MARVELIT Presenta
DARKMERE
Episodio 16 – Nuova Vita, Nuovi Orrori
di Valerio Pastore (victorsalisgrave@yahoo.it)
New York. Su questo piano
dimensionale
Gli ingredienti c’erano tutti.
Fuori, pioveva che Dio (o qualcuno
per Lui) la mandava.
Il mio ufficio stava dentro un
loft dismesso e quasi nudo.
Dalle due finestre, vedevo le
tremolanti insegne al neon di un cinema a luci rosse e di un night club.
Percepivo la presenza di un barbone intento a rovistare nel cassettone dei
rifiuti del night club, percepivo una coppietta diretta al cinema, e altra
fauna assortita di passanti, tutti accomunati dall’appartenere alla condizione
sociale minore di questa città.
Stavo godendomi una sigaretta
al mentolo, sulla scrivania di mogano c’erano una bottiglia e un bicchiere di
whisky mezzo vuoto. E me ne stavo svaccato sulla poltrona, i piedi fasciati da
Vero Cuoio italiano (anche i professionisti come me avevano diritto a qualche
sciccheria!) appoggiati alla suddetta scrivania.
E allora, perché non si apriva
la porta per fare entrare una bionda formosa e disperata alla ricerca della
gemella scomparsa e di un nuovo amore, maledizione?!
Il mio occhio cadde sul
mucchio di bollette inevase. Fra un mese, si sarebbero aggiunti i solleciti.
Fra due, avrei dovuto rinunciare alle comodità moderne –non che fosse un
dramma, ma odiavo sprecare energie quando potevo cavarmela affidandomi alla
tecnologia moderna. I maghi tradizionalisti, per me, erano dei pazzi.
Ah, già: voi pensate che io
sia un detective privato, vero? Vero, lo sono: John Lomax, per servirvi. Tariffe modiche, risultati sicuri.
E sono anche un mago. Più o
meno.
Sono un tipo incasinato, ad
essere veramente onesti: a vedermi,
quanto mi dareste? Fra i trenta ed i quaranta? Vi sorprenderebbe sapere che ne
ho dieci? Anch’io ci rimasi male, ma non perché me li porto molto male.
Vedete, tecnicamente parlando,
io sono un omuncolo, un costrutto
artificiale fabbricato nei laboratori di un alchimista, una variante della
ricetta di Paracelso. Mi hanno fabbricato per essere il contenitore ambulante
di due demoni. Mi hanno dato una
bella riserva di false memorie, e non ho mai sospettato nulla fino a quando un
buffone di nome Lothar Archer non mi
ha trascinato in un casino che ancora mi perseguita –o almeno, ci prova.
Recentemente, sono riuscito a
tornare ad una esistenza più o meno normale. Ancora non mi va giù di essere un
pseudo-umano, beninteso. Non mi va di dovere ricominciare la mia vita
praticamente da zero, con la strana sensazione di essere allo stesso un bambino
ed un adulto. Non mi vanno tante cose, ma tant’è, ognuno ha i suoi problemi.
I miei erano di arrivare a
fine mese, e mi andava benissimo. Era una cosa normale, da persone vere.
Comunque, la mia porta sarebbe
stata sempre aperta per una bella bionda formosa.
Lanciai un’occhiata
all’orologio. Quasi mezzanotte: a quest’ora, o mi chiamava la polizia o
arrivava un magnaccia intenzionato a scoprire se le sue donne facevano le
furbe.
Schiacciai la sigaretta nel
posacenere, in mezzo ad un mucchio di mozziconi. A ben pensarci, un vantaggio
ad essere un omuncolo c’era: alcol, fumo e caffè a volontà. Potevo apprezzarne
i sapori senza preoccuparmi di alcun effetto collaterale. Le sole droghe e
veleni che potessero darmi dei problemi dovevano essere fabbricati con
ingredienti magici o essere incantati. Idem per le armi, anche se non avevo
ancora testato gli effetti di un candelotto di dinamite infilato in gola; per
quello avrei aspettato. Mi mancavano un sacco di altri superpoteri, ma uno doveva
accontentarsi.
Presi l’impermeabile che
tenevo poggiato allo schienale della poltrona, e lo indossai al volo.
Chiusi la porta dietro di me.
Contemplai la strada davanti a me. Gli edifici di quella zona di Brooklyn erano
squallidi, bassi, come tante escrescenze spuntate dall’asfalto. Tante finestre
illuminate, qualche negozio aperto qua e là, lampioni che gettavano luci malate
contro le spesse gocce di pioggia, trasformandole in piccole comete.
Se mi fossi messo d’impegno
come un qualsiasi vigilante mascherato, avrei beccato qualche piccolo criminale
con le mani nel sacco, ma ero un detective, non un vigilante. Quelli se ne
fregavano della burocrazia dietro ad ogni arresto, non dovevano certo andare a
testimoniare in tribunale, e di solito i loro nemici facevano tali casini che
neppure Machiavelli in persona li avrebbe fatti assolvere in un’aula di
tribunale.
Mi
incamminai verso il night club. Se volevo trovare qualche cliente, il Club 80 era il posto migliore a
quell’ora e con quel tempaccio.
“Il suo nome, prego.”
Guardai il buttafuori come se
si fosse trattato di un curioso tipo di animale. “Tu sei nuovo, vero? Che fine
ha fatto Dean?”
“Si è sposato,” sentenziò il
ragazzone, che aveva tutta l’aria di stare subendo quel lavoro solo per pagarsi
la palestra. Quella, o gli anabolizzanti. “Il suo nome, prego.”
“Te ne frega? Visto il
traffico di clienti di questi giorni, vi alzo la media dei guadagni. E ora
scusami…” Sprecai un po’ di energia per questo trucco, ma che diavolo: anche
con Dean dovetti farlo, per fargli capire che con me, nessuno può fare il gradasso, buona fede o no. Così, passai
attraverso il corpo di questo buffone, e da lì attraverso la porta. Almeno,
sarei andato a dormire pensando alla buffa faccia del buttafuori –tipo
fegatoso, devo dire. Dean era svenuto, in quell’occasione…
“John Lomax, maledizione a te.
Quante volte ti ho detto di non rifarlo?”
“Solo una, Wayne. E poi,
dovevi dirlo al nuovo che sarei passato, prima o poi. Lo sai quanto mi piaccia
l’atmosfera calda ed elegante del tuo club.” Oddio, stasera era un tantino un
mortorio, e la pista da ballo era praticamente vuota. Le puttane (pardon,
intrattenitrici) del locale sedevano ai tavoli fissandosi intorno con aria
annoiata.
Wayne Teller, detto
‘Chiacchiera’[i]
(ma non diteglielo in faccia). Giovane, entusiasta del suo lavoro, cinico e
archivio vivente di informazioni per tutti, buoni e cattivi, democratici e
repubblicani, polizia e criminali. Ogni parte sapeva che Chiacchiera spifferava
qualcosa di utile all’altra, ma nessuno avrebbe arrestato o sparato alla loro
migliore fonte. Wayne era come una banca, toglierla dal gioco avrebbe fatto
solo danni. Tutt’al più, uno poteva non andare in questa banca per evitare di
dire cose compromettenti. Cioè, uno ci provava a non dirle, ma come si dice,
‘in vino veritas’, e Wayne sapeva come spingere i suoi clienti a varcare il
sottile confine fra quattro chiacchiere e il desiderio di confessarsi.
Mi sedetti al banco. “Ne hai
ancora di quel beverone dal nome strano?”
Wayne era un patito di Vin
Diesel, di conseguenza era altrettanto rasato, altrettanto palestrato, e
portava un orecchino ad anello d’oro; e se gli davi problemi, ti avrebbe
volentieri infilato un paio di proiettili nel culo. “Per i miei clienti preferiti,
il Kelvin c’è sempre.” Si accinse a
preparare il drink. “Scusa, ma perché ti sembra un nome strano? Ci sono in giro
certi scotch con nomi che richiedono un dizionario per pronunciarli.” Era molto
attento a non mostrare alcuno degli ingredienti usati, solo recipienti anonimi
e gesti da artigiano.
La radio diffuse le note di Here comes the rain again. Anni ’80,
gran musica. “Per me, un alcoolico deve avere un nome da alcoolico e non da
scienziato.”
“Infatti, il Kelvin non è un alcoolico. To’.” Depositò lo
spesso bicchiere intarsiato sul banco. La roba che c’era dentro, di un profondo
colore blu, fumava come un beverone fatto dagli Addams. Presi il bicchiere e ne
mandai giù l’unica, generosa sorsata. L’impatto fu a dir poco tremendo! I denti
mi si trasformarono in piccoli iceberg e la lingua in un’estensione
dell’Antartide. Il gelo prese due strade contemporaneamente, giù per la gola e
su per il cervello. Per un paio di secondi, faticai a respirare e a pensare.
Poi la roba arrivò allo stomaco, e avvertii un piacevole tepore che neppure un
single malt invecchiato fino allo stremo poteva darmi. “Weee,” esalai,
estatico. Ogni volta era come la prima, ecco il bello di questa roba.
Se il locale non aveva chiuso,
era anche grazie a quel beverone segreto. Wayne disse, “Serata fiacca, eh?”
Annuii, ora perfettamente
lucido. “Appena mi becco un cliente danaroso, foss’anche un politico italiano,
comincio a farmi una pubblicità come si deve.” Bugia, bugia! Meno male che ero
immune anche dal fuoco[ii].
Va bene che dovevo guadagnarmi da vivere, ma non intendevo assolutamente farmi una fama. Nossignori, John Lomax viveva per un
profilo basso. John Lomax aveva dei nemici che era davvero meglio tenersi molto
lontano! “Non è che tu puoi…” sussurrai.
Wayne non disse una parola.
Prese uno straccio e si mise a strofinarlo sul banco –una normale azione per un
barman, direte voi. Solo che non c’erano molti barman che, fra un movimento e
l’altro del braccio, facevano apparire come per magia un foglietto ripiegato
davanti ai loro clienti.
Presi il foglietto e me lo
infilai in tasca con un unico movimento veloce. Buon vecchio Chiacchiera, ora
gliene dovevo un’altra! Presi il portafoglio e pagai il beverone –cento
dollari, ma Dio se ne valeva la pena! “Alla prossima, capo.”
Quando
uscii, stavolta passai accanto al buttafuori. “Ti donano, i capelli bianchi,”
gli dissi, osservando le ciocche brizzolate alle tempie. “Stammi bene.” Gli
diedi una pacca sulle spalle. Fu a quel punto che lui smise di fare la bella
statuina e svenne. “*tsk* I giovani d’oggi…”
Risalire dal numero di telefono
scritto sul biglietto all’indirizzo era stata cosa facile.
Inutile aspettare al giorno
dopo. Tanto, potevo permettermi di non dormire fino ad una settimana di fila, a
meno di affaticarmi seriamente. E stare seduto su un taxi non rientrava nella
categoria.
Mentre osservavo la villa che
si stagliava alla fine di un lungo viale che sembrava dipinto nel mezzo di un
prato all’inglese, mi chiesi con grande curiosità chi diavolo avesse voluto
farsi un viaggio da quella dalla zona di Westchester fino ad un club di dubbia
reputazione nel lower. Davvero, Chiacchiera aveva una specie di talento
soprannaturale per fiutare la gente.
Fosse come fosse, le luci
erano tutte spente. La logica suggeriva che, alla una passata, era anche
normale. Ma avevo questa dote, sapete… Insomma, percepivo la morte. Se qualcuno era in procinto di
fare una brutta fine, o se era morto, lo sentivo come una carezza gelida dentro
di me. Non avevo visioni o roba del genere, ma solo perché sceglievo di limitare
al massimo la portata di questo macabro ‘sesto senso’. In una città come la
Grande Mela, o lo tenevo seriamente sottochiave tranne quando mi serviva per
davvero, o sarei impazzito in pochi minuti. Solo una volta, entrando in un
condominio per cercare qualcosa che mi riconducesse al cucciolo di una signora
cinofila e danarosa, avevo scoperto che la cantina era stata adibita
sommariamente ad arena per combattimenti clandestini perché mi ero trovato
circondato da una schiera di spettri canini carichi di sentimenti negativi ad
un livello indescrivibile. Ecco, in quell’occasione ero stato sul punto di
pregare che potessi ubriacarmi. Invidio chi ci riesce, almeno per un po’ si può
seppellire il dolore. Io, invece, possiedo una memoria totale, e ci sono così
tante cose che vorrei dimenticare…
La ‘sensazione di morte’ era
intensa. E dato che i fantasmi erano solitamente legati al luogo della loro
fine, se volevo incontrarli dovevo andare dentro… Ah, già. Avrei dovuto anche
chiamare la polizia, ma forse era meglio prima trovare qualche indizio utile
per me, invece di lottare per gli avanzi…
Un atto di concentrazione, e
passai attraverso il cancello.
La porta d’ingresso era
socchiusa. Mentre la aprivo, un lampo trasformò il buio dell’androne in una
scena da incubo.
Deglutii. Che razza di mostro poteva
avere fatto un simile massacro? Chiunque fosse la vittima, non avrei potuto
certo identificarla dai pezzi sparsi ovunque nella stanza, fra mobili distrutti
e spruzzi di sangue ancora fresco che sembravano oscene mani di vernice sulle
pareti bianche.
Allungai la mano in una tasca
e ne estrassi la torcia. Feci scorrere all’ingiù il cappuccio metallico,
rivelando un bulbo cristallino. La accesi, e la stanza fu riempita dalla sua
luce; i miei complimenti alla Talon Corporation per questo gadget ed il telefonino
Omni.
Una volta ebbi a che fare con
una specie di smilodonte che i miei nemici mi avevano lanciato contro. Non
fosse stato per l’Uomo Ragno, me la
sarei vista bruttina, ma mai quanto questo poveraccio… Ah, eccola lì, la sua
testa, cioè la sua metà inferiore, appesa sul lampadario. No, non volevo
davvero vedere il suo fantasma isterico supplicarmi di aiutarlo…
Salii le scale. C’era puzza di
sangue, urina ed escrementi ovunque. Mi sa che non avrei trovato clienti
paganti, qui…
Il corridoio del piano superiore
era pulito. Assolutamente lindo e ordinato come ci si sarebbe dovuto aspettare
in una villa di lusso. In un certo senso, faceva più paura, così.
Avanzai piano, anche se la
torcia faceva luce come fosse giorno. Con l’altra mano, sfiorai la tasca dove
tenevo il mio piccolo asso nella manica…
Arrivai ad una porta
socchiusa, sulla destra. La aprii, senza neppure uno scricchiolio dei cardini.
Quasi era meglio lo spettacolo
del piano di sotto. Se fra adulti ci si poteva ammazzare in modi creativi, come
ce la si poteva prendere a quel modo con un bambino?
Non doveva avere più di otto anni, e il volto era stata, letteralmente, l’unica
zona che l’assassino aveva risparmiato. Il resto del suo corpo, sul quale i
brandelli del pigiama erano sparpagliati come tristi coriandoli, era stato
letteralmente massacrato. C’erano segni su segni di artigli, un osceno reticolo
di ferite inflitte per avere la certezza di un lungo e cosciente dolore. Per
questo il volto era stato risparmiato, per fare vedere che la vittima era stata
sveglia e lucida fino alla fine.
Ok, era ufficiale: volevo
vomitare. Ero davanti alla prova tangibile che nell’umanità c’è qualcosa di
irrecuperabile…
“MOSTRO!” urlò una voce di donna dietro
di me. Ebbi appena il tempo di voltarmi, prima che un pugno mi colpisse al
petto. Udii subito dopo il colpo della pistola, ma a quel punto avevo già
urtato contro il muro. Poi divenne tutto buio.
Quando riaprii gli occhi, me
ne pentii immediatamente.
Tenendoli chiusi, mi misi a
sedere. Aprii gli occhi, scoprendomi in una sala mortuaria. Avevo ancora gli
abiti addosso, ma… Essì, le tasche erano vuote, ma sporgere reclamo non avrebbe
avuto molto senso: a tutti i sensi ed effetti della biologia, ero morto, mica
mi potevo aspettare un trattamento di favore. Meno male che, dal punto di vista
del coroner, non c’era fretta di farmi l’autopsia vista la chiara causa di
morte –sai che casino a riparare una grossa cicatrice ad Y, fra le altre cose.
Mi diedi un’occhiata al petto.
Il buco del proiettile era già guarito, ma adesso dovevo comprarmi un nuovo
completo e impermeabile.
Una donna urlò! Mi voltai di
scatto, in tempo per vedere l’assistente del coroner andare giù come un
soufflé.
Scesi dal lettino e andai ad
aiutare la poveretta, ma proprio mentre la prendevo sotto le braccia, arrivò il
coroner. Fu quello un lungo momento di silenzio, durante il quale il medico
fissò attentamente me e la mia ferita, prima di scuotere la testa, rassegnato.
“Solo a New York, maledizione…” Si chinò ad aiutarmi a prendere la povera
assistente. “Uscito di qui, gira a destra, procedi lungo il corridoio fino alla
seconda porta a sinistra. Lì c’è il magazzino dei reperti, dove ho consegnato
la tua roba. E per favore, un’altra volta cercate di riprendervi in ambulanza:
hai un’idea di quante scartoffie andranno annullate, ora?”
“Farò
più attenzione, promesso,” dissi io, uscendo.
“Lomax!”
Neanche il Capitano Williams
sembrò felice di vedermi vivo e vegeto. Dall’altra parte del bancone, la povera
recluta assegnata a quel turno infernale era un po’ pallida, ma me lo aveva
detto fra una balbuzie e l’altra che si era trasferita da poco dal Vermont.
Mi voltai a salutare
l’ufficiale. “Williams! Anche io sono felice di vederla, signore.”
Williams
mi fissò sperando che mi dissolvessi. “Lomax, voglio solo sapere che gusto ci
provi a tormentare una poveraccia che ha appena perso il figlio ad opera di un
macellaio. Non sarò neppure così idiota da accusare te del delitto, visto che
per fare quel macello, saresti dovuto essere coperto di sangue dalla testa ai
piedi, e comunque tu non saresti
stato così fesso da restare su una simile scena del crimine.” Si avvicinò al
bancone, e al giovane poliziotto ringhiò, “Prendi la sua roba, Tim, che
aspetti?!” E a me, “Poi andiamo nel mio ufficio. Ho già avvertito la signora
Burton che non deve più preoccuparsi di averti ucciso.”
“Non ti fare illusioni,” mi
disse Williams, torvo, mentre chiudeva la porta dietro di sé. “Se questo non
fosse un caso assolutamente folle, mi assicurerei di tenerti dentro per quella
tua violazione di domicilio. Ma i colleghi degli altri distretti mi hanno detto
che con certi…casi, tu ci sguazzi bene.”
“Me la cavo,” dissi io,
sedendomi.
Lui andò a preparare il caffè
e due tazze. “Personalmente, non condivido l’ipocrisia di alcuni capitani, che
con i super adottano la politica dell’’usarli ma non lodarli’. Se si ricorre a
dei ciarlatani che si spacciano per medium, io mio posso avvalere di un
investigatore dell’occulto, giusto?”
“Immagino di sì.” Accettai la
tazza di caffè, sperando che non fosse una pessima miscela economica tutta
caffeina. Un sorso confermò i miei timori. “Anche se non sono propriamente un
mago di quelli…”
Williams bevve il suo caffè.
“Risparmiami i discorsi. Cosa hai appreso dalla scena del crimine? A proposito,
grazie per non averla inquinata.”
“Di niente. Ad ogni modo, non
ho appreso niente di più dei vostri uomini. Non ho mai e poi mai visto una
simile ferocia unita ad una simile metodicità. Quel povero bambino è morto
urlando. L’uomo al piano di sotto…”
“Il maggiordomo.”
“Be’, lui è stato trattato
come…un ostacolo da rimuovere in fretta. Sicuro, il mostro ci ha dato dentro,
ma lo ha fatto in fretta, come se avesse avuto quattro braccia tutte armate di
machete. Cosa dice la madre? Ci sono dei complici?” Domanda retorica, visto che
un uomo da solo non…
“No.”
Odio il lunedì.
Williams finì il caffè con una
lunga sorsata. “La signora Burton ha detto di essere stata svegliata
all’improvviso dalle urla di suo figlio. A quel punto non sapeva nulla del
maggiordomo, ne’ le importava qualcosa.” Consultò rapidamente una copia della
deposizione. “Dice di non avere visto l’assassino, ma ha visto il figlio che si
agitava sul letto, come, cito ‘se volesse liberarsi da delle catene’. Le ferite
sono apparse spontaneamente, una dopo l’altra…” scosse la testa. “Un mutante, o
tu hai altre idee?”
“I Burton avevano nemici?”
“Lei no. Forse il padre, ma
non è rintracciabile da più di un anno, ormai. Lavorava per il governo, ma ogni
tentativo di risalire a lui si è finora scontrato contro un muro di gomma.”
“Deve essere stato un lavoro
molto sporco, se questo casino era una forma di vendetta.”
Williams annuì. “Quando
lavoravo a Brooklyn, ne ho viste di schifezze, ma questa è roba da psicopatici
totali. Quasi quasi, spero che sia un maledetto copycat.”
Campanello d’allarme! “Un..?”
Williams sospirò. “Già, ma
dove ho la testa? È per questo, alla fine, che ti ho chiamato.” Prese dal file
una delle foto della scientifica. Me la allungò.
Era una foto della schiena del
bambino, presa dal coroner. In qualche modo, le ferite, ora che erano state
lavate, apparivano più ripugnanti contro la carne dissanguata.
E le incisioni, fatte
evidentemente con delle lame molto affilate, su quella zona formavano una
scritta… “Cazzo.”
“Lo hai riconosciuto?”
Eccome, capo! Di serial killer
me ne intendevo da prima di trovarmi coinvolto nei casini del Darkmere. E fra
tutti, ce n’era uno che era una maledetta leggenda… L’autore di questa firma!
“Forse è proprio un mutante con il potere dell’invisibilità, un copycat.”
“Già, ma prima di diramare
mandati di cattura a carico di ignoti, devo essere sicuro di non scatenare un
putiferio. Appena avrò consegnato la relazione al Procuratore, ci penserà lui a
contattare i rappresentanti dei diritti civili. Nel frattempo, tu vedi cosa
puoi fare dal tuo lato di questa follia.”
Fissai quell’uomo con una
certa curiosità. “Capisco l’apertura mentale, Capitano, ma non pensavo che lei
credesse a queste leggende.”
Qualcosa si agitò negli occhi
grigi di quell’uomo di mezza età. Qualcosa di brutto, un fantasma di terrori
mai sopiti. “Io vengo da lì. Avevo
venti anni, quando i miei genitori si decisero a portarmi via. Loro avevano
capito, alla fine, ma tutti i miei amici nel frattempo erano morti. Io me l’ero
cavata…” si sbottonò la manica sinistra, e se la arrotolò lentamente.
Il braccio era una collezione
di cicatrici da bruciature. Se la mia esperienza contava qualcosa, le più
vecchie erano quelle delle dimensioni di un nichelino. Poi c’erano quelle
irregolari, più ampie, come se si fosse umettato a suo tempo il braccio con la
benzina prima di darle fuoco.
“Ho passato anni a convincermi
di essermi immaginato tutto. Non ho mai aperto un giornale o una pagina web su
quel posto, non volevo ricordare.
Fino a stanotte.
“Lomax, io non posso
appoggiarti apertamente ne’ ufficiosamente. Anche perché se è quello che
temiamo, non c’è poliziotto che possa effettuare un arresto, con tutta la buona
volontà. Tu limitati a restare a disposizione, in fondo sei un testimone e
tutte queste balle qui. Piuttosto,” aggiunse come a ricordarsi di un dettaglio
distrattamente messo da parte. “Era stato il maggiordomo, a chiamarti?”
“Chiacchiera mi aveva detto
che quel tipo mi cercava, ma senza entrare in dettagli. Con me avevo solo il
numero di telefono.” Mi alzai in piedi. “Farò quello che posso, capo. Spero che
basti una notte. Piuttosto, cercate di farmi sapere quanto più possibile sul
signor Burton. La madre cos’altro può dirci?”
“È un miracolo che abbia fatto
quella deposizione. Subito dopo è andata in una specie di stato vegetativo, e il
medico l’ha sedata pesantemente. Avvicinarsi a lei è per ora verboten. Chiamerò
l’ospedale ogni dieci minuti per sapere se è viva.”
Uscii. Ripensai ai casi più
difficili che avessi avuto da quando avevo scoperto di essere quello che sono.
Uno era per un padre di famiglia violento che si era fatto possedere da uno
spirito maligno, un altro riguardava una setta di satanisti che aveva evocato
un demone molto irritabile e senza la necessaria conoscenza per controllarlo.
Ma ripensai alla foto del
bambino. A quello che c’era scritto sul suo corpo.
Stavolta era roba davvero
seria, e mi serviva aiuto, o ero fottuto. Ma dovevo fare qualcosa, da solo o in
compagnia, o il mostro si sarebbe scatenato su un’intera città.
Un mostro che aveva lasciato
la sua firma per fare capire chi aveva il coltello dalla parte del manico. Una
creatura che la morte non aveva fermato, ma anzi aveva reso infinitamente
peggiore.
Freddy è tornato!
NOTA
DALL’AUTORE: Era da tempo che volevo realizzare un blocco di storie featuring
John Lomax, il singolare detective creato dal nostro Pablo anni addietro. Come
dite? Dov’è il Darkmere, che con Lomax è strettamente legato? Ci arriveremo, ci
arriveremo. Per ora, godetevi l’intrusione, nella nostra continuity, del solo
ed unico assassino dei sogni, del bastardo più cattivo e più conosciuto di
Babbo Natale, Freddy Kruger! E nel prossimo numero, saranno sogni amari! J