Marvelit
presenta:
Capitolo
0.1.
Come
un Nastro di Moebius#2
Di Yuri
N. A. Lucia.
Downtown, New York City. – Ore
2.00 a.m.
Volteggiava
imperterrito sopra la sua testa, come un messaggero alato della Morte, arrivato
lì per ghermirlo, e proprio come la sua padrona era caparbio e deciso a tutto
pur di portare a termine il suo compito.
Si
massaggiò il braccio indolenzito per via della caduta nell’edificio, e sbirciò
attraverso le assi di legno con cui avevano inchiodato la botola del tetto
molti anni addietro e la sua vista accelerata-potenziata, scorse ogni
particolare di quello sgradevole volte: il ghigno animalesco, gli occhi che
scintillavano di luce, il lerciume incrostato sui baffi e agli angoli della
bocca dai canini e incisivi aguzzi; lo maledì rabbiosamente, e si pentì di non
avergli spezzato il collo quando ne aveva avuto l’occasione.
Riordinò
i pensieri, autocostringendosi alla calma dopo aver preso un paio di respiri ed
aver appoggiato la schiena al vecchio muro di mattoni sporco di polvere, grasso
e fuliggine.
Quella
luce negli occhi, non era naturale, probabilmente indossava lenti auto
polarizzanti rivela-infrarossi, che gli permettevano di vedere al buio e
proteggersi dagli improvvisi aumenti di luminosità. Anche se la pupilla non era
visibile, aveva notato che li muoveva continuamente, con scatti improvvisi ed
irregolari, quasi in preda ad un tic spastico: era uno dei sintomi di chi
subiva un intervento di potenziamento dei centri sensori del cervello; il suo
mantello a particelle repulsive aveva avuto sempre un sussulto, ogni qualvolta
gli si avvicinato o posato sopra, conferma della presenza di un campo magnetico
propulsivo, anche se di tipo sconosciuto. La fonte doveva essere quel paio
d’ali che aveva impiantato sulla schiena, che gli servivano per sfruttare a suo
favore le correnti d’aria e facilitarlo nelle manovre in volo.
Non ne
sapeva molto, ma era abbastanza per ragionare su un modo di sfruttare a suo
vantaggio eventuali punti deboli, e sotto la maschera se la rise trovandone
uno.
Il
Ragno ancora non voleva venire fuori, e la cosa lo stava cominciando a far
spazientire, al punto che iniziò ad urlare oscenità e minacce al suo indirizzo,
finché una voce strafottente interruppe il suo sbavante soliloquio:
“Ehi!
Pezzo di merda! Gran figlio di vacca troia! Dov’è che guardi, cieco del cazzo!
Sono qui! Vieni qui a baciarmi le chiappe!”
Il
collo scattò, e strabuzzò gli occhi quasi in preda ad una sorte di vogliosa
libidine nel desiderio di vendetta e sangue.
“Ragnooooooooooooooooooooooooooo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Arrivoooooooooooooooooooooooo!!!!!”
Virò
bruscamente, e si gettò a capofitto come Miguel aveva previsto:
“Ottusa
creatura”
Pensò
sprezzante, e si lasciò cadere all’indietro, attraverso un tunnel di tubi di
ferro che lo nascose di nuovo alla vista dell’avversario che urlò frustrato per
non averne potuto assaggiare le carni, ma poi, quello sbucò di nuovo dal fondo
e la caccia riprese.
Scalava
i muri, gettandosi da uno all’altro, girando su sé stesso, movendosi in
continuazione, curandosi di non rimanere troppo tempo in aria in modo da non
divenire vulnerabile ai suoi attacchi, ma rimanendoci abbastanza da non fargli
sospettare niente mettendolo in allarme.
Mentre
lo faceva, si tirava dietro dei cavi di tela, facendo sì che fossero abbastanza
grandi da essere notati, e costringendo l’Avvoltoio a numerose manovre eversive
per evitarli.
“Vuoi
prendermi nella tua merdosa ragnatela? Credi proprio che io sia un povero
stronzo?!”
“Lo
credeva anche quella gran pompinara di tua madre! E la mamma ha sempre
ragione!”
Urlò,
e un improvviso afflusso di sangue al cervello ottenebrò quel po’ di ragione
che gli era rimasta. Stava esaurendo la riserva delle filatoie e ormai non
gliene rimaneva più molta, e per ricaricarsi gli sarebbe servito un po’ di
tempo, cosa che non aveva.
Staccò
dei pezzi di muro, e glieli lanciava contro ogni volta che gli passava vicino,
cercando ogni volta di colpirlo da un punto diverso.
Il
volto dell’Avvoltoio era paonazzo, e oltre alla bava, lungo il mento ora colava
anche sangue che fuoriusciva copioso dal naso, ma quello non se ne avvedeva
poiché ormai completamente folle.
Ansimava
e cercava di coordinare le parole per proferire altri insulti, ma ormai era
divenuta una vera impresa, così come controllare i movimenti, proprio come
L’uomo Ragno aveva previsto e, quando decise che il momento era venuto, sparì
dalla sua visuale, solo per riapparirgli alle spalle.
“Cucù!
Settete!”
Gli
urlò nelle orecchie prima di assestargli un colpo di taglio sulla clavicola,
dove non aveva smorzatori di inerzia, fracassandogliela completamente. Si
levarono alti schizzi di sangue mentre le schegge d’osso trinciavano le carni e
la pelle nella loro eruzione verso l’esterno.
S’avvitò
diverse volte su sé stesso, imballandosi e finendo al suolo con uno schianto
fragoroso che sollevò un enorme polverone.
Tossiva
e tremava tutto, la testa in fiamme, come se un ferro l’arroventasse
dall’interno, l’elmetto ormai inutilizzabile che si strappò via con l’unico
braccio che riusciva a muovere, l’altro ormai insensibile ed inutilizzabile.
Cercò
di alzarsi ma senza riuscirci, poi, si sentì sollevare di peso contro la sua
volontà e allora lo vide.
“Ora
non mi minacci più, fottuto assassino?”
“A…ammazzami…”
“Cosa?!”
“Amm…”
Vomitò
sul braccio di Miguel che, per reazione lo lasciò cadere in terra, facendogli
sbattere l’anca destra.
“Cosa?!?!
Vuoi che ti ammazzi!!! Per Thor!!! Dopo quello che mi hai fatto al braccio
sarei davvero propenso... ma non voglio… non voglio farlo! Non sono un
assassino a sangue freddo come te! Dimmi chi sei e da dove vieni! Ascoltami!
Forse… forse puoi essere aiutato… forse…”
“Ammaffami…”
disse a bassissima voce, quasi sibilando, dopo aver sputato alcuni denti e
facendo scrocchiare penosamente la mascella “fe non lo fai… finirò di nuovo lì…
di nuovo… ed io… non voglio…”
“Lì?
Ma dove lì? Da dove vieni? Chi sei? Rispondimi! E’ per il tuo bene!”
“Non
lo fo… no ho mmmai… faputo chi foffi… fo quello che mi hanno fatto… Aaaa… A…
Alchemax…”
Si
alzò, fissando quel corpo martoriato e straziato, che continuava a perdere
sangue.
“Quando
ti hanno fatto? Che cosa ti hanno fatto?! Maledetti!!! Maledetti!!!!”
Non aveva idea di dove
portarlo, perciò quando vide quel centro d’accoglienza per sbandati allestito
da alcuni thoriani, vi si diresse senza pensarci troppo su.
Il guaritore del rifugio
aveva avuto parecchio da fare da quando erano comparsi i falsi aesir: le bande
dei thoriani integralisti e fanatici si erano scatenate contro i fenrir,
attaccandoli senza sosta, finché non era saltata fuori tutta la verità; adesso
erano i fenrir che si stavano dando da fare, in cerca di vendetta e rinfrancati
dalla notizie che non c’era nessun vero Thor pronto a punirli per la loro
blasfemia, e i thoriani estremisti, non potevano contare su nessuno a Downtown,
ragniani o neocristiani che fossero, visto che si erano accaniti anche contro
di loro nella furia redentrice che li aveva colpiti. Odiava dire che lui sapeva
come sarebbe andata a finire, e del resto non era neanche il caso che lo
facesse, ma sin dall’inizio aveva sospettato di quei sedicenti dei: Thor e i
suoi fratelli immortali non sarebbero mai stati tanto arroganti, né Asgard avrebbe
provocato tanta morte lungo il suo cammino, senza contare che non somigliava
minimamente ai racconti sul regno eterno riportati dalle Cronache.
Stava bendando la testa di un
povero disgraziato, che aveva avuto il torto di trovarsi nel mezzo di uno
scontro tra bande, quando la porta si spalancò all’improvviso.
Erano rimasti tutti di stucco
nell’osservare la scena, tanto gli assistenti quanto gli assistiti, e solo lui,
il vecchio Grimm Eye sembrava impassibile a quella scena drammatica: un fedele
ragnano in costume che portava tra le braccia un uomo ridotto in condizioni
piuttosto gravi; il sangue gocciava sul pavimento e la tuta del portatore ne era
in gran parte ricoperta.
“Vi prego! Mi serve
urgentemente aiuto, o lui morirà.”
Grimm maledì la stupidità dei
suoi aiutanti e dei suoi stessi figli, che invece di muoversi, rimanevano
impalati sul posto con un espressione di scettica diffidenza dipinta sul volto.
“Papà! Che cosa fai?”
Lo richiamò Starkard, il suo
secondogenito, mentre andava incontro ai nuovi arrivati.
“Mi sembra evidente! Ma forse
sopravvaluto il tuo cervello! Sto andando a prestare soccorso al quel povero
disgraziato.”
“Ma quello che lo sta
portando è…”
“Non me ne importa un fico
secco sé è un Ragnano, un Neo Cristiano o uno Scentista: neanche se me lo
ordinasse il tonante in persona gli negherei il mio aiuto.”
I presenti si segnarono con
il simbolo del sacro martello udendo quelle parole, e poi eseguirono l’antico
gesto pagano per scacciare il male*.
“Blasfemia! E proprio da te
padre mio, che sei lo stimato e capo di questa…”
“Ma falla finita! Mi vergogno
ad essere la guida di siffatti egoisti e soprattutto di un ottuso vigliacco
come te.”
Guidò il Ragno verso un letto
che era stato prontamente liberato da un paziente ormai in grado si stare in
piedi, e gli fece adagiare il compagno.
“Smidollato?”
“Zitto adesso! Allora, che
cosa gli è capitato.”
“Io,.” Rispose l’uomo Ragno
alla domanda del maturo uomo.
“Dannazione! Ti pare questo
il momento di motti di spirito?”
“No, sono stato io a ridurlo
così.”
“Come?”
“L’ho fatto precipitare…”
“Volava con questi affari
sulla schiena? Sono un impianto bionico, vero? O semplice innesti removibili?”
“Ho la certezza che ci sia un
complesso sistema di connessione sinaptica.”
“E’ un fenrir?”
“Come?”
“L’hai fatto cadere perché
era un fenrir? Oh santi Balder e Volstagg, lasciamo perdere! Da che altezza è
precipitato.”
“Ottanta metri, più o meno.”
“E’ una bella caduta! Cos’è
che hai usato per raggiungerlo ed abbatterlo? Un aliante, una moto? No, lascia
perdere anche questo. Suppongo avesse qualche sistema di protezione se si è
salvato da quell’altezza: sei sicuro che non avesse niente di rotto quando lo
hai spostato, intendo oltre a questo bracco che è ormai è andato.”
“Io… credo di no…”
“Credi? Vuol dire che non ti
sai accorgere se qualcuno ha un osso rotto o spezzato! Benedetti occhi di Sif!
Starkard! Per Hela vomitatrice di oscenità! Muovi quelle chiappe grasse che ti
ritrovi e vieni a darmi una mano, altrimenti vengo io lì da te e di darò una
lezione che Surtur al confronto ti sembrerà la tua vecchia bambinaia!”
Con riluttanza, e umiliato
dalle parole dell’amato genitore, andò per aiutarlo e, dopo qualche istante di
indecisione e dopo un rapido scambio di sguardi, lo imitarono alcuni
infermieri.
“Molto bene: ora sì che ti
riconosco figlio mio; tu, ragnano, vatti a mettere seduto, darò una controllata
anche a te più tardi. Matty Rò! Porta dell’acqua da bere al ragazzo, e tu,
Olaff, prendi le medicazioni e gli scanner, presto!”
L’uomo Ragno si sedette sul
pavimento, a gambe incrociate, incapace di staccare gli occhi da quegli uomini
che cominciarono ad armeggiare intorno al corpo del suo rivale, scambiandosi
commenti poco incoraggianti e scuotendo continuamente il capo. La ragazzina,
Matty Rò, gli portò una caraffa di plastica piena d’acqua, versandogliene un
po’ in un bicchiere che, preso dalle sue mani, osservò per un po’, indeciso se
accettarlo o meno.
“Guarda che è pulita! Abbiamo
il miglior depuratore di tutta la Subcity,” fece visibilmente offesa lei, un
metro e sessanta, dodici o tredici anni, capelli castano scuri tagliati corti,
occhi verde chiaro, carnagione lattea, un visetto delizioso dall’espressione
sveglia.
“Scusami, non volevo
offenderti. E’ solo che sono un po’ preoccupato… beh, per lui.”
Disse in tono sommesso,
indicando il tavolo dove oltre al guaritore e uso figlio erano assiepati cinque
tra uomini e donne.
“Sei proprio strano!”
“Perché?”
“Prima pesti a sangue quel
tipo, poi ti fai in quattro per portarlo qui e ti senti male per lui! Non mi
piace, ha l’aria del brutto ceffo, e non so neanche se mi piaci tu, con quella
maschera sul volto, anche se devo dire che il tuo costume è meglio di quelle
porcherie sottocosto che vendono ai mercatini di Park Avenue. Sai, sembra vero
tami, e non tessuto sintetico da due soldi, e anche il taglio e il disegno,
sono fedeli all’originale.”
Miguel azzardò a chiederle:
“Dici quello dell’Uomo
Ragno?”
“Dico quello.”
Confermò lei.
“Beh, ti ringrazio.”
“Tu di dove sei?”
“Intendi dove vivo?”
“Ti fai sempre spiegare
tutto? Anche le cose più ovvie?”
“Non esistono cose veramente
ovvie…”
“Eh?”
“Oh, scusami, solo una cosa
che diceva una persona molto saggia molto tempo fa.”
“Se lo dici tu… comunque
secondo me sei uno di quegli spostati ragnani che vivono a Central Park.”
“Come fai ad esserne sicura?”
“E dove altro potrebbero
vivere quei matti?”
“Non ti sono molto
simpatici.”
“Stanno diventando peggio dei
fanatici che in nome di Thor si danno alla violenza e al saccheggio selvaggio.”
“Sei thoriana?”
“Cerco di essere una buona
fedele del Vero Verbo.”
“Sei anche tu ostile all…Uomo
Ragno?”
“No, a lui no.”
“E perché?”
“Perché è il suo Nunzio, il
Nunzio di Thor.”
”Credevo che per voi fosse una blasfemia dire una cosa del genere.”
“Non siamo tutti uguali, e
poi, la riprova è stato quanto accaduto ultimamente: lui si è apertamente
schierato contro il falso Dio del Tuono; questo perché lui lo saprebbe
riconoscere subito.”
“Tu ne sei assolutamente
sicura?”
“Ehi! Ora sono io che ti
chiedo se questo non sarebbe blasfemo per un ragnano.”
“Probabile… come sta
andando?”
Matty si voltò per dare un
occhiata: l’aria intorno al lettino scintillava leggermente per via di un
leggero campo di forza elastico il cui scopo era quello di impedire ai
microrganismi di penetrare nell’aria sterilizzata al suo interno; quando posò
di nuovo lo sguardo sul ragno aveva un aria che non preludeva a nulla di buono.
“Mi sembrano molto
preoccupati, e il tuo amico era conciato da schifo: fidati, ho una certa
esperienza; vivendo in un Tempio della Guarigione ho imparato un mucchio di
cose utili sulla medicina. Di solito quelli che hanno impianti bionici come
quelli, sono ulteriormente svantaggiati, sai, lo stress fisico di supportarli,
eventuali corto che possono procurare un rigetto improvviso.”
“Certo, capisco
perfettamente,” disse avvilito, e si alzò la maschera fin sopra il labbro,
pieno di tagli e bevve un sorso d’acqua. Matty Rò, avendo visto le ferite,
allungò le mani per sfiorarle, e Miguel tirò istintivamente indietro la testa.
“Scusa, non volevo
spaventarti.”
“No, scusa tu: sono un po’ su
di giri.”
“Ok, nessun problema. Ora
lasciami dare un occhiata ai tagli e… perché non tiri su tutta la maschera così
posso guardare meglio. Sei gonfio lì, segno che c’è un brutto livido.”
“Ti ringrazio, ma preferirei
di no…”
“E perché? Ti vergogni della
tua faccia?”
“Ehm… diciamo che non mi
faccio mai vedere al primo appuntamento, sai, tanto per mantenere un po’ di
mistero.”
La ragazza portò le mani ai
fianchi e, prima quasi controvoglia, poi senza potersi frenare, cominciò a
sorridergli.
“Io penso che non abbiamo
nessun appuntamento, che sei un po’ matto, ma che sei simpatico.”
Le labbra si incurvarono
all’insù, nonostante si sentisse ancora uno schifo per quello che aveva fatto.
Tornò a guardare davanti a sé, e si disse che non avrebbe mai dovuto arrivare a
quello.
Grimm Eye si versò uno scotch
nel calice e ne bevve un sorso abbondante, passandosi dopo una mano sulla bocca
per togliere via alcune goccioline rimaste sulla barba. Suo figlio Starkaard
stava pazientemente in attesa alle sue spalle, le mani dietro la schiena.
“Figliolo, sai perché prima
sono stato così duro?”
“Perché non ero d’accordo con
la vostra idea di curare quel fenrir?”
“Posto che non sappiamo se
sia o meno un fenrir, ero arrabbiato perché stavi dimenticando tutto quello in
cui crediamo e a cui ti ho educato sin da piccolo: sii determinato e rapido nel
combattere il male, o il tuo nemico…”
“… ma si altrettanto rapido
nel perdonare chi si pente, nell’essere indulgente con chi arrende e attento a
non scivolare tu stesso nel male inaridendo il cuore e l’animo.”
Grimm si avvicinò al figlio,
scrutandolo con l’unico occhio rimastogli dall’alto in basso, e poi, con
espressione orgogliosa e posandogli teneramente le mani sulle braccia:
“Sei sempre stato un bravo
figlio, e sono sempre stato fiero di te. Capisco che quanto successo
ultimamente, è stato duro per tutti. I falsi dei hanno minato la fede di molti,
specie di chi in un primo tempo li aveva accolti con gioia e trepidazione. I
disordini, le sommosse, le vendette, i rancori, e tutti i feriti e i morti
giunti qui per colpa di questi e della finta Asgard ci hanno esasperato. Ma ti
prego, figlio mio amato, non cedere alla disperazione chiudendoti nella tua
diffidenza.”
“Ho capito padre mio: non
sbaglierò più; comunque il ferito è grave, e non è bastato amputare il braccio
e rimuovere quei grumi di sangue nel cervello per risolvere il problema. Il
corpo era già al limite prima che subisse quella caduta, anzi, direi che è
stata solo l’ultima spinta verso la fine. So perché prima hai detto che non
credevi fossi un fenrir: quegli impianti bionici sono estremamente complessi,
anche se non me ne intendo, sembra alta tecnologia aziendale.”
“Pensi ad un loro agente?”
“Penso che l’hanno martoriato
per bene a furia di interventi di rafforzamento, e chi l’ha operato è un vero
pazzo irresponsabile. Dobbiamo assolutamente chiamare Asgeir, lui si intende di
nodi sinaptici e innesti sincronici: è imperativo rimuovere quelle ali e
dobbiamo sottoporlo subito ad un’altra trasfusione di sangue.”
“Abbiamo ancora del sangue
sintetico?”
“Non molto, ma vista
l’urgenza del caso… comunque radunerò altri donatori volontari, anche se a
questo punto tutti penseranno che più che un guerriero di Thor io sia Dracula.”
Grimm Eye rise, e dette una
pacca sulla spalla del figlio.
“E’
meglio che tu vada.”
“Come?” Chiese confuso l’uomo
Ragno rivolgendosi a Grimm Eye.
“Hai capito bene quello che
ti ho detto, ora è bene che tu ti allontani da questo luogo.”
“Ma lui…”
“Anche se rimani, non
cambierà le sue possibilità di sopravvivenza.”
“Ma io…”
“Per gli altri sei un
ragnano, e anche se per il momento mi danno retta, continuano a non essere
felice di vederne uno girare per il Tempio.”
“Non voglio fare nulla di…”
“E non voglio che si
accorgano che tu sia il vero Uomo Ragno.”
Miguel lo guardò senza dire
nulla, e Grimm Eye, che continuava a fissare la sala d’aspetto sottostante il
suo ufficio dalla finestra continuò: “C’erano dei segni sul suo corpo, e anche
se gli altri hanno pensato a ferite d’arma da taglio, io ho capito subito di
cosa si trattava: artigli; sono stato spesso sui luoghi dell’apparizione del
cosiddetto Nunzio, forse per una sorta di segreta speranza, o forse solo per
morbosa curiosità, e ho imparato a memoria il tipo di segni che lascia l’uomo
Ragno, un segno inconfondibile per via della forma, dello spessore, e del
posizionamento dei suoi artigli e poi indossi un costume in vero t.a.m.i. e un
mantello a particelle repulsive. Mi è rimasto un occhio solo,” commentò
amaramente indicando la benda sul lato sinistro “ma funziona molto bene e
distinguo subito il sintetico dal vero t.a.m.i.
“Io, non ho mai capito come
dovevo considerare la tua venuta, perché se per parecchi era un segno del
prossimo ritorno del possessore di Mjolnir, io nutrivo qualche dubbio. Eppure,
oggi mi hai dato una prova molto importante, e anche se non so se dietro ci sia la volontà dei devi
celesti, so che dietro quella maschera c’è un uomo che può sbagliare come tutti
noi, ma dotato di un cuore che sa distinguere tra il male e il bene.
“Ho sentito parlare, tempo
fa, di un essere che si aggirava a Manhattan, un uomo alato che capeggiava una
banda di selvaggi e che mangiava le carni di quelli che gli capitavano sotto
tiro, e qualche settimana fa si era scontrato con l’uomo Ragno. E’ stata dura
con lui?”
Miguel sollevò il capo,
socchiudendo gli occhi e, come se si stesse togliendo un grosso peso dallo
stomaco, sussurrò: “Ho temuto di morire.”
“Ma non sei morto.”
“Forse lo farà lui.”
“Non sei stato tu a ridurlo
così.”
“Ah no?”
“No: ha percorso lui la via
del male, e tu ti sei solo limitato a proteggere la tua stessa vita, come è
diritto naturale di ognuno di noi; non sentirti in colpa, e, se questo può
aiutarti, faremo del nostro meglio per salvarlo, anche se non posso assicurarti
che ne uscirà e soprattutto, se dovesse accadere, non so proprio che cosa
faremo con lui.”
“Ti ringrazio, Grimm Eye.
L’unica cosa su cui non sono d’accordo, e sul fatto che abbia scelto lui la
strada del male… non dopo aver saputo il nome di quelli che lo hanno
trasformato… in quella cosa.”
Miguel gli porse il braccio
per salutarlo con il saluto thoriano, in segno di rispetto, ed esso lo
contraccambiò.
“Spero che tu capisca: sono
tutti molto confusi, e se ora sapessero chi sei veramente, la loro confusione
aumenterebbe; torna quando le acque si saranno calmate, sarai accolto in modo
più appropriato.”
“Mi basta sapere che
ritroverò la stessa amicizia che mi stai mostrando ora. Ti chiedo solo un
favore: salutami la piccola Matty Rò, è una tipa in gamba.”
Matty Rò entrò nell’ufficio
di Grimm Eye, e, come sempre, non riuscì a non guardare ammirata il vecchio
Blashir che se ne stava pacioso sul suo trespolo.
“Allora, giovane Matty Rò,
sono qui, dimmi pure tutto.”
“Mi scusi se l’ho disturbata,
venerabile Guaritore, ma… non riesco… non riusciamo più a trovare il ragnano
che ha portato quel poveretto.”
“Se ne è andato.”
“Come? E’ perché non me… non
ce lo ha detto!”
“Non era ferito in modo
grave, non aveva reali motivi per rimanere con noi. Come mai tu sembri esserne
molto turbata.”
“No!” Esclamò in preda
all’imbarazzo, mentre il suo viso adolescenziale s’arrossava” E’ solo…
che io gli avevo offerto un po’ della nostra preziosa acqua e… andarsene via
così senza neanche dire grazie… ma come mai non lo abbiamo visto uscire?”
“Misteri di Thor.”
“Come?”
“Stavo solo scherzando.
Comunque, sappi che gli ho parlato è mi ha chiesto di riferirti che sei una
ragazza in gamba.”
“Ha detto ragazza?”
“Non proprio… ma confermo
l’in gamba.”
Guardò benevolo la ragazzina,
che, dopo essere arrossita ancora di più, salutò chinando il capo e uscendo
dall’ufficio.
Grimm Eye sorrise divertito,
e sollevò lo sguardo verso il lucernaio, mormorando:
“A presto, mio nuovo amico.”
High Voltage Club – Ore 7.42
a.m.
Nonostante
l’ora il locale era ancora pieno : il fumo era così denso che quasi non si
vedeva nulla, i muri erano pieni di graffiti e scritte oscene, e si camminava a
fatica per via di tutti gli avventori che dormivano su materassi luridi e
maleodoranti, i più in preda all’effetto di droghe psichedeliche, in attesa che
si liberasse un accesso alle porte virtuali in modo da poter iniziare un altro
tipo di viaggio. Alcuni tremavano in preda alle convulsioni, altri si
vomitavano o si defecavano addosso, altri piangevano invocando il nome di
qualcuno, altri ridevano istericamente, altri ululavano come bestie, cera anche
chi lo faceva senza nessun senso del pudore.
Gabri
gli aveva spiegato, che c’erano diverse persone convinte consumatrici di
antiquati prodotti a base di LSD, nella convinzione di poter migliorare il
proprio stato di connessione durante l’immersione nella realtà virtuale:
secondo Gabri c’era un fondo di verità, ma l’incremento delle prestazioni on
line non era tale da giustificare l’utilizzo di qualcosa che fotteva in breve
tempo il cervello. Ovviamente parlava per esperienza diretta.
Miguel
si era cambiato sul tetto: aveva comprato i vestiti da uno sballato che
indossava un completo di Show Business; non si sarebbe aspettato di vedere uno
vestito così in un posto del genere, ma del resto il luogo comune non moriva
mai.
Nessuno
aveva fatto caso a quel tipo che scendeva le scale e si guardava intorno con
l’aria del cacciatore di taglie.
Miguel
si avvicinò al bancone, dove un grasso barista calvo stava pulendo un bicchiere
così sporco da far apparire impossibile l’impresa.
“’sera.”
“Cosa
ci fai qui?”
Chiese
in malomodo l’uomo.
“Sono
venuto a cercare una persona.”
“Qui
non si viene a cercare le persone: si viene a cercare il brivido di una
connessione profonda; tu non hai l’aria di un netnauta.”
“Che
aria ho?”
“L’aria
dello stronzo, e spero che tu non stia cercando guai.”
“Ascolta,
c’è un tuo avventore, Firelight.”
“Firelight
non è un mio avventore, e se avessi una simile celebrità qui nel locale lo
saprei. Chi cerca Firelight?”
“Suo
fratello.”
“Firelight
ha un fratello? Accidenti, chi l’avrebbe mai detto: è poi uno stronzo del
genere, ihihihihi,” disse ridacchiando.
“Molto
gentile. E chi potrebbe sapere dove si trova mio fratello?”
“Prova
di la, alla Darkroom.”
“Alla
Darkroom?”
“E lì
che va a rilassarsi Pitrider.”
”Chi sarebbe?”
“Lo scoprirai
da solo.”
“Grazie,
mr. Simpatia.”
“Prego,
mr. Stronzo.”
Seguì
il ragazzo con lo sguardo, sorridendo sardonico mentre i quattro che avevano
sentito la loro conversazione si stavano muovendo per seguirlo.
“Mi sa
che da Pitrider ci arrivi a fette, stronzetto.”
Sollevò
il boccale, cercando di scrutare attraverso il vetro opaco, e poi, stanco
dell’inutile lavoro, ci sputò dentro rimettendolo a posto.
C’era
poco spazio per muoversi, la gente in prossimità della Darkroom era una specie
di selva vivente di corpi sudati che si agitavano al ritmo di una musica che
lui non poteva sentire perché non aveva preso il ricevitore di laser
all’ingresso. Per sua fortuna c’era un’enorme specchio sulla parete, e questo
gli permise di vedere con la sua vista accelerata, il particolare della sagoma
che spintonava le persone che parevano indifferenti a quell’aggressione, e gli
si avventava contro con in mano quello che sembrava un coltello dalla lunga
lama seghettata. Non aveva scelta, e balzò all’indietro, evitando l’affondo per
un attimo. Lo afferrò alle spalle, scrollandolo attento a non fargli troppo
male.
Un'altra
immagine sulla parete gli mostrò uno dei compari dell’aggressore che cercava di
portare a termine il lavoro intrapreso: si limitò semplicemente ad alzare di scatto
il gomito e quello ci finì addosso con il naso, spaccandoselo con una grande
fuoriuscita di sangue; cadde all’indietro, sbattendo le spalle sul pavimento.
Si
abbassò, evitando un diretto, e quando si sollevò afferrò il braccio, lo torse
leggermente facendolo scricchiolare rumorosamente, e provocandogli delle
grottesche smorfie di dolore. Usò il pugno dell’altro per atterrare l’ultimo.
“Allora!
Si può sapere chi sei?”
“Oddio!!!
Che dolore!”
“Ehi!
Mi vuoi rispondere?”
“Oddio
mio!!!”
Miguel
sbuffò, e gli tolse il dischetto ricevitore posto dietro l’orecchio destro.
“Adesso
mi puoi sentire, perciò dimmi subito chi sei o ti spezzo il braccio.”
“Ti
prego! Lasciami, mi stai uccidendo.”
“Ti
lascio, si, ma mi prendo il tuo braccio se non mi dici chi sei e perché tu e i
tuoi amici avete cercato di farmi questo.”
“E’
stato Backdoor…”
“Chi?”
“Quello
che hai steso per primo! Ha sentito che parlavi di Firelight e che millantavi
di essere suo fratello! Backdoor, parecchi anni prima, le prese da lui, e fu
sputtanato dopo una gara di corsa selvaggia attraverso la realtà virtuale.
Voleva vendicarsi affettandoti…”
“Dov’è
mio fratello?”
“E io
che cazzo ne… auchhh!”
“Ok,
raccatta i tuoi amici, e vattene via da qui… subito!”
Il
ragazzo non ci pensò su due volte, e quando quello lo liberò dalla terribile
morsa, andò a recuperare i compagni malconci e se ne andarono via.
La
Dark room era un esperienza sconvolgente anche per uno aperto di vedute come
Miguel O’Hara, e non assomigliava a nessuna delle Dark room che aveva visto in
quei Sex and Bar visitati per curiosità quando aveva compiuto diciassette anni.
Gli occupanti sembravano in preda ad un febbricitante delirio sessuale, intenti
ad unirsi in amplessi che non tenevano conto dell’età o del sesso del partner.
Molti dei presenti erano collegati a cavi, di cui un estremità era inserita in
una porta neurale sulla nuca e l’altra ad un ingresso sul soffitto. I suoi
occhi erano diversi da quelli dei normali esseri umani, e pur non potendo
vedere in assenza totale di luce, riusciva ad avere una buona visuale grazie a
quel poco di illuminazione che filtrava dall’esterno, cosi che i particolari di
quell’orgia gli erano sufficientemente chiari. Si scansò per evitare il culmine
del godimento di uno dei partecipanti che andò a insozzare il bel sedere di una
ragazza intenta a subire un cunilingus da un amica.
“Thor!
Gabri frequenta questo tipo di posti?” Si chiese disgustato mentre avanzando
verso il centro della sala lo spettacolo diveniva sempre più osceno e
concitato, quasi stesse inoltrandosi attraverso dei gironi danteschi, finché la
vide e si bloccò, come folgorato da una rivelazione.
Intorno
a lei c’era uno spazio vuoto, quasi una barriera che la proteggeva dal sudiciume
e dal vizio, vestita completamente di bianco, un abito lungo, ricamato, lunghi
guanti sino al gomito, capelli corvini lunghi, acconciati in modo molto retrò ,
labbra piene e rosse, occhi neri, ciglia lunghe e sopracciglia sottili , pelle
candida, lineamenti delicati, come accennati dal pennello di un maestro
fiammingo, vita sottile e un seno pieno e sodo, le mani incrociate
deliziosamente poggiate sul grembo, lo sguardo basso, quasi in pudico e
virginale gesto, l’espressione serena: un vero controsenso in quel luogo di
dannazione e peccato.
Deglutì
a fatica, e, dopo qualche istante che si era fermato, si accorse che diverse
mani lo stavano carezzando in modo lascivo, e colto da un moto di rabbia e
disgusto se li scrollò di dosso in malo modo.
Penetrò
in quella bolla di quiete, in cui i gemiti e le urla non riuscivano a
penetrare.
“Campo
ad assorbimento acustico,” pensò Miguel, senza però riuscire a distogliere lo
sguardo da lei.
“Benvenuto
nella mia dimora, visitatore.”
Rimase
sorpreso, e non riuscì a rispondere subito. Si sentiva stupido ad essere
imbarazzato come un liceale al primo appuntamento, e ricordò a sé stesso che
invece era uno stimato e talentuoso scienziato, un…”
“Un
pezzo grosso dell’Alchemax.”
Miguel
era ancora più confuso di prima, e lei accortasene, sorrise in modo adorabile,
mentre il suo bel volto sembrava illuminarsi ancora di più.
“Non
devi spaventarti: controllo l’identità di tutti gli ospiti dell’High Voltage,
specie di quelli che non vengono qui per provare il brivido di un immersione
profonda nel net.”
“Hai
lanciato una ricerca e hai trovato la mia foto e i miei dati nella rete, vero?
Non vedo cavi: hai un collegamento all’infrarosso con il modem?”
“Sistema
sub eterico di undicesima generazione.”
“Hai
impianti cibernetici allora.”
“Nanotecnologia.”
Miguel
le sorrise, in un certo qual modo rassicurato dai suoi modi gentili e
tranquilli e chiese:
“Sai
perché sono qui?”
“Ho
sentito tutta la conversazione al bancone, e ti chiedo perdono per i modi
arroganti di Douglas.”
“Collegata
al servizio di sorveglianza interna del locale, e quindi probabilmente sai
anche cosa è successo prima di entrare qui dentro,” continuò, ormai di nuovo
padrone della propria sicurezza.
“Anche
per questo devo scusarmi: quegli individui non entreranno mai più qui dentro,
sapevano che ogni forma di violenza è bandita; ho visto che comunque te la sei
cavata piuttosto bene.”
“Si fa
quel che si può.”
“E
così, tu saresti il fratello di Firelight.”
“E tu
Pitrider: sei la proprietaria del locale?”
“Il
locale non ha proprietari, io sono solo una custode.”
“Difficile
crederlo… comunque sono il fratello di Firelight, e lo sto cercando. Sono
preoccupato, e ti chiedo di darmi sue notizie, se ne hai.”
“Avvicinati.”
Disse
lei, con un improvvisa nota di preoccupazione nella voce. Lui, senza
esitazioni, le si fece d’appresso, e lei, posò la sua mano sulla guancia gonfia
e tumefatta, carezzandola con grande delicatezza.
“Backdoor
e i suoi accoliti non sono le uniche difficoltà che hai incontrato venendo qui
a Subcity, vero? Sei molto coraggioso, uomo di superficie, davvero. Dovresti
medicare le tue ferite: desideri un po’ di narcogomma per lenire il dolore.”
Miguel
le prese la mano, carezzandola a sua volta senza capirne pienamente il perché,
e le rispose:
“Sei
molto gentile, ma io e narcotici non andiamo molto d’accordo, e questo è solo
un… livido che mi sono fatto cadendo.”
“Come
quei tagli sulle labbra e sul sopraciglio? Sei un pessimo bugiardo, Miguel
O’Hara, ma le risposte che vai cercando te le sei sicuramente guadagnate: Firelight
è tornato.”
Gemette
nell’udire quell’affermazione, e tutte le speranza che aveva segretamente
nutrito durante quel viaggio erano andate in frantumi. Suo fratello era tornato
a cavalcare il flusso nei panni dell’avventuriero virtuale di nome Firelight, e
questo non era un bene per via della sua passata dipendenza da connessione.
“Il
tuo volto esprime molto bene il dolore che ti ho procurato, e di questo me ne
dispiaccio.”
“Non è
colpa tua se le risposte che ho avuto non erano quelle in cui speravo. Sai dove
lo posso trovare?”
“Se
parli della sua controparte fisica, non posso aiutarti. Se è il suo avatar che
cerchi, probabilmente lo troverai a 3W Tombstone, una virtua city nel Net. Non
avendo la necessaria modifica al cervello, non posso scaricarti li direttamente
l’indirizzo, ma se passi al banco, Doug ti lascerà un disco e stavolta sarà più
gentile con te. Spero solo di esserti stata d’aiuto, signor Miguel O’Hara.”
“Ti
ringrazio infinitamente, lo sei sicuramente stata. Senti… io, non ti vorrei
sembrare maleducato… ma… una ragazza come
te… perché…”
“Vive
in un posto simile? Guardati intorno… sei in grado di vedere anche con
bassissimi livelli di luce, vero? Me ne sono accorta da come avanzavi sicuro
prima, probabilmente porti lenti all’infrarosso sotto quegli occhiali.”
Miguel
le ubbidì, girando lo sguardo tutto attorno.
“Non
sembra di vivere all’interno di un quadro metadescrizionista di Simon Shiller?”
Chiese con improvvisa lussuria che scintillava
negli occhi la bellissima Pitrider.
Miguel,
ancora disgustato ma ora anche stranamente affascinato da quella prospettiva,
assentì e chiese ancora:
“Tu e
mio fratello, come vi conoscete?”
Lei
rise coprendosi la bella bocca con una mano guantata:
“E’
una lunga storia: diciamo solo che per un certo periodo siamo stati amici molto
speciali, anche se da adesso non c’è più un gran rapporto tra noi due.
Probabilmente si arrabbierà molto quando scoprirà che sono io ad averti dato
notizie su di lui.”
“Ti
prometto che non gli dirò niente.”
Si
scambiarono un sorriso complice.
Pitrider
aveva detto il vero: Douglas si era comportato con grande deferenza nei suoi
confronti quando era andato a prendere il disco; ora rimaneva il problema di
cosa fare.
Se
Gabri, come ormai sembrava certo era tornato ad essere Firelight, sarebbe
dovuto necessariamente andare a 3W Tombstone per trovarlo, e lui non era un
navigatore provetto, il che significava affittare una guida, e questo preludeva
ad una ricerca di qualcuno di esperto e fidato… sull’esperto non aveva
preoccupato, ma sul fidato.
Non
voleva connettersi all’interno del locale, anche se si fidava di Pitrider, e
non sapeva perché, lei non poteva di
certo controllare ogni cosa, proprio come per Backdoor, e quindi sarebbe
tornato all’appartamento di Gabri, dove c’era l’attrezzatura giusta. Al più il
fratello l’avrebbe cazziato per averlo fatto, e del resto quante volte si era
introdotto lui nella sua abitazione per usufruire del suo idromassaggio.
“Coraggio,
Miguel!” Si disse” Preparati a metterti in altri guai.”
Si
diresse verso il passaggio tra le piastre corazzate, mentre diversi metri più
giù, alcune persone che l’avevano visto passare, si gettarono in ginocchio per
l’improvvisa visione del divino nunzio.
Fine
dell’episodio.
*L’antico gesto pagano per scacciare il male, altro non
era che il nostro fare le corna.
Per commenti, note, contro note, contro cacchi vari,
scrivete a:
Un grazie a tutti voi, miei lettori, ai miei supervisori
e a chi mi vuol bene…