote alieno.
Il
nuovo robot tese le mani per aiutare Goshogun a rialzarsi. “Scusate se è stata
una signorina a darvi i punti, ragazzi… Ma mi sa che Demonicus ci concederà presto
la rivincita.”
“E così, è finalmente la volta
di quel verme di crepare,” disse Basque, distendendosi
sulla poltrona, le mani incrociate dietro la testa. “Deve avergli fatto
veramente male, uuh.”
Ma Tambura aveva altri pensieri per la testa. Per lui,
la morte del loro vecchio nemico era semplicemente un atto dovuto, una tragica
conseguenza di una guerra scatenata dall’avidità e dall’arroganza… No, lui
pensava ai due robot che sullo schermo erano illuminati
dall’aura infuocata del tramonto.
La giovane Marcia si era
dimostrata una guerriera formidabile… Ma se ci fossero stati altri come lei, e
come gli altri Thunderiders? Era un’eventualità molto concreta. E cosa sarebbe successo, se lui aveva ragione, se Demonicus
fosse arrivato a loro?