PROLOGO: Sulla Terra, e
contemporaneamente non sulla Terra…
La chiesa era stata
sconsacrata quasi cinquecento anni prima. L’edificio, di severo stile gotico,
già solido, realizzato in sasso, si ergeva ai margini di una zona degradata
alla periferia di una piccola città della Baviera.
Nonostante un’intera foresta
fosse cresciuta intorno all’edificio, un’area perfettamente circolare intorno
ad esso era priva di qualunque vegetazione. Non un rampicante, non un lichene,
crescevano lungo le pareti; non si vedeva un solo nido d’uccello sotto il
tetto, non un nido di vespa. La natura stessa, simbolo della vita, evitava quel
luogo di morte.
Duecento anni fa, questa
chiesa fu teatro di sacrifici innominabili al Maligno in persona. I riti che
furono celebrati fra queste pareti appartengono ad una religione empia più
antica del Satanismo stesso.
La chiesa ebbe solo una
sventura: essere eretta in un luogo dove la luce del bene era scomparsa
centinaia di migliaia di anni addietro. Il male si era attaccato a lei ed ai
suoi celebranti come una malattia; la comunità eretta intorno alla chiesa era
degenerata in un assembramento di folli sanguinari. Solo il prezioso intervento
di un Puritano venuto da terre lontane e dei suoi peculiari alleati aveva
permesso di impedire la proliferazione del male…anche se ciò costò tutte le
vite di una popolazione irrimediabilmente corrotta[i].
Ma il male era rimasto. Echi,
fantasmi dell’antica, oscura gloria…ma una quantità e qualità sufficienti per
gli scopi del celebrante giunto oggi.
Era un uomo: un uomo dalle
carni bronzee, almeno quelle delle mani e delle gambe. Indossava un abito di
foggia antica, blu, con simboli geometrici dorati incisi lungo il torso e fino
alla vita decorata da una bella cintura di cuoio intarsiato d’oro. Le spalle,
come il collo, erano bordate da bianca pelliccia, e un mantello sanguigno
scendeva fino ai piedi…cioè, se avesse raggiunto il pavimento.
Un uomo in ginocchio nel
mezzo del pulpito. Intorno a lui, roteando, brillava di fuoco arcano un cerchio
perfetto. Un cerchio zodiacale, inciso nel legno fin nei minimi particolari; un
cerchio di costellazioni della disperazione, tracciate da freddi pianeti e
stelle morti.
Davanti all’uomo, davanti al
teschio nudo della sua testa, stava sospeso un libro. Il libro era aperto, le
pagine si voltavano da sole ogni volta che lui terminava la lettura delle
precedenti.
Leggeva a voce alta, in una
lingua così antica da essersene persa ogni memoria. Nonostante il Tomo di Galadeno fosse attribuito ad un
filosofo folle vissuto solo millenni prima, egli stesso era stato il
continuatore di una tradizione molto più antica ed un semplice traduttore.
Sotto le parole in latino,
tuttavia, erano ancora nascosti i versi originali. Versi che un Alto Sacerdote
di Set poteva leggere ed interpretare agevolmente.
Ad ogni parola pronunciata, Thulsa Doom si avvicinava ad aprire la
sua mente al Cuore del Tempo. Quando le costellazioni dello Zodiaco Nero avrebbero raggiunto
l’allineamento, l’Oculum Infernalis
gli avrebbe rivelato lo strumento della vittoria finale del suo Signore, il
Dio-Serpente Set.
MARVELIT presenta
Episodio 17 - CONGIUNTURA DIABOLICA (II Parte)
Isola di Lampara, Indonesia
Il tempio era ridotto
all’ombra di sé stesso, una struttura ormai fusa con la giungla circostante.
Per quanto quella fosse l’unica rovina archeologica degna di rilievo, ci
sarebbe voluto un vero esperto per sapere che ospitava un artefatto per il
quale valesse la pena di uccidere.
O meglio, che aveva ospitato un artefatto per il quale
valesse la pena di uccidere.
“Ho come l’impressione che da
qui non ricaveremo molti indizi.”
C’erano diversi cadaveri di
nativi, sparsi lungo il pavimento della camera centrale. Quanto agli ‘ospiti’,
essi erano:
Ø
Nebulon, l’Uomo Celestiale.
Ø
Tagak, il Principe Leopardo. “Che inutile spreco di vite.”
Ø
Carrion.
“Facci l’abitudine, alieno.”
Ø
Hobgoblin.
Ø
Lilith, la Figlia di Dracula. “Preoccupiamoci di finire questa storia alla svelta,
piuttosto.”
Ø
Dreadknight.
“Per una volta tanto, la succhiasangue dice bene. Questo posto mette i
brividi.”
Ø
Nightshade, la
licantropa.
Ø
Moonhunter, il
cacciatore.
Nebulon mosse un braccio. Le
energie ambientali, il mana, obbedirono al suo comando, aprendo una finestra.
La finestra mostrò il volto avvizzito del loro mandante, il Conte Victor Salisgrave. “I custodi del
volume, se di loro si trattava, sono morti,” disse Nebulon. “Il capo della
criminalità locale ha detto che il ladro del volume si è allontanato dall’isola
oltre una settimana fa.”
Il Conte annuì. “Ci sono
sviluppi ancora peggiori di questo. Tornate qui.”
“Dio, da vecchio quello è si
è fatto peggio che quando era in forma,” commento Moonhunter.
Lilith soffocò un brivido.
“Per favore, non pronunciarlo più. Quel. Nome. Non in mia presenza, almeno.”
I
Supernaturals scomparvero.
Cape Cliff,
Salisgraveshire, Scozia
“Jason MacLander
è, purtroppo, molto abile nel seminare falsi indizi. Credevo che fosse ancora a
Lampara, invece si trovava proprio qui, in Scozia.”
“Come ha fatto a commettere
un simile errore di valutazione?” Chiese Lilith, indispettita.
“Nessun errore: MacLander non è stupido, bisogna dargliene credito: ha
usato dei sigilli di dissimulazione per nascondere il Tomo di Galadeno agli
occhi astrali. Purtroppo, MacLander ed il suo socio
non sono più un nostro problema. Leggete.”
L’impeccabile maggiordomo del
Conte entrò in quel momento dalla porta. Attraversò il salone e raggiunse il
gruppo. Fra le mani, reggeva un vassoio d’argento; sul vassoio, c’era una pila
di fogli, uno per ognuno dei Supernaturals.
Uno ad uno, gli angeli oscuri
presero i fogli e li scorsero rapidamente. Si trattava di un trafiletto
raccolto dalla rassegna stampa di un sito Internet. Parlava della morte dei
titolari di una ‘Mostra delle Curiosità’ presso Edinburgo e del rogo
dell’edificio della mostra…
“Per quanto cerchi di
concentrarmi, il Tomo continua a restarmi nascosto.” Il Conte sospirò. “Signori,
so per certo che se vogliono usarlo, non possono nasconderlo allo stesso tempo.
Non vi devono essere interferenze, durante la lettura. E so anche che lo stanno
usando in questo preciso momento: la congiunzione astrale, il corretto
allineamento delle costellazioni dello Zodiaco Nero, sta avvenendo per la prima
volta dopo 1000 anni. È di fatto la sola occasione per aprire la vista
sull’Oculum Infernalis.”
“Ho paura che quello che sta
per aggiungere non ci piacerà molto, vero?” disse Moonhunter.
Victor annuì. “Il Tomo non
può essere letto al sicuro in un’altra dimensione: deve essere in sintonia con
le costellazioni oscure, nel mainstream temporale. Ed esiste un posto che rispetta tali condizioni, senza essere sulla
Terra allo stesso tempo.
“Si tratta del Darkmere.”
“Credevo che si trattasse di
una leggenda,” disse Tagak, perplesso.
Victor scosse la testa. “Oh,
non lo è.” Rivolgendosi agli altri, spiegò. “Non è un concetto facile, ed è
appannaggio di quei mistici che, come me, devono la loro conoscenza a una
stretta trasmissione generazionale e continua.
“Provate ad immaginare le
tante dimensioni, dal Microverso alla
Zona Negativa, ai mondi del Crocevia, come tante ‘sacche’. Fanno
parte del Multiverso, come il nostro Universo, ma vivono la propria esistenza
separatamente, con una propria autonomia. Il loro destino, ai nostri fini, è
semplicemente irrilevante e viceversa.
“Il Darkmere è molto
più…sottile: non è una sacca, è come un’ombra, una proiezione. Si trova qui, in
questo momento ed in questo luogo, ma in una sorta di piega dimensionale. Il
suo peculiare status lo rende, come dire, elusivo, come quei pensieri che
attraversano la tua mente, lampi di ispirazione che però sfuggono al processo
conscio.”
“E lei sa come raggiungerlo?”
chiese Nebulon.
Di nuovo il Conte scosse la
testa. “Ahimè, no. Per quanto bene descritto dai miei antenati Pitti, il Darkmere resta per noi quello
che un tesseratto è per un matematico: un concetto teorico, non realizzabile. È
come il principio di indeterminazione: non si può sapere dove si trova e
raggiungerlo allo stesso tempo…” poi, sorridendo sinistramente, guardando
direttamente Tagak, aggiunse, “Non con un rituale mistico, almeno.”
Tutti gli altri occhi dei
presenti si spostarono su di lui a loro volta. Tagak scosse la testa. “Gli
agenti come me possono usare le vibrazioni delle immagini speculari come porte
interdimensionali. Fra un’immagine e l’altra, esiste come una ‘zona grigia’, un
vuoto per così dire. Ci hanno insegnato a non concentrarci su quella zona; chi
lo ha fatto è tornato, ma in condizioni terribili….”
Victor annuì. “Quel vuoto è
l’accesso al Darkmere.” Vedendo Tagak annuire, continuò. “Non so cosa potrà
aspettarvi, là dentro…ma di sicuro, non correte il rischio di perdervi fra le
diramazioni delle realtà alternative o di quelle parallele: il Darkmere è una
sola cosa con la realtà di cui funge da ombra. Il passaggio. Si va solo in due
direzioni.”
“E se non riuscissimo a
tornare?” chiese Hobgoblin, facendo saettare la sua orrenda lingua fra le
zanne.
“Oh, tornerete: i custodi del
Darkmere non tollerano estranei nel loro territorio.”
“Fin qui tutto chiaro,” disse
Carrion. “Ma se il Darkmere è una proiezione dell’Universo…come troveremo il
Tomo di Galadeno? La Terra non è proprio un posto piccolo.”
Victor guardò verso
Nightshade. La lupa fece istintivamente un passo indietro. “Sarà lei, la vostra
guida. Appena percepirà il potere del Serpente in azione, saprà dove trovarlo.
Il suo stesso sangue ribollirà dal desiderio di dare la caccia all’antico
nemico del Popolo… Ma basta chiacchiere: è ora di fermare il nemico.”
Sempre il solito maggiordomo
andò verso una tenda alla parete. La scostò, rivelando uno specchio enorme.
Victor disse, “Signori, la vostra porta. Attraverso il cristallo, potrò vedere
cosa succede. Buona fortuna.”
Tagak per primo si avvicinò
alla superficie vetrosa. La toccò: liscia, perfettamente liscia, senza il
minimo attrito, ricavata da un cristallo mistico della sua dimensione… Davvero, quest’uomo così pieno di risorse
avrebbe potuto diventare uno stregone supremo, se lo avesse voluto…
Un dito artigliato premette
contro la superficie, generando delle increspature come se questa fosse stata
acqua. Affondò la mano. “Dovete camminare dietro di me, restare vicini, o vi
perderete.” Detto ciò, entrò nello specchio.
Il primo ad avvicinarsi fu
Moonhunter. “Puoi stare tranquillo, Bianconiglio. Vai con la pillola blu.” Ed
entrò.
Quando mise piede fuori dallo
specchio, la prima cosa che disse fu, “Toto, siamo rimasti in Kansas a quanto
sembra.”
Gli altri Supernaturals
emersero dal cristallo. “Che scherzo è questo?” chiese Lilith. Gli altri
condividevano la sua perplessità.
Si trovavano esattamente da
dove erano partiti, nel salone del castello. Con una sola differenza.
Questo luogo era abbandonato.
Ragnatele ovunque, uno spesso e croccante strato di polvere sul pavimento,
mescolato a scivolose macchie di umidità. Il freddo e l’umidità erano
inequivocabilmente quelli di un luogo deserto da anni. Niente bracieri per le
torce, niente mobili, niente arazzi. Il camino era chiuso da mattoni. Le
finestre erano oscurate da assi marcite. La luce veniva a sciabole da buchi nel
tetto
“Sembra che non troveremo un
Conte Salisgrave ad aiutarci, qui,” disse Dreadknight. I suoi passi metallici
rimandavano echi cupi.
“Preoccupiamoci di finirla
alla svelta,” disse Moonhunter, imbracciando il fucile a canne mozze. “Forza,
luppola: ora di guadagnarti la pappa.”
Lei stava per dargli una
bella rispostaccia -che cosa si supponeva dovesse fare? Non possedeva il senso cosmico o simili*
Una sensazione spiacevole le
attraversò il corpo, dalla testa ai piedi, come un’ondata di nausea.
“Lo hai sentito?” chiese
Nebulon.
“Se è Set o chi per lui, allora
sì,” ansimò Nightshade. Non si accorse di avere drizzato il pelo, ma si accorse
di stare flettendo gli artigli. “Il Conte aveva ragione: ho voglia di squartare
qualcosa. Se solo sapessi dov’è quel…Ehi, e tu chi sei?”
Gli altri la videro
accigliarsi e poi mettersi a guardare qualcosa davanti a sé. Di tutti, solo
Tagak, dotato di sensi molto più acuti per compensare la sua cecità, vide come
una forma tremolante di fronte alla lupa. “Non siamo soli, amici,” mormorò.
Nightshade, invece, lo vedeva
benissimo: un uomo, no, un lupo mannaro come lei. La sua pelliccia era grigia e
folta, venata di nero lungo le braccia. Il maschio indossava un’armatura
identica a quella di lei, e la guardava con fieri occhi d’ambra. “Pintea…”
disse lei. Non capiva come lo sapesse, ma ne era sicura: lui era ‘il
Coraggioso’, l’eroe transilvano che portò l’armatura secoli addietro in difesa
delle genti oppresse.
Pintea annuì. Sollevò il
braccio che reggeva l’alabarda, e puntò l’arma verso una finestra. Una lama di
luce partì dalla punta dell’alabarda.
Anche Tagak la vide. “Ci sta
indicando la strada,” disse. “Nebulon, colpisci la parete nel punto che ti sto
indicando. Ora.”
Nebulon annuì. Levò una mano,
e lasciò partire un colpo.
La parete andò in pezzi come
cartone. Pochi istanti dopo, i Supernaturals si levarono nel cielo. Nebulon e
Tagak avvolti in una bolla di energia solida, Hobgoblin sul suo aliante di
fuoco infernale, Carrion ‘repulso’ dall’aria e Lilith, quest’ultima in forma di
pipistrello. Dreadknight sedeva sul suo inseparabile Hellhorse, il cavallo-drago. Moonhunter sul suo fido Skycicle dalla carrozzeria a forma di
lupo in corsa. Nightshade sedeva come sempre dietro l’ex cacciatore di
licantropi.
“Questa carretta non può
andare più veloce?” chiese lei.
“Stai scherzando, vero? Siamo
già a tavoletta!”
“Hr… Senti, a proposito di
stamattina…sai, sulla scogliera…”
“Sì. E, no, non sei una
scusa, un’ammenda. Hai un cuore da lupa, sei graziosa, e credo che faresti
faville a letto.”
Lei si sentì arrossire fino
alle orecchie. “Non immaginavo che i tuoi gusti fossero così…err…”
“Ci sono tante cose che devi
conoscere di me, pupa…Hm?” sotto la maschera, Zachary Moonhunter si accigliò.
Sì, c’erano decisamente dei puntini, sul suo radar. Almeno una dozzina, ed in
rapido avvicinamento. “Abbiamo visite. Da ore dieci.”
Anche il radar di
Dreadknight, proiettato sull’occhio destro, li aveva percepiti. “Su la testa,
gente. C’è da divertirsi!”
Il gruppo iniziò a
disperdersi -e proprio in tempo, perché scariche di energia piovvero come lame
dal punto indicato da Moonhunter!
“Ce ne sono altri!” disse il
cacciatore. Improvvisamente, il suo schermo si era riempito di puntini.
E infatti, uno dopo l’altro,
in rapida sequenza, apparvero dal nulla: draghi, piccoli draghi verdi, almeno
una ventina, dai corpi serpentiformi con le sole zampe posteriori. E su ogni
drago, un uomo in un’armatura medioevale; e le armi puntate sui Supernaturals
non erano antiquate lance, bensì sofisticate pistole e fucili a doppia canna
sovrapposta.
“Stranieri!” gridò uno di
loro, la voce amplificata da un megafono. “Noi siamo i Grifoni. Voi siete stati giudicati colpevoli di violazione
dell’Ordine 002 sulla sicurezza del Darkmere: Ingresso non autorizzato dal Triumvirato. Sarete scortati al portale
illegale d’ingresso ed il portale stesso distrutto. Se opporrete una qualunque
forma di resistenza, sarete uccisi.”
“Burocrazia rapida,” sospirò
Moonhunter. “Mi piace.”
“Siamo in caccia di altri
stranieri entrati illegalmente,” disse Nebulon. “Chiediamo il permesso di
perseguirli e portarli con noi nel nostro piano dimensionale. Si tratta di un
problema della massima urgenza.”
In tutta risposta, un Grifone
alle sue spalle lanciò un colpo di energia -una sfera coerente che attraversò
la bolla di Nebulon e lo colpì in pieno!
L’Uomo Celestiale fu
attraversato da un’ondata di agonia come non aveva mai provato dal giorno della
sua prima morte! L’energia si diffuse a Tagak, accanto a lui. Entrambi si
contorsero dal dolore…poi, quel dolore divenne troppo intenso. Senza più
concentrazione, la bolla si dissolse.
“NO!” Moonhunter e Lilith lo
gridarono all’unisono, ed insieme si gettarono all’inseguimento.
Gli altri Grifoni spararono…e
i loro colpi si infransero contro una barriera di fuoco infernale!
Fu Nightshade ad afferrare
Nebulon un attimo prima che colpisse l’acqua. Lilith prese Tagak per le spalle
con i piedi. “Non capisco! Il caduceo…” si riferiva al Caduceo degli Sterling, un potente sigillo mistico che legava i
membri del gruppo ed insieme li proteggeva dal male. Non aveva mancato di funzionare…fino
ad ora…
“Amici belli,” disse
Hobgoblin, “questa è stata davvero una gran cazzata!” Espanse la bolla di
fuoco.
I Grifoni si sparsero prima di
essere colpiti. Due di loro si gettarono addosso a Lilith e Moonhunter. I loro
colpi partirono come raffiche di mitragliatrice.
I due angeli oscuri ruppero
la formazione. “Bellezza,” disse il cacciatore, imbracciando il fucile, urlando
per farsi sentire. “Quanto ti ci vuole per mettere su uno spettacolo?” Fece
partire una raffica. Velocissimo, il wyvern
la evitò. “In gamba, però, questi *&%$!”
Lilith non ebbe bisogno di
rispondere a parole. La sua furia aveva raggiunto un livello che neppure con
suo padre aveva mai provato! E il cielo, per simpatia, rispose a quella furia.
In pochi istanti, si levò un vento violento, e nuvole nere come pece si
accumularono come una marea montante.
I wyvern
cominciarono ad avere qualche difficoltà. Il che, ad Hobgoblin andava
benissimo! Lui poteva volare con qualunque condizione meteorologica, ed in quel
momento era come una cometa in mezzo a stelle immobili.
Qualche colpo andò a segno,
ma fu efficace meno di uno sputo! Di qualunque trucco potessero disporre i
Grifoni, contro il fuoco infernale solo la purezza o un esorcismo ben fatto
potevano qualcosa: e loro di sicuro non erano puri di cuore!
Il mostro infuocato che era
il suo aliante spalancò la bocca. Vomitò sfere di fuoco, ed il primo Grifone ad
essere colpito urlò orribilmente, consumato non nel corpo ma nell’anima stessa.
Il vento stava facendosi
sempre più potente. Ormai i Grifoni avevano problemi solo a mantenersi in
quota. Fu solo comprensibile se, quando accanto ad uno di loro, apparve il
sinistro Carrion, non poté impedirgli di allungare una mano e di toccare la
creatura serpentiforme. E sotto quel tocco, il rettile andò letteralmente in
decomposizione!
Poi arrivarono i fulmini. Una spettacolare sequenza di
saette di una potenza formidabile. Furia elementare al comando di uno spirito
irato, quello di una donna che non sapeva cosa fosse la pietà. I Grifoni furono
colpiti senza scampo. Quelli che per miracolo evitarono le saette furono
spazzati via dal vento, oramai potente come un uragano, e da un vero e proprio
muro d’acqua.
Hellhorse non se la stava
cavando meglio, purtroppo: il cavallo figlio di raffinata ingegneria genetica
era esausto. Dreadknight osservò la superficie del mare agitato, sotto di sé.
Vide uno di quei wyvern cadere in mare e sollevare una colonna d’acqua. Il suo
cavaliere era finito, con tutto quel metallo addosso…
Poi, l’ispirazione colpì la
sua mente come una scudisciata. Imbecille!
Perché non ci ho pensato prima?!
“Moonhunter,” disse attraverso il microfono interno. Fortunatamente,
l’altro sapeva cosa fosse la tecnologia. “Vado a recuperare un Grifone.
Raggiungici!”
Prima di udire la risposta,
Bram Velsing lasciò il cavallo, e si gettò in mare! Hellhorse scomparve.
Il sinistro cavaliere piombò
in acqua come un missile. Propulso dalla sua stessa inerzia, andò giù fino a
portarsi sotto al Grifone che stava affondando. Lo afferrò per la vita, e nuotò
verso l’alto.
Appena la testa fu emersa,
una corda, a cui era fissato un rampone a tre braccia, volò verso di lui.
Dreadknight levò il braccio e afferrò la corda. Il ramponcino si avvolse
intorno al braccio, poi ci fu lo strattone.
“Di
tutte le idee balorde…” disse il cacciatore. I propulsori nascosti nelle casse
delle ruote stavano facendo gli straordinari, ma il veicolo riuscì a salire.
Circa cinque minuti dopo, si
trovavano tutti di nuovo sulle scogliere di Cape Cliff. La tempesta evocata da
Lilith si stava placando.
“Spero che tu abbia un valido
motivo per avere voluto risparmiare questo inutile mortale!” sibilò Lilith,
intenta sull’ancora inerte Tagak. Carrion stava controllando le condizioni di
Nebulon; purtroppo, tutta la sapienza in biologia di William Allen era pressoché inutile con un organismo alieno, anche
se avesse avuto degli scansori.
Dreadknight depositò il
Grifone a terra di malagrazia. “L’ho risparmiato perché spero che ci possa
essere utile a capire cosa sta succedendo. Qualcuno di voi ha notato che quando
abbiamo menzionato degli altri stranieri, la loro risposta è stata di ignorare
le nostre parole? Volevano solo farci secchi. Scommetto il mio ultimo Scudo
Latveriano che sono in combutta con Set; e più ne sappiamo sulle loro forze,
meno facilmente ci faremo fregare.” Dalla fondina tolse una pistola. La esaminò
sommariamente. Con mani esperte, iniziò a smontarla. “Roba buona: questi sono bioscrambler.”
Cinque teste lo guardarono
con curiosità. Dreadknight continuò. “Il Caduceo ci protegge dalla morte, non
dall’essere feriti.”
Nightshade si morse il labbro
inferiore. Ricordava bene quando era stata ferita da un colpo di arma da fuoco,
da una rosa di pallini d’argento dritta al cuore, per la precisione[ii]. Ora
che ci pensava, quella era una ferita
che avrebbe dovuto ucciderla quasi istantaneamente…e invece, lei era vissuta
abbastanza a lungo da potere indossare l’armatura di Pintea…
“…queste armi possono anche
non uccidere, ma mandano in pappa le bioenergie,” stava dicendo Dreadknight.
“Nebulon era stato fatto risorgere da un incantesimo[iii].
Quando questa roba lo ha colpito, le energie di quella magia sono andate in
malora; lo stesso Caduceo è un incantesimo, ed è stato praticamente
esorcizzato.”
“Vuol
dire che è…morto?” chiese Nightshade. E questo era davvero male! Nebulon era il
loro elemento più potente: senza di lui, che speranze avevano di uscirne vivi
da questa storia?
Nessuno
di loro si accorse di essere tenuto d’occhio da una figura ben nascosta dietro
delle rocce…
Si mosse quanto più in fretta
possibile il suo avvizzito corpo concedesse. Victor Salisgrave sapeva che a
questo punto ogni minuto era prezioso.
Ignorando le grida di dolore
delle sue articolazioni, il Conte percorse una stretta rampa di scale a
chiocciola. Apprezzava quel dolore, gli ricordava quanto fosse stato stupido da
parte sua, sottovalutare le risorse del nemico! Si era permesso un
imperdonabile errore di valutazione...ed ora doveva pagarne le conseguenze!
Giunto in cima alle scale, si
trovò di fronte una stretta porta di legno. Mormorò una Parola, e la porta si
aprì da sola. Il Conte oltrepassò la soglia.
Si ritrovò in una stanzetta
quadrata dalle pareti di marmo, ben levigate. Su ogni pietra, era incisa una
serie di geroglifici; solo una persona versata nelle arti mistiche avrebbe
saputo riconoscere uno schema nei simboli che andavano dal soffitto al
pavimento. Nella stanza c’era un altare, composto di una spessa tavola d’oro
intarsiata, posata sulle schiene di due sciacalli d’ebano magnificamente
scolpiti, sdraiati come sfingi l’uno di schiena all’altro.
Il Conte accese le candele
poste sul tavolo. Chiuse la porta. La stanza fu fiocamente illuminata da una
coppia di luci azzurrine.
Victor posò un medaglione sul
tavolo; era il caduceo, un drago rampante dalle ali spalancate, a cui era
abbracciato un lupo rampante. Dalle code intrecciate e dalle ali del drago
partiva un cerchio in cui erano incise delle minuscole figure umane.
Victor Salisgrave si mise in
ginocchio, quindi si prostrò davanti all’altare. Con voce roca, ma ferma,
iniziò a recitare una litania. Era la lingua dell’Egitto dei faraoni, quella
vera come era pronunciata millenni addietro; un altro frammento di conoscenza a
cui pochissimi avessero accesso. Fu una litania particolarmente lunga ed
elaborata, come dovettero pronunciarla alcuni suoi antenati per ottenere dei
favori da divinità giovani quando la dinastia dei Salisgrave era già bene
consolidata.
La risposta alla litania non
si fece attendere. Appena Victor ebbe finito di pronunciarla, le fiamme delle
candele divennero due torrenti! Formarono una nuvola di fuoco freddo sopra la
tavola. Le teste degli sciacalli si voltarono a fissare l’umano; la loro
espressione era di ostilità, i loro occhi mandavano lampi, le zanne brillavano
sotto le labbra appena sollevate.
La nuvola di fuoco prese una
forma precisa, quella della testa ringhiante di uno sciacallo, decorata da un
copricapo rituale, e dagli occhi neri occupati da due pupille come braci. “È
passato tanto tempo da quando voi stregoni vi rivolgeste a me.”
Victor levò lo sguardo.
“Salute a te, Anubi. Sono qui con una
preghiera nel cuore.”
La testa annuì. “E so che sei
pronto a pagare il prezzo di tale preghiera. Dovrai fare qualcosa per me, e se
riuscirai, la mia benedizione accompagnerà te ed i tuoi discendenti per molte
generazioni a venire. Se fallirai, o se cercherai di carpirmi un patto con
false promesse, il tuo pesante cuore di peccatore sarà pesato sulla mia
bilancia, e tu sarai mio.”
Victor annuì. “Mi impegno
solennemente a soddisfare ogni tua richiesta. Ma ora, ho bisogno io di te.”
Gli sciacalli d’ebano
ringhiarono più forte. “E di cosa hai bisogno?”
“Di
un tuo fedele.”
Pittsburgh
Sfrecciava nel cielo, diretta
verso il fiume. Era simile ad una minuscola cometa. Nessun essere umano, a meno
che non fosse stato un mistico od un sensitivo dotato, avrebbe potuto vederla.
Solo gli animali poterono percepirla; molti cani abbaiarono alla sua vista. I
gatti si irrigidirono, gli occhi spalancati e le code nervosamente fruscianti.
I topi ed i ratti interruppero le loro attività per annusare istintivamente
l’aria. Gli uccelli si tolsero dalla rotta dell’oggetto.
La ‘cometa’ si gettò nelle
acque, al largo della riva. I cittadini ed i turisti proseguivano, ignari, le
loro attività…fino a quando una luce ben visibile all’occhio umano non fu
visibile sotto la superficie liquida.
Poi, una spaventosa colonna
di vapore esplose come un geyser! Esclamazioni di paura e di sorpresa giunsero
dalla riva.
La colonna iniziò a muoversi.
La gente osservò con orrore il fenomeno; alla fine, furono solo pochi
cineamatori a restare a filmare l’avvicinarsi della colonna alla riva,
lasciandosi dietro una scia di pesci morti.
Quando il primo elicottero
della polizia e un paio di barche di pattuglia giunsero in prossimità del
fenomeno, questo ormai era prossimo alla riva. Le acque ribollenti si
incresparono, poi si separarono…
…e una creatura umanoide, un
colosso di metallo fuso rovente, emerse alla vista! Una cosa che un tempo era
stata un uomo, e che ora era solo un infernale golem.
Un incubo chiamato Inferno.