Quel che vi serve sapere: il nuovo e misterioso Teschio Rosso ha preso a bersaglio i partecipanti ad un meeting in cui saranno discussi gli appalti per la realizzazione di un gasdotto sottomarino che attraverserà l’Oceano Atlantico. La prima vittima è stata Arthur Dearborn, Presidente esecutivo della Roxxon Energy. Non molto tempo dopo sono avvenuti altri due spettacolari omicidi con il marchio del Teschio Rosso e l’oligarca russo Aleksandr Lukin è sfuggito per un pelo ad un attentato.
Anche Steve Rogers e Sharon Carter,
con le rispettive squadre, sono scampati a fatica ai tentativi del Teschio di
eliminarli
Quale sarà la prossima mossa del loro
sinistro avversario?
#50
NON C’È TEMPO PER MORIRE
di
Carlo Monni & Carmelo Mobilia
PARTE
PRIMA
AVVISI
DI TEMPESTA
Un’isola
del Golfo del Messico al largo di Cancún.
L’ospedale di quella piccola isola non
era mai stato affollato come in quel momento e di sicuro la sua camera
mortuaria non aveva mai ospitato così tanti cadaveri in una sola volta.
Un esclusivo resort a cinque stelle
scelto per ospitare un meeting finanziario si era trasformato in un incubo per
i suoi ospiti e non poteva nemmeno essere evacuato perché un violento uragano
stava per abbattersi sulla zona impedendo tutte le comunicazioni.
Steve Rogers ne era fin troppo
consapevole. Per fortuna i membri della sua squadra se l’erano cavata con
ferite lievi ma qualcun altro non era stato così fortunato.
<Non è stata colpa tua se l’Ispettore Gutierrez è morto ed altri suoi uomini sono rimasti feriti quando siamo stati attaccati.>[1] gli stava dicendo Donna Maria Puentes sdraiata sul letto di una delle stanze di quello stesso ospedale <Non potevi prevederlo.>
<E invece avrei dovuto.> ribattè
Steve <Avrei dovuto capire che saremmo stati attaccati e che chiunque ci
fosse stato vicino sarebbe stato in pericolo. Non ho preso abbastanza
precauzioni.>
Donna Maria sospirò. Steve era fatto
così: tendeva a caricarsi sulle spalle il peso di tutte le responsabilità.
<Una cosa è certa.> proseguì
Steve <Il Teschio Rosso non avrebbe certo mandato l’Unicorno ed il Russo
contro un normale imprenditore. Sapeva chi eravamo ed anche questo avrei dovuto
aspettarmelo.>
<Che intendi fare adesso?>
<Anticipare le sue mosse e fermarlo
una volta per tutte.>
Il tono di voce Steve era duro e
determinato e Donna Maria non ebbe dubbi che non si sarebbe fermato prima di
raggiungere il suo obiettivo.
In
un’altra stanza dello stesso ospedale.
Anche Sharon Carter era andata a far
visita ai membri della sua squadra. Per ultimo aveva lasciato Paladin. Aveva
qualcosa di personale da dirgli:
<Ti ringrazio di avermi dato il tuo
casco per proteggermi dal gas velenoso.[2]
Avresti potuto usarlo tu e salvare te stesso.>
<Che vuoi farci? Sono un tipo
cavalleresco, lo dice anche il mio nome di battaglia, no?> si schermì
Paladin sorridendo <E poi io stavo già cedendo al gas mentre tu stavi
resistendo meglio di me. Ero sicuro che una tosta come te l’avrebbe fatta
pagare a chi voleva avvelenarci. Non mi sbagliavo.>
<Comunque grazie ancora. Prima o
poi troverò un modo per sdebitarmi.>
<Un bonus con la prossima paga
andrà benissimo.>
<Sei sempre il solito.> replicò
Sharon ridendo.
Salutò Paladin ed uscì nel corridoio.
Non fu sorpresa di trovarci Steve Rogers che le si avvicinò dicendo:
<Dobbiamo parlare.>
<Stavo pensando la stessa cosa.>
ribattè lei.
Da
un’altra parte.
Il Teschio Rosso era in contatto con i
suoi agenti. Erano i migliori nel loro campo: l’Esecutrice era un’assassina
efficiente e spietata, tanto bella quanto mortale, a suo tempo la prima alleva
di un progetto della famigerata Stanza Rossa che sarebbe stato chiamato
Programma Vedova; Finisher era un maestro d’armi e creatore di trappole mortali
praticamente infallibili; il Cosacco non possedeva solo la capacità di accecare
i propri avversari ma era anche addestrato ad ammazzarli a mani nude, Elektro,
che forse un tempo era stato un uomo ma ora era solo una fredda macchina di
morte; Vindiktor, letale cyborg dall’oscuro passato e dalla sofisticata e
letale armatura; l’Unicorno a cui un esperimento scientifico aveva dato un
potere mortale ma al tempo stesso ne aveva compromesso la salute mentale. Come
lui erano sopravvissuti di un’altra epoca, un’epoca che lui era determinato a
far rivivere anche se aggiornata al momento attuale. Se necessario avrebbe
potuto metterne in campo altri ma preferiva tenerli di riserva anche perché uno
di loro poteva essere il traditore che aveva informato lo S.H.I.E.L.D. dei suoi
piani
<Tenetevi pronti per la prossima
fase.> disse alle facce sul multischermo davanti a lui < Tutto deve
essere finito prima che l’uragano investa l’isola.>
<<Da parte mia nessuna difficoltà.>> replicò l’Esecutrice <<Anche se…>>
<<Se hai delle perplessità,
parla pure. Sei una delle mie migliori agenti e rispetto la tua opinione.>
La donna fece un sorriso compiaciuto e
continuò:
<I nostri avversari sono ancora in campo. Sono tenaci e ci sono costati un’intera squadra,[3] Per tacere del Russo, un bestione senza cervello ma che poteva comunque esserci utile.>>
<Non sarei così sicuro che il Russo
sia davvero morto, ha già dimostrato in passato di essere molto difficile da
uccidere. La tua obiezione, però, è valida, Esecutrice. So fin troppo bene
quanto siano in gamba i nostri avversari ed ho già in mente delle
contromisure.>
Il Teschio illustrò ai suoi agenti i
suoi piani poi chiuse la comunicazione e si concesse di rilassarsi.
Il Comandante Steve Rogers, ovvero l’originale Capitan America, era davvero un avversario molto pericoloso. Diversamente dal suo omonimo nazista, lui non l’odiava, al contrario provava per lui ammirazione e rispetto ma questo non gli avrebbe impedito di ucciderlo se ne avesse avuto la necessità e l’occasione.
Bungalow di Texas Jack Muldoon.
Seppur ridotti nei ranghi, i
Vendicatori Segreti e il team di Sharon decisero di incontrarsi in un briefing
per valutare il da farsi.
Jack Flag, Donna Maria e Bucky erano
ancora sotto osservazione medica, e lo stesso era per Paladin e Yukio. I membri
attivi erano rimasti solamente la Vedova Nera, Nomad e Diamante, oltre ai
leader delle sue squadre.
<Anche voi siete rimasti in quattro
gatti, eh?> osservò Diamante nell'accoglierli.
<Sì. Per fortuna, non abbiamo
subito nessuna perdita.> si limitò a rispondere Yelena Belova.
Jack Monroe, ex di entrambe le
squadre, era piuttosto taciturno. Non si era lasciato bene con nessuna delle
due fazioni e adesso si ritrovava a dover collaborare con loro.
<Il Teschio ci ha colpiti
duramente, ma adesso sta a noi rispondere.> disse Steve <È vero, siamo
rimasti in pochi, per questo motivo suggerisco di unire le forze.>
<Concordo, è la cosa migliore da
fare> rispose Sharon <Dobbiamo agire come un’unica squadra. Ma sia
chiaro, Rogers, che non intendo stare semplicemente ad obbedire ai tuoi
ordini... voglio poter dire la mia. Ho in mente alcune contromisure da prendere
e preferirei collaborare con te... ma prima devo accertarmi che ne sarai
all'altezza.>
La stoccata di Sharon non passò
inosservata, ma nessuno dei presenti osò proferire parola.
<Che vorresti dire, con questo?>
rispose Steve, cercando di non apparire stizzito.
<Che non rimarremo ad aspettare la
prossima mossa di quel pazzo. Non rimarremo fermi a prenderle. Adesso è il
nostro turno alla battuta> disse, usando una metafora del baseball
<Dobbiamo anticipare le sue azioni e coglierlo di sorpresa, ma per farlo
occorrerà giocare sporco, come fa lui, cosa in cui non posso dire che eccelli.>
Sul volto di Steve apparve una smorfia.
<Combatto il Teschio Rosso da prima
che tu nascessi, Carter.> rispose, risentito.
<Ma non questo qui, Steve.
Quest'uomo non è Johann Schmidt. Il suo modo di agire è simile solo in
apparenza, in realtà credo si tratti soltanto di una facciata di copertura.>
<Che vuoi dire?> chiese Nomad.
<Che i suoi obiettivi non sono gli
stessi dell’originale. Non è interessato al dominio del mondo ma qualcosa di più concreto. Ci ha voluto far
credere di aver compiuto quel massacro per scopi terroristici, ma non credo che
sia quello il suo scopo. Credo che il suo obiettivo sia un altro, anche se non
so ancora quale. Sotto quella maschera credo che ci sia un uomo meno
squilibrato e molto più astuto. Gioca secondo regole diverse.>
<E tu sai quali sono, non è
così?> disse Steve.
<È così infatti. E ho bisogno che
tu mi appoggi, ma devi fidarti. Tu ti fidi di me?> gli chiese.
Gli altri rimasero trepidanti in
attesa di una sua risposta, che era tutt'altro che scontata: tutti loro infatti
erano a conoscenza delle divergenze e degli screzi che c'erano stati tra loro e
che avevano spinto l’ex Capitan America a espellere Sharon dalla squadra e
quest'ultima a formarne una propria.
Steve Rogers si prese qualche istante
prima di rispondere, poi, fissandola negli occhi, disse:
<Mi
fido.>
New York, City.
I tacchi degli stivaletti di Joy
Mercado erano l’unico rumore che si udiva nel parcheggio sotterraneo di un
grande centro commerciale della Grande Mela. La bionda reporter si fermò
improvvisamente e disse:
<Sono qui.>
<Puntuale proprio come mi aspettavo
da te>
Un uomo sbucò da dietro una colonna,
il suo volto era in ombra ma dalla voce, seppur camuffata, Joy giudicò che
avesse più o meno la sua età.
<Bell’entrata ad effetto,
amico.>
<Resta ferma dove sei.> disse
l'uomo <Non voglio che tu possa in qualche modo identificarmi.>
La cosa incuriosì ulteriormente Joy.
Significava forse che i due si erano già incontrati?
Il tizio misterioso richiamò la sua
attenzione lanciandole da terra una busta.
<Lì dentro troverai una chiavetta
USB. Ti avverto, è roba che scotta. La tua vita sarà a rischio se continuerai
con l'inchiesta.>
<So badare a me stessa.> si
limitò a rispondere Joy, raccogliendo la busta.
<Ho un nome per te. William
Rawlins. Devi indagare su di lui. È lui la chiave di tutto. Ma ti ripeto di
fare molta attenzione. È un uomo molto pericoloso. Ma proprio per questo motivo
va assolutamente fermato.>
Così dicendo, l'informatore si accese
una sigaretta e sparì nell'oscurità.
Joy rimase ferma per qualche istante
poi disse:
<Cosa ne pensi?>
Alle sue spalle sbucò un altro uomo,
alto e dalla pelle scura i cui occhi erano nascosti da occhiali con lenti a
specchio. Sembrava un incrocio tra Prince e Michael Jackson.
<Un tipo che sa il fatto suo, uno
in gamba.> rispose <Ha un interesse personale nella faccenda.>
<E sei riuscito a capire tutto
questo solo sentendolo parlare, Ace?>
L’uomo chiamato Ace si limitò ad un
semplice sorriso.
<Ok.> disse ancora Joy
<Andiamo adesso. Voglio proprio vedere cosa c’è nella chiavetta.>
Bungalow
di Phoebe Marrs.
Phoebe Marrs era in videoconferenza
con Namor e Jim Hammond, rispettivamente il proprietario e il responsabile
della sicurezza della Oracle.
<Mi rammarico di non essere lì con
te in questo momento.> disse Namor <Non immaginavo che potessi correre un
tale pericolo.>
<Non avevi modo di prevederlo,
Namor. Né l'attentato né l’arrivo dell'uragano.> gli rispose la donna.
<Non voglio che tu corra altro
pericolo. Chiederò ad una nave di Atlantide di venirti a prendere appena le
condizioni meteo lo permetteranno.>
<Ti ringrazio. Nel frattempo, non
me ne sono rimasta con le mani in mano. Ho raccolto del materiale per voi: sono
i partecipanti rimasti al meeting.>
Inviò le foto via mail, che arrivarono
pochi istanti dopo.
Namor e Jim riconobbero un volto noto
tra i presenti.
<Quest'uomo... è ancora lì
presente?> chiese Jim Hammond.
<John Smith? Sì, è ancora qui. Lo
conoscete?> chiese Phoebe.
Namor e la Torcia Umana originale si
guardarono in faccia e abbozzarono un sorriso.
<Stai tranquilla Phoebe> si
limitò a dirle la Torcia <Sono certo che in questo momento sei al
sicuro.>
La donna non capì l'allusione, perchè
i due uomini omisero di dirle di aver riconosciuto l'ex Capitan America in
quell'uomo, ma entrambi sapevano che la presenza del loro ex commilitone in
quel posto non era certamente casuale, e che si sarebbe occupato lui
dell'attentatore.
Suite di Leslie Farrington.
In quel momento Leslie Farrington si
stava maledicendo per la sua testardaggine nel voler continuare con il meeting.
Si era versato un bicchiere di scotch per calmare i nervi.
<Che diavolo… e chi lo sapeva che
venire qui avrebbe comportato il rischio di venire ammazzato da un pazzo?>
borbottò tra sé e sé <Di tutte le operazioni finanziarie di cui mi sono
occupato in tutti questi anni non mi era mai capitato di assistere a qualcosa
del genere. Se fossi stato più furbo sarei salito al bordo del primo aereo che
abbandonava questa fottuta isola... d'altro canto, più alta è la posta,
maggiore è il profitto.>
Infatti, non aveva smesso un solo
istante di continuare a lavorare sulla spartizione degli appalti.
La percentuale che avrebbe preso dai
sopravvissuti per la sua mediazione era troppo ghiotta per rinunciarvi
facilmente.
Suite
di David Walsh.
In quello stesso momento, anche David
Walsh faceva pensieri simili.
Il suo maggiore desiderio era voler
tornare in Texas da sua figlia Zoe: la ragazza era ancora traumatizzata per il
suo recente rapimento[4]
e necessitava della sua presenza e delle sue attenzioni, ma purtroppo in quel
momento la sua presenza al meeting era fondamentale.
Toccava a lui infatti decidere se
accettare una delle offerte di acquisto della Roxxon o respingerle tutte ed
ingaggiare una battaglia finanziaria per mantenere la propria indipendenza.
Il destino lo aveva messo a capo della
Roxxon nel momento meno adatto.[5].
Nei
vari punti dell’isola.
La pioggia si faceva sempre più forte
e violenta, segno che l'uragano Francine si stava avvicinando.
Tutti i residenti sull'isola erano
spaventati dal suo arrivo e si stavano affrettando a correre nei rifugi. Tutti tranne
un uomo, che riteneva l’arrivo dell’uragano il momento più adatto per colpire i
suoi nemici.
Osservava le sue prede con la
cupidigia e lo sguardo feroce di un'animale predatore, ignorando però di essere a sua volta sorvegliato.
L’uomo conosciuto come Finisher era
rilassato. Da uno schermo osservava un drone telecomandato avvicinarsi
all’obiettivo programmato. Ancora un paio di minuti e Leslie Farrington avrebbe
cessato di vivere. Un delitto assolutamente perfetto.
I tacchi delle scarpe di marca
battevano ritmicamente sul pavimento del corridoio. La donna conosciuta come
Esecutrice fece un sorriso maligno prima di bussare alla porta della suite di
David Walsh.
Elektro inquadrò il suo obiettivo. Il
suo volto era una maschera di impassibilità. Nessuno avrebbe mai potuto dire se
provava qualche emozione o ne era totalmente privo.
Le sue dita scintillarono. Era il
momento di colpire.
Bungalow
di Aleksandr Lukin.
Il viaggio di ritorno dall’ospedale era stato del tutto privo di eventi. Il medico che aveva esaminato Aleksandr Vassilievitch Lukin aveva concluso che aveva riportato solo traumi di poco conto nell’attentato che aveva subito la sera precedente[6] e che poteva tranquillamente tornare al suo lussuoso alloggio. Lukin non aveva esitato un istante ed aveva lasciato immediatamente l’ospedale, chiamando una limousine con autista che in quel momento stava portando lui, il suo braccio destro Lev Illyitch Kuryakin e la sua direttrice della sicurezza Yelena Brement al suo bungalow.
<Sei davvero sicuro di stare bene,
Alek?> gli chiese quest’ultima.
<Sicurissimo.> rispose lui con spavalderia <Ho passato momenti peggiori in Cecenia e in Daghestan,[7] puoi credermi.>
Yelena Brement stava per replicare
qualcosa ma strinse le labbra e preferì tacere.
Finalmente arrivarono al bunker,
congedarono l’autista e Lukin disse:
<Casa, dolce casa, anche se
temporanea.>
<Non ci resteremo per molto,
temo.> commentò Kuryakin <Se il tempo continua a peggiorare, dovremo
trasferirci nei rifugi anti uragani.>
<Ci penseremo quando sarà il
momento.> replicò Lukin <Per adesso, voglio godermi un buon bicchiere di
vodka, un sigaro cubano e le lenzuola profumate del mio letto.
Fece per allungare la mano verso
l’interruttore della luce quando Yelena lo fermò.
<Aspetta!> esclamò <C’è
qualcosa che non…>
Non terminò la frase. Si udirono due
schiocchi e sia lei che Lev Kuryakin crollarono sul pavimento con un gemito.
La stanza si illuminò improvvisamente
rivelando, seduta tranquillamente in una poltrona, la figura di un uomo che indossava
una tuta verde con le insegne della falce e martello ricamate in rosso sul
petto. Il suo volto era nascosto da una maschera rossa a forma di teschio.
Nella mano destra stringeva una pistola che stava puntando contro Lukin.
<Benvenuto, Compagno Generale…>
gli si rivolse in tono irridente <… al suo appuntamento con la morte.>
FINE
PARTE PRIMA
PARTE
SECONDA
URAGANO
Fuori
dall’hotel.
Il drone era ormai in posizione. Dal
suo rifugio l’uomo chiamato Finisher ne manovrava i comandi con sicurezza come
se fosse stato presente sul posto a guidare l’azione ed in un certo senso era
vero
Finisher fece un sogghigno crudele.
Ancora un istante e la pluridecennale carriera di manager di Leslie Farrington
sarebbe terminata in una palla di fuoco. Naturalmente sarebbe morta altra gente
che si trovava nel suo stesso piano ed in quelli adiacenti ma erano danni
collaterali inevitabili.
Improvvisamente avvenne qualcosa di
assolutamente inaspettato: il drone invertì la rotta allontanandosi rapidamente
dall’hotel.
Finisher si lasciò sfuggire un paio di
imprecazioni in Tedesco mentre le sue dita si muovevano freneticamente sul
quadro comandi tentando di riprendere il controllo del drone ma fu tutto
inutile. Con terrore il sicario tedesco si rese conto che il drone stava puntando
verso di lui. Il rifugio era stato costruito per resistere ad un uragano non a
quello che quella macchina di morte avrebbe sparato.
Finisher decise di correre fuori.
Meglio il rischio di affrontare la furia dell’uragano che la morte sicura nel
bunker.
Era appena uscito all’aperto che si
sentì una voce stentorea:
<Fermo dove sei! Getta a terra il
bastone e metti le mani bene in alto!>
Finisher si voltò in direzione della
voce e nel riconoscere la donna che gli stava puntando contro un’arma esclamò:
<Sharon Carter! Dunque è stata lei
a rovinare la mia piccola operazione.>
<Il tuo tentativo di omicidio
vorrai dire.> replicò Sharon <Quando ho lasciato lo S.H.I.E.L.D. non ho
restituito tutto l’equipaggiamento, mi sono tenuta qualche gadget tra cui
quello che mi ha permesso di sabotare il tuo aggeggino, rispedirlo al mittente
e seguirlo.>
<I miei complimenti, Miss Carter. È
davvero un’avversaria di valore.>
<Lascia stare le chiacchiere. Molla
il bastone ed alza le mani. Non te lo ripeterò un’altra volta.>
<Oh, il bastone… certo.>
Con una mossa rapidissima Finisher alzò
il bastone dalla cui punta uscì un raggio azzurrognolo che colpì l’arma di
Sharon fondendone la canna.
Sharon lasciò la presa sull’arma
tenendosi la mano destra con l’altra. Finisher ne approfittò per scappare.
Sharon non si perse d’animo e con la sinistra estrasse dal fodero una pistola,
la puntò contro Finisher che stava correndo e sparò. Steve Rogers non avrebbe
approvato, pensò Sharon, ma non era lì e lei aveva smesso da tempo di essere
una brava ragazza.
La pioggia era divenuta sempre più
intensa e rendeva difficile persino vedere ad un palmo dal proprio naso. Era
riuscita a colpire Finisher? Le era parso di averlo visto barcollare ma poteva
essere stata un’illusione ottica. Non poteva pensarci adesso: l’uragano
Francine aveva deciso di rompere gli indugi ed abbattersi sull’isola. Restare
all’aperto sarebbe stato un suicidio. Il rifugio più vicino era il bunker di
Finisher. Sharon lo raggiunse e si richiuse all’interno. Avrebbe voluto sapere come
se la stessero cavando gli altri ma le comunicazioni sembravano morte. Poteva
solo sperare.
Altrove.
Phoebe Marrs stava digitando sulla
tastiera del suo tablet quando quel dispositivo si spense. Un attimo e lo
stesso accadde a tutte le luci del bungalow.
<Ma che ca..?> esclamò la donna
d’affari.
Fuori il temporale stava infuriando.
Che fosse per causa sua che era andata via la corrente? L’istinto suggeriva a
Phoebe che la risposta non era così semplice. Un istante dopo seppe di aver
ragione.
Una parete cedette di schianto e tra
le macerie si fece largo un essere umanoide grande e grosso dalla pelle
bluastra.
<Chi sei? Cosa vuoi?> chiese una
sorpresa Phoebe
<Io sono
Elektro.> rispose
l’altro <E ti ucciderò in nome del Teschio Rosso.>
Aveva detto Electro? Non somigliava
affatto al famigerato supercriminale nemico dell’Uomo Ragno, piuttosto,
dall’accento sembrava russo. Chiunque o qualunque cosa fosse era qui per
ucciderla. Questo sarebbe stato il momento buono per una delle entrate ad
effetto di Namor ma lui era lontano.
Elektro puntò un dito scintillante
contro Phoebe ma prima che potesse scagliare una scarica elettrica contro di
lei, un disco metallico lo colpì alla base del cranio.
Si voltò di scatto e si trovò di
fronte un giovanotto dai capelli castani che indossava un costume blu senza
maniche ed occhiali a specchio a coprirgli gli occhi.
<Se vuoi davvero uccidere qualcuno,
perché non ci provi con me, prima?> disse spavaldamente il nuovo arrivato.
<Bucky?>
esclamò Elektro.
<Mi hai riconosciuto? Allora non
sei del tutto stupido, però dovresti ricordarti che adesso mi faccio chiamare
Nomad.>
<Muori!>
<Continui ad avere un vocabolario
piuttosto limitato. Bene, perché neanch’io sono un gran chiacchierone di questi
tempi.>
Per qualche oscuro motivo su cui la
sua psicanalista avrebbe avuto sicuramente qualche teoria, battersi con un
nemico dei tempi in cui era la spalla del quarto Capitan America risvegliava in
Jack Monroe quella parte di lui che era stata un adolescente scanzonato, un
periodo durato troppo poco.
Non era il momento di fare i
nostalgici, però. Elektro sembrava aver dimenticato Phoebe Marrs per
concentrarsi su di lui, il che era precisamente quello che Nomad voleva. Ora
doveva solo restare vivo e trovare un sistema per neutralizzarlo. Nessuno dei
due era un compito facile
Grazie alla sua agilità Nomad evitava
le scariche che Elektro gli lanciava mentre lui lo bersagliava con i suoi
dischetti senza molto successo.
Improvvisamente altri dardi metallici
colpirono ripetutamente Elektro sbilanciandolo poi da dietro arrivò una donna
in costume che lo colpì alla schiena facendogli perdere l’equilibrio e
ruzzolare a terra.
Diamante, perché di lei si trattava fece
una capriola ed atterrò accanto a Nomad.
<Era ora che ti dessi da fare.>
la rimbeccò lui.
<Bel ringraziamento per essere
intervenuta in tuo aiuto.> ribattè lei.
<Me la sarei cavata… anche
se non so come.>
Intanto Elektro stava cercando di
rimettersi in piedi ma grosso e goffo com’era non gli era facile, specie con la
pioggia sempre più forte che rendeva il terreno scivoloso.
Improvvisamente un fulmine lo colpì.
L’aria si riempì di odore di ozono ed Elektro gridò per poi cessare ogni
movimento.
<Credi che sia morto?> chiese
Diamante.
<Non sono nemmeno sicuro che sia
mai stato davvero vivo.> replicò Nomad in tono dubbioso.
<Scusate se vi interrompo…>
intervenne Phoebe Marrs <… vi sono grata per avermi salvato la vita ma non
servirà a molto se saremo ancora fuori quando arriverà l’uragano. Il mio
bungalow ha un rifugio attrezzato per questi casi e c’è posto per tutti e
tre.>
<Mi sembra un’ottima proposta.>
approvò Diamante.
Phoebe guardò verso Elektro e chiese:
<È un androide o un uomo
mutato?>
<Non sono troppo sicuro della
risposta.> replicò Nomad poi aggiunse <Lei non sembra molto turbata, Miss
Marrs.>
<Sono stata minacciata da mostri
peggiori di questo ma ne parleremo in un momento migliore. Seguitemi.>
Né Nomad né Diamante obiettarono al
tono autoritario della donna che erano venuti a salvare, dopotutto aveva
ragione: con la pioggia ed il vento sempre più forti non era il caso di restare
all’aperto più a lungo. Senza esitare corsero tutti verso il rifugio.
Elektro continuò a restare immobile
sul terreno.
Suite
di David Walsh.
Una delle debolezze di David Walsh
erano le belle donne e quando aprendo la porta della sua suite si trovò di
fronte una splendida rossa non potè trattenere uno sguardo di ammirazione.
<Mi manda la direzione, Mr. Walsh.
Devo accompagnarla al rifugio anti uragano dell’hotel.>
<Uh, vengo subito… un attimo
solo.>
Walsh afferrò una valigetta
ventiquattrore ed uscì dalla suite richiudendone la porta.
<C’è qualcosa di prezioso in quella
valigetta che ha voluto portare con sé?> chiese con apparente noncuranza la
giovane donna.
<Il mio laptop. Contiene tutta la
documentazione su cui ho lavorato in questi giorni.> rispose Walsh.
<Immaginò che sarebbe un disastro
se la perdesse o finisse in mani sbagliate.>
<Beh, quasi tutto il contenuto è
recuperabile su cloud ma sarebbe comunque un bel guaio se qualcuno riuscisse a
superare le difese anti intrusi ed avesse accesso a documenti riservati.>
<Molto interessante.>
La giovane donna aveva sfiorato più di
una volta Walsh. Non poteva essere casuale. Una sorta di approccio. Walsh
pensava che avrebbe accettato le sue avances se lui ci avesse provato. Magari
dopo l’uragano.
Preso nei suoi pensieri Walsh non si
accorse che la ragazza aveva estratto dalla borsetta una specie di sottile
spillone e si apprestava ad infilarglielo nel fianco.
Proprio in quel momento uno degli
ascensori si aprì rivelando la snella figura di Yelena Belova, la Vedova Nera.
La donna dai capelli rossi ebbe un
attimo di esitazione e tanto bastò a Yelena per colpirla con il suo morso di
vedova impedendole di portare a compimento il suo proposito omicida.
<Ma che sta succedendo?> chiese
uno sconcertato Walsh.
<Questa donna stava per
ucciderla.> spiegò Yelena <Si allontani da lei. Anche se è apparentemente
disarmata è pur sempre molto pericolosa.>
<Mi fa piacere che tu lo riconosca,
ragazzina.> replicò in tono sarcastico l’Esecutrice in Russo.
<A quanto pare, Sharon Carter aveva
ragione nel pensare che saresti stata tu a tentare di uccidere Walsh.>
ribatté la Vedova nella stessa lingua.
<Sei una serva degli americani
adesso? Che brutta fine per un’allieva della Stanza Rossa.>
<Io servo solo la giustizia ed
impedendoti di commettere nuovi crimini sono d’aiuto anche alla Madre
Russia.>
<Ma che belle parole.>
l’Esecutrice fece un sorriso cattivo <Sai una cosa? hai ragione… io sono
ancora pericolosa.>
Con un gesto solo in apparenza casuale
l’assassina russa sfiorò la sua collana. Dal cammeo partì iun dardo che non
colpì Yelena solo perché lei era stata lesta a scansarsi.
<Bel tentativo.> disse poi
<Peccato per te che non abbia funzionato. Ora non muovere nemmeno un muscolo
o ti colpirò con il mio morso di vedova alla massima intensità.>
<Mi uccideresti.>
<Senza la minima esitazione e mi
assicurerei che tu resti morta.>
< Il tuo capo non approverebbe.>
<Gli direi che non mi hai lasciato
altra scelta e lui mi crederebbe. Ha
fiducia nella bontà degli esseri umani.>
<È un ingenuo o uno stupido allora.
Pare che non io non abbia molta scelta quindi.>
“È troppo arrendevole.” Pensò Yelena
“Non è da lei, devo stare attenta.”
Nell’alzare le mani l’Esecutrice
sfiorò uno dei suoi orecchini che cadde a terra emettendo un lampo ed un suono
stridulo.
Una mini granata flash bang, avrebbe
dovuto aspettarselo, si rimproverò mentalmente Yelena. Sbattè un paio di volte
le palpebre e vide confusamente l’Esecutrice tuffarsi oltre una finestra
aperta. Le corse dietro ma era ormai troppo tardi. La pioggia battente impediva
di distinguere qualsiasi cosa. Per quanto ne poteva sapere, la sua nemica
poteva giacere nel terreno sottostante ma lei ne dubitava.
“Sarà per la prossima volta.” si
disse.
Ora aveva altre priorità come portare
in salvo David Walsh e sopravvivere all’imminente uragano.
Bungalow
di Aleksandr Lukin,
<Il Teschio Rosso!> esclamò
Lukin.
<Proprio io.> replicò il sinistro individuo <Lei è l’unica persona che sia sfuggita per ben due volte ad un tentativo di omicidio da parte di uno dei miei agenti.[8] Questa volta ho deciso di riservarle l’onore di occuparmene personalmente.>
<Un onore di cui avrei fatto
volentieri a meno.> replicò con ostentata freddezza Lukin.
Guardò i due corpi a terra. Non c’era
traccia di sangue.
<Non li ha uccisi.> disse
semplicemente.
<Non mi piace uccidere quando non è
strettamente necessario.> replicò il Teschio Rosso <Resteranno sedati
quanto basta perché io faccia quello che sono venuto a fare.>
<Visto che la mia sorte è già decisa,
mi concederebbe il classico ultimo desiderio del condannato a morte?>
<Perché no? Quale sarebbe?>
<Sapere perché devo morire. Qual è
veramente il suo piano? Non posso credere che sia solo uccidere dei
capitalisti.>
<Ovviamente no. Naturalmente la
destabilizzazione dell’economia americana è un effetto che non mi dispiacerà
ottenere, ma il mio vero obiettivo ruota intorno a lei, Compagno Generale.>
<A me?>
<Con l’eliminazione dei suoi principali competitori, la Kronas non avrà difficoltà ad ottenere i migliori appalti per la costruzione del gasdotto atlantico e concludere felicemente anche l’OPA[9] sulla Roxxon. Diventerà un gigante senza rivali, l’economia della stessa Madre Russia ne dipenderà e quando lei sarà morto, mi sarà facile convincere i suoi eredi a cederne il controllo a me.>
<I miei eredi potrebbero non essere
così malleabili quanto crede… Compagno Teschio.> ribattè Lukin con un amaro
sorriso poi aggiunse <E quindi finisce cosi: con un semplice proiettile in
testa? Nulla di spettacolare come un gas che tramuti la mia testa in un teschio
rosso mentre in sottofondo si sente l’Internazionale? Decisamente è meno
creativo del suo predecessore.>
<Sono semplicemente un uomo
pratico. Devo dire che ammiro la sua calma davanti alla morte imminente.>
<Servirebbe, forse a qualcosa se mi
lamentassi e supplicassi?>
<Assolutamente a niente.>
rispose il Teschio <Addio, Compagno Generale.>
Il Teschio Rosso alzò la sua Makarov
modificata verso il volto di Lukin.
L’oligarca russo aprì la bocca come
per dire qualcosa ma non fece in tempo a parlare perché una delle finestre si
infranse e qualcuno piombò all’interno.
Steve Rogers aveva osservato tutta la
scena e aveva deciso di intervenire. La sua entrata dirompente aveva fatto
perdere al Teschio Rosso la pistola.
<Stia dietro di me, Lukin.>
disse, mettendosi tra lui e il suo attentatore.
<TU!> esclamò il Teschio nel
vederlo.
<Già. E questa volta andrà
diversamente. Finisce qui, adesso!> gli disse Steve deciso e risoluto.
<Maledetto! L'ultima volta che ci
siamo battuti mi hai sconfitto perchè ero impreparato, ma questa volta sono
pronto per te!> disse il Teschio, estraendo un pugnale della cinta con il
quale cominciò ad attaccarlo.
Steve non si fece intimidire dalla
mossa; con rapidi movimenti del tronco schivava i fendenti del suo avversario,
ma erano state le sue parole a colpirlo.
La sua mente andò al loro precedente
incontro:
“L'ultima volta che ci siamo
incontrati non c'era stato alcun combattimento, tra noi” ricordò.
“Lui stava scappando, coprendo la
propria fuga sparando alla cieca, e soltanto l'intervento di Bucky, all'epoca
sotto il suo controllo, m'impedì di catturarlo.”[10]
Eppure quello scontro gli stava
facendo provare una forte sensazione di dejà vu: quei movimenti nel portare gli
attacchi all'arma bianca, Steve li aveva già visti. Aveva già evitato quel tipo
di attacco, ma non riusciva a ricordare dove.
“Io e quest'uomo ci siamo già battuti,
ma non mentre era nei panni del Teschio Rosso. Mi chiedo allora chi...”
Ma anche se si è un supersoldato, non
bisogna mai distrarsi durante un combattimento.
Ogni distrazione può risultare fatale.
Steve lo ricordava sempre, a tutti coloro a cui aveva insegnato a combattere,
eppure lui stesso era caduto in quell'errore: il Teschio lo colpì con una
ginocchiata al costato, facendogli mancare il respiro.
Steve cadde a terra, in ginocchio. Il
pugnale del Teschio calò di lui come una mannaia.
Fortunatamente, la lama andò ad
infrangersi contro lo scudo energetico, prontamente alzato da Steve in propria
difesa.
Colse l'occasione per passare
all'offensiva: un uppercut destro ribaltò le sorti dell'incontro, il Teschio
non riuscì a rispondere ai colpi che portò Steve, che con una sequenza di pugni
lo mandò al tappeto.
<Adesso vediamo chi c'è sotto
quella dannata maschera...> disse Steve, allungando la mano verso il volto
del nemico, ma proprio quando la sua ombra andò a coprirlo, una folata di
vento, proveniente dalla finestra che aveva sfondato, lo investì in pieno,
facendolo allontanare da lui.
L'uragano Francine era arrivato, e
stava facendo sentire la sua voce.
In pochi istanti la natura scatenata
aveva cambiato le cose. Ora la priorità diventava sopravvivere alla sua furia.
La casa tremò, le finestre cedettero di schianto lasciando entrare l’acqua.
Un mobile stava per cadere addosso a Lukin
ma Steve spiccò un balzo spostandolo dalla sua traiettoria appena in tempo.
<Grazie…> riuscì a dire il
russo.
<Ci sarà tempo dopo per i
ringraziamenti.> tagliò corto Steve <Ora la priorità è restare vivi.
Dobbiamo trovare un posto sicuro alla svelta. Nel seminterrato dovrebbe esserci
una specie di bunker attrezzato per questi casi. Dobbiamo raggiungerlo.>
<I miei collaboratori sono ancora
vivi. Non possiamo lasciarli qui.> disse Lukin indicando Yelena Brement e
Lev Kuryakin ancora privi di sensi sul pavimento.
<Non è mai stata mia intenzione. Se la
sente di portarne a spalla uno?>
<Prima di essere un industriale ero
un soldato e non sono ancora rammollito. Muoviamoci.> replicò Lukin poi
prese tra le braccia Yelena Brement mentre Steve si caricava in spalla
Kuryakin., Mentre imboccavano la via del seminterrato Lukin disse:
<Il Teschio Rosso è scomparso.>
<Deve aver approfittato della
confusione per scappare.> replicò Steve <Penserò a lui quando il pericolo
sarà passato.>
Anche se ostacolato dal corpo che
portava con sé Steve riuscì ad aprire la botola che portava al rifugio.
L’aveva appena richiusa che sopra le
loro teste si udì un forte schianto.
<Appena in tempo.> commentò
Steve.
<Ha dimostrato un sangue freddo
ammirevole.> disse Lukin.
<Anche lei, se è per questo.>
<Sono stato un soldato, gliel’ho
già detto… come lei del resto. Quando ci siamo incontrati l’ho riconosciuta
immediatamente come l’americano che avevo conosciuto tempo fa a Montecarlo e che
si faceva chiamare Nathan Hale.>[11]
<Eppure non mi ha smascherato.>
<Ho preferito far finta di niente.
Era abbastanza ovvio che lei fosse un agente sotto copertura di una qualche
agenzia di spionaggio e che fosse qui per il Teschio Rosso. Non mi conveniva
rivelare che lo sapevo. All’inizio pensavo che fosse della C.I.A. ma adesso la
sua uniforme mi fa pensare che lavori per lo S.H.I.E.L.D., sbaglio?>
Steve abbozzò un sorriso e rispose:
<Lei è molto perspicace.>
<Ovviamente né Nathan Hale né
tantomeno John Smith sono il suo vero nome e suppongo che non mi dirà qual
è.>
<Infatti.>
<Nessun problema. Sono stato una
spia anch’io e so come funziona.>
<Era nel G.RU.>[12]
un’affermazione, non una domanda.
<Agente sul campo, poi direttore
della scuola di spionaggio ed infine vice direttore ma è storia passata. Fare
il capitalista rende molto di più.>
Lukin indicò Yelena Brement ancora
svenuta ed aggiunse.
<Lei è stata la mia migliore allieva,
un’agente di prim’ordine. Sono felice che il Teschio non abbia ucciso né lei né
Lev.>
Steve era perplesso: fino a poco prima
aveva sospettato che Lukin potesse essere il Teschio Rosso ma li aveva visti
insieme ed il Teschio avrebbe ucciso Lukin senza il suo intervento. Doveva ricredersi.
L’identità del Teschio Rosso restava un mistero ma ora che sapeva che si erano
già battuti quando il suo avversario non indossava il suo travestimento era
solo questione di tempo prima che capisse chi era.
Lukin intuiva cosa stesse pensando
Steve. Un giorno forse avrebbe capito l’inganno in cui era caduto ma non per
oggi.
Il Teschio Rosso non era, però, la
principale preoccupazione di Steve. La fuori c’erano i suoi compagni
d’avventure tra cui due donne che aveva amato e quella che amava adesso. Non
poteva non essere preoccupato per
loro ma purtroppo era consapevole di non poter fare niente a parte pregare e
sperare.
Qualche
ora dopo.
In pochi minuti l’uragano aveva
letteralmente devastato l’isola con furia distruttrice. Dopo il suo passaggio ben
poco era rimasto in piedi. L’unica cosa che si poteva realisticamente fare era aspettare
i soccorsi ed andarsene.
Steve riuscì finalmente a riunirsi con
la sua squadra e quella di Sharon. L’ospedale era stata una delle poche
strutture rimaste intatte ed i pochi pazienti stavano tutti bene, per fortuna.
<Nessuna traccia del Teschio Rosso
e dei suoi agenti.> confermò Sharon di ritorno da un giro di perlustrazione.
<Forse sono morti.> commentò
Nomad <Forse l’uragano li ha spazzati via.>
<Lo credi davvero?> gli chiese
Steve.
<No.> rispose in tono cupo lui.
<Almeno di una cosa siamo
sicuri.> intervenne Yelena Belova <Il piano del Teschio è fallito.>
<Quindi è tutto finito?> chiese
Diamante.
Nessuno le rispose.
FINE
PARTE SECONDA
EPILOGO
DOPO
LA TEMPESTA
Aeroporto
internazionale di Cancún, Messico.
I superstiti dell’uragano erano stati
evacuati dall’isola e portati sulla terraferma. Il meeting sul nuovo gasdotto
era stato definitivamente aggiornato ed i partecipanti si apprestavano a
tornare a casa.
Le squadre di Steve e Sharon,
finalmente al completo, si stavano salutando. Un jet della Lone Star Oil, la
compagnia petrolifera di Texas Jack Muldoon, stava aspettando Sharon ed i suoi
compagni per portarli in Texas mentre Steve e gli altri Vendicatori Segreti avrebbero
recuperato il loro quinjet dal suo nascondiglio.
<Beh, è stato bello collaborare
ancora una volta.> disse Steve con aria imbarazzata.
<Non farci troppo l’abitudine,
Rogers.> replicò Sharon <I nostri stili sono troppo diversi.>
<Lo so.> ribatté lui amaramente
<Comunque abbi cura di te.>
<E tu di te, boy scout.>
Sharon si allontanò senza voltarsi
indietro..
C’era una cosa che non aveva detto a
Steve e cioè che aveva deciso di fare una sua indagine personale sul Teschio usando
i contatti che aveva nel sottobosco dell’intelligence, tra cui alcuni che non sarebbero
certo piaciuti a quell’anima candida di Rogers. Al momento, però aveva cose più
urgenti a cui pensare come una figlia da cui era stata lontana troppo a lungo.
Eliveicolo dello S.H.I.EL.D.
Steve era stato ricevuto nell'ufficio
di Nick Fury.
<Sono lieto di rivederti tutto
intero, vecchio mio. Dovevo immaginare che non bastava una sciocchezza come un
uragano per toglierti di mezzo.> scherzò Nick.
<Me la sono vista brutta, invece.
Non è stata affatto una passeggiata… ma prima di ragguagliarti, volevo
chiederti se ci sono novità riguardo al plutonio scomparso di cui ci ha parlato
Nomad.>[13]
<No, ancora nulla purtroppo. Ma
tengo costantemente aggiornato il tuo ragazzo, Amadeus. Non appena spunta
qualcosa al riguardo, glielo comunicherò immediatamente.>
<Ti ringrazio. Sarà la nostra
priorità, almeno finchè il Teschio non farà la sua prossima mossa.>
<A tal proposito Rogers, è mio
dovere informati... anche se io stesso non ci credo, che è stata ritrovata la
maschera del Teschio Rosso su una spiaggia, mentre le autorità hanno ripescato
un cadavere con indosso brandelli di tuta verde a largo della costa. Purtroppo
non è stato possibile identificarlo perchè il volto è stato divorato dagli
squali ed è ormai irriconoscibile.>
<L'hai detto Nick: non ci
credo.>
<Già. Pare anche a me una
messinscena orchestra appositamente. Ma ritenevo giusto dirtelo.>
Steve rimase silenzioso a rimuginare.
<Quell'uomo Nick, io... ho la
sensazione di averlo già incontrato. Senza la maschera, dico. Ci ho combattuto
e non è la prima volta che lo facevo. Ma non riesco a ricordarmi chi è.>
<Ti verrà in mente, vecchio mio. E
allora, credimi, andremo a prenderlo.> rispose Fury, poggiandogli una mano
sulla spalla.
Texas,
aeroporto internazionale Dallas-Fort Worth.
Sharon Carter stava tornando a casa.
Dopo i turbolenti ultimi avvenimenti,
aveva concesso alcuni giorni di riposo alla sua squadra e voleva tornare in
Virginia. Non vedeva l’ora di riabbracciare sua figlia Shannon e rilassarsi per
un po’ con lei. Le sue indagini potevano aspettare, Shannon no.
Era stata una pessima madre negli ultimi
tempi, ma era decisa a rimediare.
Andò nel bagno delle donne a rifarsi
un po' il trucco e avere un’aria meno stanca.
Non voleva farsi vedere dalla figlia
in quello stato.
Mentre si sciacquava il viso, sentì
singhiozzare. Era il pianto di una donna.
Il lamento si faceva sempre più forte.
Una donna anziana uscì dal bagno col
volto rigato dalla lacrime.
<Va tutto bene, signora?> chiese
Sharon, premurosa.
La donna scoppiando a piangere si
rivolse verso di lei, chiedendole un abbraccio.
Sharon acconsentì, pur imbarazzata.
La scossa di un taser le attraversò il
corpo.
“Stupida...” fu l'ultimo pensiero che
rivolse a sé stessa.
La donna si tolse la maschera con le
fattezze da anziana.
Sotto vi era un volto molto più
giovane, un volto che probabilmente Sharon avrebbe riconosciuto se fosse stata
cosciente.
Parlando ad un microfono incorporato
nella sua collana disse:
<<Qui
Madame X. Ho con me l'obiettivo. Venite a prelevarci.>>
CONTINUA...
NOTE DEGLI AUTORI
Ebbene
sì: non abbiamo resistito all’idea di lasciarvi con un cliffhanger, saprete
perdonarci? -_^
Poche cose da dire:
1) Il
titolo è ovviamente un omaggio al prossimo film di 007 che prima o poi uscirà
nelle sale cinematografiche. Dovrebbe essere il canto del cigno di Daniel Craig
ma tanto per restare in tema di citazioni: mai dire mai.
2) Sappiamo
cosa state pensando: ma se Lukin è il Teschio Rosso, chi è quello che ha
tentato di ucciderlo? Un po’ di pazienza e tutto sarà chiarito prima o poi.
3) Chi
è il misterioso contatto di Joy Mercado? Forse avete dei sospetti ma presto
sarà tutto chiaro.
4) Ace
è un personaggio creato da Peter David & Mark Beachum su Spectacular Spider
Man Annual #5 del lontano 1985.
Nel
prossimo episodio… ma perché rovinarvi la sorpresa?
Carlo & Carmelo
[1] Nell’ultimo episodio ovviamente.
[2] Sempre nell’ultimo episodio.
[3] Ancora nell’ultimo episodio.
[4] Su Marvel Knights #111.
[5] Nell’ultimo episodio e dove sennò=.
[6] Ovvero nell’ultimo episodio. Ci stiamo ripetendo. _^
[7] Regioni turbolente della Federazione Russa insofferenti del Governo centrale,
[8] Il primo risale a Capitan America #42.
[9] Offerta Pubblica di Acquisto
[10] È accaduto nel numero 3.
[11] Su Capitan America MIT #42, per la precisione.
[12] Glavnoye Razvedyvatel'noye Upravleniye. Direzione Principale Informazioni, il servizio segreto militare russo.
[13] Nel num. 48