La storia finora: Priscilla Lyons, la supereroina che si fa chiamare Vagabond, è arrivata a New York e ha chiesto l’aiuto di Luke Cage per rintracciare il suo vecchio compagno d’avventure Jack Monroe alias Nomad. Qualcuno, però, la sta seguendo e sembra avere cattive intenzioni.

#30

 

 UN COLPO DAL PASSATO

Di Carlo Monni & Carmelo Mobilia

 

 

 

Uno studio fotografico a Manhattan.

 

Solo meno di 24 ore prima la giovane donna di nome Priscilla Lyons non aveva un posto per dormire o i soldi per pagarsi un pasto. Ogni suo avere consisteva in quello che aveva nella sua borsa da viaggio e nella Harley Davidson parcheggiata nel garage interno di quel palazzo e che si era ormai rassegnata a dover vendere.

L’incontro con Luke Cage, l’eroe a pagamento aveva cambiato le cose. Lei gli aveva chiesto aiuto per rintracciare un uomo del suo passato e aveva ammesso candidamente di non avere il denaro per pagarlo, arrivando perfino ad offrirgli il proprio corpo come compenso per i suoi servizi a dimostrazione di com’era disperata. Lui aveva agito come un cavaliere errante d’altri tempi ed in poche ore le aveva trovato un alloggio temporaneo e gratuito in uno dei migliori quartieri della città e perfino un lavoro legittimo con una paga decente, anche se avrebbe fatto arrossire sua madre se fosse stata ancora viva: modella per riviste per soli uomini. Beh se non altro non doveva andare a letto con qualcuno per sopravvivere e lei aveva fatto anche questo in passato.

Mentre lei rifletteva su questo, Il fotografo le disse:

<Per oggi basta così, Pris, puoi rivestirti.>

<Ok Ernie.> rispose lei <Come sono andata?>

<Per quello che mi riguarda, benissimo e anche l’èditore è soddisfatto. Credo che avrai l’onore del paginone centrale.>

<Non sei serio.>

<Oh sì, che lo sono. A T.J. Vance piaci parecchio. Farai strada, ragazza.>

<Vedremo, Ernie, vedremo.>

Priscilla finì di vestirsi e si avviò all’uscita, dove incrociò una donna attraente dai capelli neri e ricci che si rivolse al fotografo:

<E così quella è la nuova ragazza?>

<Che te ne pare?> le chiese lui.

<Aveva lo sguardo di chi porta sulle spalle un fardello molto pesante.>

<Credo proprio che tu abbia ragione J.J.>

 

 

Un parco pubblico di Richmond, Virginia.

 

La piccola Shannon Carter giocava esibendosi in agili “acrobazie” davanti gli altri bambini.

Steve e Sharon la osservavano da una panchina poco distante.

<Ha preso molto da te, lo sai?> disse lei.

<Non direi ... alla sua età io ero gracile e malaticcio. E soffrivo di vertigini. > rispose lui.

<Spiritoso. Sai a cosa mi riferisco... e non solo; la maestra mi ha detto che ha talento per il disegno.>

Il sorriso di Steve faceva intendere come la cosa lo rendesse fiero.

<È... una bellissima cosa. Davvero.>

<Qualche volta potresti venire a casa a vedere i suoi disegni, se ti va.>

<Lo vorrei tanto. Ti ringrazio, Sharon.>

<Dimmi ... come vanno le cose tra te e l’ispanica?>

<Maria. Si chiama Maria... e direi che per il momento procede bene. Ma siamo appena agli inizi.>

<Eh, ne ha fatta di strada da quando andava mezza nuda in giro per la giungla ... Nick deve averla messa sotto...  uh, non in senso letterale... anche se...>

<Vuoi smetterla di essere così acida nei suoi confronti? Se non fosse assurdo, giurerei che sei gelosa...>

<Per carità, figurati!> esclamò lei <Solo, non credevo ti piacesse quel tipo di donna. Ho sempre immaginato che ti saresti sistemato con una non del nostro giro.>

<Ci ho provato con Connie, ma purtroppo ... non è stato possibile.> disse, facendo un sospiro malinconico per il fato della sfortunata ragazza.

Dopo qualche secondo di pausa, riprese chiedendole:

<E tu invece? Esci con qualcuno?>

<Niente di serio...  mi sto concentrando sul trovarmi un lavoro fisso, da quando mi hai licenziato.>

Meglio tacere sulla missione che le aveva affidato Nick Fury.[1] Sharon era convinta che Steve non avrebbe approvato.

<Sai perché l’ho fatto. Non mi farai sentire in colpa per quello.> ribadì lui.

<Oh lo so... figurati. L’integerrimo Rogers è infallibile e non sbaglia mai. Lui è una leggenda vivente!> rispose lei sarcastica.

<Oh piantala Sharon! Non hai fatto un semplice errore...  hai volontariamente superato certi limiti che ci siamo autoimposti! Lo sai benissimo che...>

<Infatti; lo so benissimo Steve! So bene quello che ho fatto...  e non ne vado fiera. Quello che stavo cercando di dirti è che...  mi dispiace. Mi dispiace aver superato quei limiti a cui ti riferisci, e soprattutto sono dispiaciuta per averti deluso.>

Anche se dette con un tono aggressivo, erano la cosa più simile a delle scuse che Sharon avesse mai fatto.

Steve rimase senza parole, non sapeva cosa risponderle.

Il silenzio tra loro fu spezzato dalla voce entusiasta della piccola Shannon:

<Mamma, andiamo a prenderci il gelato?>

<Ma certo, tesoro...>

La bambina afferrò la mano della mamma e quella di Steve, e li trascinò verso il chioschetto dei gelati.

La tensione tra Steve e Sharon si sciolse davanti alla tenerezza che Shannon suscitava in loro.

 

 

Da qualche parte a New York .

 

<Che ti avevo detto, Jodie? Che cosa ti avevo detto?>

<Ma Mike, quel tizio voleva che io...>

<E tu dovevi soddisfarlo!!! È  così che faccio affari, io: il tizio paga, e tu esaudisci i suoi desideri, mi hai capito? Perché nessuno paga per una puttana che si rifiuta di scopare!>

<Ti prego Mike... m… mi fai male...>

  passato troppo tempo dall’ultima lezione...> disse l’uomo, spingendo la ragazza, spaventata e piagnucolante, in un vicolo.

<EHI!> disse una voce alla loro spalle.

<Che c’è? Non siamo aperti amico... va a farti un giro e torna più tardi... questa troia ha bisogno di ripassare le basi del mestiere.>

<No idiota. Tu quella la lasci ADESSO.>

< Ma chi ti credi di essere con quell’impermeabile e l’atteggiamento da duro, eh?  “Renegade”?  Togliti dalle palle o te lo affetto!> esclamò Mike, estraendo un coltello a serramanico e facendo scattare la lama.

Ma Jack Monroe non si scompose.

<Dovevo spaventarmi?> disse spavaldo <Scusa, mi sono dimenticato di tremare.>

<Fanculo, “eroe”. Ti faccio passare la voglia di scherzare ... >

Cercò di colpirlo in faccia con un fendente; era veloce, ma niente che Jack non potesse affrontare.

Schivò il primo affondo, il secondo, poi gli bloccò il polso e lo colpì al naso con una gomitata; Mike si portò le mani al volto gridando, lasciando il ventre scoperto e Jack lo colpì lì con un pugno fortissimo. Infine, quando l’uomo si piegò in due per il dolore, lo finì colpendolo alla base del collo, mettendolo definitivamente K.O.

Jack prese il portafogli al corpo privo di sensi, estrasse tutte le banconote che vi erano dentro  e, dopo essersi tenuto un paio di centoni per se, allungò il malloppo alla ragazza che aveva difeso.

<Non m’interessa se vuoi continuare a fare “la vita” tesoro... ma se proprio devi, cambia quartiere e mettiti per conto tuo. Niente papponi. Ti fregano i soldi e ti riempiono di botte. Lasciali perdere.>

La donna prese i soldi e scappò a gambe levate. Nello stesso istante,un uomo raggiunse il luogo della rissa.

<Ah, sapevo di trovarti qui, Nomad ...>

<E tu chi sei?>

<Mi chiamo Cage. Luke Cage.>

<Come ha fatto a trovarmi, signor Cage?> chiese Jack in modo sarcastico.

<Ho chiesto un po’ in giro nel quartiere... alle ragazze e ai senzatetto chi era il “pappa” più schifoso che meritava una lezione ...  e conosco il tuo modus operandi; sapevo che se il vecchio Mike qui presente...> disse, scalciando l’uomo a terra che stava dolorosamente riprendendo i sensi, lasciandolo senza fiato

 <... avesse scazzato, tu saresti venuto a sistemarlo. Era solo questione di tempo.>

<Sa molte cose di me, signor Cage... mentre io di lei non so assolutamente nulla...> disse, ancora Jack in tono sarcastico, ma innervosito da quanto aveva appena sentito.

<Non temere... non sono né uno sbirro né un federale. Non sono qui per procurati guai... no; sono qui per via di un’amica in comune. Priscilla Lyons.>

<Pris... sta bene?> chiese Nomad, con un tono ansioso.

<Sì, sta tranquillo, sta bene. Ma pare abbia bisogno del tuo aiuto. Allora, vuoi seguirmi?>

<Fai strada...>

 

 

Da qualche parte nella Costa Occidentale degli Stati Uniti

 

L’uomo era molto vecchio, troppo vecchio, forse. Il suo volto era una maschera di rughe e la pelle così sottile che quasi si potevano vedere ad occhio nudo la carne e perfino le ossa al di sotto. Giaceva sdraiato su un letto concepito per muoverlo ad intervalli regolari quanto bastava per evitare l’insorgere di piaghe da decubito. Aghi erano piantati nelle sue braccia collegati a vaschette di misteriosi liquidi mentre altri macchinari ne mantenevano regolare il battito cardiaco e la respirazione. Anche così sarebbe dovuto essere morto da tempo ma la verità nuda e cruda era che si rifiutava di morire. Sarebbe rimasto attaccato alla vita finché non avesse chiuso con il passato. Tutto dipèndeva dalla sua agente, ma doveva fare presto… perché il tempo non gli avrebbe concesso tregua.

 

 

Alphabet City, Manhattan, New York.

 

Una volta questo era considerato un quartiere degradato e pericoloso con un alto tasso di criminalità. Quei tempi sembravano passati per sempre. Case e magazzini un tempo abbandonati ora erano centro di varie attività.  Una di queste era il ristorante dove si stava dirigendo il giovane il cui look, ricordava quello del protagonista di un noto telefilm degli anni 80 del secolo precedente, “Renegade”, compresi occhiali scuri che su chiunque altro sarebbero apparsi decisamente incongrui dopo il tramonto.

L’uomo entrò nel locale e si guardò intorno con la stessa circospezione con cui l’avrebbe fatto un pistolero del Vecchio West entrando in un saloon poi, ignorando le proteste del maitre, si diresse ad un tavolo d’angolo vicino alla vetrata, dove sedevano: un uomo sui cinquant’anni abbondanti, capelli sale e pepe, grandi occhiali e camicia aperta sul petto; una ragazza di colore molto attraente, che dimostrava a malapena 18 anni, con un abitino rosso estremamente succinto. Alla loro sinistra un uomo corpulento ma il cui fisico era ancora un fascio di muscoli e una ragazza bianca dai capelli ricci e neri che indossava una camicetta di seta, una minigonna e stivali alle ginocchia tutto rigorosamente nero. Alla destra erano seduti coloro che l’avevano invitato: un afroamericano dal fisico massiccio e una ragazza dai capelli biondo rossicci che nel vederlo assunse un’espressione tra il sorpreso ed il sollevato.

<Jack!> mormorò <Sei davvero tu.>

<Ti trovo bene Pris.> si limitò a rispondere lui sedendosi davanti a lei.

Il maitre li aveva raggiunti e stava per dire qualcosa quando l’uomo seduto al centro alzò una mano e gli disse:

<Tutto a posto, Pierre, il signore è mio ospite.>

Mentre il maitre si ritirava, l’uomo si rivolse al nuovo venuto:

<E così lei è l’amico che la nostra Priscilla aveva detto di stare aspettando quando l’ho invitata al mio tavolo. È il benvenuto anche lei ovviamente. Permetta che mi presenti: sono T.J. Vance, editore di “La Nuda Verità”, baluardo del Primo Emendamento contro le forze oscurantiste della censura.>

L’ospite, il cui nome era Jack Monroe, sogghignò: aveva sentito parlare di Vance, il Larry Flint dei poveri,  uno dei re del porno-soft della Nazione.

Vance proseguì le presentazioni:

<Alla mia sinistra ci sono il mio miglior fotografo, Ernie Schultz e la sua amica, nonché una delle mie più apprezzate modelle, J.J. Sachs. E non dimentichiamo la mia compagna di stasera: Amy Gretchen un astro nascente che ha appena firmato un importante contratto.

La ragazza fece un sorrisetto un po’ imbarazzato, poi disse:

<T.J. è molto esuberante, Mister… >

<Jim Madison.> si presentò Jack usando il nome di copertura assegnatogli dal Governo dopo la sua “rinascita”.

<Piacere di conoscerla, Mr. Madison.> aggiunse Vance < Posso chiederle cosa afa per vivere?>

<Aggiusto le cose.>

Luke Cage si fece sfuggire una risatina divertita e Priscilla cercò di nascondere le labbra con la mano.

Jack poteva leggerle nel viso cosa stava provando: disagio per averlo messo involontariamente in quell’imbarazzante situazione.

Stava per parlare quando accadde qualcosa: un’auto nera rallentò davanti al ristorante e uno dei finestrini si abbassò.

La reazione di quasi tutti i presenti fu rapidissima: Jack Monroe si lasciò cadere all’indietro mentre Priscilla Lyons faceva altrettanto. Ernie Schultz spinse la sua compagna J.J. Sachs sotto il tavolo.  Luke Cage balzò verso T.J. Vance ed Amy Gretchen proteggendoli col suo corpo e prendendosi in pieno una sventagliata di proiettili nella schiena.

L’azione durò solo pochi secondi, poi l’auto degli attentatori si mosse a tutta velocità e si allontanò sgommando.

Jack saltò agilmente oltre la vetrata infranta seguito da Priscilla ma ormai era troppo tardi.

<Andati?> chiese Cage dall’interno.

<Come il vento.> rispose Jack <Mi chiedo chi fossero. La maggior parte dei miei nemici è morta o pensa che io sia morto.>

<Tutti noi abbiamo dei nemici.> replicò Luke <Io ne ho un elenco lungo da qui alla California e perfino T.J. ed Amy potrebbero essere nel mirino di qualche fanatico moralista piuttosto estremo.>

<Parole sante.> intervenne Schultz <Anche io e J.J. abbiamo pestato i piedi a gente piuttosto pericolosa di recente.[2] Forse eravamo noi il bersaglio.>

<Forse.> borbottò Luke con aria scettica <La sola cosa certa è che ci ho rimesso un’altra camicia. Forse dovrei cominciare a girare a petto nudo.>

Ci fu una risatina da parte di J.J. Sachs, che si prese un’occhiataccia dal suo compagno a cui Jack si rivolse;

<Bella prontezza di riflessi, Mr. Schultz.>

<Non sono sempre stato un fotografo di mezza età sovrappeso.> replicò Ernie <Tu, piuttosto… le cose che aggiusti devono essere complicate o sbaglio?>

<Abbastanza.> ammise Jack con un lieve sogghigno.

In lontananza si udì il suono di sirene in arrivo.

 

 

Queens, New York

 

James Buchanan Barnes odiava gli ospedali. Non che questo avesse molta importanza adesso, non quando una donna che era molto importante nella sua vita stava morendo e questa era per lui l’ultima occasione di restare al suo fianco.

Guardò gli uomini e le donne davanti a lui che lo fissavano imbarazzati. Li capiva: appariva più giovane della maggior parte di loro anche se erano i figli e nipoti di sua sorella Rebecca.

<Come sta?> chiese ad un uomo che sembrava la copia più anziana di lui stesso, una sessantina d’anni almeno, capelli neri e tempie bianche.

L’uomo, il cui nome era James Barnes Proctor, scosse la testa e rispose:

<I medici  dicono che non passerà la notte. Sei arrivato appena in tempo.>

<Mai abbastanza in tempo per lei.> ribatté Bucky.

Suo nipote si limitò a poggiargli una mano su una spalla. Non ci fu bisogno di parole tra loro.

Bucky entrò nella stanza e si sedette di fianco al letto dove una donna molto anziana respirava piano.

Aprì gli occhi e lo vide:

<Jim…> mormorò  <… sei venuto.>

<Come potevo lasciare sola la mia sorella preferita?>

<La tua unica sorella, vorrai dire.> replicò Rebecca Barnes Proctor sforzandosi di sorridere.

<Becky, io…>

<Shh… non dire niente. Ho avuto una vita piena, una famiglia che adoro ed ho ritrovato un fratello che credevo perduto.  Sono felice di avere con me le persone che amo.>

Lui le tenne la mano sino all’alba, poi, mentre i primi raggi del sole filtravano dalla finestra si alzò e le chiuse gentilmente gli occhi. Solo allora, per la prima volta da più tempo di quanto riuscisse a ricordare, pianse.

 

 

Upper West Side, Manhattan

 

La ragazza dai capelli color biondo veneziano entrò nell’appartamento al seguito del massiccio afroamericano e mormorò tra sé e sé:

<Casa dolce casa.>

Avevano perso un bel po’ di tempo al distretto di Polizia, dove erano state raccolte le loro deposizioni sull’accaduto, poi, una volta usciti, Jack Monroe, Luke Cage e Priscilla Lyons si erano accordati per ritrovarsi il giorno dopo nell’ufficio di Luke mentre quest’ultimo accompagnava la ragazza al suo appartamento.

Luke si chiuse la porta alle spalle e si avvicinò ad una finestra spiando la strada di sotto.

<Stai controllando se c’è ancora l’auto che ci seguiva?> gli chiese Priscilla.

<Esattamente.> rispose lui <E non c’è. Forse chi c’era a bordo si è reso conto che ci eravamo accorti di lui e si è messo dove non possiamo vederlo… o forse mi sono immaginato tutto.>

<Ma tu non ci credi, giusto?>

Cage si voltò verso di lei sogghignando e rispose:

<Ho un certo sesto senso per certe cose. Ero già convinto che quell’auto stesse alle calcagna di uno di noi due e quel che è successo stasera me l’ha confermato. Io ne ho un bel po’ ma tu… hai qualche nemico ragazza?>

Priscilla sospirò e replicò:

<Me ne sono fatta qualcuno, in effetti.>

<Gente che conosco?>

<Penso proprio di sì. Vediamo un po’: Slug, Viper, la Società dei Serpenti, il Power Broker, forse anche il Teschio Rosso.>

Luke spalancò la bocca dalla sorpresa ed emise un fischio per poi esclamare:

<Cristo Santo, ragazza, te li sei scelti proprio buoni. Cosa sei, una specie di supereroina?>

<A dire il vero, sì. Mi faccio chiamare Vagabond e in certo senso sono un’allieva di Capitan America, il primo, intendo.>

<Addirittura! Vagabond… eh? Capisco che tu sia interessata ad uno che si fa chiamare Nomad allora. Non credo di aver mai sentito parlare di te.>

<Ho operato perlopiù sulla Costa Occidentale e nel Midwest tenendo un basso profilo. Non vengo a New York da almeno un paio d’anni.>

E non ne aveva un buon ricordo. Lei non lo disse ma Luke lo capì ugualmente.

<È a causa di Jack… Nomad che ho cominciato a mettermi costume e maschera. Lui mi aiutò a vendicare la morte di mio fratello ucciso da Slug[3] e diventai la sua partner… in più di un senso. Ci siamo lasciati molto male a causa di un equivoco e quando ho saputo che era morto,[4] ho pianto, poi ho è saltato fuori che c’era un nuovo Nomad in giro. Ero convinta che fosse sempre lui e se non fosse stato così, volevo saperlo, così eccomi qui.>

<Capisco.> commentò Luke <Beh, se sei stata addestrata da Capitan America, non dovresti aver bisogno di una balia, ma dopo quel che è accaduto, non dormirei tranquillo sapendo che potresti avere qualcuno alle calcagna, quindi penso che stanotte resterò qui e dormirò, sul divano.>

<Non sei tenuto a farlo.>

<Lo so, ma voglio farlo,> risponde lui con un leggero sogghigno <In fondo devo avere la vocazione dell’angelo custode.>

Priscilla rimase silenziosa riflettendo, poi, alla fine disse:

<Quel divano è troppo piccolo per te. Il letto di là, invece,è abbastanza ampio per tutti e due.>

<Ascolta...> replica Luke <… ne abbiamo già parlato. Non devi sentirti in obbligo con me e…>

<Nessun obbligo.> ribatte lei <È una scelta libera e volontaria . >

<Beh… ne sei proprio sicura?>

<Mai stata più sicura in vita mia.>

 

 

Germania. Base dello S.H.I.E.L.D.

 

L’Euromind era la divisione scientifica dello S.H.I.E.L.D. in Europa. Vi lavoravano le migliori menti del vecchio continente, elaborando tecnologia all’avanguardia per fornire agli agenti sul campo i mezzi necessari per essere in vantaggio nella lotta al terrorismo internazionale.

Geyr Kluge era uno degli scienziati più brillanti che lavorava per questa divisione. Tedesco di Berlino, la sua abilità era stata spesso paragonata a quello del mutante pellerossa Forge, ma dato che Geyr non era un mutante, il suo intelletto avrebbe potuto venire paragonato a quello di Tony Stark o Fixer, ma al contrario di essi, non aveva utilizzato il suo talento per diventare ricco o darsi allo spionaggio industriale, ma aveva preferito metterlo al servizio prima del suo paese e poi del mondo intero. 

Con nome in codice di “Key”, infatti, Geyr si era dimostrato anche un grande soldato e pure sul campo di battaglia aveva dato il suo contributo nella lotta contro chi attentava alla libertà del mondo. Molti sostenevano che Key avrebbe potuto divenire un nome di punta nel mondo dei supereroi, ma nonostante le sue qualità il berlinese si sentiva più a suo agio quando si trovava in un laboratorio, aiutando da “dietro le quinte” i suoi alleati.[5]

Christoph Nord alias Christopher North alias Maverick sapeva bene che Kluge era l’uomo che poteva aiutarlo nello sciogliere il dubbio che da qualche settimana gli stava divorando l’anima.

Mentre entrava nel laboratorio, Kluge era intento nel riparare un marchingegno che aveva l’aria di essere assai sofisticato.

<Geyr.> lo chiamò.

<Maverick. Che sorpresa vederti qui.>

<Sono un libero professionista che talvolta collabora col governo tedesco e non solo. Ho ancora un pass che mi permette di accedere a queste basi.>

<Sei qui per una missione per conto dello S.H.I.E.L.D.?> chiese il biondo barbuto.

<Oh no, nulla di tutto questo. Sono qui per chiederti un favore personale, in nome dei “vecchi tempi”. >

<Di cosa si tratta?>

Maverick estrasse dalla tasca una chiavetta.

<Qui sopra c’è un video preso da un cellulare di un passante che si trovava nella piazza rossa durante l’attentato al governo russo.[6] L’ha messo in rete e casualmente mi è capitato di vederlo.  Tra l a gente ho visto un uomo che vorrei mi aiutassi a identificare.>

Incuriosito, Geyr Kluge inserì la chiavetta nell’avanzato computer e diede l’invio: nel video venivano ripresi perlopiù i membri del team russo noto come la Guardia D’Inverno, ma era un altro l’uomo che interessava a Maverick.

<Ecco, ferma l’immagine qui!>

Un inquadratura di pochi secondi, sfocata, ma che non sfuggì all’occhio attento del mercenario mutante.

<E’ questo l’uomo che vuoi identificare?> gli chiese Kluge

<Si.>

Picchiando sulla tastiera, Kluge ingrandì il fotogramma, dopodiché rese l’immagine nitida. L’uomo era preso di trequarti ma il tedesco riuscì a girarla di 180 gradi in modo che si potesse vedere frontalmente.

<E’ mascherato. Ci vorrebbe molto tempo per elaborare un programma che riesca a togliere la maschera in modo soddisfacente e anche così il risultato non è garantito...>

Ma Maverick sembrava totalmente soddisfatto.

<Non serve, no. Hai già fatto tantissimo, vecchio mio.>

<Lo riconosci, allora?> domandò Geyr.

<Oh sì, eccome. E’ senz’altro lui. >

<Chi è?>

<Questa canaglia è un russo. Si faceva chiamare Soldato d’Inverno. Ha annientato la mia squadra a Berlino Est, nel 1968.>

<Il Soldato d’Inverno? Ne ho sentito parlare in vecchi file che ho studiato.  Un leggendario sicario sovietico la cui reale esistenza non è mai stata accertata.>

<Oh, era molto reale, te lo posso assicurare, anche se forse sono l’unico a poterlo testimoniare.  Non immaginavo fosse ancora vivo però... e giovane…. Del resto anch’io… poco importa come ha fatto… finalmente ho l’occasione di pareggiare i conti ...> disse ancora Maverick stringendo i pugni per il nervosismo che si stava impadronendo di lui.

 

 

Queens, New York

 

Dall’auto parcheggiata davanti all’ospedale la ragazza bionda lo vide parlare con alcune persone ma non poteva sentire cosa si stavano dicendo.

Li vide abbracciarsi brevemente, poi lui imboccò il vialetto e lei mise in moto e rapidamente gli si affiancò

Bucky Barnes si girò come in trance, poi salì in auto sul sedile anteriore del passeggero.

Yelena Belova non parlò, si limitò ad osservarlo, la testa poggiata sul sedile e lo sguardo perso nel vuoto.

Istintivamente allungò la mano destra a sfiorare le sue.

Lui sembrò riscuotersi e riuscì perfino ad accennare un sorriso.

<Grazie.> le disse.

<Non hai nulla di cui ringraziarmi.> si schermì lei.

<Se n’è andata.> disse infine Bucky < Non ho potuto fare altro che tenerle la mano sino alla fine.>

<Tua sorella è morta felice, circondata dall’amore dei suoi cari pensa solo a questo, James.>

<Non pensavo che fossi anche filosofa Lena.>

<Sono tante le cose che non sai di me.>

Forse troppe.

 

 

Upper West Side, Manhattan

 

Il mattino dopo, nessuno di loro fece domande o riferimenti alla notte appena trascorsa insieme.

Ad entrambi era piaciuto e nessuno, al momento, si chiese se era stato solo sesso o qualcosa di più.

Si rivestirono e uscirono dall’appartamento.

<Dove mi porti?> domandò Priscilla.

<A fare colazione. C’è una tavola calda non molto lontano da qui che fa delle frittelle eccezionali. Devi provarle.>
<D’accordo. Muoio di fame.>

Scesero le scale e s’incamminarono normalmente, guardando le vetrine e chiacchierando come se niente fosse, finché ad un certo punto il tono di Luke si fece più serio.

<Ok adesso ascoltami: al mio segnale attraversi la strada e ti metti a correre più forte che puoi in quella direzione, ok?>

<Cosa? E perché?> chiese lei, stupita.

<La Lincoln nera. È da quando siamo usciti che ci sta seguendo. Ora tu fa come ti dico, al resto ci penso io ok?>

<Va bene...>

<Adesso. VAI!>

La ragazza scattò e attraversò la strada di corsa, come da istruzioni.

L’auto accelerò di colpo, per non perderla di vista, ma non appena fu abbastanza vicina, Cage le tagliò la strada, facendosi investire; l’impatto fu forte, ma ad avere la peggio fu il cofano della macchina.

Luke faceva resistenza, impedendole di avanzare: le gomme sfrigolavano sull’asfalto, provocando un denso fumo nero che riempì subito l’aria.

<Adesso bastardi> disse Cage serrando la mascella per lo sforzo < facciamo due chiacchiere tra amici ...>

Impressionati dalla forza e dalla resistenza dell’afroamericano, i passeggeri dell’auto cambiarono i loro piani e inserendo la retromarcia, si allontanarono più velocemente possibile.

Cage rimase con in mano il loro paraurti ammaccato.

<Luke! Stai bene?> domandò Priscilla.

<Sì... sono i miei abiti ad aver avuto la peggio. Dannazione... detesto comprare vestiti nuovi.> sbuffò.

<Chi erano quelli? Cosa volevano?>

<Non lo so, ma lo scopriremo... ho preso la loro targa. Letteralmente.> disse sorridendo, mostrando alla ragazza la lastra di metallo.

 

 

Ambasciata Russa a Washington D.C.

 

Il nome sulla targhetta applicata di fresco sulla porta diceva, in Russo e caratteri cirillici: Tenente Colonnello Anna Nikolaievna Amasova, Addetto Militare, una qualifica sotto cui si nascondeva abitualmente il rezident[7] del G.R.U.[8] negli Stati Uniti.

La donna bionda che indossava l’uniforme delle Forze Aerospaziali Russe sorrise: non era stato facile ed aveva richiesto dei sacrifici, ma ce l’aveva fatta.

“Povero colonnello Serov…” pensò “... hai dovuto essere sacrificato, ma i sacrifici degli innocenti sono spesso necessari per raggiungere un bene più grande.”

Senza perdere altro tempo la donna il cui vero nome era Nina Vladimirovna Tsiolkovskya e che non era affatto un ufficiale del G.R.U. ma una spia al servizio del Teschio Rosso, entrò nel suo nuovo ufficio

 

 

Ufficio di Luke Cage, Gem Theater, angolo tra Times Square e Broadway

 

Luke s’era cambiato i vestiti e Priscilla aveva indossato il suo costume da Vagabond con tanto di mascherina domino sugli occhi. Stavano parlando degli ultimi avvenimenti quando dalla finestra entrò Nomad che stavolta indossava il suo costume operativo: tuta blu scuro e maschera sul volto.

<Dovevi proprio fare la tua entrata ad effetto da vero supereroe?> lo apostrofò Luke con ironia.

<Le porte sono banali.> replicò l’altro <E poi io sono più abituato a sfondarle non a bussare.>

<Molto divertente.>

<Non perdiamo altro tempo: qualche buona idea su chi possa averci sparato?>

<Nessuna. Io e Pris ci stavamo chiedendo se quella non fosse la stessa auto che la seguiva da un po’ di tempo.>

<Pris eh? Sembra che siate diventati molto amici voi due.>

<Jack…> iniziò a dire Vagabond.

<La cosa ti disturba?> ribatté Luke.

<Per nulla, sono affari vostri.> rispose Nomad <Stavi dicendo che qualcuno stava seguendo Priscilla? Chi?>

<Non lo sappiamo.> replicò lei <Da qualche tempo una Lincoln nera mi sta alle calcagna ma non abbiamo mai visto chi c’era dentro e non ha mai fatto nulla di veramente ostile.>

<Una grossa macchina scura come quella da cui ci hanno sparato.> commentò Jack Monroe <Forse hanno deciso di smettere di osservare e passare alle ostilità.>

<Ma perché? Non riesco a credere che qualcuno ce l’abbia con me. Come supereroina ho sempre tenuto un profilo basso.>

<Forse senza saperlo hai pestato i piedi sbagliati.>

Mentre parlava Nomad si mosse verso la porta accorgendosi che Luke aveva fatto già lo stesso. Evidentemente si era accorto della stessa cosa che aveva notato lui.

Cage spalancò la porta di scatto ed una voce maschile disse:

<Calma: non abbiamo cattive intenzioni.>

Sulla porta era fermo Ernie Schultz che indossava uno spolverino sotto cui aveva una maglietta scura, con a tracolla una cartucciera. Completavano il tutto pantaloni e stivali militari mentre i capelli erano fermati da una bandana. Al suo fianco stava Juanita Jean Sachs con indosso un body nero sgambato con un ampia scollatura completato da un gilet chiodato, stivali al alti sino al ginocchio e guanti lunghi sino al gomito. Al collo un collarino ed appesa alla cintura una frusta.

<Oh Mio Dio!> esclamò Nomad <Un emulo di Rambo e Miss Sadomaso 2015.>

<Non prenderci in giro, giovanotto.> ribatté Ernie entrando <Io e J.J. sappiamo il fatto nostro e nessuno di voi può esprimere giudizi sui nostri abiti direi.>

Luke rise e replicò:

<Ben detto. Ti posso garantire che il vecchio Ernie è un tipo tosto. Non per nulla quando era nelle Forze Speciali lo avevano soprannominato “Violens”>

<Un paio di decenni ed una cinquantina di libbre[9] fa, forse, ma adesso?> ribatté a sua volta, Nomad.

Schultz si mosse più rapido di quanto lui si aspettasse e Jack si trovò improvvisamente la canna di una corta pistola ad un millimetro dal naso.

<Pensi ancora che sia innocuo?> gli chiese il fotografo.

<Potrei disarmarti in un decimo di secondo e dopo avresti bisogno del gesso al braccio per almeno un mese.>

Ernie rise ed abbassò la pistola.

<Ti credo, ma non sono io il nemico bensì tizio che ha cercato di ucciderti ieri sera. Le maschere non m’ingannano. Voi due siete l’amichetta di Cage ed il suo ospite a sorpresa: Jim Morrison.>

<Era Madison.> replicò Jack quasi senza pensarci <Ma…>

<… ma non è il tuo vero nome? Se è questo che stavi per dire, ci ero già arrivato da solo. A dire il vero non m’importa come ti chiami. Tu e Priscilla siete dei supereroi o qualcosa di simile, giusto? Magari tra poco arriverà qualche pazzoide in costume a cercare di farvi la festa.>

<Non posso escluderlo Ernie.> intervenne Cage <Tutti noi abbiamo i nostri nemici. Anche tu e la tua amica, mi è parso di capire.>

<Storia lunga.>

Prima che chiunque possa ribattere, il cellulare di Luke squilla e lui risponde.

<Ci sono novità Fred? Ok, grazie, sei un vero amico.>

Chiusa la telefonata Cage si rivolge agli altri.

<Era un mio amico della Motorizzazione a cui avevo chiesto di cercarmi notizie sulla Lincoln che ci seguiva, Dalla targa che gli ho dato è riuscito a scoprire che appartiene ad una società che fa parte di un gruppo chiamato Halloway Enterprises.>

<Halloway?> esclamò Vagabond <Santo Cielo, io so chi è!>

 

 

Una suite in un prestigioso hotel di Manhattan.

 

La donna era giovane ed attraente, i capelli tagliati a caschetto erano rossi e gli occhi azzurri e penetranti. Al momento indossava un corpetto rosso, una minigonna dello stesso colore e stivali neri con tacco 12. Era seduta su una poltrona in pelle e teneva le gambe accavallate mentre rispondeva al telefono cellulare.

La voce dell’uomo che l’aveva chiamata era affaticata ma dura:

<<Avevo detto di seguire Priscilla Lyons, non di provare ad ucciderla.>>

<Non è stata una mia idea, signore, glielo assicuro.> rispose la donna con un certo sussiego. Il suo datore di lavoro poteva anche essere immobilizzato su un letto ma era ancora poco salutare deluderlo <Mi conosce: sa che non farei nulla di così pacchiano come un attentato in stile gangsteristico.>

Dall’altra parte venne un suono che poteva essere un colpo di tosse come una risata.

<<Ti ho incaricato di riportarmi Vagabond sana e salva e mi aspetto che tu lo faccia. Se qualcuno interferisce, sai cosa fare.>>

<Certo, signore. Le riporterò la ragazza ed il suo amico e mi occuperò personalmente di chiunque voglia far loro del male… con qualunque mezzo.>

<<Sarà… meglio… molto meglio… per te.>>

La comunicazione fu chiusa e la ragazza si rivolse ad uomo sui trent’anni dal fisico palestrato che a petto nudo stava facendo esercizio con dei pesi:

<Dobbiamo passare all’azione.>

<Che dobbiamo fare?> chiese lui.

La ragazza sogghignò e rispose:

<Qualcosa che ti piacerà: assassinare un aspirante assassino.>

 

 

CONTINUA...

 

 

NOTE DEGLI AUTORI

 

 

            E così finisce la prima parte di questa storia un po’ anomala che ha visto i riflettori puntati su Nomad e su altri personaggi del nostro variegato cosmo avventuroso. A questo punto, probabilmente vi starete chiedendo se per caso non abbiate sbagliato serie e letto un’avventura di Cage o di Nomad. In un certo senso avreste ragione, speriamo, però che abbiate gradito la deviazione dai nostri soliti percorsi.   _^

            Ma vediamo di fare una panoramica sui personaggi suddetti:

1)    J.J. Sachs ed Ernie “Violens” Schultz sono due personaggi creati da Peter David & George Pérez nella loro miniserie Sachs & Violens del 1993/1994.

2)    Amy Gretchen, porno attrice afroamericana è un personaggio creato da Carmelo Mobilia, uno dei corresponsabili di questa storia, su Luke Cage #1/3.

          Nel prossimo episodio: chi vuole davvero morti Nomad e Vagabond? Qual è il ruolo del misterioso vecchio e chi è? Seguiteci in un viaggio avventuroso da New York alla California fino alle spiagge della Florida ed avrete tutte, ma proprio tutte le risposte, lo promettiamo solennemente. Ah si: ci saranno anche gli altri Vendicatori Segreti.

 

 

Carlo & Carmelo



[1] Vista su Lethal Honey #20/21.

[2] Come visto sempre su Lethal Honey #20/21.

[3] Su Captain America Vol. 1°  #325 (In Italia su Capitan America & I Vendicatori #63).

[4] La morte apparente di Jack Monroe è avvenuta in Nomad #25 inedito in Italia,

[5] Geyr Kluge aka Key è un eroe apparso per la prima volta in EUROFORCE # 1 della Marvel Italia nel 1996.  Su WorldWatch MiT abbiamo deciso di riprenderlo,

[6] Non diteci che non avete letto l’ultimo episodio, il nostro amor proprio ne sarebbe ferito. -_^

[7] Capo della sezione permanente in un paese straniero di uno dei servizi segreti russi.

[8] Glavnoye Razvedyvatel'noye Upravleniye. Direzione Principale Informazioni, il servizio segreto militare russo.

[9] Più o meno 22 chili