PROLOGO: Base Astra, Isola del Drago, Oceano Atlantico
L’aereo-cargo passò a diecimila metri sulla verticale dell’isola vulcanica. Uno sportello si aprì sul suo ventre, e dall’apertura saltarono fuori tre figure in tuta imbottita blu e casco.
Il terzetto, con consumata
esperienza, mantenne una formazione stretta a triangolo per la maggior parte
della caduta. Giunti a
Atterrarono senza problemi e si liberarono subito dell’imbracatura. I teli bianchi andarono ad impigliarsi fra le rocce. I nuovi arrivati si tolsero il casco, rivelando tre volti familiari: Johnny Carson (stuntman di Hollywood, ex pilota del super-robot Raydeen), Genji Odashu (pilota dell’aviazione giapponese, ex pilota del super-robot Combattler V) e Ilongo Savage (biologo kenyota, direttore del progetto Blue Noah, ex pilota del super-robot Danguard A). In altre parole, gli originali Shogun Warriors.
E oggi erano qui per tornare ad occupare il loro ruolo di difensori della libertà del mondo!
MARVELIT presenta
SHOGUN WARRIORS
Episodio 13 - Rinnovamento! Ecco l’Armata dei Super-Robot!
“Siete in ritardo di cinque minuti,” furono le prime parole a salutare il ritorno dei guerrieri. Il trio si voltò verso la bocca del drago di roccia che dava all’isola il suo nome.
Dalle ombre della bocca emersero quattro figure familiari:
Ø Un uomo anziano in camice bianco, una folta corona di capelli grigi a circondare la calvizie, baffi pure grigi e un paio di occhiali a montatura sottile. Il Professor Tambura.
Ø Un uomo corpulento in gessato verde, dall’apparenza bonacciona ed una bella chioma nera. Nella mano reggeva una bella pipa accesa. Il Professor Charn
Ø
Una donna in camice azzurro, magra, slanciata,
dal volto severo accentuato dagli occhiali stretti e una crocchia di capelli
castani.
Ø Un uomo sui trenta, capelli rossi e camice verde, il volto solare. Il dottor Basque.
“È un vero piacere riavervi fra noi, guerrieri,” disse Charn. Johnny andò a stringergli la mano. Un gesto formale che subito lo stuntman trasformò in un abbraccio che prese lo scienziato di sorpresa! “Vacci piano, figliolo!”
Genji fece un profondo inchino a mani giunte. Aveva gli occhi lucidi. “Non osavamo sperare che ci saremmo rivisti. Domo arigato, Tambura-San.”
Ilongo mollò un pugno sulla spalla del più giovane degli scienziati. “Credevamo che saremmo impazziti, a furia di fare i pantofolai!”
Basque ricambiò il gesto. Sherna tossicchiò per invitarlo a comportarsi decorosamente, ma lui insisté. “E dire che ci siamo pure sentiti in colpa! Per poco, beninteso. Non eravate tutti felici e contenti con le vostre dolci metà?”
Johnny rise di cuore. “Povera Deena! Non ho fatto altro che farla impazzire, da quando mi sono dovuto ritirare: mi cercavo tutti i lavori più rischiosi per ritrovare un minimo di emozione paragonabile a guidare il Raydeen. Sono diventato il migliore stuntman del mondo, ma per poco non abbiamo divorziato. Quando è arrivata la vostra chiamata, è stata lei a farmi le valige e ad ordinarmi di partire, sperando che questo avrebbe salvato il matrimonio!”
Genji e Ilongo annuirono, facendo capire che per loro i problemi coniugali erano stati simili. Tambura, flemmatico come sempre, disse, “Sono sicuro che avremo modo di parlarne accuratamente davanti ad un buon caffè. Gli altri equipaggi sono impegnati nella loro sessione di addestramento, a parte El Lobo, che è in missione. Se lo desiderate, posso mostrarvi i vostri nuovi robot.”
Come chiedere ad un goloso un pasto gratis nel suo ristorante preferito! Gli occhi dei tre piloti si illuminarono!
La porta scorrevole si aprì con un sibilo su una sala occupata da tecnici alle consolle e robot su ruote dalle braccia snodate che si muovevano velocemente qua e là.
“Avete fatto assunzioni, vedo,” disse Ilongo. “Dava i brividi muoversi per la vecchia base: tutto quello spazio e solo noi sette ad abitarla.”
“La vecchia base,” disse Sherna, “era stata concepita solo come osservatorio, laboratorio, hangar e manutenzione. Non doveva servire come residenza dei piloti, e noi quattro bastavamo a mandarla avanti.”
“Ora le cose sono cambiate,” disse Charn, esalando una nuvola azzurrognola di fumo aromatico, diverso da qualunque odore di tabacco. “Con la nuova armata di super-robot, e i nuovi piloti, il sistema richiede troppi controlli per essere gestiti automaticamente. Ai vecchi tempi, solo per fare un esempio, l’Imperativo Ultron non era ancora considerato una minaccia seria per noi. Inoltre, un aumento del personale tecnico ci permetterà di concentrarci maggiormente sul nostro lavoro.”
Il gruppo, attraversando la sala, si era fermato di fronte ad un’ampia porta. Tambura si voltò verso i tre piloti, e disse, “Siete pronti?”
La porta si aprì.
I tre piloti ricordavano bene il giorno in cui furono loro presentati Danguard e Combattler V, solenni dei meccanici in piedi in un hangar che appariva immenso.
Era ben poca cosa, paragonata allo spettacolo che si presentò loro davanti, ora.
Le dimensioni di quell’ambiente davano alla testa. Le pareti grigie erano costellate di fari alogeni come se avessero preso un pezzo di cielo. Le luci illuminavano con mille coni le colossali figure circondate da impalcature su cui si affannavano dozzine di minuscole figure umane e meccaniche. Scintille fiorivano sulle corazze, l’aria era pervasa di voci umane, versi elettronici.
Johnny, Genji e Ilongo riconobbero subito Goshogun e Daltanious, due dei tre nuovi robot che avevano per primi sostituito i loro.
Gli altri non erano da meno. E i piloti ne erano estasiati.
Basque indicò per primo un gigante rosso e bianco con due spalle enormi, e la testa sormontata da un paio di ampie corna triangolari dalla cui base partivano un paio di punte acuminate. “Getter Robot.”
Il secondo robot era di colore nero, rosso e oro, con le braccia grigie. Lo caratterizzava una testa simile all’antico elmo di un samurai, con un diadema composto da una ‘V’ dorata e un paio di antenne lunghe che partivano dal gioiello al centro del diadema. “Baldios.”
Per ultima, una creatura meccanica le cui braccia e gambe terminavano in teste di leone, ed erano ognuna di un colore -rosso e verde per le braccia, blu e oro per le gambe- con il resto del corpo nero e bianco. Una specie di stemma araldico era fissato al petto, mentre la testa era una bocca di leone spalancata da cui spuntava un volto umano. “Golion. Allora, che ne dite?”
“Come saranno assegnati?” chiese la più pragmatica giapponese -anche perché gli altri due stavano sporgendosi pericolosamente contro la balaustra, sbavando senza dignità.
“Voi sarete assegnati al Getter Robot,” disse Tambura. “Ci sono altri equipaggi per Baldios e Golion, per un totale di otto nuovi piloti. Ricorreremo ai sistemi automatici delle I.A. solo in caso di assoluta necessità. Senza contare che un robot modulare è più efficiente se ai comandi vi siede un individuo capace di prendere decisioni imprevedibili.”
“Credevo che la vostra scienza fosse arrivata a superare simili ostacoli,” disse Genji.
Sherna, tanto per cambiare, ostentò un’espressione sprezzante, per quanto l’educazione glielo consentiva. “Li abbiamo superati. Il problema è che un’intelligenza artificiale progredita al punto da diventare essa stessa indistinguibile da un essere umano può rappresentare un serio rischio per la sicurezza.”
Charn esalò un anello di fumo perfetto. “Un modo elegante per dire che sul nostro mondo passammo un brutto quarto d’ora quando un’intelligenza artificiale impazzita decise che poteva fare a meno dei suoi creatori. Un classico. Sulla Terra, la chiamate ‘sindrome di Frankenstein’. Noi la sperimentammo sulle nostre vite. Da allora, preferiamo limitare i nostri geni elettronici entro parametri più ristretti.”
“Come avete trovato i fondi per tutto questo?” chiese Ilongo, spaziando con un cenno del braccio. “Gli abitanti della base sono tutti extraterrestri?”
“No,” rispose Sherna. “Il materiale e gli uomini sono stati forniti dalla Talon Corporation. In cambio, prima che lo chiediate, Alexander Thran ha chiesto che mettessimo a sua disposizione certe tecnologie. E dato che si tratta di un accordo i cui dettagli sono assolutamente segreti, no, non potete sapere di quali tecnologie si tratta. Possiamo solo darvi la nostra parola che non lo aiuteranno a trasformare lo Zilnawa in una superpotenza militare.” E loro la conoscevano abbastanza da sapere che ogni altra domanda in merito sarebbe stato fiato sprecato.
“Sapere almeno perché Thran ci tiene tanto ad aiutarvi?”
“Chi sono gli altri piloti?” chiese Johnny, senza togliere lo sguardo dai robot.
In risposta, un cicaleccio venne dalla spilla ad ankh sul colletto di Tambura. “Li conoscerete appena avranno finito la loro sessione. Ora Lobo sta chiamando, andiamo alla sala di controllo. Lì, troverai risposta ad almeno una delle tue domande, Ilongo Savage.”
Fendeva le nuvole come una freccia del colore dell’acciaio, dai riflessi azzurri. Le sole note di colore erano i suoi minacciosi occhi gialli, le quattro corna dorate del cranio, le due piastre pettorali scarlatte a circondare un fregio dorato con un grosso rubino al suo centro, e le ampie ali scarlatte del suo gruppo propulsore che si lasciava dietro delle fiamme azzurre. Il suo nome era Mazinwarrior.
Il suo pilota, un uomo con indosso la tuta blu e bianca dei Thunderiders, e un elmo dagli stessi colori, con un’ampia visiera a specchio. Seduto al suo fianco, su un sedile adattato per il suo corpo, stava una creatura lupina dalle forme umanoidi. Era visibilmente nervosa, uggiolava e lanciava continuamente occhiate dalla calotta al pilota e viceversa.
“Spero che tu non stia facendo quella scena perché ti scappa, Rover,” disse El Lobo. “Le coordinate dicono che siamo arrivati. Ora vediamo di fare qualche scatto, e ce ne andiamo.” Spinse in giù la cloche.
Il robot uscì dalle nuvole, e si fermò a circa tremila metri dall’obiettivo. Sotto di lui, la superficie dell’Isola di Ross era interamente occupata da una specie di montagna coperta di edifici e circondata da una muraglia colossale. E intorno all’isola ferveva una grande attività navale –non navi qualunque, ma vascelli più simili ad incredibili astronavi, minacciose nell’aspetto, piccole fortezze ambulanti.
“Speriamo che non sia un’altra delle trovate del maledetto Dottor Demonicus,” disse Lobo. In fondo, quel pazzoide era stato capace di fare emergere dal mare una nuova isola da trasformare nel suo personale dominio riconosciuto dall’ONU… “Rover, cerca di calmarti. Ma che ti prende?”
Il lupoide, una creatura geneticamente modificata dall’Hydra per essere trasformato in un mostro assassino al soldo di Viper, fissava la montagna con un odio spaventoso a vedersi. Ormai ringhiava continuamente, le zanne snudate, gli occhi dilatati come piattini e il pelo così dritto da sembrare setole di una spazzola. Lobo era convinto che se non fosse stato per le cinghie e la calotta rinforzata, quel cuccioline si sarebbe gettato verso la montagna. E, a ben pensarci, Lobo stesso si sentiva nervoso, come se della corrente elettrica lo stesse accarezzando sottopelle… “OK, vediamo di fare in fretta, piccolo.”
Il pilota digitò una serie di comandi sul touchscreen della visiera. Poi, sulla visiera apparvero alcuni scatti dalla cinepresa di bordo… “Ma che diavolo..?” Resettò e fece ripartire la telecamera, ma il risultato rimase lo stesso. “Bene, ora di chiamare papà.” Attivò il comunicatore subspaziale. “Professori, mi sentite?” chiese dopo un paio di secondi di mutismo dall’altra parte.
Il volto di Tambura apparve su una finestra. “Forte e chiaro, Lobo. Che novità ci sono?”
“Sono sull’obiettivo. Vi invio le immagini, ma temo che non vi serviranno. A parte un gran movimento di navi che sembrano proprio partorite dalla fantasia di Demonicus, né la cinepresa né i sensori riescono a osservare quella nuova montagna.”
“Puoi spiegarti meglio?”
“A occhio nudo, riesco a vederla. E’ davvero una roba enorme. Ma appena cerco di fotografarla, ottengo solo un’immagine sfocata. E i sensori mi danno solo dei dati senza senso. Cosa volete che faccia?”
“Avvicinati quanto più possibile. Nel kit di soccorso hai un binocolo abbastanza potente da usarlo ad una distanza di sicurezza.”
“Ricevuto. Lobo, chiudo.” Tolta la comunicazione, si chinò a tirare una leva rossa, che aprì un cassetto. Il cassetto conteneva una valigetta. La prese, la aprì e ne tirò fuori un binocolo nero di quelli per i quali un marinaio di lungo corso avrebbe sbavato. Lobo ridacchiò. “Tecnologia aliena, e ci si riduce a Galileo!”
“Solo la limitazione dei mezzi ci ha costretto ad agire su scala ridotta,” disse Tambura. “È da tempo che vi sono troppe minacce alla vita sulla Terra, per usare solo tre robot a difesa. Basti pensare alle recenti invasioni aliene e alla seconda crisi di Inferno.
“Temiamo che la nuova montagna di Ross possa essere una base di Demonicus, ma niente esclude che ci sia un nuovo contendente alla conquista…”
“Di sicuro non ci faremo cogliere impreparati!” Basque schioccò le dita. “Debbono solo provarci, a…”
“Base, mi sentite?” la voce di Lobo canalizzò subito l’attenzione generale. “Non ci crederete mai…”
Mazinwarrior scese ulteriormente. Lobo si sorprese che Demonicus ancora non lo avesse rilevato –o forse stava solo aspettando per infilzarlo per benino…
Il pilota vide che Rover adesso non ringhiava più, ma quella sua espressione spaventosa sembrava esserglisi congelata sul muso. Respirava velocemente, e a tratti si passava la lingua fra i denti. Lobo sapeva che quella creaturina poteva averne di grinta, ma non lo aveva mai visto in quel modo. C’era puro odio in quel muso.
“Ti prometto che faremo presto, Rover, OK? Ora, fammi vedere…” diede il massimo ingrandimento. “Questa poi…” Attivò di nuovo il comunicatore. “Base, mi sentite? Non ci crederete mai: tutta la montagna è coperta di case che sembrano saltate fuori da un racconto di Conan. Ci sono fuochi come lampioni in una città moderna, e sentite questa: in cima alla montagna, al centro di una specie di tempio colossale, c’è una statua. Un serpente a sette teste. Ma cosa è una base dell’Hydra?” Poi si accorse che Tambura era impallidito violentemente. Non aveva mai immaginato che al vecchio potesse venire un colpo apoplettico, ma quello sembrava proprio il caso. “Professore..?”
“Andatevene via di lì!” Tambura sembrava volere attraversare lo schermo e scuoterlo per la collottola. Il suo volto era un maschera di angoscia. “Mi senti, Lobo? Andate via subito! Non siete pronti per affrontarlo!”
Non è che Lobo volesse polemizzare. Solo, era rimasto troppo sorpreso. “Affrontarlo? Affrontare chi, doc?”
E fu allora che Rover parlò. E la sua prima parola, pronunciata lentamente, gutturale, come fosse stata un innominabile veleno, fu, “Ssseett…”
Dalla statua sull’isola, partì un fascio di energia scarlatta, diretta verso il cielo.
Mazinwarrior fu colpito all’istante! Il suo corpo fu avvolto da lampi di arcane energie emesse dal sinistro Occhio di Set. Il robot si contorse come fosse stato in preda a terribili dolori -ed in un certo senso era così.
Perché quel dolore stava investendo ogni nervo ed ogni fibra dell’essere di Lobo, che si contorse sul suo sedile, urlando e urlando. Accanto a lui, il povero Rover non soffrì di meno per quell’attacco, uggiolando pietosamente, contorcendosi inutilmente…
Il super-robot resistette ancora per poco. Quando finalmente i suoi occupanti furono del tutto privi di sensi, le ali si ritrassero ed esso iniziò a cadere verso il mare.
L’impatto sollevò una colonna d’acqua colossale.
Per molte e molte decine di metri, l’inerte Mazinger continuò a sprofondare negli abissi… Fino a quando, sotto di lui, una enorme sagoma scura dotata di quattro occhi brillanti non iniziò ad avvicinarsi…
“Lobo! Maledizione, rispondi!” urlò Basque. “Riprenditi, devi riprenderti!”
Ma dall’altro capo della linea rispose solo il silenzio.
“Che diavolo sta succedendo?” chiese Carson, pallidissimo. Quelle urla… Neppure lontanamente aveva mai sofferto una cosa del genere, nella sua carriera! “Professori!”
Ma loro non li stavano ascoltando. Charn disse, “Avvertiamo gli altri piloti?”
“Macchine troppo deboli” esclamò Basque, poi sembrò accorgersi dei tre piloti. “Il Getter ha la potenza necessaria, ma loro non saprebbero controllarla. Il rimedio sarebbe peggiore del male!”
Sherna scosse la testa. “L’unico che può cavarsela è Lobo. Se riesce a fuggire senza troppi danni, la potremo considerare già una vittoria.”
“Ma di che state parlando?!” urlò Genji prendendo Tambura per il colletto. “Bakara! In che guaio lo avete ficcato?!”
“Le spiegazioni a dopo,” disse Sherna, avvicinandosi alla consolle. Premette un pulsante. “Speriamo che questo basti, per ora.”
Una sensazione lancinante strappò Lobo dall’incoscienza. Si svegliò avvertendo il sapore del proprio sangue in bocca, e l’odore acre dell’urina. Oddio, che cosa lo aveva colpito per ridurlo così..? “Rover..?”
Tornando pienamente in sé, vide con orrore che il povero lupo, ancora svenuto, era ridotto da far pena. Sangue gli colava dal naso, era bagnato della propria deiezione, e il suo respiro era così lento, la lingua completamente penzoloni…
“Omioddio, no no no…” Lobo fece per sganciarsi la cintura per soccorrerlo… E in quel momento, si accorse degli scricchiolii provenienti dal corpo del Mazinger. E che si trovava in fondo al mare, e che una fila di denti mostruosi si trovava ad un passo dalla gola del suo robot. “Macheccazzo..!?”
“Sei una macchina molto forte, senza dubbio,” disse il mostruoso leviatano dalla corazza scarlatta, intento a cercare di mordere la corazza del robot come fosse stata una prelibatezza. “Ma ti farò ugualmente a pezzi, e offrirò i tuoi resti al signore Set!”
Lobo si mise ai comandi. Era a dir poco furioso e non per quello che aveva appena passato, ma per il male che avevano osato fare a Rover! “Amico, non so chi sia questo Set, ma io non sono il tuo fottuto Pinocchio! ONDA DI FUOCO!”
Le piastre pettorali e il grande rubino al centro del petto si accesero di un colore intenso, quindi vomitarono un torrente di energia termica capace di vaporizzare i metalli più duri!
Il leviatano urlò, e fu costretto a lasciare andare la sua preda, costretto a contorcersi per il terribile dolore.
“Se pensi che quello faccia male, prova questo! MAGLIO CICLONICO!”
L’avambraccio sinistro partì come un puro vortice di distruzione, trasformando l’acqua dietro di sé in un maelstrom.
Il mostro fece appena in tempo a girarsi e ad offrire il dorso corazzato al pugno meccanico. Il colpo rimbalzò sulla corazza, facendo tremare il mostro, ma senza scalfirla.
“Cosa?” fece Lobo, mentre il pugno tornava dal suo padrone.
Il mostro se la rise. “Stupido! Io sono Titran dei Devianti, la mia forza non ha pari fra la mia gente! Muori!” e così dicendo, si gettò all’attacco. Troppo veloce, inutile cercare di schivarlo…
Impatto!
Il robot afferrò saldamente il cranio del mostro, e si lasciò trasportare in quella insolita cavalcata…fino a quando non si fermarono entrambi contro una parete rocciosa!
La figura inerte di Rover sobbalzò per la forza di quel nuovo colpo. Lobo credette di impazzire. Quel piccolo pulcioso per qualche ragione lo aveva adottato, si fidava di lui perché lo aiutasse.
Non lo avrebbe fatto morire! “CRUSHER PUNCH!” Il polso del robot ruotò velocemente come se avesse dovuto staccarsi, e Mazinwarrior lo piantò direttamente nell’occhio del mostro! Il polso si arrestò di colpo, e tutta l’energia cinetica accumulata si scaricò direttamente nella carne, sfondandola come carta.
Titran spalancò la bocca in un nuovo verso di dolore. Ora!
“MISSILE CENTRALE!” la copertura del bacino del Mazinger si aprì, rivelando la camera di lancio. Il missile partì in una fiammata.
E colpì in pieno la bocca di Titran, liberando una vampata di fuoco, sangue e ossa.
“Vediamo se questo Set accetta te, come sacrificio!” ruggì Lobo. Mazinwarrior partì all’attacco. Afferrò il mostro per il ventre. “SCRANDER DASH!”
Le ali si spiegarono, e il pilota diede tutta potenza ai propulsori. -1000…-900…--800… nonostante il carico, il robot stava macinando distanza rapidamente. -300…-200…-100…
Emerse con tutta la forza di una divinità irata. Salì su, su, in alto fino a quando non pensò di essere arrivato alla distanza giusta. “Goditi l’atterraggio, stronzo!” lanciò Titran verso la montagna. “THUNDERSTORM!”
Il cielo si tinse di nero. Dalle nuvole piovvero fulmini tremendi. Mazinwarrior li condensò nella punta dei suoi indici, e li lanciò contro la creatura sconfitta. L’ultimo grido di agonia di Titran si spense insieme alla sua vita quando il suo corpo colpì la città, sollevando una nuvola di polvere e detriti.
A quel punto, Lobo puntò il robot verso casa. Non aveva altro tempo da perdere!
“Come sapete, giungemmo sulla Terra quando ancora erano i dinosauri a dominare questo mondo, per impedire a Lord Maur-Kon di appropriarsene.
“Durante uno dei periodi fra un conflitto e l’altro, il dominio del mondo andò a delle divinità molto potenti ed i loro adepti. Fra quelle divinità c’era Set, il dio-serpente, colui che aveva consolidato il proprio potere uccidendo un proprio fratello e divorandolo.
“Il dominio di Set fu il primo a crollare, quando licantropi, umani e draghi si coalizzarono per annientare le sue armate. Noi Seguaci della Luce fummo coinvolti, perché lo stesso Maur-Kon cercò di trarre vantaggio dal caos creato durante la guerra. Abbiamo visto cosa è capace di fare, il suo potere sovrasta di molti ordini quello di altri dei venuti qui sulla Terra.”
Tambura era fiacco, era raro vederlo così. “Tre popoli, e fu una strage. I pochi sopravvissuti furono sparsi ai quattro venti. La guerra portò fine all’età oscura di quegli dèi, ma loro stessi sono forti come prima. Alcuni di loro tramano nell’ombra, Set ha provato attivamente a conquistare il mondo anche di recente, nell’operazione Atlantide Attacca.
“Non immaginavamo che quel mostro fosse tornato e avesse fatto lì la sua tana. Le navi che abbiamo visto erano di Devianti[i]. Ghaur è stato sacerdote di Set, insieme all’atlantidea Llyra…” scosse la testa. “Temevamo che un secondo fronte venisse aperto, ma questo...
“Possiamo impegnarci, combattere, forse ferirlo. Ma non ho la minima idea di come lo si possa eliminare. E soprattutto, dobbiamo impedire a Demonicus di stringere un’alleanza con Set.”
E che Dio li aiutasse tutti.